31 marzo, 2006
Non c’è Paese progredito e cristiano dell’Occidente che insegni catechismo a scuola. Italia anomala.
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Dopo una proposte poco liberale del “liberale” Panebianco
RELIGIONI INSEGNATE DALLO STATO
O NESSUN INSEGNAMENTO DEL CULTO?
NICO VALERIO, L’Opinione, 25 marzo 2006
E’ liberale costringere una religione ad uniformarsi ai requisiti del liberalismo? No, per paradosso. Ma poi, perché ficcarsi in un simile ginepraio: correremmo il rischio di scoprire che neanche le religioni dell’Occidente, il cristianesimo e l’ebraismo, sono al loro interno e nel loro nucleo liberali. Le religioni non sono programmi di partito, e rispondono ad altri criteri. Perciò, solo se non ci fossero altre soluzioni di emergenza, nella situazione che si è creata nella scuola italiana, nella società italiana, nel mondo islamico, noi liberali in Italia potremmo accettare ciò che il cardinal Ruini da una parte, e il commentatore Panebianco (Corriere) dall’altra propongono, che cioè nella scuola pubblica “l’insegnamento della religione islamica dovrà sottostare a precise condizioni: non vi dovrà essere contrasto fra i suoi contenuti e i principi della nostra Costituzione, per esempio, in materia di diritti civili, parità uomo-donna, matrimonio. Inoltre, l’insegnamento di quella religione non dovrà dare luogo a un indottrinamento socialmente pericoloso”. Senza il rispetto di queste condizioni (che è tuttavia difficile ottenere dal momento che, come Ruini osserva, manca un soggetto rappresentativo dell’Islam che possa impegnarsi a onorarle) sarebbe assai pericoloso, lascia intendere il cardinale, procedere su quella strada. “Esigenze della campagna elettorale a parte, c’è davvero qualcuno in Italia che possa negare la giustezza di queste tesi?”
Noi, per esempio, caro, Panebianco. Certo, noi liberali non spaccheremo il capello in quattro: l’Occidente e il liberalismo vanno difesi con ogni mezzo. Ma dov'è l'emergenza sull'insegnamento dell'Islam? Abbiamo il tempo e il modo per utilizzare la soluzione più semplice, liberale ed economica. Possibile che un liberale come lei non lo sappia? O anche lei sta diventando un teo-con? Non è molto più liberale, anziché assoggettare le religioni, che vuol dire sempre un antipatico controllo sulle idee e le parole, semplicemente non insegnarle a scuola? Non le si insegna in nessun Paese cristiano e progredito dell’Occidente. Perché solo nella scuola di Stato italiana? Dice: ma così riconsegni i bambini e i giovani islamici nelle mani di quegli imam fanatici delle moschee. Ma si effettuino severi controlli sui fiancheggiatori dei terroristi che frequentano moschee e centri islamici. E soprattutto facciamogli concorrenza: apriamo nuove moschee dove si formino imam e fedeli che parlino solo di religione e non di politica. E’ il clericalismo, in fondo, che torna sempre a bomba. Oops...
30 marzo, 2006
Come unificare e rifondare in pratica i Liberali italiani. Tempi e modi
Liberale è donna? Sì, quella dell’opera, "mobile, qual piuma al vento". Che cos’è, amici, quest’improvvisa frenesia d’una rifondazione liberale – figuriamoci – da parte di quelli che ieri non c’erano, non si facevano vivi o erano addirittura contrari? E pochi giorni prima delle elezioni: ma dico, si può essere più intempestivi? Dite la verità: volete solo far dispetto a qualcuno, vendicarvi perché siete stati trombati alle candidature, o avete capito solo ora che Forza Italia è la vecchia Dc (molto più clericale, però), che i "salmoni" – perdenti già nel nome – sono stati gabbati (ma se la sono voluta), che il Pli ha fatto la figura dello scemo (e ben gli sta), che An, Udc e Lega, e anche la Sinistra, radicali esclusi, sono forze conservatrici se non reazionarie, e che il bipolarismo all’italiana non funziona. E ora non sapete che fare da grandi.
Ma è troppo tardi per voi, e troppo presto per noi. Dove stavate quando col liberale Vittorio Vivona due anni fa creammo un Comitato di studio per gli Stati Generali dell’unificazione di tutti i Liberali italiani? Tutti eravate contro, allora, e fino a un mese fa, dico tutti, anche L'Opinione. "Ma quali liberali uniti, sono cose sorpassate: oggi c’è il bipolarismo", dicevate. E chiudevate col più grosso sfondone: "I liberali stanno nella Casa delle libertà". Perciò, ora, prima di proporre qualcosa di nuovo con grande faccia tosta, come si usa in Italia, come se non fosse successo nulla e voi foste i primi arrivati – addirittura gente che si firma con un alias – mentre noi ci esponevamo con i nostri nomi (Vivona, Lamedica, Valerio, Di Massimo ed altri, e lavoravamo all’ipotesi nei particolari), abbiate la bontà innanzitutto di chiedere scusa, e poi di mettervi umilmente in fila, anziché posare il cappello sulle prime sedie trovate. Perché "accà niscuno è fesso", e sapete come sono considerati dagli psicologi i "troppo furbi" all’italiana? Degli sprovveduti. Perché non prevedono che gli altri si accorgano della loro furbizia.
E ora che ho battuto Sgarbi in antipatia – ma "quando ce vo’, ce vo’" diceva mia nonna, farò il buono, offrendovi in anteprima almeno la conclusione di quel Comitato, per la parte di mia competenza, che era "Modi e tecniche comunicative di indizione dell’Assemblea di rifondazione dei Liberali italiani".
Altro che "assemblea a giugno", come ho sentito dire qui. Questa andrebbe bene solo per sollevare il problema sui giornali o indire a sua volta un Comitato di studio, che finirebbe i lavori, forse, a giugno del 2008. Perché il processo di riaggregazione di personaggi così mobili e individualisti – voi lo dimostrate – come gli individui della specie Homo liberalis, var. italicus, è lunghissimo. E l’iter può partire solo se, tra gli oltre 60 soggetti liberali italiani censiti dal Salon Voltaire, quelli politici con ambizioni partitiche si impegnano a sciogliersi. Perché agli Stati Generali devono partecipare solo i soggetti individuali che hanno azzerato ogni organizzazione. Altrimenti si crea l’ennesima sigletta pseudo-liberale che "si aggiunge" ma non sostituisce le altre.
Cominciamo dall'ora zero. Un grande Manifesto agli italiani tutti, non a chi già sa di essere liberale, porrà 20 quesiti concreti, tipo test. Esempio: "Se l’Alitalia non va in pareggio, dobbiamo farla fallire o la deve salvare lo Stato"?" E le risposte liberali, in corpo piccolissimo. Questo in tutti i campi: diritti civili, scuola, laicità, economia ecc. Il Manifesto deve essere firmato da personalità liberali, ma senza nessuna sigla, perché appunto si riparte da zero. Se infatti ci sono sigle, gli altri liberali italiani – sono fatti così – non aderiscono per invidia.
Il Comitato, nel quale ci devono essere liberali veri e di lunga data, ma anche abili organizzatori di eventi ed esperti di psicologia della comunicazione con curriculum, deve convincere gli industriali più liberali, su un progetto preciso, a finanziare il Manifesto cartaceo e gli spot tv. Dopodiché – e sarà un avvenimento-bomba – in tutti gli oltre 8000 comuni italiani si organizza il giorno x all’ora x, grazie alla teleconferenza con i computer, la più numerosa assemblea della storia. Quasi gratuita. I ragionieri calcoleranno quanti rifondatori liberali dovranno riunire in assemblea reale Roma e Milano (p.es 2000-3000 persone), e quanti il più piccolo comune, chiamiamolo Rocca di Sopra (p.es. 4 persone su 46 abitanti). Con questo geniale ed economico sistema proporzionale, grazie alla rete di computer collegati tra loro, avremo organizzato un’assemblea reale ma telematica anche di 200.000 persone o più. Sfido tutti i giornali a non riportare l’evento. [Sia chiaro, in ambiente di furbetti liberali, che il copyright dell’idea è di Nico Valerio. Utilizzabile gratis da chiunque, citando la fonte, NdA].
Enorme sarebbe la ricaduta comunicativa dopo l’assemblea. Il Comitato esecutivo darà luogo al Nuovo soggetto. Dopo lunghi studi, da buon titolista che non ha mai sbagliato un titolo di libro o di manifesto – e su questo gli amici RL tacciano, per favore – ho trovato solo un nome perfetto, vincente, moderno e classico: "Liberali italiani". Su tre bande stilizzate bianco-rosso-verdi (che è il simbolo più amato dai liberali italiani). Dalla Cosa, poiché davvero unitaria, non si potranno escludere i soliti politicanti rotti da mille avventure (ché se no, ne fondano un’altra…), ma metteremo dentro anche i molti giovani emersi localmente e – novità – i grandi nomi del giornalismo e della cultura, e i tanti che non sanno di essere liberali, ma hanno risposto positivamente ai 20 quesiti del Manifesto. Affluiranno, quindi, molti liberali veri a noi sconosciuti, che finora erano prigionieri della Sinistra o della Destra.
Ma tutto questo serve per ora solo per esercitarsi e prepararsi. Scatterà in tempo reale solo con l’implosione di Forza Italia. Altrimenti è impossibile. Quindi, non facciamo sciocchezze emotive anzitempo, nel solito stile della politica italiana, non strumentalizziamo cinicamente lo scontento attuale, non roviniamo tutto per la smania di una banale elezione comunale, e alleniamoci piuttosto in "virtuale" al grande momento. Qualunque sigletta fatta oggi, sappiate, sarà un "no" alla grande riunificazione futura, perché "si aggiungerà" alle altre sigle, non le sostituirà. Aumentando lo sconcerto e il discredito dell’idea liberale tra i liberali.
Libri antisemiti diffusi dalla Cassazione. Solo un'impiegato distratto?
Un "incidente", un evento del tutto casuale, ha fatto scoprire anche in Italia un traffico di libri pornografici che negano l’Olocausto, fanno propaganda antisemita e antiebraica, e cercano di maleducare i bambini delle scuole elementari seminando nelle menti ricettive e non ancora critiche il virus del razzismo e dell’odio. A Roma un maestro elementare di Boccea è rimasto di sasso quando nello scartare un plico di libri educativi giunti in regalo dalla Biblioteca giuridica del Ministero di Giustizia e dalla Cassazione - riferisce la Cronaca di Roma del Corriere della Sera - ha trovato dei libretti illustrati contro l’Olocausto. La scritta Shoah, un binario che entra dentro Auschwitz, ma all’interno del cancello del lager è visibile un sacco pieno di dollari. E disegni di maiali che mangiano nel truogolo con la scritta "Olocausto". Insomma, la persecuzione razziale spacciata come grande affare degli ebrei.
Il libretto pornografico ha il titolo "Prontuario illustrato del revisionismo olocaustico", è stato prodotto in Francia da due disegnatori legati al Fronte Nazionale di Le Pen, e in Italia è stata introdotto dalla casa editrice Effepi di Genova. Che, sia chiaro, ha tutto il diritto - se no, che liberali saremmo? - di vendere vergognosi opuscoli del genere, ma che rivela "uno di quei recessi oscuri – si legge sul Corriere - che da anni si dedicano a proporre un catalogo di testi in cui brillano fascisti, nazisti e revisionisti xenofobi e antisemiti". Ora alla Biblioteca centrale giuridica della Cassazione giurano che si è trattato di un "errore". Se anche fosse andata così (ma il consigliere regionale D'Amato non ci crede), anche se un inpiegato ignorante o annoiato avesse spedito ad occhi chiusi, senza guardare copertina e contentuo, il pacco di libri alla scuola elementare, ci sarebbero già gli estremi per una solenne ramanzina con punizione.
Adesso, i tanti cretini sono pregati di non proporre censure, denunce penali e divieti illiberali. Tutti hanno diritto a scrivere le peggiori cretinate. Ma deve esistere una attenta vigilanza contro l'antisemitismo, specie in tempi di islamismo pazzoide. E gli impiegati di Stato devono avere cento occhi. E ci piacerebbe sapere con quali finanziamenti (Islam, privati, Stato italiano?) vengono stampati questi opuscoli. E se si dovesse scoprire che l’editore gode di sovvenzioni pubbliche, chiediamo una severa inchiesta e la punizione esemplare dei colpevoli. E che si aspetta a premiare almeno con un encomio l’attento maestro elementare, che guadagna molto meno del colpevole impiegato della Cassazione, ma che a differenza di lui dimostra attenzione e alto senso civico?
29 marzo, 2006
Teocon minoritari: la società in Italia è sempre più secolarizzata
Gustosa la punzecchiatura, nella rubrica delle lettere al Foglio, del laico Massimo Teodori all’ateo teocon Giuliano Ferrara. Che risponde riservandosi di deferire il reprobo alle particolari cure del filosofo Roger Scruton, pensatore reazionario qui evidentemente assunto come torturatore dalla Santa Inquisizione. Non male come siparietto (sì, ma che tocca fare per vendere qualche copia in più tra gli adepti di Comunione e liberazione, visto che i laici lo stavano abbandonando…). Eccola, per chi non l’avesse letta, o non volesse buttare un euro.
