14 novembre, 2005
14. Newsletter del 21 ottobre 2004
Salon Voltaire
IL "GIORNALE PARLATO" LIBERALE
LETTERA QUINDICINALE DEL SALOTTO VOLTAIRE
GIORNALE LIBERALE DI ATTUALITÀ, SCIENZA, CULTURA, POLITICA E COSTUME
Lettera N. 14 - 21 ottobre 2004
"Stress, ipertensione, colesterolo alto? Partecipa a un salotto liberale.
L’unico in cui il sedentarismo fa bene e stimola il cuore"
CARDIOLOGO ANONIMO
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Questo numero contiene:
LIBERALI A META’. Buttiglione mezzo vuoto e mezzo pieno
LUZZATTO. Nessuna religione diventi diritto
LIBERALISMO. Scelte, non solo metodo
BUSH O KERRY E’ LO STESSO. Ma De Niro no
PREMIER E RIFORME TIMIDE. Un re travicello
TAVOLO DEI LAICI. Più lab che lib
LETTERE DI ROSSI.. La Resistenza? Quasi un bluff
INDUSTRIA IN ITALIA. Né leoni, nè lupi. Solo Agnelli
RADICALI IN EUROPA. Capezzone "avvocato politico"
ANTISEMITISMO. Il governo Usa terrà il registro
CORTE DEI CONTI. Un "dottore" non si nega a nessuno
ANEDDOTI. Quando Bassolino si laureò al Quirinale
SQUADRISTI ROSSI. No, voi non parlate
VITTORIANO. Aperta la mostra sulla shoà
BUONA CONDOTTA. Da Brusca al rag.Bianchi
SOCIOLOGIA. Al seggio come al mercato
RACCOMANDATI. Ingrati con memoria corta
ANIMALI. Cacca no, cuccia no, caccia sì
SAPORE AMARO. Garantisce il successo
MERCEOLOGIA. Perdere la testa per lo shampoo
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LIBERALI A META’. MA CATTOLICI INTERI
Buttiglione. Mezzo vuoto e mezzo pieno
"Ti dico che gli occhi erano ancora aperti. Ti sbagli, erano chiusi". Le terribili tricoteuses continuano a sferruzzare alzando ogni tanto lo sguardo avido sullo spettacolo cruento della mannaia di monsieur de Guillotin. Solo che stavolta il palco delle esecuzioni sta una settimana a Bruxelles e un’altra a Roma. E fra le vittime, alla fine, c’è anche il carnefice. Perfino un Catone, ma non è il Censore, sale il patibolo. Sangue? Poca roba, qualche stilla appena. Forse salsa di pomodoro. Tra le molte teste rotolate nel paniere, quelle ben lisciate dai coiffeur alla moda di qualche "neo-conv" (neo-convertito). Poco male: erano solo liberali opportunisti, all’acqua di rose. "Caduto nella trappola mediatica", si leggerà all’indomani nel necrologio. Manco fosse il Vietnam o l’Amba Alagi. Qualche intossicato lieve, piuttosto, si è avuto tra i molti "neo-con" (ma nel senso di "nuovi coglioni", in francese) che per sbaglio avevano bevuto l’acqua santa. Pensando all’anima - kantiana o no - credevano che fosse "per uso interno", si sono giustificati al pronto soccorso. Prima di bere, leggere bene l’etichetta. E poi, si sa, ogni Buttiglione dà l’acqua che ha.
Avrà pure filosofia, il prof. di Gallipoli, ma non ha avuto psicologia (Buttiglione "mezzo vuoto"). Oppure ne ha troppa (Buttiglione "mezzo pieno"). Sempre grave per un politico. Avete gustato, tricoteuses del "Salon Voltaire", la metafora subliminale, maliziosissima dopo la gaffe di Bruxelles, che si è inventato al convegno di St.Vincent? Ci sarà pure stata la "campagna di odio" nei suoi confronti dei "giacobini liberal-socialisti", per cui qualunque cosa dicesse "veniva interpretata in maniera sbagliata", ma il filosofo di Gallipoli non sa, non vuole, comunicare normalmente, e ha fatto di tutto per cercarsele, le grane, in un pubblicitario cupio dissolvi a reti e testate unificate. Il Buttiglione mezzo vuoto fa l’angioletto che cade dalle nuvole, il semplicione di provincia. "Io parlo di Venere e Marte, di Europa e Usa, e dicono che ho attaccato le madri sole, senza un uomo accanto". Ma il suo braccio destro Catone è stato sotto inchiesta perfino a Montecarlo. Possibile che non sapesse? Nel liberalismo contano sia i diritti che il credito pubblico.
A Saint Vincent ha detto che "i bambini che hanno una sola madre sono figli di una madre non molto buona, mentre i bambini che hanno solo un padre non sono bambini..." (Buttiglione mezzo pieno). Chi, io? "Parlavo di politica estera e mi riferivo ad un libro di Robert Kagan, ex consigliere di Reagan, nel quale si legge che l’Europa è figlia di Venere e l’America figlia di Marte. Dicevo che per partorire una buona politica estera occorre che Venere e Marte si sposino, unendo quelli che Colin Powell chiama soft powers, la cultura, l’arte, la mediazione tipiche del Vecchio Continente e gli hard powers, la forza, la potenza, la decisione, caratteristiche degli Stati Uniti. Così ho coniato l’esempio della madre sola o del padre solo, che non possono funzionare... ". Va be’. Un vecchio e collaudato topos: l’attore furbissimo e finto-scemo che si prende gioco del pubblico. Buttiglione insieme mezzo vuoto e mezzo pieno.
Non sappiamo se davvero in Europa le "lobbies laiciste" e radical-chic vogliano mettere al bando i cristiani tradizionalisti dalle cariche pubbliche comunitarie, in base al nuovo conformismo del laicismo di Stato e alla nuova filosofia salottiera del "politicamente corretto". Ma certo farebbero bene a guardarsi da certi attori, insieme candidi e furbacchioni, come certe ragazze finto-ingenue che gridano allo stupro se solo gli rivolgete la parola.
Pur difendendo le sue riprovevoli idee personali da chiunque, in quanto alle scelte pubbliche - che invece devono essere liberali - ci aspettiamo che rinunci o venga sostituito. Ma il fondamentalista di Gallipoli è pur sempre un politico all’italiana, che ama "sentirsi recitare". E così lancia il sasso nascondendo il braccio. Su internet li chiamano "troll". Noi italiani che di troll della politica ne abbiamo tanti, purtroppo, ci permettiamo di dare un consiglio ai liberali europei: li lascino parlare, parlare e parlare. In genere i politici fanno solo quello. Perché a loro vetero-cristiani, pre-conciliari, post-tridentini, ante-riformatori, quasi-lefebvriani, sillabanti e neo-catecumeni, straparlare piace. E parlandosi addosso se la fanno sui piedi. (Don Minzione)
Scelte precise, non solo metodo e garanzie
L’imbroglio di Bruxelles, dove un cattolico furbo-ingenuo ha fatto apparire che la sua "libertà di idee" veniva conculcata (e molti "liberali" all’acqua di rose e neo-convertiti ci sono cascati), solo perché una commissione ha avuto il torto di interrogarlo sulle sue idee personali in un modo che è apparso inquisitorio, deve servire almeno dopo anni di equivoci a chiarire le idee a tanti, troppi, che si credono "liberali" e non lo sono. Il liberalismo, è vero, dice che "tutte le idee sono rispettabili" e che "chiunque ha diritto a dire ciò che pensa". Questo come garanzia e tutela dei diritti dell’individuo, nella Costituzione, nel diritto penale, in filosofia, nell’accademia e nella vita quotidiana. Ma nel governo, nell’attività pubblica, nelle regole della società, è diverso. Le idee personali non saranno mai represse, solo avranno un significato politico, e chi le manifesta se ne assumerà la responsabilità politica. Perché il liberalismo vuole che le scelte pubbliche siano liberali, vuole una legislazione liberale, un'economia liberale, un costume liberale, perfino delle religioni liberali. Tollerante delle idee personali di ognuno, anche le più aberranti come il razzismo o la pedofilia (è costretto perfino a difenderle se impedite con la violenza o represse). è poi durissimo se le idee contrarie alla libertà e al diritto vengono messe in pratica.