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"E’ sicuro – finge di concedere Teodori citando un articolo del Foglio - che "il laicismo da noi si conferma una rispettabile minoranza, fervorosa ma sostanzialmente isolata" (L’eccezionalismo italiano, 28 marzo). Lasci stare il referendum sulla procreazione assistita: l’interpretazione dell’astensionismo, come noto, è molto controversa. Per il resto tutti, ma proprio tutti i sondaggi d’opinione su questioni specifiche indicano che la società italiana ha fatto enormi passi verso la secolarizzazione ed esprime "richieste laiche" sempre più radicali (senza dare un giudizio di valore), mentre i comportamenti, per così dire, "cattolico-tradizionalisti" sono divenuti minoritari, se pure più militanti.
Gli indicatori in tal senso sono molti: gli italiani si sposano sempre più in municipio con punte sopra al 50 per cento nelle metropoli; diminuiscono i battesimi e le comunioni; le cremazioni aumentano notevolmente; l’esonero dalla religione nelle scuole è in fortissima crescita; l’aborto è vissuto sempre più come un normale incidente da affrontarsi apertamente; le separazioni e i divorzi negli ultimi 4 anni sono aumentati del 3,5 per cento, le vocazioni al sacerdozio sono in calo verticale. Ancora alcune cifre stupefacenti: il 63,8 per cento della popolazione è favorevole ai Pacs in generale e il 29,1 per cento è perfino favorevole ai matrimoni gay (Eurisko); più del 40 per cento degli italiani giudica quantomeno opportuna una revisione del Concordato (Mannheimer). Che ne dice?
Massimo Teodori
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Risponde Ferrara: "La metterei nelle mani di Scruton. Sono sposato in municipio, battezzato (forse) di nascosto, non comunicato, esonerato nei primi anni 60, ho co-deciso per l’aborto quando era illegale… ma le sue banali vanterie secolariste mi fanno ridere e piangere. La metterei in un film di Moretti.
Commento del Salon Voltaire: Eccoli i cinici e ricchi atei teo-con. E dire che certi gonzi ne hanno fatto dei portabandiera…
28 marzo, 2006
Imbrogli lessicali: il laico buono contro il "laicista" cattivo
Abbiamo sempre pensato che chi inventa nuovi termini, chi ne modifica significato o grafia, chi crea le parole, insomma, lo fa non solo per un’intelligenza e una creatività debordanti, ma anche per affermare il proprio potere. E’ proprio vero: chi governa le parole governa il mondo. Così, l’uso parziale o distorto dei termini "laico" e "laicismo" osservato nelle polemiche degli ultimi mesi hanno spinto più d’uno a sfogliare i dizionari italiani. Grazie al fatto che al Salon Voltaire ne abbiamo 10, su queste e sulle analoghe voci abbiamo notato molte differenze, quantitative e qualitative. Sul bellissimo Gabrielli (ed. 1989), in 2 volumi, che riteniamo il migliore e più analitico dizionario italiano, un coerente "vocabolario d’autore", queste voci sono molto ben rappresentate. Si vede che, per fortuna, non capitarono sotto la penna della cattolica integralista Irene Pivetti, che col nome di "Irene Taranta" (dal primo marito, divorziato poi in Sacra Rota "perché lei non voleva figli") collaborò col padre Massimo, a cui era stata affidata dopo la scomparsa del grande linguista la revisione e la correzione della nuova edizione. Vediamo che dice il grande Gabrielli. Riporta ben 7 lemmi, che abbiamo abbreviato, da cui risulta confermato che "laico" non è diverso da "laicista", specialmente se guardiamo agli esempi.
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Laico: Dal tardo lat. laicus e dal gr. laikòs = del popolo. 1. (agg) Che non ha carattere religioso, che non è ecclesiastico o confessionale. Che non fa parte del clero, che non è un religioso ma un civile. Stato laico è quello indipendente da ogni autorità ecclesiastica. Scuola laica non affidata a religiosi, fuori d’ogni ingerenza del clero e d’ogni dipendenza da princìpi o confessioni religiose. 2. (agg) Chi professa libertà di giudizio, senza rifarsi a ideologia o dottrine in qualche modo condizionanti (es., "un intellettuale laico"). Anche di movimenti o partiti politici non vincolati a rigidi princìpi ideologici. 3. (sost) Chi non fa parte del clero. 4. (sost. antico) Persona illetterata, contrapposto a chierico.
Laicismo. sec.XX (sost). Principio politico e sociale che afferma l’indipendenza da qualsiasi principio o confessione religiosa, e dal clero, d’ogni attività della vita civile. 2. Carattere, qualità di laico.
Laicista. sec.XX (sost). Fautore del laicismo, antidogmatico.
Laicistico sec.XX (agg). Da laicista, che si richiama a princìpi laicisti (es., Un progetto tipicamente laicistico). Deriv. Di laicista.
Laicità sec.XIX (sost). L’essere laico, condizione di laico (es. la laicità delle suore oblate, la laicità dell’insegnamento).
Laicizzare. sec.XX. Rendere laico, togliere a persona o a cosa il carattere ecclesiastico. Laicizzare la scuola, l’insegnamento: sottrarli alla dipendenza da princìpi di ordine confessionale.
Laicizzazione. sec.XX. Il ridurre allo stato laicale, il rendere laico. (es., laicizzazione delle scuole).
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Sul tema, Massimo Teodori ha inviato al direttore del Foglio, Giuliano Ferrara, la seguente lettera: "Non sarà che l’uso inflazionato della contrapposizione tra "laico" e "laicista" e tra "laicità" e "laicismo" è un puro imbroglio lessicale? Rifacciamoci ai testi. Il prestigioso "Dizionario di politica" di Bobbio e Matteucci prevede solo la voce "laicismo" che certo non è intesa in senso dispregiativo come viene usata dalla vulgata corrente, diciamo così, di parte cattolica e/o clericale e/o atea devota. Consultiamo lo Zingarelli:
Laico = "che si ispira al laicismo";
Laicista = "proprio dei laici";
Laicità = "qualità o condizione di chi, di ciò che è laico";
Laicismo = "atteggiamento ideologico di chi sostiene la piena indipendenza del pensiero e dell’azione politica dei cittadini dall’autorità ecclesiastica".
Per capire ancora meglio - continua Teodori - aiutiamoci con l’inglese che, con l’essenzialità linguistica, svela gli inganni terminologici. Gli unici termini che esprimono i diversi concetti italiani (Oxford Dictionary of Politics, Webster’s) sono "secular" e "secularism".
Ma Pierluigi Battista, tradito dalla foga giornalistica ha dato una scorsa velocemente – legge solo i titoli? – ed è partito in quarta. "Teodori sostiene che "laicista" altro non è che un "imbroglio lessicale" giacché non compare nei dizionari canonici". Intanto, "canonici", in che senso? Ma non è questo il problema: "laicista" c’è, eccome. Solo che, a differenza di quello che sostengono Chiesa, teo-con e i giornalisti disattenti alla Battista, nell’uso italiano laico e laicista sono più o meno sinonimi. Altro che contrapposizione tra laici "moderati" e laicisti "estremisti" o "giacobini" … Tutto falso. Eppure, ignaro di tutto questo, il Battista, forte della verità rivelata (nomen omen), imbastisce tutt’un articolo contorto e di difficile lettura (voleva essere "ironico"?) su episodi di cronaca che, secondo lui, metterebbero in contrasto "laici" e "laicisti", compreso il "Budda sostituito alla croce su una vetta". Tutto contro i laicisti, ovviamente. Ma, caro Battista, santo fligliolo, è proprio questo l’imbroglio lessicale: quello in cui sei cascato. Non te ne sei accorto? Ciò detto, mi fa pensare alla mia amica Roberta, a cui bisogna sempre spiegare le barzellette… (tratto dalla Newsletter Salon Voltaire, 17 ottobre 2005).
Eolico della speculazione. Il Parco del Pollino devastato da 90 altissime, inutili, torri d'acciaio.
Il "politicamente corretto" in questa Italia sta diventando sempre più il "politicamente corrotto". Dopo lo scandalo non ancora risolto degli alimenti "bio", certificati da enti controllati dalle stesse ditte produttrici, ora in nome d’un finto-ecologismo affaristico vengono devastati addirittura quei santuari intoccabili della wilderness, la vera Natura selvaggia, che sono i grandi Parchi nazionali. Uno scandalo, lo diciamo subito, in cui sono coinvolti tutti: comuni e ministero, enti parco e Tar, destra e sinistra. E siamo alle solite: in nome degli affari, con la scusa del deficit dell’economia, anziché liberalizzare i servizi, snellire lo Stato e tagliare i rami secchi corporativi e assistenziali, se la prendono con la Natura, l’unica che non può protestare. Dandosi (dandoci), però, la zappa sui piedi, perché la Natura in Italia, insieme all’Arte, è l’unico patrimonio che abbiamo.
Che è successo? Nel Parco Nazionale del Pollino, 192.565 ettari e 56 comuni tra Basilicata e Calabria, che ha come simbolo il raro pino loricato, la speculazione finto-ecologista, con la scusa dell’energia alternativa (che in realtà, come vedremo, non produce), sta portando il suo attacco al paesaggio, senza nessuna utilità per i cittadini. Si è deciso di installare 90 altissime torri metalliche – potrebbero raggiungere anche i 100 metri – veri e propri "mulini a vento" dalle enormi pale rotanti. Raggruppate a decine, vera piccola foresta artificiale posata sulle alture, perciò visibilissima da ogni parte, dovrebbero in teoria produrre elettricità grazie al vento e far risparmiare con una "energia naturale", "pulita", "rinnovabile", milioni di euro di petrolio, come dicono politici "ecologisti" e il ministero, affaristi elettorali e tangentisti di destra e di sinistra.
Ma non è vero. Perfino in Germania, più pianeggiante e ventosa, un’inchiesta di
Der Spiegel ha scoperto che di energia le torri eoliche ne producono poca, e costosissima. Le ditte pagano sovvenzioni e bustarelle ai Comuni per fare accettare la orribile foresta di torri. E lo Stato risarcisce le ditte pagando molto di più del prezzo di mercato per ogni chilovattora prodotto. Dunque una finta energia, un bilancio in passivo. Quando con la sola eliminazioine degli sprechi elettrici avremmo di più. Senza parlare del solare.
Intanto, il cittadino non solo si vede i luoghi più belli e turistici devastati per sempre (smantellare torri, elettrodotti e relative strade costa troppo), ma dovrà anche pagare una bolletta più cara. Perché di vento ce n’è sempre poco in Italia, e spesso - sembra un film di
Totò e Peppino - le pale vengono fatte girare per finta, cioè consumando elettricità convenzionale, anziché produrne di alternativa. Per di più, gli uccelli, spesso rari e protetti, che incuriositi le attraversano volando, vengono falciati dalle pale. E così anche la bella Italia viene invasa da
migliaia di torri del genere.
Una sporca faccenda, insomma, in cui ci sono tutti gli elementi del finto "verdismo" all’italiana: l’ignoranza dei sindaci, abbagliati dai soldi dati al Comune come indennizzo, l’ideologismo ottuso dei Verdi collegati con le ditte produttrici, l’affarismo elettorale del ministero, l’inerzia degli enti locali, l’acquiescenza degli Enti Parco, perfino il formalismo antigiuridico di certi giudici amministrativi, TAR e Consiglio di Stato (quello, basta dire, che ha "stabilito" ex cathedra che "il crocifisso è un simbolo laico"…). Insomma, insensibilità per la natura, disprezzo per il bello, ottusità e corruzione, sparsi a piene mani da una classe dirigente provinciale, rozza e ignorante, del tutto inadatta a governare un Paese ricco di bellezze e di cultura come l’Italia.
La zona a rischio del Parco del Pollino, nel comune di Latronico (Potenza) è accanto a due aree protette SIC (Sito di interesse comunitario) e ZPS (Zona a protezione speciale dell’avifauna). L’area tra l’altro vede la presenza di coppie nidificanti di capovaccaio, aquila reale, lanario, ecc. E proprio qui, col benestare del sindaco Francesco Fino, ex Dc e ora Margherita, la Società DE-DI (Gruppo ENDESA) prevede di realizzare 90 pale eoliche. La società ha ottenuto la sospensiva dal TAR della Campania della Deliberazione della Giunta Regionale della Basilicata ("Linee Guida per il corretto inserimento dell'eolico") che stabiliva i limiti chilometrici da aree SIC e ZPS, e le aree ove inibire questi impianti. La Regione contro la sentenza del TAR ha fatto ricorso al Consiglio di Stato della Campania, che, secondo prime indiscrezioni raccolte da Antonio Bavusi, avrebbe però dato ragione alla società dell'eolico. Ed è allarmante che manchino ancora notizie ufficiali.