Eccome se fa selezione. E' l’unica "ideologia" (chiamiamola così), che nella conduzione della cosa pubblica, nel diritto e nella società, non tollera tutto ciò che mira a distruggere il liberalismo, cioè assolutismi, totalitarismi, integralismi, fascismi, comunismi, clericalismi, anarchismi. E c’è chi dice che sia incompatibile perfino con i conservatorismi. Il liberalismo non è una fotografia della realtà, come un’indagine demoscopica o una competizione elettorale. Al contrario, è fatto di attivismo, e o esiste dappertutto o non esiste, perciò il liberalismo vuole un’intera società liberale, dove i tanti diritti, magari attenuati (i "limiti" liberali), siano riconosciuti a tutti. Per far questo, occorrono sempre e in ogni campo scelte precise, concrete e coraggiose. O di qua o di là. E infatti, agli occhi degli stupidi, una volta i liberali sembrano "di destra", un’altra "di sinistra".
Facciamo qualche esempio pratico. Un imam islamico a Tradate fa una conferenza in cui condanna il nudismo, il bikini e i manifesti erotici, e chiede che tutte le donne italiane debbano vestire il velo. Solleverà polemiche , ma ha tutti i diritti di dirlo. Il liberalismo, come metodo, tolleranza e rispetto dell’altro, è con lui. E guai a chi lo tocca. Un cittadino che lo aggredisce va arrestato. Ma se l’imam schiaffeggia una ragazza scollata o strappa i manifesti erotici (accade già oggi) verrà denunciato. E se fonda un partito che fa eleggere un sindaco fondamentalista che ordina a tutte le donne di andare in giro col velo, vieta i cartelloni sexy e scheda i gay, ad essere arrestato per "attentato alle libertà individuali" protette dalla Costituzione e dal diritto è lui, il sindaco fondamentalista. Il liberalismo punisce severamente chi impedisce la libertà altrui.
Perché questa apparente disparità di trattamento? Perché il liberalismo non è solo forma, ma sostanza. Non è solo "metodo", garanzie personali, regole del "laissez faire" e bilanciamenti di poteri, cioè i limiti. Ma è soprattutto un fare scelte precise, un complesso organico di idee e soluzioni che devono tendere a plasmare una società liberale. Pericolo di conformismo e "totalitarismo" liberale? No, perché sono solo strumenti messi a disposizione: ognuno usa quello che più gli piace, e può rinunciare a un proprio diritto. La ragazza alla moda andrà in giro seminuda, bacerà in pubblico il proprio ragazzo, ricorrerà alla fecondazione artificiale ecc. La donna cattolica tradizionalista non ricorrerà all’aborto né alla fecondazione artificiale, la donna islamica andrà in giro col velo (ma col burqa, no) e farà vita ritirata. Ma nessuno vieterà agli altri. Così alla fine nessuno sarà oppresso. Se invece ci fosse una società islamica o cattolico-integralista, moltissimi sarebbero impediti nelle libertà.
Quindi attenti a chi, anche tra noi, sostiene che il liberalismo è solo "metodo", regole, e che non è una "ideologia", intendendo le scelte precise. Non la conta giusta. Certo, non è un "sistema" chiuso e apodittico come il marxismo, ma è un complesso organico di idee e principi coerenti che tocca tutte le attività umane. Un liberale, se è per la libertà economica, sarà pure per la libertà politica, per la libertà della donna, per la libertà del corpo, per la laicità dello Stato ecc. Come si vede, tutto è collegato. D'altra parte, o la libertà c'è o non c'è. Sbaglia chi dice il contrario, forse perché gli fa comodo per poter dire e fare qualunque scelta, anche la più illiberale, senza essere criticato. In genere capita ai neo-liberali ex-cattolici, ex-socialisti, ex-comunisti, ex-fascisti. E anche ai molti che scambiano il liberalismo per un generico moderatismo o conservatorismo.
Ma sì, conveniamone, sono stati paradossalmente utili l’imbroglio di Bruxelles e la faccenda Buttiglione. Ora abbiano capito, finalmente, perché tutti, troppi, si definivano "liberali". (Camillo Benso di Latour)
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CHISSA’ SE C’E’ ANCHE UN PREMIO PER CHI VIVE ONESTAMENTE
"Buona condotta"? Diglielo ai parenti delle vittime
E’ più importante premiare i criminali che in carcere si comportano bene, o i cittadini che in libertà riescono a mantenersi onesti? Socrate, interrogato, non rispose, ma lo fa da Pavia Sonia Panigada. "A proposito di Giovanni Brusca [condannato all’ergastolo per numerosi omicidi, uno dei quali compiuto facendo sciogliere nell’acido il figlio d’un pentito, NdR], cui spetta un giorno di libera uscita ogni 45 giorni o al massimo ogni 2 mesi per buona condotta e per consentirgli di vedere i propri familiari, mi sorgono spontanee due domande. Qual è il premio che spetta ai cittadini che vivono tutta la vita civilmente nel rispetto della legge? Non si pensa che i parenti delle persone da lui barbaramente uccise non hanno nessun modo di rivedere i propri cari, se non dalla foto di una lapide?"