Certo, se realizzato questo "campo eolico" stravolgerebbe i valori ambientali, paesaggistici e faunistici di una delle aree più importanti del Parco Nazionale del Pollino, ancora privo finora di interventi e presenze dell’uomo. Una rarità da preservare, anche per possibili studi scientifici. Se realizzato, il programma segnerebbe la fine di quella zona protetta: verrebbero realizzate strade di accesso, impianti di connessione, elettrodotti, come ha previsto un quotidiano locale.
Ma poi che pensare in generale dei giudici del TAR che mettono spesso sullo stesso piano il legittimo diritto di pochissimi a guadagnare (sacrosanto, certo, specialmente per noi liberali) con il più importante diritto di milioni di italiani a godere di beni - anche questi hanno valore economico, inestimabile - come la Natura intatta, la salubrità dell'aria o delle acque, o l’Arte? Abbandonino per qualche giorno le loro scartoffie, facciano una gita in mezzo ai monti e frequentino di più monumenti e musei: impareranno ad interpretare meglio le leggi. Del resto – diceva un mio prof d’università – buon senso e intelligenza non sono doti che ci vengono da una laurea: bisogna averli prima di laurearsi. Dopo, ahimé, è troppo tardi.
Perciò, facciamo appello alle persone intelligenti. Inviate lettere ai giornali: sono efficacissime. Quella gente deve sentirsi addosso gli occhi e la riprovazione dell'Italia. Oltre ai giornali locali, ecco qualche indirizzo dei giornali che fanno opinione e che sono più letti dai giornalisti: Corriere della sera
lettere@corriere.it, Repubblica
rubrica.lettere@repubblica.it, Stampa
lettere@lastampa.it, Messaggero
prioritaria@ilmessaggero.it, Riformista
cipiace@ilriformista.it, Foglio
lettere@ilfoglio.it. E inviate lettere ed email di protesta al sindaco di Latronico, Egidio Nicola Ponzo, Largo Marconi 10, 85043 Latronico (Pz), tel. 0973-853111, fax 0973-853232, email:
sindaco@comune.latronico.pz.it e all’Ente Parco del Pollino, Via delle Frecce Tricolori 6, 85048 Rotonda (Pz), tel. 0973.669311, fax 0973.667802, presidente Francesco Fino, email:
presidente@parcopollino.it.
Grazie, a nome di tutti gli Italiani.
27 marzo, 2006
Le tasse della Sibilla: solo uno le conosce, ma se ne vergogna
Condividiamo la vergogna che Prodi prova per le sue stesse tasse. Ma troviamo ugualmente scandaloso il fatto che lui stesso se ne vergogni dopo averle pensate. Anche Rutelli si sbraccia a negare aumenti che invece sono nei programmi e nella logica delle cose. Un silenzio affannoso ed eloquente che insospettisce ancora di più: più che nella mente di Giove l'aumento delle tasse sembra riposare nella ben più truffaldina mente di Mercurio, dio abituato a mille raggiri.
E per un motivo, semplicemente, di psico-politica elettorale, non economico. Poichè, ancora più di Berlusconi, Prodi - che notoriamente è un pauroso, e non è neanche una cima - sarà assolutamente incapace di tagliare gli sprechi e di fare economia, magari licenziando mezza Pubblica Amministrazione, come pure dovrebbe per realizzare risparmi consistenti, tali da incidere visibilmente sul bilancio dello Stato.
CORPORATIVISMO E PRIVILEGI. Prodi, infatti, è bloccato dal corporativismo e dall'abitudine al privilegio di classe, che tutti sanno essere caratteristici dell'elettorato dell'Unione più ancora di quello della Casa delle libertà, dove pure sono consistenti. Insomma, i tassisti, i commercianti, i farmacisti e i professionisti (Destra, tanto per generalizzare) hanno opposto a Berlusconi e opporranno ancor di più a Prodi forti resistenze all'eliminazione dei propri privilegi anti-liberali.
Ma, se a questi si aggiungono anche gli impiegati, gli studenti, i sindacati, gli Enti locali, i giornali, la Tv e le numerose lobbies elettoralmente protette (Sinistra, per generalizzare), allora per Prodi sarà davvero impossibile anche solo provare a smaltire lo pseudo-lavoro parassitario e le rendite di posizione. Perciò, come valutare le vaghe ma minacciose "armonizzazioni fiscali" che l'Unione ha in programma? Vediamone alcune, con l'aiuto d'un amico docente dell'Università statale di Roma. TASSE SULLA CASA: "adeguamento degli estimi catastali ed abbassamento dell'ICI", dice il librone di Prodi Sibilla Cumana ("Ibis redibis non / morieris in bello"). Traduzione: si raddoppia l'imponibile ai fini ICI (prima casa) o IRPEF-ICI (seconde o terze case) e si riduce l'ICI di un punto. Naturalmente dalla manovra sono esclusi gli immobili popolari o di uso cooperativo. Ma poichè le case hanno ormai raggiunto quotazioni stratosferiche, di fatto, per la maggior parte delle abitazioni dei ceti medi la riduzione dell'aliquota sarà esigua, mentre la crescita dell'imponibile risulterà enorme. Insomma, non si sa se il poveretto tornerà o morirà in guerra: tutto lascia ritenere più valida quest'ultima ipotesi.
TASSE SUI CAPITALI: "aumento della tassazione sulle rendite dal 12.5% sino al 20-22% e riduzione del prelievo fiscale sui conti correnti dal 27% al 20%". Traduzione: sui "veri risparmi" la tassazione aumenterà, mentre sugli interessi - ormai nulli - dei conti correnti la riduzione sarà irrisoria, non percepibile.
IMPOSTA DI SUCCESSIONE: "reintroduzione dell'imposta sulle cosidette "grandi eredità". Traduzione: i figli pagheranno l'imposta se l'eredità supera i 250.000 euro. In pratica sarebbe colpita la gran parte degli appartamenti, e resterebbero esenti solo quelli piccolissimi e i box garage (ipotesi Bertinotti). Si parla anche d'un eventuale emendamento Rutelli, che colpirebbe con l'imposta solo valori dai 400-500.000 euro in sù. Tassazione che falserebbe il mercato, perché il valore commerciale degli immobili sconterebbe in anticipo la futura imposta o l'esenzione, i primi perdendo e i secondi guadagnando valore.
IMPOSTA SUL REDDITO. Poichè Prodi ha annunciato di voler abbattere (in un anno!) di cinque punti il cuneo fiscale delle imprese, o dovrà applicare in modo estensivo il modello esposto avvicinandosi al modello di Rifondazione comunista (ribattezzato per l'occasione "capital-comunista"), o, con una trovata dell'ultima ora, stabilire una addizionale IRPEF (fortemente progressiva come quella sull'Europa), che già nel linguaggio curiale e ambiguo caro a Prodi verrebbe definita sicuramente come "addizionale per lo sviluppo".
INVESTIMENTI E RISPARMI. Nel frattempo, c'è grande agitazione nei borsini e negli uffici di consulenza finanziaria. Come si sente dire in giro in modo sempre più concitato, i grandi e medi risparmiatori stanno "ricollocando" i risparmi all'estero, complice ormai la sempre più spinta globalizzazione degli investimenti. Vi ricordate i tempi eroici del fortunoso "rientro legale dei capitali" promosso da Tremonti? Altri tempi. Lo si potrà ritentare tra cinque anni, ammesso e non concesso che un Governo Prodi Sibilla Cumana duri così a lungo...
Utopia. Se esistesse un Paese in cui arabi ed ebrei votano insieme...
In questi anni di ritorno dell’antisemitismo, sanguinose stragi razziste, attentati islamici, caccia all’ebreo, aspre divisioni tra i popoli del Vicino Oriente, concedetemi poche righe di Utopia. Che bello sarebbe se esistesse un Paese in cui alle elezioni politiche potessero votare tutti e pacificamente: arabi, ebrei, cristiani, drusi, circassi, e così via. Uno Stato liberale in cui ci fosse alternanza tra maggioranza e opposizione, e in cui tutte le posizioni politiche potessero essere rappresentate, dalla destra al centro e alla sinistra, dai liberali ai socialisti, dai partiti religiosi ai gruppi etnici più diversi.
Come, esiste già? Sarebbe Israele? Dove starebbero per tenersi - mi si assicura - le elezioni per la Knesset (il parlamento)? No, non ci posso credere. Non sarà, per caso, la solita "disinformazione" del Mossad, il servizio segreto israeliano, e dei suoi "complici amerikani" della Cia?
Quali liberalizzazioni. Bordon bordeggia per non toccare i taxi
Le elezioni fanno paura? Sì, anche ai politici. Vogliono voti, tanti voti. Ma è tale il timore di toccare interessi e privilegi corporativi che all’estero non esistono neanche, che i politici italiani appaiono talvolta addirittura ridicoli. Ecco come l’amico liberale Guido Di Massimo riferisce di una figuraccia del senatore Willer Bordon, della Margherita, ad un incontro con una trentina di tassisti romani preoccupati perché nel programma di governo dell’Unione c'è scritto: "Politiche di liberalizzazione e trasparenza. Crediamo vadano attuate … anche nei settori della distribuzione dei farmaci e dei taxi". Una nota del Corriere (24 marzo) riporta che di fronte ai potenti tassisti (a Roma "tassinari") Bordon abbia tentato di sfumare il concetto, già di per sé poco incisivo per quel circospetto "crediamo" (all'anima deil "Programma"), ripetendo "decine di volte il concetto-chiave di concertazione".
Ma la concertazione ha sconcertato i tassisti romani, famosi per la loro combattività. La reazione è stata decisa: "No alla liberalizzazione e basta". "E' una parola allarmante, va cancellata senza giri di parole". Ed ecco la penosa e imbarazzata risposta di Bordon, in pratica una vergognosa retro-marcia: "La frase nel programma è talmente generale che vuol dire tutto e non vuol dire niente. Liberalizzazione è una parola tanto di moda, se spaventa si può anche non usarla. Nel programma non si parla comunque di un aumento indiscriminato delle licenze. Sappiamo che questa cosa provocherebbe un collasso della categoria e sarebbe una sciocchezza colossale. Vogliamo semmai liberalizzare ed espandere il mercato. Tramite un rafforzamento dei servizi e maggiori opportunità di occupazione".
"Collasso", "sciocchezza"? E bravo Bordon che bordeggia per non urtare i taxi. Liberista il lunedi, anti-liberista tutti gli altri giorni. Lui non sa, lui non ha idee, anzi era lì per caso. Segue, è vero, le "parole di moda", ma per carità, è solo un vezzo mondano. Se spaventano qualcuno – scusate tanto – le ritira subito, come non detto. Anzi, come non scritto. Avete presente la Thathcher, la "dama di ferro", tutta d'un pezzo? Bene, questo è un uomo di mercurio.
E conclude lo scandalizzato Di Massimo: "È nel tentare di raccogliere voti da una parte e dall’altra che si impara a dire e non dire? A parlare alla platea a seconda di quello che la platea vuol sentirsi dire? A ruotare il timone quanto necessario per avere il vento in poppa? E se Bordon si fosse trovato di fronte una platea di cittadini costretti a non usare il taxi, a causa dei loro alti costi dovuti alla mancanza di concorrenza, che cosa avrebbe detto?"
24 marzo, 2006
Era ora: la rivolta dei veri cristiani (laicisti) contro i furbi atei clericali.
Cari amici, prima o poi doveva accadere. Hanno così esagerato i teo-con, che la reazione è già cominciata, e potrebbe anche danneggiare seriamente la Casa delle libertà. Perché ormai è chiaro: solo i liberali faranno la differenza tra i due schieramenti assai poco liberali, passando dall'uno all'altro, cioè votando all'ultimo "il meno peggio". Questo lo avevano messo nel conto gli intelligentoni della Destra? Gente che non ha il polso della situazione.
Noi invece lo capimmo dopo le esequie per Calipari, quando un amico liberale di formazione cristiana protestò con una lettera al Comando dell'Arma, perché sulla scalinata dell'Altare della Patria aveva ricevuto da un carabiniere seduto dietro un tavolino un "santino" religioso. E il Comando rispose, gentilmente, dandogli ragione.
La novità è che stanno venendo fuori, come nel Risorgimento (in cui ci furono addirittura dei preti che si batterono da liberali), tanti veri cattolici, tanti credenti, sì, ma veri liberali, che non vogliono né sentire né vedere mischiare la religione allo Stato, la Fede al Potere. Oltretutto, certi teocon sono così cretini o poco rispettosi (per forza: ex marxisti) che non si rendono conto di svilire, di secolarizzare la stessa Fede. Cosa che non dovrebbe certo piacere al colto teologo Ratzinger. Comunque, per noi liberali, nient'affatto giacobini (sono i teocon ad esserlo stati...) è davvero il momento di dire basta.
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Ecco l'email che ci è appena arrivata da parte di un intellettuale liberale e cattolico, ricercatore all'Università di Heidelberg. "Caro Salon Voltaire, mi permetto di segnalare questo mio piccolo articolo sull'Opinione. Mi piacerebbe poter aprire un dibattito sull'argomento. Cordiali saluti, Paolo Di Muccio.