Cara Sonia, come nel giornalismo le notizie buone sembrano insulse, mentre quelle cattive eccitanti, così nella vita dell’uomo il crimine appare stoltamente circonfuso d’una certa aberrante grandezza, mentre il bene quotidiano, specialmente se silenzioso (altrimenti che bene sarebbe?) sembra scialbo, scontato, non degno di nota. Quasi che, sotto sotto, fosse implicito che gli onesti siano stupidi e i malvagi furbi. Così non è, per fortuna. Ma, si sa, in treno siamo sempre tutti d’accordo sui discorsi in generale. Ma se poi ci mettiamo a guardare ai casi concreti, vediamo che meschinità, egoismo, ingiustizia, cattiveria, si nascondono anche sotto le vesti irreprensibili delle famiglie "per bene". Lasci stare, senta a me Sonia, non pensi a premiare i "buoni" neanche per giusta polemica con Brusca. Forse non esistono. (Goffredo di Bugliolo)
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MA LA CORTE DEI CONTI DICE "NO"
Il "dottore" non si nega a nessuno
Un popolo di dottori? La scuola italiana, sostengono gli esperti, è buona alle elementari, mediocre alle medie, pessima alle superiori. E in quanto all’università, tranne eccellenze in alcune facoltà scientifiche del nord, la media è scarsa. A questo si aggiunga che l’italiano legge poco o nulla di serio e formativo (i romanzi non contano). Insomma, diciamola tutta, il titolo di dottore in Italia è ormai screditato, tanto che si dà a tutti, al posto presso autisti, parcheggiatori, segretarie di redazione e politici, del bellissimo e italianissimo "signore". Anche perché, il "signore" da noi, grazie al suo secondo significato, bisogna meritarselo
In Italia non ci sono più "dottori" che in altri paesi europei, anzi il numero di laureati è inferiore a quello delle grandi democrazie a cui possiamo confrontarci. Proprio per questo, forse, insieme ai residui spagnoleschi di distinzione e snobismo dei titoli, la qualifica di "dottore" è molto, troppo, ambita, specialmente in provincia e nel Sud. La recente estensione del titolo anche ai laureati delle tante e subito screditate "lauree brevi" ha portato un po’ di giovani che mai si sarebbero iscritti ad una università a frequentare i nuovi corsi triennali. La Corte dei conti, però, ha rifiutato, dopo una lunga discussione, la registrazione dell'ultimo testo del decreto legislativo 509 di riforma dell'Università. Per vari motivi, tra cui l'illegittimità del riconoscimento del titolo di "dottore" al laureato triennale.
Siamo sicuri che la legge verrà ripresentata, perché purtroppo la nostra classe politica (di destra e di sinistra) vede in ogni provvedimento anche un mezzo per ottenere vantaggi elettorali. In realtà, un triennio universitario di studi sfociano in tutta Europa in un diploma, non in una laurea. E perfino quest’ultima oggi è del tutto insufficiente e richiede ormai master e corsi poliennali di specializzazione post-laurea. Perché dunque imbrogliare le carte con i nomi fasulli, illudendo tanti studenti? (Ciccio, il giardiniere della Palombelli)
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QUANDO IL "POVERO" GIFUNI NON SAPEVA CHE PESCI PRENDERE
E il Quirinale laureò Bassolino
I nostri politici, motu proprio, si sono nominati pubblicamente "onorevoli", ma privatamente sono sempre, per principio, "dottori". Ultimamente, però, va molto il "professore". Alcuni, pochi, sono coltissimi, perfino bibliofili. Infatti non restituiscono i libri rari presi in prestito alle biblioteche di Camera e Senato. Buon segno, vuol dire che leggono. Ma altri sono ignoranti come cocuzze, fino al punto di non conoscere la data della rivoluzione francese.
In realtà non pochi di loro dottori non sono, anche tra i più famosi e di buona famiglia. Facciamo nomi? D’Alema, Veltroni e Rutelli, e molti altri a destra e sinistra. Semplici diplomati. Veltroni all’istituto di cinematografia. Non avere una laurea non significa assolutamente nulla. Conosciamo decine di laureati ignoranti. In passato geni della cultura e delle scienze del calibro di Marconi, Eiffel, Croce, per tacere di molti poeti e scrittori, come Moravia, non avevano frequentato l’università. Ma allora era sottinteso che si studiasse molto, anche troppo e per tutta la vita, nella biblioteca di casa. Come Montaigne o Leopardi. In questo caso, però, tornando ai politici italiani, non si è né tra geni né tra studiosi autodidatti. Semplicemente tra persone normalmente intelligenti e di cultura media che scelsero a suo tempo di "sposare" la politica, magari diventando funzionari di partito, come D’Alema e Veltroni.
Però l’obbligo "sociale" di essere almeno dottori gioca alle volte degli scherzi ai funzionari delle istituzioni, imbarazzati più dei diretti interessati quando il titolo, un titolo qualsiasi, non c’è. Un aneddoto divertente riguarda il segretario della Presidenza della Repubblica, Gifuni, alle prese con la presentazione dei nuovi ministri del governo D’Alema. Alle 11 del 21 ottobre 1998, per il giuramento dei ministri del primo governo D’Alema – riferisce Gerardo Mazziotti – presentò burocraticamente, ciascuno col suo bravo titolo, il prof. Sergio Mattarella, l’on. Oliviero Diliberto, il sen. Giovanni Berlinguer, e così via. Ma quando arrivò il turno dell’allora sindaco di Napoli e attuale governatore della Campania, Bassolino, né dottore né parlamentare, ma soltanto diplomato al liceo di Afragola – precisa il perfido Mazziotti - vennero i sudori freddi al "povero" dottor Gifuni.
Be’, intendiamoci su quel "povero". Proprio povero non era, e ancor meno lo sarà oggi. Secondo il magazine del Corriere della sera "Sette" (12 gennaio 1997), il potentissimo Gifuni aveva - all’epoca - uno stipendio mensile di ben 54 milioni di lire, l’uso d’un appartamento di 500 mq al Quirinale e d’una villa nella tenuta di Castelporziano, tre auto blindate con scorta e una lunghissima serie di benefits.
Giunto al nome di Bassolino, il "povero" Gifuni si accorse con terrore che nel foglietto mancava ogni titolo. Né "dott.", né "on. né "sen.", né "prof.". E neanche "cav." o "grand uff.". Che fare? Scartata come ipotesi impossibile chiamarlo semplicemente "signore" come si fa in tutti i paesi del mondo, cominciò a sudare freddo. In pochi microsecondi il cervello di Gifuni, non abituato a simili emergenze protocollari, le pensò tutte. D’altra parte non poteva protrarre ancora di mezzo secondo quell’incertezza senza causare aperto imbarazzo. Finalmente gli venne un’idea geniale. Il signor Bassolino Antonio, ministro della Repubblica, veniva dal Segretario generale del Quirinale laureato sul campo, per meriti speciali, ovviamente politici. E allora chiamò, con voce alta e forte: "Dottor Antonio Bassolino, Ministro del lavoro". Tutti respirarono. E la Repubblica fu salva. (La badante russa di Cossiga)
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IL COMUNISMO E’ MORTO, MA I COMUNISTI STANNO BENISSIMO
Arrivano gli squadristi, ed è subito anni 70
No, non è la solita trovata del Presidente del consiglio, che vede rosso dappertutto. Questa volta i comunisti ci sono davvero. Come in un revival degli anni ‘70: filo-cubani e filo-stalinisti. E ovviamente anche antisemiti. Diciamo subito che in entrambi i casi, a Pisa e a Roma, i fascisti rossi l’hanno fatta franca: sono riusciti a interrompere la manifestazione. La polizia non è stata chiamata a Pisa, e a Roma ha chiesto i documenti a tutti i presenti, non solo alla trentina di teppisti. A Roma, poi, era presente addiorittura il sindaco Veltroni. Intendiamoci, da liberali e volterriani, siamo disposti a difendere la loro libertà di idee e di parola. Ma non ovviamente i loro atti di violenza.
A Roma, al Borghetto Flaminio, il fotografo Oliviero Toscani tiene una mostra sui dissidenti del regime castrista a Cuba, arrestati il 18 marzo 2003 per aver promosso una campagna per la democratizzazione del paese. Per loro, pene dai sei ai 28 anni. Belle e drammatiche fotografie, eloquenti schede e didascalie. E’ presente anche il segretario di "Nessuno tocchi Caino", il radicale Sergio D’Elia. Prima appaiono i cartelli di protesta e qualche fischio degli "Amici di Cuba". Poi arrivano gli insulti e le intimidazioni. Il sindaco Veltroni dà la parola ai contestatori cercando ingenuamente di calmarli, invitandoli anche a un incontro in Campidoglio. Ma Toscani D’Elia cominciano a temere il peggio. Qualcuno chiama la polizia che chiede i documenti a tutti. Fine dell’inaugurazione.
E non è finita. Alla facoltà di Scienze politiche dell’università di Pisa il professor Maurizio Vernassa ha invitato gli studenti di Storia e istituzioni dei paesi afro-asiatici ad ascoltare il diplomatico israeliano Shai Cohen per una lezione intitolata: "Israele, l’unica democrazia in Medio Oriente". Ma la conferenza è stata impedita un’azione squadrista di un gruppo di studenti filo-palestinesi con kefiah al collo che hanno dato del "fascista" a Cohen e urlato: "Sharon assassino, Israele boia, il sionismo è un crimine contro l’umanità", lanciando come ultimatum un messaggio violento, per lo meno a parole: "Fuori da quest’aula, altrimenti la nostra violenza si trasformerà da verbale a fisica" Il messaggio di terrore diretto alla direzione della facoltà è stato chiaro: "O lo cacciate oppure rimaniamo qui. Questo israeliano non apre bocca". "Non siamo antisemiti, ma antisionisti. Israele non ha diritto d’esistere". Il preside della facoltà di Scienze politiche, Alberto Massera, ha preso il microfono e ha annunciato: tutti a casa, incluso l’ospite. "Se avessi deciso di chiamare la polizia, si è difeso il rettore, in quei cinque minuti poteva accadere un disastro".
In entrambi i casi, un sindaco e un rettore non hanno avuto coraggio. Sembrava di assistere alle intimidazioni che, durante il ventennio, i drappelli di fascisti con camicia nera e manganello organizzavano ai danni di dissidenti e studiosi. Non è la prima volta che i fascisti rossi mettono paura a professori, operatori culturali e studenti, sia in Toscana che a Roma. Arriveremo a far rispettare le leggi e le libertà dovunque in Italia? O bisogna pensare a protezioni e collusioni da parte degli amministratori locali? (François Marie Arouet)
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SENTIMENTI CHE TORNANO DI MODA: LA GRATITUDINE
La memoria corta dei raccomandati
"Fa’ un piacere a qualcuno e avrai un ingrato in più, se non un nemico". Non è una battuta di Andreotti, per quanto sia vera e cinica allo stesso tempo, ma è un concetto che in forme diverse appartiene a decine di saggi uomini dell’antichità, da Aristotele a Cervantes, da Guicciardini a Goethe. Tutti concordi nel lamentare l’ingratitudine. Badate, che il beneficiato, dicono, tanto più se di un grande regalo - il potere, la ricchezza, l’amore, la vita stessa - non sarà mai riconoscente. Avrà la memoria corta. E anzi, più grande è stato il favore, più corta sarà la memoria. Com’è possibile?
Ma gli psicologi hanno scoperto che non è questione di memoria. Il ricordo d’un atto di generosità così importante dura tutta la vita. Ed anzi, proprio per questo finisce per gravare, ossessionare il gratificato, generando complessi di inferiorità e oscuri desideri di rivalsa. Da cui una superbia compensativa. Scienza e letteratura hanno mirabilmente scandagliato l’animo dell’uomo "salvato" dal benefattore. Visto sempre più, anno dopo anno, come testimone imbarazzante, se non addirittura come possibile ricattatore. Nasce così l’odio del beneficiato ingrato, che meraviglia così tanto i benefattori ignari di psicologia
Mi ricorderò sempre di quel giornalista, super-raccomandato dal Psi nonostante le sue modeste qualità professionali, che una volta caduto Craxi fu tra i primi a prenderne le distanze, anzi ad infierire impietosamente sul politico vinto. Interrogato da un collega un po’ scandalizzato, rispose con la solita tiritera degli ingrati: "Certo, sono stata raccomandato. E con questo? Ma, mettitelo bene in testa: dopo ho camminato con le mie gambe, mi sono fatto da solo". Grazie tante. E’ quello che dicono tutti i raccomandati. Dimenticano di dire che senza quell’atto iniziale non ci sarebbe stato per loro né un prima né un dopo, e visto il loro livello professionale oggi forse marcirebbero nel sottoscala d’un oscuro ufficietto, come meritano. (Olga, la stagista di Putin)
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ELEZIONI USA
Bush o Kerry per noi è lo stesso. O quasi
Se il nuovo presidente degli Usa fosse l’attore De Niro (votato dai wasp e dai neri, visto che gli italo-americani gliel’hanno giurata), allora sì che avremmo dei problemi seri in Italia. Specie dopo lo sgarbo che ha fatto al bravo sindaco di Milano, Albertini, lasciandolo una seconda volta in mutande - la prima ci si mise lui, di propria volontà, per uno spot di beneficienza - rinunciando anche alla cittadinanza italiana che il troppo liberale (ahimé, solo in questo senso) ministro Urbani voleva concedergli. "Altro che "Ambrogino d’oro", un calcione nel deretano, doveva dargli" ha detto il barista Fazzin del bar di Porta Vigentina. Era così nervoso da rovesciare una tazzina di caffè sulla camicetta della segretaria Patrizia, con quello che costa oggigiorno (il caffè, non Patrizia).
Ma, a parte De Niro, qualsiasi altra soluzione ci piace. O meglio, ci lascia indifferenti. Un rassicurante sondaggio su 440 esperti ha dimostrato che Bush sarebbe stato votato dai ricchi, Kerry dai super-ricchi. Ovvio che il primo abbia ricevuto più finanziamenti: anche negli Usa i ricchi poveri o i poveri ricchi sono molto più numerosi dei ricchi ricchi. Il che ce li rende più umani. Anche per questo hanno sbagliato in Italia il centro destra a tifare il repubblicano Bush e il centro-sinistra a votare virtualmente per il democratico Kerry. Anzi Rutelli, in pieno delirio di megalomania ha addirittura consigliato il terzo incomodo, l’ecologista Nader, che non si sa se ci è o ci fa, a ritirarsi per non penalizzare il democratico. Immaginiamo Kerry che al mattino, in ciabatte e assonnato, mentre addenta toast e beve caffè diluito e succo d’arancia, si vede recapitare l’ultimativo telegramma di tale "Rutelli Francesco and friends", from Roma, Italy: "Togliti di mezzo, fallo per noi. Grazie. I tuoi amici italiani" Anche lui, sicuramente, avrà versato il caffè sulla tovaglia a quadretti.
Poco male, Bush o Kerry, non cambia nulla per noi. O l’uno o l’altro, il cattolico o il metodista, quello che ride spesso e quello che non ride mai, chiunque una volta eletto è costretto dai ferrei ingranaggi della democrazia americana a fare una politica liberale. O meglio, a mediare e barcamenarsi tra i tanti poteri e lobby concorrenti, il cui incontro-scontro produce da sé il sistema liberale. A differenza che in Italia, dove mancano o stanno sorgendo ora questi ingranaggi automatici virtuosi. Anzi, perché la dimostrazione didattica riesca meglio, l’ideale sarebbe che avesse vinto il peggiore dei due. Auguri al peggiore, dunque, dei due candidati più mosci e banali degli ultimi decenni. In ogni caso l’economia Usa continuerà la sua corsa travolgente. E figuratevi se penseranno a modificare i rapporti tra Italia e Stati Uniti.