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"Ho letto con piacere le lettere di Giovanni Schiavin e di Claudio Tomassini sui laici del polo. Anche a me dà fastidio che un laico in Italia debba allinearsi con Ruini, se non vuole esser tacciato di anti-religiosità. E anche a me piacerebbero una forza autonoma laica nel Polo e una rubrica curata da Marco Taradash su questo giornale. Personalmente, sono così laicista che più laicista non si può: vorrei eliminare le croci dagli edifici pubblici, abolire l’ora di religione dalle scuole non private, istituire i pacs tra omosessuali e perfino la poligamia musulmana. Non parliamo poi dei privilegi della Chiesa. Ma rivendico il diritto di essere anche cristiano. Perché essere cristiani non vuol dire necessariamente promuovere per legge i valori cristiani e censurare i costumi altrui. Noi cristiani liberali e libertari sappiamo di non avere il diritto di forzare chicchessia ad accettare in alcun modo la cristianità. E pensiamo che solo chi non è tenuto ad accettarla possa sceglierla liberamente. Distinguiamo la giustizia dall’etica, ciò che è di Cesare da ciò che è di Dio. Parafrasando a sproposito Croce, mi sembra addirittura che i liberali in generale (di tradizione empirista, illuminista e individualista) non possano non dirsi cristiani. Infatti, la legge naturale di Locke è legge divina, mentre la legge morale di Kant è la legge morale di Cristo. Che ironia: Giuliano Ferrara e Marcello Pera sono atei clericalisti, noi invece siamo cristiani laicisti. E diciamo: Volete fare i teo-con alla papalina? Fatelo. Ma smettete di far finta di parlare a nome di tutti i cristiani."
PAOLO DI MUCCIO
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Bravo, caro Di Muccio. Se al prof. Giavazzi hanno dato il premio "Liberale dell'Anno 2005", a te daremo quello di "Liberale del Mese", e ti candideremo per l'edizione "Liberale dell'Anno 2006". Nella tua lettera ci riconosciamo tutti, noi liberali, credenti o atei, cristiani o ebrei, animisti o islamici. Noi che, da liberali, ci battiamo perché un prete possa dire messa anche dove gli è vietato, sapessi come ci arrabbiamo per le cose assurde che ci è toccato sentire e vedere in questi ultimi anni sulle due rive del Tevere, con la religione diventata pretesto per la politica, instrumentum Regni.
Buona idea quella d'una rubrica laicista sull'Opinione, ma visto che nostri articoli sull'argomento non sempre sono stati pubblicati, sono sicuro che il direttore Diaconale non la permetterebbe, e che l'amico Taradash la rifiuterebbe: sul tema Stato-Chiesa sono molto più moderati di Marco Cappato, Maurizio Turco e Nico Valerio.
Chi è che diceva che il crocifisso deve stare nei cuori dei credenti e non sui muri, esposto agli sguardi dei miscredenti? Leggendo la tua anticonformistica lettera, tipicamente liberale, ci hai fatto venire in mente le vette delle montagne italiane. Ma sì, durante le escursioni in montagna, che ribollire di adrenalina ogni volta che sulle vette delle montagne appaiono quelle enormi, antiestetiche e abusivissime croci, che modificano il profilo e deturpano la Natura distruggendo il concetto della purezza della wilderness, il selvaggio, che per noi amanti dell'ambiente incontaminato è un valore altissimo. Devozione popolare? Fanatismo di pochi montanari che senza chiedere permessi decidono di testa loro? Certo. Ma in realtà, con la religione, che è un fatto spirituale e intimo, non hanno nulla a che fare. Sono un simbolo di potere. I montanari e i buoni parroci di montagna non lo sanno, ma a livello subconscio, sono state messe lì solo per "marcare il territorio" conquistato, per fare violenza morale e psicologica agli altri, che credenti o cristiani non sono. Simboli di una religione - che per la democrazia liberale può esistere solo in quanto personale e privata - che sono ostentati e resi obbligatori alla vista, come deterrente o segno di forza. Perché loro, si sa, fanno quello che vogliono: nessuno osa dirgli nulla, dai Carabinieri alle Guardie Forestali, dai Comuni alle Regioni, dal Wwf al Club Alpinio. Immaginate se al posto della croce ci fosse un traliccio telefonico alto la metà: Polizia, Regione e comitati valligiani farebbero un '48.
Abbiamo raccontato questo esempio di piccolo clericalismo psicologico-ambientale diffuso, proprio perché appare minimo, quasi senza importanza. Ma che ben rappresenta la situazione italiana. Se al posto della croce obbligatoria ci mettiamo tutti i doveri "morali" o "spirituali" cattolici imposti per legge o regolamento a tutti i cittadini, cattolici o no, si capisce quanto sia indicativo. Forse è proprio vero che oggi non dalle grandi ideologie, ma dalle grandi religioni interpretate come strumenti di potere da politici cinici (non a caso molti sono ex-marxisti), vengono i pericoli più gravi per le libertà dei cittadini. A cominciare dalla piccola, subdola, violenza psicologica. Che a qualche ex-stalinista, convertito teocon, appare normale, ma che a un liberale, e vero cristiano per giunta, non verrebbe mai in mente.
Ben arrivato al prof. Pera. Ciò che ci unisce e ciò che ci divide.
L'abbiamo salutato come un gesto molto intelligente, e non solo dal punto di vista tecnologico. Il prof. Marcello Pera, Presidente del Senato ha aperto un sito-blog collegato al network "Tocque-Ville". Al quale, dunque, chiunque può inviare, salvo un minimo di filtro del gestore del sito, i propri messaggi. Non meravigliamoci troppo, i professori sono abituati a colloquiare con gli altri, studenti o colleghi. Ci dispiace e la consideriamo anche un errore intellettuale grave, la minaccia di un blogger di andarsene, dopo l'arrivo di Pera. Pensa forse che i selezionatori degli articoli da pubblicare nell'antologia di Tocque-Ville, ora che il presidente Pera può in teoria dare uno sguardo ai vari blog, si comporteranno in modo diverso? Non lo credo, e comunque speriamo di no. Non possiamo immaginare neanche l'ombra del sospetto elettorale, anche se siamo a quindici giorni dal voto. Al Presidente abbiamo inviato un saluto, che qui riproponiamo.
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Caro professore,
siamo onorati di averla qui, in questo covo di eccentrici a diverso titolo, alcuni conservatori altri liberali, alcuni clericali altri anticlericali.
Ero un suo sostenitore acceso, e cinque o sei anni fa la fermai 2 o 3 volte in via Tor Millina (dove allora c’era una libreria antiquaria) per dirle, già deluso, che "finché ci sarebbe stato Lei nella CdL, ci sarei rimasto anch’io".
Poi molto è cambiato, anche Lei, lo ammetta. E io che ero solo un liberale puro, un laico, mi sono ritrovato ad essere considerato un pericoloso "laicista".
Insomma, sono d’accordo con lei sulla difesa strenua dell’Occidente, anzi io la vorrei più dura. Ma, appunto, senza fare concessioni all’Islam fanatico, che mescola religione e politica, peccati e divieti giuridici. Senza, insomma, diventare come loro.
Bombardiamoli, stordiamoli, invece, con la nostra libertà.
L’Europa è diversa, il suo valore aggiunto è la libertà e la separazione tra fede e politica. Del resto era laica perfino al tempo dei Romani, che col Diritto e la tecnologia imposero a tutti i valori e gli standard universali. E Seneca senza essere cristiano già teorizzava l’uguaglianza tra schiavi e padroni come uomini nati ugualmente liberi.
E poi la Riforma, lo sviluppo dello spirito critico, le scienze, il liberalismo vero e proprio: questi, caro professore sono i veri valori dell’Occidente che mettono tutti d’accordo e non escludono nessuno: neanche gli atei, gli ebrei o i protestanti. E sono valori forti, non deboli. I liberali nella Riforma e nei Risorgimenti nazionali hanno lottato duramente. Contro le chiese, appunto.
La Chiesa, invece? Anche a voler essere machiavellici, mi scusi, che potere combattivo avrebbe nei confronti del fanatismo islamico? Nullo. E non perché non ha le truppe: non ha le idee. Tra religioni non si mordono. Ratzinger non andrà mai contro l’Islam. La Chiesa ha più paura dei laicisti, come li chiama Lei.
Mi creda, professore, ha puntato su un cavallo che non solo sul piano culturale ha detto poco e che quindi non ci rappresenta (tranne le opere d’arte delle chiese), se perfino le due prime e più grandi opere in lingua, Decamerone e Commedia, la Chiesa condannò. Ma che anche il cinico Guicciardini considererebbe perdente.
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Con affetto da un suo ex fan.
Nico Valerio
(Salon Voltaire)
Italiani al voto, perplessi. Tra Destra, Sinistra e Magna Grecia
Ogni notte siamo illusi da un bellissimo sogno erotico. Spiagge tropicali, acqua cristallina, bellissime ragazze nude dalla pelle ambrata che ci offrono carambole, papaie, mango e acqua di cocco. Ma alle prime luci dell'alba siamo svegliati dai fastidiosi politici, industriali e finanzieri all'italiana. Perciò comprendiamo bene lo spirito del nostro amico che ci scrive per uno sfogo. Di email come questa ne riceviamo molte. Che in genere non pubblichiamo perché troppo lunghe. Eccone finalmente una breve. Subito in stampa. "Segue dibbbattito, compagni..."
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Ringrazio per il vs. giornale [la Newsletter, NdR] che stampo e leggo sempre con piacere. Condivido quasi tutto quanto scrivete, vi confido che turandomi il naso voto centrodestra e vi dico perché.
Non sopporto i falsi come Montezemolo che si dichiara in "silenzio stampa" mentre i suoi giornali sono schierati a sinistra, e neanche il noto ciabattino con braccialetti di pelle al polso, e i loro amici, banchieri e imprenditori senza capitali che siedono su mille poltrone e con i soldi dei correntisti fanno scalate di ogni genere. Se ci fate caso, per le regalie di Stato fatte (Alfa Romeo) o tentate (Sme) i nomi dei politici sono sempre gli stessi. E anche per le scalate, Telekom, Unipol BP Lodi. Se pero non sei del giro, come Fiorani, stai in galera, o - come Ricucci - sei sotto la lente della magistratura "severa, onesta e imparziale". Tutti a sinistra.
Per finire, a tutti quelli che parlano di miseria. Li pregherei di andare nei parcheggi degli aeroporti italiani, a vedere quante macchine di vacanzieri sono in sosta. Sono tornato lunedi 20 dalle Mauritius e ho visto di persona. Spero di non avervi annoiato, ma mi dovevo sfogare.
Vi ringrazio e vi saluto cordialmente
Giovanni Paracchini
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Caro Paracchini, grazie di esserci, innanzitutto. E chiamalo "sfogo": hai dipinto un ritratto vivo della situazione psicologica in cui viviamo, meglio d'un articolo di 5000 inutili battute di Della Loggia-Sartori-Scalfari-Ferrara, che, tanto, proprio come la filosofia, qualunque cosa dicano, da qualunque parte stiano, tutto resta come prima. E non li licenzierà mai nessuno. Anche noi abbiamo disgusto per il conformismo dell'anti-conformismo di comodo (idee a sinistra, ma portafogli a destra) della classe dirigente italiana. Ci avrei aggiunto pure qualcosa contro il "tifo" da stadio (guelfi-ghibellini, bianchi-neri), senza conoscere neanche le idee, i fatti e gli uomini in campo. Perché gli Italiani erano, sono e restano soprattutto ignoranti: vorrà pur dire qualcosa che siamo gli ultimi in lettura di libri in Europa, e invece i primi lettori di giornali calcistici, no? C'è pure un tocco di satira (il ciabattino, il braccialetto...), che vogliamo di più?
Siamo qui ogni giorno - se la stupidità degli Italiani (vedi noi liberali? ne parliamo male, ma sempre con la maiuscola...), il teatrino della politica, i comunisti, i clericali, i fascisti, la Rai, i giornali, i sindacati, i no-global, i Rutelli, le Bindi, i Caruso, i Socci, i Rosso-verdi, i Diliberto e in genere i Buttiglioni mezzi vuoti o mezzi pieni (meglio la prima), non ce lo impediscono, provocando in noi depressione e rigetto. Perché sai, se uno ha il senso estetico della vita, e ha avuto la sfortuna di nascere razionale in Italia, l'Italia delle cosche di amici, dei raccomandati di Destra contro i raccomandati di Sinistra, è dura.
Così, ogni tanto sogniamo, al di là delle Colonne d'Ercole, oltre l'isola di Atlantide, un Eldorado popolato di frutti tropicali, spiagge cristalline e grandi fighe liberali coscialunga, ma ogni mattina ci sveglia la sgradevole, incerta prosa scritta di Battista, e la certa, spiacevole prosa parlata di Giovanardi. E il coso si affloscia. Rispetto e capisco il tuo voto, che è di tanti liberali, come anche quello dei tanti liberali che - anche qui turandosi il naso, non per loro ma per i condòmini - voterà per gli amici radicali.