Rischi di errori, visto che gli Stati Uniti sono i Romani di oggi, lo stato-guida? Macché. Uno dei vantaggi dell’oliatissima democrazia liberale è che il potere di ogni singola carica tende a zero, come il profitto per unità di prodotto in concorrenza perfetta. E qualunque fesso vada al potere non farà mai i danni che farebbe un intelligentone in dittatura. Come diceva quel tale (americano, da noi la politica è stupidamente sacra), "la democrazia liberale è l’unico sistema che permette a un imbecille qualsiasi, cioè a tutti noi, di governare. Grazie al fatto che ha intorno tanti altri imbecilli come lui che lo limitano e gli dicono di no". Bellissimo, altamente educativo: bisognerebbe che le maestre lo insegnassero alle prime classi elementari. (Generale Lafayette)
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RIFORME CONFUSE, PASTICCIATE, TIMIDE
Un uomo solo al comando: il Re travicello
Ma, scusate, come si fa a denunciare pericoli per la democrazia, a gridare al premier-dittatore, perché secondo le modifiche alla Costituzione il futuro Primo ministro "deciderà tutto da sé, compreso quando andare alle elezioni anticipate" per punire l’opposizione o una maggioranza ribaltata? Ma i Ds e gli altri se lo sono letto il testo passato la prima volta alla Camera? Sono capaci di un’esegesi almeno da prima liceo? Che fanno, smentiscono il nostro collaudato motto che a sinistra sono intelligenti ma imbroglioni, mentre a destra sono ottusi e impreparati? No, pensandoci bene, forse non lo smentiscono.
Noi liberali, sia chiaro, vogliamo una dirigenza forte come in tutti i paesi liberali, che possa operare con incisività per tutta una legislatura, e che debba essere giudicata dagli elettori solo a fine mandato e, a quel punto sì, semmai cacciata e sostituita dal governo dell’opposizione. Ebbene, guardando le nuove proposte ci sembra, al contrario, che il futuro capo del governo, con questi chiari di luna che illuminano ormai solo maggioranze rissose e infide, dovrà stare più attento di prima. Altroché.
Mentre stavamo scrivendo questa nota, ecco che arriva il comunicato dell’ottimo segretario radicale Capezzone, che tocca in modo icastico l’argomento. Lo riportiamo facendolo nostro: "L'obiettivo (assai condivisibile) sarebbe quello di rafforzare la posizione del Primo Ministro. Ma invece si escogita un meccanismo che sarà mortale. Andiamo a vedere, infatti, la cosiddetta norma anti-ribaltone. Recita così: "Il primo Ministro si dimette qualora la mozione di sfiducia contro di lui sia stata respinta con il voto determinante di deputati non appartenenti alla maggioranza". Tradotto in italiano, vuol dire che se il Primo Ministro è fatto oggetto di agguati dalla sua stessa maggioranza (come Berlusconi per opera di Bossi e Buttiglione nel '94, o Prodi da parte di Bertinotti e altri nel '96), ma - per caso - riesce comunque a trovare voti altrove (cioè a ricostruire una maggioranza parzialmente diversa e a proseguire), deve comunque cadere e andare a casa. Insomma, è definitivamente prigioniero della sua coalizione, e il veto o il ricatto di una qualunque componente del suo schieramento può rivelarsi determinante (in negativo), e senza vie d'uscita". Così saggiamente conclude Capezzone.
Insomma, o la destra è scema, e con tutti gli avvocati che ha, non sa fare le leggi, oppure… Oppure dobbiamo ricrederci e considerarla meno ottusa, ma ugualmente riprovevole. Chissà, forse immagina che quando la nuova Costituzione andrà a regime ci sarà un governo di sinistra. Da far cadere per vie traverse. Ecco spiegate le nuove occasioni di ricatto, le nuove armi, le nuove tentazioni per i futuri Mastella, Bossi, Follini, Bertinotti e simili. Ma questa furbizia mi sembra eccessiva. Fino a prova contraria, il nostro duplice motto resta valido. E la sinistra ringrazi il cielo tutte le mattine di avere un avversario così. Altro che "pericoli di involuzione" e altre baggianate. Che poi all’estero ci credono davvero. (Il filippino della Pivetti)
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L’UNIONE DELLE COMUNITA’ EBRAICHE
Luzzatto: nessuna religione diventi diritto
Cari amici ebrei, ci prestate il vostro prof. Amos Luzzatto, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche in Italia? Lo vorremmo fare presidente della Cei, la conferenza episcopale italiana. Magari per un giorno solo. Immetterebbe un po’ di buon senso e aria pura in quel consesso di color carminio, ma dalle idee grigie. Intervistato da Daria Gorodisky così ha commentato, in sintesi, il lamento del cardinale Martino, secondo cui il Papa e la Chiesa verrebbero zittiti "dal frastuono orchestrato da potenti lobby culturali, economiche e politiche".
"Sono accuse generiche, dice Luzzatto, parole senza supporto concreto. Dica a chi si riferisce, nomi e cognomi: altrimenti chiunque può essere indicato come nemico della religione o del genere umano". E la "persecuzione" dei cattolici? Credo che si stia perdendo il senso delle proporzioni. Convivere in una società con persone che si comportano in un modo diverso dal nostro non è una persecuzione". Che dire del candidato commissario europeo che parla di gay, famiglia, ruolo della donna? "Non era opportuno che esprimesse in quella sede le sue posizioni intransigenti di carattere religioso. Chi riveste cariche pubbliche che rappresentano tutti non può fare dichiarazioni che superano il limite tra ambito civico e ambito religioso. A meno che qualcuno non creda di possedere la verità assoluta. Ma, in questo caso, gli appartenenti alle altre religioni sarebbero degli immorali, dei perduti?"
L'omosessualità è un "peccato", ha detto Buttiglione. Ed è condannata anche dalla religione ebraica. "Sì, ma il punto non è questo. Nelle religioni esistono principi che dicono "no", però uno stato laico pluralista non deve e non può trasformare la morale religiosa in diritto pubblico". L'omosessualità sarebbe "peccato". "Per gli ebrei non c'è "peccato", ma trasgressione; e la trasgressione porta a riprovazione: non a condanna, non a tribunali. Io domando: l'onanismo è peccato? Un politico deve entrare su questo tema, legiferare in proposito? Uno stato che si addentra su questi terreni torna indietro di secoli. Mi spaventa un'ipotesi del genere, perché allora, oltre all'omosessualità, quali altre caratteristiche possono essere considerate "peccato", o sospette?"
E il richiamo, voluto dalla Chiesa, alle radici cristiane nella costituzione europea? Che facciamo? Cancelliamo le altre radici religiose, quelle greche e latine? E se ci attestiamo su quelle cristiane, vi comprendiamo anche i roghi, la Notte di San Bartolomeo, l'Inquisizione, le guerre di religione? (Sara Veroli, commessa in via Ottaviano)
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UNA GRANDE BANCA DATI
Antisemitismo nel mondo, la Casa Bianca vigilerà
Una nuova legge attribuisce al Dipartimento di Stato (il governo degli Stati Uniti) il compito di organizzare una banca dati, un registro degli atti di antisemitismo perpetrati nel mondo e di compilare una classifica dei Paesi dove si commettono. Ha annunciato un nuovo "libro nero dell’antisemitismo", che verrà pubblicato annualmente dall’amministrazione, come quelli sulle violazioni dei diritti umani e sugli Stati sponsor del terrorismo. (Il callista di Rosy Bindi)
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CAPITALISMO ALL’ITALIANA: STACCARE CEDOLE
Né leoni, né lupi. Solo Agnelli
Noi liberali ripetiamo da sempre che in Italia è mancata una vera rivoluzione liberale e perciò una vera borghesia diffusa. Dei doveri oltre che dei diritti. Un ceto così, non ottuso percettore di redditi, ma investitore lungimirante e volto al progresso (proprio, e quindi della nazione), innovativo e aperto all’up-to-date, amante del rischio, in grado di competere con le concorrenti borghesie straniere, capace anche di dire con energia la sua parola per una politica liberale, di proporre obiettivi culturali e sociali per la nazione, di favorire la ricerca scientifica, magari di essere intelligente mecenate, noi ce la siamo sempre sognato fin dai tempi di Cavour. Abbiamo avuto, sì, quattro o cinque "grandi borghesi" così, ma non un intero ceto, come invece hanno in Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Germania e Olanda.
Anche oggi, con tutto che un certo grado di liberalismo spicciolo si è diffuso in economia grazie all’Europa, basta poco per mettere in ginocchio i nostri borghesi, sia imprenditori che professionisti, intellettuali o manager. Le antiche corporazioni resistono e pure quelle nuove (giornalisti, giornalai, tassisti). Chi l’ha detto che i giornali si debbano vendere in appositi chioschi a numero chiuso, disseminati col contagocce come le farmacie, uno per zona? E l’irrazionale piccolo commercio? Per tacere dell’industria, quanti studi professionali sono stati colonizzati negli ultimi anni, con la scusa delle "partecipazioni" e dei "nuovi soci", da operatori stranieri? L’artigianato poi sta addirittura sparendo: alti prezzi e bassa qualità. Si direbbe che la nostra industria non sia neanche capace di reagire in modo aggressivo alla concorrenza non solo dell’Oriente, ma perfino dei paesi dell’Unione Europea.
Per forza, da noi si "diventa" borghesi per eredità, non per merito, conquiste di mercato e guadagni. Una via dinastica e familista, con poca o nulla selezione, smidollata dalla sudditanza allo Stato, alle provvidenze a fondo perduto, alle Casse del mezzogiorno, alle integrazioni guadagni, alle "rottamazioni" di comodo. Altro che concorrenza e coraggio. Salotti, banche e poca fabbrica. Anche qui, a più alto livello, il "reddito sicuro": la cedola. Pochi lupi, insomma, e molti Agnelli.
E, a proposito di Agnelli, Renato Tubere riporta che secondo uno studio sui bilanci dell’azienda dal 1970 al 2003, condotto da Piergiorgio Tiboni, segretario del CUB, uno dei sindacati minori più agguerriti all’interno dell’azienda, il Lingotto avrebbe accumulato debiti per 35 miliardi di euro, ridistribuendone nello stesso periodo agli Agnelli oltre 15 miliardi. "Vuol dire - insinua Tiboni - che in questi anni non ha fatto investimenti nell'azienda…" Insomma, c’è il sospetto che mentre la casa automobilistica torinese si dibatteva nella lunga crisi, i vergognosi aiuti ricevuti in passato dallo Stato venissero semplicemente ridistribuiti all’interno della famiglia Agnelli. "Mentre accumulavano debiti, gli Agnelli distribuivano lauti dividendi agli azionisti" dichiara Tiboni. "Non siamo lontani dal vero dicendo che circa metà dei debiti è rappresentato dalle cedole che sono state staccate nel corso degli anni. Senza considerare le azioni conferite in premio ai dirigenti, con buonuscite d'oro per i manager".
Evviva, se questi dati sono veri o verosimili, e non dettati dal consueto odio anti-Fiat che ha caratterizzato la lotta sindacale in Italia, un liberale non ha di che stare allegro. Gli Agnelli avevano tutto il diritto di incamerare e distribuirsi in famiglia gli utili. Ma non gli incentivi di Stato. E poi cercavano di dare di sé un’immagine liberal-progressista, lontano dal vecchio cliché del padrone che incamera e non reinveste. Che cos’era, paura delle previsioni negative? Insomma non erano leoni, e neanche lupi. Solo Agnelli. (Sestilio Sella)
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LA RESISTENZA PER ERNESTO ROSSI
Ma quanti furono partigiani sul serio?
Chi ha detto che Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini erano "servi sciocchi" dei comunisti? Certo, fu una voce messa in giro dai soliti conservatori negli anni Cinquanta, per motivi di polemica politica. Ma non era fondata. Lo confermano le lettere che i due esponenti dell’antifascismo italiano e della sinistra liberale (il primo) e del socialismo liberale o democrazia di sinistra (il secondo) si scambiarono negli anni intorno alla guerra.
Ernesto Rossi, che è anche "uno dei padri" (scusate il bisticcio genetico) di Pannella, a differenza di Salvemini era anche uno spirito insofferente, ironico e sarcastico, che conservò sempre qualcosa di sbarazzino per tutta la vita. Sentite come commenta, a Resistenza conclusa, l’ubriacatura "partigiana" che anticipò e seguì il tracollo del fascismo, quando improvvisamente si fecero o si dichiararono "partigiani" cani e porci. "Non bisogna survalutare la guerra partigiana in Alta Italia" scrive Rossi al maestro e amico Salvemini."Come in Francia, come in Jugoslavia, tre quarti è bluff. Bisogna poi tener conto che la grande massa dei partigiani era costituita di disertori che cercavano di salvarsi, di carabinieri, di guardie carcerarie, di lavoratori che avevano preferito darsi alla montagna piuttosto che farsi trasportare in Germania. Solo pochi partigiani hanno veramente combattuto e solo una infima minoranza era mossa da motivi politici": sembra di leggere un revisionista d'oggidì, mentre si tratta di Ernesto Rossi, da Firenze, il 12 giugno 1945! Dieci anni dopo, ancora spiegava a Salvemini, con accenti che possono ricordare i politici "anti-politici" d’oggi (tipo Bossi o Berlusconi): "A dirti la verità io ho terribilmente sui coglioni tutte le commemorazioni, ed in particolare modo quelle combattentistiche (garibaldini, reduci, partigiani, ecc.)". (Sir Lawrence da Rabbia)
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BERLINO. PANNELLA E BONINO ACCOLTI NELL’ELDR
Capezzone "avvocato politico". E vince
Avevamo perso qualche passaggio del complicato "puzzle" dei vari gruppi di liberali italiani nei partiti europei e nella "internazionale". Siamo sicuri che più d’uno, oltre a noi, era convinto che i Radicali italiani nel partito europeo dei liberali e democratici (ELDR) già ci fossero da tempo. E invece no, chissà per quali traversie. Fa perciò piacere apprendere che il Consiglio dell'ELDR Party, il partito liberaldemocratico europeo di cui fanno parte numerose formazioni, dall'FDP tedesca ai liberaldemocratici inglesi, ha discusso e approvato alla quasi unanimità (una sola astensione) la richiesta di adesione dei nostri Radicali. Com’è noto, Marco Pannella ed Emma Bonino siederanno in parlamento europeo negli scranni del gruppo parlamentare denominato Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa, che però è un gruppo collegato ma distinto dall’ELDR, tanto è vero che ne fanno parte anche la Margherita di Rutelli e il gruppo di François Baurou, che non sono dell’ELDR. Non ho ragione a dire che i liberali sono complicati?