Ma, caro Paracchini, c'è ben altro che alcuni industriali opportunisti. Ti ricordi la frase di Croce su Parigi e la messa? Le questioni di principio, le libertà, sono per noi liberali sempre al primo posto. Per difenderle, perfino i liberali non-violenti e vegetariani scenderebbero in strada col mitra. Noi liberali siamo stufi di sentir dire, per esempio, da uomini di potere in tonaca nera o rossa che ciò che secondo loro è "peccato" (dal preservativo alla ricerca sulle staminali) deve diventare divieto di legge per tutti. Così come siamo stufi di sentir dire da ragazzotti da strada con tute nere o vessilli rossi che MacDonald non ha il diritto di aprire i suoi ristoranti, che Israele non ha diritto di esistere, che i dittatori criminali non possono essere puniti. Ma non ne possiamo più, neanche, della recente leggenda che contro l'islamismo terrorista l'Occidente si difende rafforzando il Cristianesimo, anziché il liberalismo. Che è la sciocchezza più sottoculturale e masochista mai sentita. Come la differenza, inventata in Italia a scopo elettorale, tra laici e laicisti. Quindi, noi liberali dobbiamo guardarci come la peste - al momento del voto - da uomini e partiti sbagliati. Dobbiamo fare uno slalom acrobatico per evitare i candidati che si rifanno al neo-marxismo (o al neo-fascismo), ma anche al conservatorismo clericale e allo statalismo, sia a Sinistra, sia a Destra. E' una parola: sono la maggioranza, sia nell'Unione, sia nella Casa delle libertà.
Tu sai che - eroicamente - in un'Italia faziosa, campanilista e settaria fin dai tempi di Dante, il Salon Voltaire non fa propaganda, né parteggia per alcun partito. "Superiori compiti" ci chiamano, dico con auto-ironia: commentare le notizie da liberali e cercare di diffondere i vari aspetti del liberalismo, le tante libertà, la ragione e la difesa dell'Occidente. Nessun nemico in carne e ossa, solo l'irrazionalità, l'oscurantismo, l'autoritarismo, l'intolleranza, il fanatismo, ovunque siano, a Sinistra, a Destra e nelle chiese d'ogni specie. Non perché si sia aprioristicamente anticlericali o ateisti militanti, ma perché vediamo che oggi, nuovamente, come in tempi che si sperava restassero lontani, è dalle religioni che vengono i maggiori attacchi alla libertà dell'uomo, alla scienza e alla cultura, forse ancor più che dal comunismo e dal fascismo, ormai sconfitti e mimetizzati con un po' di mercato. Ma questo non lo capiscono neanche i liberali all'acqua di rose. Figurati i non liberali.
Ma, credimi, la politica non è tutto e non serve a spiegare tutto. Esiste - ne siamo sicuri - un'eredità antropologica che ci condiziona in quanto Italiani. Diciamo, per esemplificare, quella linea culturale greco-arabo-spagnola, che a partire dalla Magna Grecia - Neapolis aveva un "sindaco" corrotto già al tempo dei Romani - partendo dal Sud ha ormai conquistato tutta l'Italia da secoli. Voglio dire, la linea filogenetica della paura, della viltà, del fatalismo, della corruzione. Per dirne una: i Romani, anche nobili, combattevano personalmente. Molti Greci si facevano sostituire a pagamento dai mercenari siriaci (Polibio).
E poi l'amicizia mafiosa col potente, col protettore (questo c'era anche a Roma), la delega allo Stato o al capo-cosca, al carabiniere o al parroco, al comitato o al partito, dei problemi che dovremmo affrontare noi stessi, individualmente o in gruppo. Coraggiosi solo dietro una Autorità. Ricordiamoci non solo i briganti e le plebi reazionarie sanfediste sotto le insegne d'un cardinale, ma anche le migliaia di contadini meridionali e veneti che scappavano in massa davanti al nemico nella Grande Guerra. Tutti fucilati sul campo dopo processo sommario.
Una attitudine, una mentalità, che è diventata irreparabile, ovviamente, col suffragio universale e poi nel post-fascismo, a causa delle grandi trasmigrazioni interne. Ma sì, insomma, l'Italia dei cavoli, del pomodoro, dell'olio e della pastasciutta che si sostituiva e si sovrapponeva, con i suoi "valori", all'Italia del riso, del burro, della carne e della polenta.
Ora abbiamo anche tanti altri vice-papà che dovrebbero difendere noi bambini, come il tutore Antritrust (v. articolo successivo). Siamo in perfetta continuità con la linea culturale. Credimi, siamo noi Italiani il problema, non la Politica. La quale, anzi, è leggermente meno peggiore di certi avventori di bar o compagni di treno o di fila al supermercato che si incontrano casualmente. Certo, fanno schifo i professionisti del Parlamento, ma abbiamo visto che il signor Rossi, l'avvocato Tizio, l'ingener Caio o il destista Sempronio che diventato deputati o ministri sono pure peggio. E allora, dov'è questa benedetta "società civile"? E perché prendersela sempre con chi sta in alto? Prendiamocela con noi stessi.
Finto-mercato del menga: sotto la banca il leone ingrassa
Il leone – narrano le favole antiche, da Esopo a La Fontaine – un giorno si mette in società con tutti gli altri animali della foresta. Ma quando viene catturata una preda, al momento della spartizione, ecco che il leone tira fuori il titolo di "re degli animali" e in un modo o nell’altro si prende l'intero bottino. Anzi, chi non è d’accordo dovrà vedersela con lui.
Non lo chiameremo un "principio liberale", ma certo l’uguaglianza di diritti tra venditore e acquirente è una conseguenza logica, ovvia, della libertà di mercato e di concorrenza. I "patti leonini" sono proprio l’opposto. E invece in Italia, nell'indifferenza complice della classe politica, anche di Destra, tra utenti e banche (o assicurazioni, gestori di telefonia, fornitori di servizi ecc), nonostante l'ormai fastidioso ritornello del "mercato libero", i patti leonini sono la norma. E gli utenti, come i cittadini in generale, sono così deboli e divisi, che bisogna chiamare il papà, perché assesti una sana sculacciata al discolo di turno.
Il papà che dà gli scapaccioni è Catricalà. Ha perso la pazianza. "E’ un abuso", è anticostituzionale", "deve sparire dal nostro ordinamento", sbotta. Si riferisce alla prassi delle banche di modificare le condizioni contrattuali sui conti correnti senza avvertire i correntisti, per chiedere almeno se sono d’accordo. Invece le banche si limitano agli avvisi sulla Gazzetta Ufficiale, giornale, si sa, ogni giorno avidamente letto e commentato nei bar di tutt’Italia, tanto che lo chiamano "la rosa". Questa prassi leonina è oggi finalmente nel mirino dell’Antitrust. Catricalà punta l’indice sull’articolo del Testo unico bancario (n.118) che consente - dice - di comunicare "ai clienti a babbo morto che sono cambiate le condizioni", senza diritto di recesso. "E’ meglio - ha suggerito aggiungendo una minaccia esplicita - che le banche si autodeterminino da sole, altrimenti lo faremo noi". Replica Maurizio Sella presidente dell’Abi: è "una norma emanata anche per ridurre i costi delle comunicazioni tra banche e clienti". Oltre il danno anche la beffa: la libertà negoziale del cittadino trasformata in un mero problema di riduzione di costi. Per il leone, of course.
22 marzo, 2006
"Quod non fecerunt communitarii...", faranno i cristiani fanatici negli Usa?
L’intellettuale che quarant’anni fa negli Stati Uniti fu l’ideologo della riscossa repubblicana contro il progressismo snob e velleitario della sinistra "liberal" e del partito democratico, Kevin Phillips, dà l'allarme non solo per i rischi di crisi politica degli Usa, anche per la temuta perdita della separazione laica tra Stato e religione, che è sempre stata un punto di forza del primo Stato liberale al mondo. L’ondata di neocon e teo-con si va attenuando negli Stati Uniti, e lo stesso Bush, ora che i sondaggi lo danno in calo di popolarità, li ascolta sempre meno. Tuttavia, i motivi di inquietudine per il pericolo che la politica e la società americana possano essere influenzate da elementi di fanatismo religioso, sono fondati..
"Povera America, rischi il declino", è il titolo della corrispondenza del Corriere di oggi, firmata da Ennio Caretto. Che comincia il suo articolo con uno sfondone. "Nel 1969, all'apice del liberalismo" [voleva dire "progressismo liberal", cioè la sinistra. E non è la prima volta sul Corriere, NdR], Kevin Phillips pubblicò un libro profetico, "The Emerging Republican Majority", in cui teorizzava che il flusso di uomini e di risorse in corso dal Nord industriale alla "cintura della Bibbia", il Sud e il West conservatori, avrebbe privato i democratici del potere".
E così fu. Ma oggi, il rischio sembra quello opposto. Vi ricordate il motto satirico di Pasquino contro il papa Urbano VIII Barberini, accusato di aver depredato Roma ("Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini")? Ecco, oggi per l’America il pericolo viene dall’interno, sostiene Phillips. In altre parole, "quod non fecerent communitarii…", cioè il comunismo – direbbe un erudito prelato di Curia – potrebbe farlo il movimento dei conservatori e fanatici fondamentalisti cristiani. Non sarebbe la prima volta, dopotutto. Il rivoluzionario Joshua il Nazareo tornerebbe al suo antico vizietto: distruggere gli imperi.
Il libro di Phillips è molto severo sull'intrusione della religione nella politica. Oggi tra i conservatori cristiani prevalgono gli evangelici, circa un terzo della popolazione, che "credono nella supremazia dei dettami della Bibbia sullo Stato di diritto, nell' imminente ritorno di Cristo in terra e nella propria assunzione in cielo", riferisce sbalordito Caretto. Insomma, siamo alla regressione al mito popolare. "Ma si sta espandendo anche una frangia estremista "alla talebana" - così la definisce - che mira a opprimere la donna e a instaurare una repubblica teocratica. Il loro effetto è già avvertito dalle scienze: la biotecnologia e le ricerche sul clima vengono apertamente ostacolate, la fede soppianta la ragione, l' America "rischia di staccarsi dall' Illuminismo". Il governo Bush, protesta il politologo, dovrebbe contenere queste spinte, e invece le recepisce, o strumentalmente, o perché le condivide: corteggia, a suo parere, tutte le fedi "che combattono il secolarismo liberal"".
Per i leader repubblicani del Congresso e gli esponenti dell' amministrazione, Phillips è un disfattista, anzi un apostata. Ma Phillips non è isolato, altri ideologi della destra come Francis Fukuyama hanno espresso pubblicamente il proprio disagio. Un disagio condiviso, stando ai sondaggi, dal 60-65 per cento degli elettori, che temono che l' America stia sbagliando strada".
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Sul "fanatismo religioso occidentale" negli Stati Uniti, probabile reazione imitativa a quello islamico, Salon Voltaire ha già pubblicato un articolo.
Il paradosso dei "poteri forti": appoggiano le coalizioni più deboli
Secondo voi, dove si dirigerà d’istinto il condottiero senza scrupoli? Verso la quadrata legione del generale Radetzky, la marmaglia sanfedista del cardinale Ruffo di Calabria o il reggimento di re Franceschiello? La prima in Italia non esiste, la seconda pur vistosamente perdente è troppo ideologicamente coesa e determinata (quindi percepita paradossalmente come "forte"). Sceglierà il re di Napoli.
Ma sì, fuor di metafora storica, l’Unione della sinistra, che non solo si appresta a vincere le elezioni, ma per di più appare fin d’ora incoerente, litigiosa, multiforme, contraddittoria, anarchica, e quindi paradossalmente forte ma debolissima, è un bocconcino ideale, davvero troppo facile e appetitoso per gli occhiuti Poteri forti, come spiega, con corredo di esempi storici e considerazioni sociologiche e politologiche, l’amico liberale Teodoro Katte Klitsche de la Grange sull’Opinione di oggi.
E' un paradosso solo apparente che oggi l’Italia mette in mostra. I potentati economici, i grandi giornali, le grandi corporazioni, perfino il Vaticano, insomma i cosiddetti "poteri forti" (come se ci fossero poteri deboli…), si attaccano più alle coalizioni politiche intrinsecamente deboli che a quelle forti. Com’è possibile? Tutto direbbe il contrario.
Eppure, la psicologia della politica, come la biologia e la fisica, insegna che i vuoti tendono ad essere riempiti. Laddove si verifica, per intima debolezza della classe politica o di una sua componente, una carenza di potere, ecco che i "poteri forti" si sostituiscono ad essa, o per lo meno cercano di farlo, irresistibilmente attratti da quella parte. E’ la mollezza, l’inerzia, l’indecisione, il vuoto, non la forza, cioè il pieno, che attirano nella capsula Petri del laboratorio della politica i potentati. Perché capiscono subito che in quella direzione le resistenze alla propria penetrazione saranno minori, se non nulle.