Nel corso della riunione, non fosse bastata la notorietà di Pannella e Bonino, la richiesta di adesione è stata illustrata dal segretario Capezzone, nelle vesti di convincente "avvocato politico". Che ha anche risposto alle domande dei consiglieri, come si usa in Europa. Dovremo abituarci anche noi, retorici e provinciali italiani dalle prolusioni chilometriche, a questo liberale sistema del "call and response". Che non è "inquisizione", come pensano alcuni suscettibili deputati della Magna Grecia, ma un modo aperto e pragmatico di appurare i programmi dei candidati sui singoli punti direttamente da loro e all’impronta. E Capezzone, ovviamente, non solo ha vinto la "causa", ma sembra pure che abbia strappato gli applausi. Del che, sapendo quanto è bravo e convincente, non ci meravigliamo affatto. L’avessimo, nel nostro parlamento. (Il fornaio di via Torre Argentina)
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PER LE ELEZIONI REGIONALI
Laici coordinati. Più lab che lib
Sul finire dell’estate, dal 30 settembre, si è costituito un tavolo di coordinamento tra "laici" di cui fanno parte i socialisti del Nuovo Psi di De Michelis, il Partito repubblicano di Francesco Nucara, il risorto Partito socialdemocratico di Giorgio Carta e il Partito liberale di Stefano De Luca. Una vittoria personale, questa, del giornalista Arturo Diaconale, direttore dell’Opinione, che da anni andava covando il progetto, nato si può dire sulle colonne del quotidiano di via del Corso. Lo scopo immediato è quello di presentare candidati comuni alle regionali dell’anno prossimo. Per questo, l’11 novembre si terrà un convegno che dovrebbe presentare ufficialmente l’iniziativa. La tesi sottostante, su cui le quattro componenti convergono, è che il bipolarismo come è stato interpretato in Italia sia ormai logoro, anche perché costituito da poli troppo eterogenei e troppo condizionati dalle estreme, da una parte e dall’altra. Tra i temi scelti per la prima bozza di intesa, la politica estera, la libertà di scienza e la fecondazione assistita, la riforma elettorale.
Auguri al nuovo coordinamento da parte nostra, anche se notiamo che anche questo nasce eterogeneo, addirittura mettendo insieme liberali e socialisti che in tutti gli altri paesi sono in antitesi, specialmente in economia. E i progetti "lib-lab" sono ormai una cosa vecchia e sorpassata che non funzionò neanche nella prima repubblica. In secondo luogo, mentre i socialisti di De Michelis sono organizzati sul territorio e conservano una fitta rete di responsabili, lo stesso non si può dire degli altri partiti, alcuni dei quali quasi inesistenti. Cosicchè è lecito immaginare che questi verranno fagocitati dai socialisti.
Per noi liberali, poi, a questa preoccupazione se ne aggiunge un’altra: non essersi presentati al tavolo laico con una grossa e credibile formazione, quale si sarebbe avuta con una vera e propria rifondazione di tutti i liberali italiani. Quello che sfugge, infatti, ai quattro partecipanti, è che non siamo più agli anni 80 della loro nostalgia. I liberali in Italia sono oggi molti, moltissimi, certamente milioni e milioni, a differenza dei pochi aderenti delle altre tre formazioni. Tutti noi conosciamo decine e decine di persone che negli anni 80 votavano comunista o missino e che oggi sono diventati liberali. Insomma, i tempi sono del tutto cambiati, la sociologia del voto è radicalmente diversa. I liberali sono solo dispersi e accasati malamente in questo o quel partito, da Forza Italia alla Margherita, ai Radicali. Una grossa responsabilità, quindi, rappresentare idealmente questi milioni di liberali – vincenti, non perdenti come gli altri laici – ad un tavolo così piccolo, modesto e nostalgico. E, umiliazione tra le umiliazioni, egemonizzato pure dai socialisti. (Bottino Ricasoli)
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TUTELA DEGLI ANIMALI E CONTRADDIZIONI
Cacca no, cuccia no, caccia sì
Permettemi, prima di licenziare a pedate il titolista, di chiedermi come mai sempre più liberali manifestino simpatie animaliste, un tempo si diceva "zoofile" (poi gli ignoranti Verdi scoprirono che era anche una deviazione sessuale). Secondo me, è perché fa parte dell’universo dei diritti liberali tutelare anche il diritto a non essere colpiti nell’umana sensibilità, p.es. dalla visione delle sofferenze gratuite date ad altri esseri viventi, tanto più se vicini a noi nella scala evolutiva e nella storia.
Il politicamente corretto in materia ha anche qualche perla. Fu proprio chi scrive, da giovane, a contestare per primo gli zoo e a proporre il primo referendum contro la caccia. Della prima azione mi sono un po’ pentito, per la funzione informativa e pedagogica insostituibile che – scoprii dopo – gli zoo conservano. Ma sulla caccia non ho cambiato idea. Nata per necessità solo alimentari, oggi offende la ragione, e andrebbe sostituita semmai da giochi virtuali (anche questi discutibili), o meglio dalla fotografia naturalistica. E davvero non si capisce con che coerenza la gente manifesti indignazione per la ristrettezza di gabbie e cuccie, i maltrattamenti (ora per fortuna c’è anche un’apposita legge), la vivisezione, gli escrementi canini sui marciapiedi di città, quando tollera la caccia. Insomma, vi sembra razionale "cacca no, cuccia no, caccia sì"? (Thoreau, il guardiano della capanna)
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EVOLUZIONE: SI SALVA CHI NON CONOSCE SOLO IL DOLCE
Quant’è amaro l’amore. O il potere
Se ci fosse davvero un’evoluzione e una competizione per la vita di tipo intraspecifico, cioè all’interno degli individui di una stessa specie, allora gli Umani bambini e adolescenti dell’opulento e viziato Occidente non si salverebbero. Come certi politicanti di provincia che si dilettano di politica, convinti che il potere sia solo una bella decorazione che porta lustro e vantaggi alla professione. Uno studio ha scoperto che i bambini, come i politici mediocri, cercano solo il sapore dolce, tutt’al più l’acre unito al dolce (bibite, frutta, piccole polemiche, pettegolezzi, indiscrezioni), e si avvicinano all’amaro solo se accompagnato da molto dolce (cioccolato, Coca Cola, bitter digestivi, promozioni "ut amoveatur", tipo Buttiglione all’Unione Europea). Ma l’amaro-amaro da solo, che può essere un piatto di cicorietta selvatica o radici di Soncino, o anche il tradimento fatale di Fini e Follini a Berlusconi, o un ribaltone nella maggioranza, certi individui proprio non lo sopportano. E per questo, cioè per non essere in grado di conoscere e frequentare l’amaro, anzi per essere portati ad evitarlo, che la gente soccombe oggi nella lotta della vita (o della politica), come certi nostri antenati furono spazzati via nell’evoluzione delle specie.