E’ un po’ quello che sta accadendo in Italia dalla fine della Prima repubblica, quando il Governo si "aggiornava" ogni anno – ma sempre con le stesse persone – e la classe politica, pur slabbrata e polimorfa, era in realtà unitaria e solidissima, in confronto a quella di oggi.
Berlusconi vinse perché aveva fatto capire di essere forte, potente, e perché aveva impaurito i poteri forti con la sua forza ostentata e la minaccia d’una "rifondazione liberale" dello Stato. Che invece non tentò neppure. E quando, poi, i post-democristiani attorno al presidente e dentro Forza Italia, e i clerico-conservatori statalisti di Cdu, An e Lega hanno prevalso facendo diventare la Casa delle libertà non più una coalizione liberale, ma un debole aggregato clientelare, ecco che i poteri forti – dall’alta finanza fino al sindacato dell’Alitalia – hanno rialzato la cresta. Perciò, se noi fossimo al posto di Prodi e Fassino, guarderemmo con apprensione a questa rinata "attenzione" da parte di finanza, giornali, Confindustria, corporazioni professionali, Vaticano, sindacati e così via.
21 marzo, 2006
Religioni controllate dallo Stato o niente religioni a scuola?
E’ liberale costringere una religione ad uniformarsi ai requisiti del liberalismo? No, per paradosso. Ma poi perché ficcarsi in un simile ginepraio: correremmo il rischio di scoprire che neanche le religioni dell’Occidente, il cristianesimo e l'ebraismo, sono al loro interno e nel loro nucleo liberali. Le religioni non sono programmi di partito, e rispondono ad altri criteri.
Perciò, solo se non ci fossero altre soluzioni di emergenza, nella situazione che si è creata nella scuola italiana, nella società italiana, nel mondo islamico, noi liberali in Italia potremmo accettare ciò che il cardinal Ruini da una parte, e il commentatore Panebianco (Corriere) dall’altra propongono, che cioè nella scuola pubblica "l’insegnamento della religione islamica dovrà sottostare a precise condizioni: non vi dovrà essere contrasto fra i suoi contenuti e i principi della nostra Costituzione, per esempio, in materia di diritti civili, parità uomo-donna, matrimonio. Inoltre, l’insegnamento di quella religione non dovrà dare luogo a un "indottrinamento socialmente pericoloso". Senza il rispetto di queste condizioni (che è tuttavia difficile ottenere dal momento che, come Ruini osserva, manca un soggetto rappresentativo dell’Islam che possa impegnarsi a onorarle) sarebbe assai pericoloso, lascia intendere il cardinale, procedere su quella strada. Esigenze della campagna elettorale a parte, c’è davvero qualcuno in Italia che possa negare la giustezza di queste tesi?"
Noi, per esempio, caro, Panebianco. Certo, noi liberali non spaccheremo il capello in quattro: l’Occidente e il liberalismo vanno difesi con ogni mezzo. Ma dov'è l'emergenza sull'insegnamento dell'Islam? Abbiamo il tempo e il modo per utilizzare la soluzione più semplice, liberale ed economica. Possibile che un liberale come lei non lo sappia? O anche lei sta diventando un teo-con? Non è molto più liberale, anziché assoggettare le religioni, che vuol dire sempre un antipatico controllo sulle idee e le parole, semplicemente non insegnarle a scuola? Non le si insegna in nessun Paese cristiano e progredito dell’Occidente. Perché solo nella scuola di Stato italiana? Dice: ma così riconsegni i bambini e i giovani islamici nelle mani di quegli imam fanatici delle moschee. Ma si effettuino severi controlli sui fiancheggiatori dei terroristi che frequentano moschee e centri islamici. E soprattutto facciamogli concorrenza: apriamo nuove moschee dove si formino imam e fedeli che parlino solo di religione e non di politica. E' il clericalismo, in fondo, che torna sempre a bomba. Oops...
Due modelli per il card."Mazzaruino". Perché non è un cattolico liberale
Cambiano i Governi, o si pensa che possano cambiare? La Chiesa, come la Confindustria e altri poteri forti o lobbies, si adegua, avvantaggiata rispetto alle corporazioni laiche dalla sua doppia faccia. Come Vaticano, Stato tra gli Stati, la Chiesa deve poter convivere con qualunque regime: ha convissuto perfino con Hitler, figuriamoci se ha paura di passare dalla Casa delle libertà all’Unione, ben sapendo oltretutto che le differenze sarebbero minime, visto il complesso di veti, inefficienza e corruzione politica che blocca il sistema Italia.
Nessuna meraviglia, quindi, per le "prove tecniche di cambio di partner" del cardinal Ruini. Era da molto che non sentivamo la parola del
"Cardinal Mazzaruino", come lo definimmo il mese scorso, scherzando sulla sua capacità di giocare sul tavolo della politica quasi meglio che sull’altare. Il suo discorso alla Conferenza dei vescovi italiani, che è stato politico, sia chiaro, non ecclesiale, riapre certamente a sole tre settimane dal voto le polemiche sulle interferenze del Vaticano e delle gerarchie della Chiesa negli affari politici dello Stato italiano, come hanno fatto notare giustamente i radicali di Capezzone e tutta la Rosa nel pugno. Ma testimonia anche un notevole grado di flessibilità e adattamento alla mutata situazione politica.
Già la candidatura della presidente del Comitato Scienza e vita, Paola Binetti, con la Sinistra e non con la Destra, come gli ingenui avrebbero ritenuto più logico, aveva fatto intravvedere un inizio di equidistanza, o meglio – come provano le proteste della candidata anti fecondazione – il rifiuto da parte del Vaticano di puntare su uno schieramento, e se non altro l’acquiescenza di fronte alla collocazione d’una utilissima pedina clericale in casa dell’Unione, coalizione data ormai come vincente. Ora anche il discorso apparentemente "equilibrato" di Ruini – e quando mai la Chiesa ha fatto discorsi irruenti – calibrato in modo da apparire come "trasversale" ai due poli (il no ai Pacs e i modi dell’insegnamento della religione islamica nelle scuole), è stato pronunciato non secondo i canoni o modelli del cattolicesimo liberale, ma secondo la consueta visione clericale e di pressione politica. I due modelli sono distinti e opposti, ma neanche certi commentatori liberali, come il nostro beneamato Panebianco, se ne accorgono.
Ai fini della libera e legittima espressione di idee, infatti, bastava (lo chiameremo "primo modello") che Ruini esortasse i cattolici – perché solo sui cattolici la Chiesa ha legittimamente potere morale o gerarchico – a non utilizzare gli eventuali Pacs, anche se divenuti legge, perché contrari al matrimonio rituale e sacramentale cattolico. Ineccepibile. Così come un cattolico è tenuto oggi a non divorziare e a non abortire, pur in presenza di leggi ad hoc. Questo è il modello cattolico liberale, non altro.
No, Ruini ha fatto un’altra cosa. Di prepotenza e in modo illegittimo si è rivolto a tutti gli Italiani, anche ai non cattolici, lamentando che si sia fatta o si possa fare una certa legge, regionale o statale. Una legge per tutti. Ha voluto con piglio squisitamente clericale (ed è il "secondo modello") abbassare il presunto alto magistero della Chiesa, senza vergogna, sul piano dei concreti mezzi politici e degli istituti rappresentativi. Cosa non ammissibile per la Chiesa, per limitare i cui poteri – nientemeno – nacquero insieme alla Riforma i primi fermenti liberali in Europa. E il dente è ancora dolente. Possibile che Chiesa e commentatori laici abbiano perso questa sensibilità all’inopportunità? Con tutto quello che c’è stato in passato, è inopportuno al massimo grado che la Chiesa detti legge a tutti i cittadini indiscriminatamente.
Ruini, a proposito dei Pacs, ha deplorato - sintetizza Panebianco - che in alcuni Consigli regionali siano state approvate proposte che, a suo giudizio, equiparano le unioni di fatto alle famiglie legittime, e che potrebbero diventare in futuro legge per l’intero Paese. Ecco il vulnus, ma Panebianco non se ne accorge. Se Ruini fosse stato un cattolico liberale avrebbe dovuto dire: voi laici fate le leggi che volete, ma noi cattolici osservanti non utilizzeremo mai una legge sui Pacs. E invece? Niente legge per nessuno, cattolici e no. Segno, oltretutto, che Ruini, come tutta la gerarchia della Chiesa, non si fida né della propria autorità sui cattolici, né dell'obbedienza dei cattolici stessi. E vuole, quindi, che sia lo Stato laico a fargli da braccio secolare, obbligando però anche coloro che cattolici non sono. E' qui che c'è il comportamento illiberale, la violenza giuridica e morale su chi cattolico praticante non è. Che però il commentatore Panebianco sul
Corriere della sera di oggi non nota, mentre perde righe preziose a rintuzzare inesistenti rischi di "anticlericalismo". Ma non si accorge che, se ci fossero, sarebbero legittima difesa, cioè il normale contenuto del liberalismo contro una sopraffazione? E' molto grave per un liberale.
10 marzo, 2006
Liberali, molto italiani: sono i peggiori nemici di se stessi
I nostri amici liberali, di ogni tendenza, partito e schieramento, oggi si lamentano e gridano al tradimento e all’incomprensione. "Ah, in che Italia illiberale viviamo – dicono – che razza di mascalzoni politici che abbiamo. Ci hanno boicottato, non hanno rispettato i patti, non hanno voluto inserire liste liberali e neanche candidati liberali né a Destra né a Sinistra".
Ma i nostri amici sbagliano, e di grosso.
La politica non è la Congregazione delle Dame di S.Vincenzo, in cui è buona norma fare "opere di bene". Può piacere o no, ma da che mondo è mondo la politica segue le leggi filosofiche della "utilità", e per questo tiene conto, proprio come l’arte militare, delle "forze" reali in campo, oltre che della psicologia dei capi. Uno stratega, un generale, secondo voi metterebbe in prima linea un battaglione di brocchi, di poche reclute mal equipaggiate e alla prima uscita, solo perché il suo comandante è un nobile d’alto lignaggio con un passato glorioso? No, quello che conta è l’oggi, l’organizzazione, l’abilità di trovare, indottrinare e addestrare i soldati, e poi la capacità effettiva di combattere con qualche probabilità di vincere,
Ebbene, i liberali, anche quelli delle sigle o dei nomi più gloriosi, dal PLI nel Centro-destra al gruppo di Zanone nel Centro-sinistra, si sono finora cullati nel culto delle memorie, nella nostalgia più struggente ma inconcludente dei tempi lontani in cui erano "prestigiosi, potenti e famosi". Ma, nonostante che molti di noi – per esempio, chi scrive, addirittura dal Consiglio nazionale del PLI – li abbiano più volte benevolmente strigliati perché passassero dalla sterile nostalgia all’azione, alla politica vera, nulla, assolutamente nulla hanno fatto nel decennio che ci separa dal fatidico 1993-1994, la stagione che vide la crisi della Prima Repubblica.
Né uno straccio di riunificazione, né rilanci operativi, né un po’ di propaganda spicciola tra le nuove generazioni, né addirittura quell’approfondimento teorico – convegni, grandi congressi – che serve in mancanza d’altro, insieme con la polemica politica quotidiana (perfino questa assente), almeno a far sentire ai giornali, alla tv, agli intellettuali dell’area liberale, e al largo pubblico che segue i mass media, che un soggetto politico liberale esiste ancora, respira. Nulla, lo zero assoluto. Quando, invece, i cugini radicali, naturale pietra di paragone per i liberali, pur nell’analoga modestia di forze e di mezzi, dimostravano ogni giorno non solo di essere in vita, ma di poter influire sulla vita politica italiana, imponendo addirittura temi di discussione.
Tutte carenze che, come le vediamo noi, le vedono anche i responsabili delle coalizioni di Destra e di Sinistra. Hanno capito subito che questi liberali super-individualisti e nostalgici, schizzinosi e snob, inadatti alla vita politica pratica, però frazionisti e uno contro l’altro (un esempio tra mille: il PLI quasi non esiste, ma in Sicilia qualcuno ha fondato il Nuovo PLI), che non sanno fare propaganda tra la gente, tra i giovani, le nuove coppie, le casalinghe, i pensionati, e tra gli stessi intellettuali liberali, incapaci di farsi capire perfino dai giornalisti con uno straccio di evento o di comunicato fatto bene, non avrebbero portato un solo voto tranne il proprio. E hanno visto giustamente le pressioni degli esponenti liberali per entrare nelle coalizioni solo un mezzo per mettere al sicuro la propria carriera professionale.
I liberali, perciò, anziché lamentarsi dei politici avversari, se la prendano con se stessi, con le invidie personali, col rifiuto di azzerare tutte le sigle e di creare, per esempio, una grande Assemblea costituente di tutti i Liberali italiani (basta col nome "partito") che miri almeno al 10-15 per cento alle elezioni del 2011. Se la prendano col proprio individualismo sfrenato, col frazionismo maniacale e asociale, con quel famigerato narcisismo aristocratico grazie al quale è nato in casa liberale il detto autoironico (sì, perché i liberali sono dei gran signori dotati di humour) per cui "ogni liberale è un partito a sé". Ma se la prendano anche con i propri leader, che saranno pure veri liberali, ma si sono dimostrati da dieci anni in qua del tutto inadatti all’organizzazione di partito, alla lotta politica, perfino a creare dei banali uffici stampa. Che vogliono fare da soli, ma non sanno fare nulla, e quindi non fanno. E si sbrighino, anche, perché quel 30 per cento buono di liberali potenziali che l’Italia, come grande nazione dell’Occidente, bene o male dovrebbe avere, e che ora sono sparsi tra dieci partiti, rischiano di dimenticare o di ignorare per sempre l’esistenza d’una casa madre. Insomma, altro che nemici: sono i liberali italiani i peggiori nemici di se stessi.
Corano e Vangelo alleati? Basta con le religioni a scuola
Sta accadendo proprio quello che il Salon Voltaire aveva previsto. Altro che scudo all’Occidente, come vaneggiavano i fanatici cattolici, gli sgrammaticati Manifesti "a pera", e i falsissimi politici teocon, sempre più, in francese "teologi coglioni". La Chiesa è pronta, sùbito, a calare le brache e ad allearsi all’Islam, contro le libertà e l’Occidente. Vangelo e Corano uniti, come volevasi dimostrare. Perché sia per i cattolici fondamentalisti, sia per gli islamici, il nemico è lo stesso: la liberal-democrazia occidentale. Tra cani non si mordono, anzi, si alleano, e più uno morde l’ignaro passante, più l’altro si eccita all’odore del sangue e si avventa sul polpaccio ancora libero.
"La Chiesa dà il via all'ora di religione islamica nelle scuole" hanno intitolato giornali e tv. Siamo ormai al ripristino dell'imprimatur pontificio. "Si comportano così perché la nostra classe politica ha paura di fare scelte e di prendere posizioni con forza contro il clericalismo" ha commentato in sintesi la Bonino a Radio radicale. In apparenza, il cardinale Martino aveva detto cose di buon senso. "Se in una scuola ci sono cento bambini di religione musulmana, non vedo perché non si possa insegnare la loro religione. Questo è il rispetto dell'essere umano", ha detto il cardinale. "Se attendiamo la reciprocità nei Paesi rispettivi dove ci sono cristiani, allora ci dovremmo mettere sullo stesso piano di quelli che negano questa possibilità". "Ma l'Europa, l'Italia è arrivata a punti di democrazia e il rispetto dell'altro che non può fare marcia indietro. Se quindi ci sono persone di altra religione nella realtà italiana, bisogna rispettarle nella loro identità culturale e religiosa".
Detto così, sembra tutto quasi giusto, molto democratico. Peccato che in carenza di smentite, cioè d'un vero potere dello Stato laico, la stampa ha giustamente interpretato queste dichiarazioni come il "permesso", anzi il "via" dei veri reggitori della cosa pubblica in Italia, cioè le autorità ecclesiastiche, ad un'ulteriore ora di religione, quella islamica. E poi, è sempre un cardinale a parlare, che non parla di questioni interne della Chiesa, ma di novità da istituire in casa d’altri. E’ lui che paga? Offre lui i locali per l’insegnamento? No, si riferisce a soldi e a locali pubblici pagati dagli Italiani: è qui la sua doppiezza e prepotenza. Facile e ipocrita fare i generosi col borsellino degli sconosciuti, quando non si pagano le tasse e già si prendono i soldi degli Italiani con l’indebito Otto per mille. Perché la Chiesa non istituisce dei corsi di islamismo? A sue spese, però. Vogliamo vedere le file di islamici che entrano dentro il Vaticano.
Grazie al cardinal Martino per essere uscito con questa sua provvidenziale boutade, detta con tono decisionista di chi è abituato a comandare a bacchetta in casa d’altri. Proprio mentre noi liberali e laici non ne possiamo più dell'insegnamento pubblico della religione, che esiste solo in Italia, arriva lui bel bello (psicologia, zero) a proporre "altre" ore di religione, per gli islamici. Certo, perché no, anche per buddisti, ebrei, protestanti, ortodossi, animisti, confuciani. E ateisti, no? Scherziamo? Se si insegna tutta questa religione – e diciamo sul serio – pretendiamo che si insegni anche l’ateismo. Siamo d'accordo con G.Cesare Vallocchia di No God. Se non altro come antidoto a tutto il carico di autoritarismo psicologico e sopraffazione fondato sul nulla che questo genere di insegnamenti porta con sé: "Vuolsi così colà ove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare", scriveva Dante. Spirito critico, addio. Davvero un buon percorso educativo per gli studenti del 2000. E poi ci si lamenta se i ragazzi a diciott'anni vengono fuori dalla scuola come babbioni senza idee.
Al cardinale così attento al rispetto dell’identità degli islamici (di quell’Islam che ammazza i preti cattolici), così masochisticamente altruista, a spese nostre, che sembra uscito dal santino in cui un S.Giorgio di oggi offre metà del suo mantello al nemico terrorista, anziché denunciarlo alla polizia, ricordiamo che prima dovrebbe chiedere il parere dei cittadini italiani, poi dovrebbe rispettare la logica e il buon senso, poi la separazione tra Chiesa e Stato, tipica dei Paesi liberal-democratici, infine l’identità e le idee di coloro che non amano la religione a scuola, tantomeno vogliono pagarla sotto forma di tasse. E, fossero pure un’esigua minoranza, poiché non si deve fare violenza alle coscienze, come fa spesso la Chiesa, vanno rispettati.
E invece, ecco il clericalismo più prepotente e ottuso: parlare da politico e statista, "proporre" oggi per imporre domani a tutti gli italiani, compresi gli atei, gli induisti e gli ebrei, (che devono accollarsi le spese, sotto forma di tasse che servono a pagare gli insegnanti) le proprie idee integraliste sulla religione a scuola.
Dice: ma un cittadino italiano, sia pure in tonaca, non può dire la sua? Ma è illiberale. No, come un poliziotto, un prefetto, un magistrato, perfino i Presidenti delle Camere e della Repubblica, i preti, i vescovi, i cardinali e i papi, perché rivestiti di un ruolo elevato e super partes hanno "meno" diritto di parola dei cittadini comuni.
Perciò, è ora di dire finalmente basta alla religione nelle scuole di Stato. E’ una vergogna tipicamente italiana, questa del clericalismo cattolico. Body and Soul, corpo e anima, diceva la canzone, che poi Coleman Hawkins trasformò in un geniale assolo di sassofono. Come i sacerdoti antichi che offrivano agli Dei il perfumun delle vittime sacrificali, ma riservavano a sé l’arrosto, così la Chiesa vuole il corpo (i soldi dell’Otto per mille) e l’anima (le coscienze degli ignari e malleabili studenti). Un raggiro che non esiste in nessun altro Paese, e deve sparire al più presto.
Basta all’Otto per mille, per qualsiasi chiesa, basta con le ore di religione a scuola, oltretutto con insegnanti scelti dai vescovi (figuratevi il livello culturale: ne ho conosciute un paio di ragazzotte "laureate" in improbabili università cattoliche, tipo "S. Maria Non Mi Ricordo più": roba da giornaletto di enigmistica o da bigino Bignami. "Insegnanti", chiamiamoli così, scelti dai vescovi, ma pagati dallo Stato, cioè da noi. I vescovi non pagano mai niente, intascano solo.
"Riteniamo che l'insegnamento religioso non si debba impartire nelle scuole di Stato, che per definizione dovrebbero essere aconfessionali, ma nelle chiese, nelle sinagoghe, nelle moschee, nei templi, ecc. Naturalmente a spese del richiedente", ha giustamente detto in un comunicato dell’Aduc, Primo Mastrantoni
Una vergogna, una vera vergogna. Che costerà alla Casa delle libertà, che ha puntato stupidamente sul clericalismo e l’asservimento alla Chiesa, parecchi voti di liberali che non ne possono più delle prepotenze psicologiche e morali delle gerarchie cattoliche. E ora vogliamo ridere: che diranno quei cattolici estremisti di destra "alla Fallaci" (peccato che sia atea) che blateravano contro l’Islam? Faranno mea culpa? Ci aspettiamo che per la rabbia diventino anticlericali. Se sono coerenti, tutti i blogghisti di Tocqueville dovrebbero votare la Bonino e Capezzone...
09 marzo, 2006
Il Corriere si schiera? Il vero scandalo è che è troppo tardi
Come i maggiori giornali anglosassoni fanno per tradizione (endorsement) il Corriere della sera in un articolo di Mieli avverte con onestà calvinista che rispetto alla campagna elettorale in corso punterà su un cavallo. E così il direttore "rivela" ciò che tutti i lettori già sapevano: parteggia per la Sinistra. No, chi l’avrebbe detto? E non è neanche una notizia che lo stesso fondo si insinui perfino negli schieramenti privilegiando a Sinistra radicali, Margherita, Fassino (senza i Ds?) e Bertinotti, cioè quasi tutti, e a Destra An e Ccd. Incuriosisce, in uno come Mieli, il doppio errore di definire la Margherita, spesso clericale e conservatrice, "moderno partito liberaldemocratico" e il credito a Bertinotti senza considerare la sua base. I rigori, poi, sono fischiati in modo asimmetrico: contro un grosso partito e uno piccolo a Destra (FI e Lega) e solo contro piccole liste (Verdi, Cossutta, Mastella e Di Pietro) a Sinistra. Insomma, dopo quello sgrammaticato di Pera, ecco un altro "manifesto" un po’ carente e illogico.
Molti hanno protestato e non solo a Destra. Ma sbagliano, perché l’editoriale è legittimo. L’amico liberale Di Massimo, persona equilibrata e tendenzialmente bipartisan, ha scritto una lettera a Mieli in cui tra le tante cose giuste, esprime "totale dissenso per la presa di posizione". Perché? Perché pensa che "ai lettori del giornale interessino informazioni e opinioni varie e diverse, ma non "una presa di posizione, qualunque essa sia, in un Paese dove tutti tendono a schierarsi, ed i poteri neutri tendono a sparire". E giudica "linguaggio bizantino" la precisazione che malgrado ciò le notizie varranno date nel modo "quanto più possibile obiettivo e imparziale".
Ma la dichiarazione del Corriere, anche se noi italiani non vi siamo abituati, si iscrive nella corretta tradizione della stampa liberale anglosassone. Anzi, la cosa è nata nelle grandi democrazie liberali di massa – appunto per limitare il quasi ossimoro – come "cautela" per i lettori più sprovveduti o marginali o disattenti, incapaci di accorgersi che ogni giornale ha in realtà una linea politica, affinché prendano con le molle i commenti e facciano la tara alle notizie politiche di quel giornale. Insomma, non deve essere stato in origine un incitamento, ma un caveat. In questo senso, sarebbe un bene, specialmente in Italia, con lo pseudo-analfabetismo e i tanti lettori marginali che abbiamo (chi scrive libri o articoli sa bene quanti equivoci sorgono, perfino tra i lettori laureati, alla lettura anche dei propri scritti più chiari…), che tutti i giornali facessero outing del genere.
E poi c’è un’analogia con le avvertenze che i giornali inseriscono negli articoli (p.es. lo fa spesso Panorama) in caso di possibile conflitto d’interessi tra proprietà e obiettività: "guardate che la Mondadori di cui stiamo parlando è di proprietà Mediaset", oppure "il tale collaboratore è senatore di FI". Così non si ingannano con notizie tendenziose i lettori meno informati. Che in tal modo sanno già da che pulpito viene l’articolo.
Troviamo la cosa molto liberale. Ma sarebbe stato meglio fare l’endorsement tre o quattro mesi prima delle elezioni, non 30 giorni prima. Se qualche difetto ha, quindi, l’editoriale di Mieli, è che non solo è un pò contradditorio e impreciso in termini politici, ma anche un pò tardivo.
Destra e Sinistra anti-liberali, per paura della concorrenza
Todos caballeros. Tutti "liberali", sì, per presa in giro. Basta vedere il numero di siti e blog "liberali" all'italiana su internet. Fatto sta che il Parlamento italiano avrà nella prossima legislatura ancora meno liberali, se possibile. Hanno posto il veto l’ottusa Destra illiberale e la conservatrice Sinistra anti-liberale. I liberali fanno paura, proprio perché paradossalmente sono tanti (olitre il 30 per cento degli Italiani), vincenti in tutto il mondo, razionali e perciò poco inclini ad ascoltare le balle della propaganda, e presenti nella base di vari partiti, soprattutto tra gli scontenti e gli incerti.
Con la loro sola presenza, i liberali sarebbero stati un’insopportabile "pietra di paragone", avrebbero dimostrato che gli avventurieri che si fanno belli d’una "bella parola" (così viene considerata nell’ignorante Italia, senza sapere che ha in sé elementi d’una severità assai poco italiana…) sono impostori, ladri di identità che si vergognano di definirsi quello che sono, cioè conservatori o clericali di Destra o di Sinistra. Ammetterli avrebbe significato ammettere che il partito X o la coalizione Y "non è" liberale. E questo, oggi che tutti per pubblicità menzognera si definiscono furbamente "liberali", come al supermercato tutti i cibi sono "naturali", sarebbe stato un suicidio di marketing politico.
Che vi diceva il buon Salon Voltaire da due anni, unico e inascoltato? Alla fine, come si prevedeva, i liberali sono stati gabbati soprattutto dal Centro-destra, ma anche dal Centro-sinistra. Fin dalla presentazione delle candidature alle politiche. Liste liberali non ci sono, ad eccezione della componente radicale della Rosa nel pugno a sinistra, e del virtuale PLI a far da testimone non schierato in poche circoscrizioni (Lombardia, solo Senato, in Campania 1 (Napoli), in Puglia e in Sicilia. Il Centro-destra aveva promesso mari e monti ai Riformatori liberali (Radicali liberali) per poi umiliarli con un’amara beffa che grida vendetta: quasi nulla la raccolta di firme dai finti "amici" di FI, e solo un seggio sicuro, quello di Della Vedova, ma dentro FI. Il bravissimo Calderisi, uno dei maggiori esperti in Italia di sistemi elettorali, quasi sicuramente fuori. I bravi Taradash e Palma fuori. Una perdita secca per i liberali. E ne sono sinceramente dispiaciuti anche i fratelli separati della Rosa nel pugno: vedi l’editoriale su Notizie radicali di Vecellio, che parla di "inquietante involuzione conservatrice e clericale" della cosiddetta Casa delle libertà.
A questo si aggiunge la ben nota ingenuità e debolezza contrattuale dei liberali, individualisti estremi poco abituati ormai al potere, che amano presentarsi da soli alle trattative e agire uno contro (o senza) l’altro. Mentre uniti sarebbero una forza irresistibile. Ben gli sta, dunque. Un esempio di dabbenaggine? Nel Centro-destra, il segretario del Pli, De Luca, che fa il duro e il furbo con agli altri liberali, ma l'ingenuo nell'accordo con FI per una lista liberale, e che poi all’ultimo si ritrova escluso a tradimento, quando è troppo tardi per candidarsi in altre liste. Uno schiaffo. Ma un avvocato – chiosa il liberale Morelli – non avrebbe dovuto cautelarsi, almeno con un contratto scritto e addirittura una penale?
E nel Centro-sinistra? A parte il capolavoro dei cugini Radicali, reso possibile però solo dal cavallo di Troia dei socialisti Sdi, è il deserto. Con l’aggravante che neanche ci sono i candidati ex liberali e ora integrati e acquiescenti al nuovo sistema di potere, come Biondi e Martino. Il liberale Morelli e altri amici hanno proposto una lista liberale autonoma, che non sarebbe stata ostacolata da Fassino e dai Ds. Macché, la Margherita di Rutelli e Parisi ha posto il veto. Il vecchio liberale Zanone, così, viene messo in lista non come "liberale" ma come un notabile qualunque della Margherita. E i riformisti liberali Ds (Morando, Debenedetti) bocciati in blocco, tanto che Turci si è dovuto salvare come candidato nella Rosa nel pugno.
Noi, da liberali veri, non ci stracciamo troppo le vesti (solo uno strappetto sulla manica, diciamo…), né per questo cambiamo idea sui due poli, né ci lasciamo andare a ridicole frasi roboanti, melodrammatiche – ecco il viziaccio degli Italiani, specie al Sud: il Gran Teatro – come se fosse la "fine del mondo". Perché immaginavamo già come sarebbero andate le cose, avendo visto fin dal ’94 come funzionava il coordinamento dei club di FI. Capimmo tutto al volo: era tutto finto, e nulla e nessuno era liberale. E pensare che FI è il meglio del Centro-destra, figuratevi An e Cdu. Lo stesso a sinistra, coi Ds che a Nichelino e altrove boicottano i radicali.
E poi, siamo psicologi "realisti" ma portiamo le proiezioni della logica alle estreme conseguenze. Seguiteci nel ragionamento. Col liberalismo che, tra teoria e pratica, sta vincendo dappertutto, perfino nella Ue e in Cina, con l’Italia bene o male ottavo paese dell’Occidente, i liberali – se ci fossero vere liste liberali, elezioni davvero libere, fondate su precise scelte di programma – potrebbero prendere almeno il 30 o 40 per cento dei voti. E allora, che ne sarebbe dei partiti abusivi, finto-liberali, senza idee ma capaci di tutti, né carne né pesce, come Margherita, Forza Italia, Mastella, Di Pietro, An, Ds, Ulivi, Unioni, Casini delle libertà? Tutto, secondo questa proiezione virtuosa ma logica, dovrebbe essere spazzato via. Resterebbero solo una grande lista, diciamo, di Liberali italiani (dal Centro-destra al Centro-sinistra), più i Cattolici uniti (con analoga estensione), una piccola Destra conservatrice e una piccola Sinistra neo-marxista. Stop. Solo quattro partiti veri. Al massimo, finché il sistema virtuoso non andasse a pieno regime, resterebbero come residui due liste né-carne-né-pesce di destra e sinistra (resti di FI e Ds), che dovrebbero tendere a scomparire. Ma questo sarebbe il diagramma logico e razionale in base alle idee vere, alle opzioni possibili, che offrirebbe l’Italia politica, se non ci fossero i "ladri di nomi", i politicanti imbroglioni all’italiana, quelli delle furbe vie di mezzo o delle liste nominali. Ecco perché questa prospettiva diventa un retro-pensiero, un incubo che terrorizza i nostri politici politicanti. Anti-liberali non per odio ideologico, ma per paura, per auto-difesa dalla concorrenza.
08 marzo, 2006
Contro l'islamismo: il manifesto degli intellettuali liberali
Visto che la satira piace così poco alle chiese, specialmente all’Islam, e che è di per sé la cartina al tornasole della tolleranza d’un regime politico o d’una religione, è naturale che un giornale satirico (il francese Charlie Hebdo, nell’ultimo numero) abbia tutti i titoli per farsi promotore d’un manifesto per la libertà delle idee, oggi minacciata dall’islamismo. L’appello, sottoscritto da Salman Rushdie e Bernard-Henry Levy ed altri intellettuali (tra cui alcune donne di origine islamica) ci sembra laico, democratico e liberale, del tutto privo di estremismo preconcetto anti-islamico. La traduzione è di Siro, che l’ha pubblicata sul suo blog
.
Dopo avere sconfitto il fascismo, il nazismo, lo stalinismo, il mondo fa fronte a una nuova minaccia globale di stampo totalitario: l’islamismo.
Noi, scrittori, giornalisti, intellettuali, ci appelliamo alla resistenza al totalitarismo religioso, e alla promozione della libertà, delle pari opportunità e dei valori laici per tutti.
I recenti fatti, che si sono verificati dopo la pubblicazione dei disegni su Maometto nei giornali europei, hanno rivelato la necessità di combattere per questi valori universali. Questa battaglia non sarà vinta con le armi, ma in campo ideologico. Non è uno scontro di civiltà né un antagonismo tra Occidente e Oriente ciò che noi stiamo testimoniando, ma uno scontro globale che mette a confronto democratici [volevano dire "liberali", ma non gli veniva la parola... NdR] e teocratici.
Come tutti i totalitarismi, l’islamismo si alimenta di paure e frustrazioni. I predicatori di odio contano su questi sentimenti per formare battaglioni destinati a imporre un mondo liberticida e non egualitario. Ma noi dichiariamo chiaramente e fermamente: niente, nemmeno la disperazione, giustifica la scelta dell’oscurantismo, del totalitarismo e dell’odio. Ovunque si presenti, l’islamismo è un’ideologia reazionaria che uccide l’uguaglianza, la libertà e il laicismo. Il suo successo può condurre unicamente a un mondo di dominazione: dominazione dell’uomo sulla donna, dominazione degli islamisti su tutti gli altri. Per contrastare ciò, dobbiamo assicurare diritti universali alla gente oppressa e discriminata.
Noi rigettiamo il "relativismo culturale", che consiste nell’accettare che uomini e donne di cultura musulmana debbano essere privati del diritto all’uguaglianza, alla libertà e ai valori laici nel nome del rispetto di culture e tradizioni. Noi rifiutiamo di rinunciare al nostro spirito critico per paura di essere accusati di "islamofobia", un concetto infelice che confonde le critiche all’Islam in quanto religione con la disapprovazione dei suoi seguaci.
Noi chiediamo l’universalità della libertà d’espressione, in modo che uno spirito critico possa esercitarsi in tutti i continenti, contro tutti gli abusi e tutti i dogmi.
Ci appelliamo ai democratici e agli spiriti liberi di tutti i Paesi affinché il nostro possa essere un secolo di Illuminismo, non di oscurantismo.
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Firmatari:
Bernard-Henri Lévy (1), Salman Rushdie (2), Ayaan Hirsi Ali (3), Chahla Chafiq (4), Caroline Fourest (5), Irshad Manji (6), Mehdi Mozaffari (7), Maryam Namazie (8), Taslima Nasreen (9), Antoine Sfeir (10), Philippe Val (11), Ibn Warraq (12).
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Note.
1. Filosofo francese, nato in Algeria, impegnato contro tutti gli "ismi" del ventesimo secolo (fascismo, antisemitismo, totalitarismo, terrorismo), è autore di La barbarie dal volto umano, L’ideologia francese, La purezza pericolosa, e più di recente American Vertigo.
2. Saggista e novellista, ha scritto numerosi romanzi tra i quali I figli della mezzanotte e I versetti satanici. L'ultimo, Shalimar the clown, è del settembre 2005 e non è ancora stato tradotto in italiano. Ha ricevuto numerosi premi letterari: il Booker Prize, il Whitbread Prize for Best Novel, il Germany's Author of the Year Award, l’European Union’s Aristeion Prize, il Budapest Grand Prize for Literature, il Premio Mantova, l’Austrian State Prize for European Literature. Salman Rushdie è inoltre "Commandeur de l'Ordre des Arts et Lettres", professore onorario al Mit, presidente del PEN American Center. I suoi libri sono tradotti in più di 40 lingue.
3. Di origine somala, è membro del parlamento olandese e del partito liberale VVD. Sceneggiatrice del film Submission che nel novembre 2004 causò l’assassinio di Theo Van Gogh per mano di un islamista, vive sotto la protezione della polizia.
4. Scrittrice di origine iraniana, esiliata in Francia, scrive romanzi e saggi. E’ autrice di Il nuovo uomo islamista – La prigione politica in Iran (2002). Ha anche scritto romanzi come Camini e nebbia (2005).
5. Saggista, caporedattrice di ProChoix (una rivista che difende le libertà contro le ideologie dogmatiche e integraliste), autrice di diversi libri sulla laicità e il fanatismo: Tiri incrociati: la laicità alla prova dell’integralismo ebreo, cristiano e musulmano (con Fiammetta Venner), Frate Tariq: discorsi, strategia e metodo di Tariq Ramadan, e La tentazione oscurantista (2005). Ha ricevuto il Premio nazionale della laicità nel 2005.
6. Ha studiato all’università di Yale ed è l’autrice del best seller internazionale Quando abbiamo smesso di pensare? - Un'islamica di fronte ai problemi dell'Islam, l’appello di una musulmana alla riforma della sua fede. Si batte per la libertà d’espressione fondata sul Corano. E’ nata in Uganda, paese dal quale è fuggita all’età di quattro anni con la sua famiglia, musulmana di origine indiana. Oggi vive in Canada, dove i suoi libri e i suoi programmi per la televisione hanno un grande successo.
7. Professore universitario di origine iraniana, è autore di numerosi articoli e libri sull’Islam e sull’islamismo. Tra questi: L’autorità nell’Islam: da Maometto a Khomeini e Fatwa: violenza e scortesia e globalizzazione e civiltà.
8. Scrittrice e produttrice di origine iraniana, vive in esilio in Danimarca. Responsabile del Worker-communist Party of Iran's International Relations, nel 2005 è stata designata "Laica dell’anno" dalla National Secular Society.
9. Medico, è nata in Bangladesh. Per aver difeso le donne e le minoranze è stata attaccata e perseguitata come apostata da un comitato di integralisti denominatosi "Destroy Talima".
10. Cristiano, nato in Libano, ha scelto la nazionalità francese per vivere in un paese universalista e laico. Dirige la rivista I quaderni dell’Oriente e ha pubblicato numerosi libri tra i quali Le reti di Allah" (2001) e Libertà, uguaglianza, Islam: la Repubblica di fronte al comunitarismo (2005).
11. Direttore del settimanale Charlie Hebdo.
12. Ricercatore al New York Institute, studia le origini dell’Islam e del Corano. Tra i suoi libri, Perché non sono musulmano (2002), Lasciare l’Islam: gli apostati si confessano e Le origini del Corano.