Una variazione genetica osservabile in tutto il mondo, a seconda della quale le persone percepiscono o no il sapore amaro del composto PTC, è stata conservata grazie alla selezione naturale. È quanto suggeriscono ricercatori dell'Università dello Utah e dei National Institutes of Health in uno studio pubblicato sulla rivista American Journal of Human Genetics. Il feniltiocarbammide (PTC) non si trova in natura, ma la capacità di sentirne il sapore è fortemente correlata con la capacità di percepire altre sostanze più amare, in particolare le tossine. Molto tempo fa, la capacità di discernere i sapori amari si è sviluppata come meccanismo evolutivo per proteggere i primi esseri umani dal mangiare piante velenose. "Abbiamo trovato le prove a livello molecolare - spiega il genetista Stephen Wooding, principale autore dello studio - che la selezione naturale ha conservato la variazione nel gene che consente di sentire o meno il sapore del PTC". Oggi, la capacità di assaporare il composto influenza il tipo di alimentazione e persino la scelta di fumare sigarette oppure no. Secondo Wooding, gli individui in grado di sentire il sapore del PTC sono meno inclini a mangiare verdure crocifere (come i broccoli), il che potrebbe essere un problema perché queste verdure contengono importanti elementi nutritivi. D'altro canto, la stessa capacità potrebbe avere il vantaggio di dissuadere le persone da inalare il fumo aspro delle sigarette. "Fra i fumatori - afferma lo scienziato - sembra esserci una percentuale maggiore di persone incapaci di sentire il sapore del PTC". (Hermes Trismeghistos)
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STAMPA, COMMERCIO E UN POPOLO IRRAZIONALE
Prezzi alti, poco cervello
Caro Salon Voltaire, è vero che i prezzi alti in Italia sono una "tassa sugli stupidi", un po’ come il lotto? A vedere come gli italiani, unici in Europa, entrano ancora a frotte nei tanti negozietti (record continentale), che hanno costi e prezzi alti, forse solo per potersi confessare col gestore, anziché affollare i discount "senza marca" e senza pubblicità che offrono la medesima qualità al 30 o al 50 per cento in meno, si direbbe proprio di sì. E tutti a lamentarsi per i prezzi alti. Ma poi, a Roma e non a Muro Lucano, dove saranno certamente più evoluti e civili, ci sono addirittura i comitati di quartiere che protestano contro i supermercati, come una certa Di Capua, dell’Associazione residenti del centro storico.
Ma permettimi di prenderla un po’ alla lontana. Ti dirò subito che sono d’accordo con quegli psicologi che ritengono l’acquisto di un bene - da un dentifricio a una casa - l’attività umana che in teoria richiederebbe il più alto grado di intelligenza e razionalità. Troppi infatti sono i fattori che vanno valutati, prima dell’acquisto. E invece che accade? Che la famosa irrazionalità italiana si riflette anche sul commercio, la ristorazione e l’economia, come insegnano anche le sottoscrizioni al buio sui titoli. Diciamola tutta, parafrasando Jarry: "Il Re è in mutande". Ma nessuno lo dice. E sai perché? Perché le mutande sono sporche d’inchiostro. Sono convinto infatti che la stampa italiana abbia gravi responsabilità nella mancata "educazione" d’un popolo così poco incline ai libri come quello italico. Non per caso i nostri vecchi giornalisti inventarono, solo per gli italiani, quel condensato rapido di quasi-letteratura, quasi-avventura e quasi-approfondimento che era la Terza pagina. Che nei paesi colti di lunga tradizione liberale, infatti, non esiste.
Non se ne può più delle ipocrisie tortuose che dobbiamo sorbirci sui giornali italiani, specie nelle cronache locali, che sembrano scritte "a redazioni unificate". Tutti i nostri quotidiani, che d’ora in poi chiamerò per brevità "La Repubblica della Sera", ogni mattina presentandosi in edicola vorrebbero darci ad intendere che ormai anche in Italia, come nelle grandi democrazie liberali dell’occidente, nel mercato dell’informazione l’offerta di notizie sarebbe diversificata e pluralista. Davvero? E allora perché, non solo sull’affare Banche, Alitalia, Parmalat, Cirio ecc., ma anche sulle pessime amministrazioni di Comuni e Regioni, sull’aumento truffaldino dei prezzi, e giù giù, fino al traffico e all’uso sconsiderato dell’auto, la maleducazione della gente, la sporcizia sulle strade, il rumore, le raccomandazioni, non riesco a leggere un solo articolo che dica alla gente quelle verità che per i giornali sono un tabù?
I giornali, sì, hai capito bene. Perché, vedi caro Salon Voltaire, mai come in questa brutta faccenda la prima e più segreta delle norme imposte al giornalista, quella di non dare mai la colpa alla gente, e quindi a qualcuno dei propri lettori, per timore che abbandonino risentiti il proprio giornale, ma neanche a enti di stato, sindaci, politici, sindacalisti e governanti amici (che magari hanno fatto assumere questo o quel giornalista), sta diventando un cappio al collo dell’informazione. Esagero? Non credo proprio. Prendiamo il caso dei prezzi, di cui tutti si lamentano. Quante volte credi che i giornalisti e i commentatori della fantomatica redazione unificata "La Repubblica della Sera" o, se preferisci, "Il Messaggero del Mattino", abbiano spiegato ai propri lettori – con i grossi titoli che usano di solito per o contro Berlusconi o Prodi – che in una democrazia economica liberale è proprio il consumatore non la vittima, ma la causa di tutto?
Macché, non entra in testa. Eppure gli studenti ripetono a pappagallo che in un mercato libero il prezzo lo propone il venditore, ma poi in pratica lo fa l’acquirente. E i corrispondenti esteri sanno bene che l’acquirente, come è accaduto più volte negli Stati Uniti con i famosi e liberalissimi "scioperi della spesa", modulando la propria domanda incidono non solo sui prezzi ma addirittura sulla presenza o meno di questo o quel prodotto sugli scaffali dei supermercati. Su questo, tutt’al più, si trova ogni tanto una riga nascosta alla fine d’un articolo a sei colonne. Quando il povero lettore è già stanco. Insomma, tutta uguale la nostra stampa nel rispettare il tabù del lettore "che ha sempre ragione", anche quando ha torto, perché non sa usare il più importante dei meccanismi di mercato: la domanda.
E invece, la colpa è sempre degli altri. Altri indeterminati, "i cattivi", ma chi? Certo non quelli presenti in sala. Insomma la filosofia del "Maurizio Costanzo Sciò". Un esempio bellissimo sulla carta stampata? La rubrica delle lettere del Corriere in cronaca di Roma. Un’icona da incorniciare. Un caso ormai da manuale. I lettori documentano ogni giorno l’inerzia del sindaco, che pensa più ai concerti rock e al cinema che al traffico e alle buche sulle strade, l’arroganza degli impiegati pubblici, la maleducazione di automobilisti o proprietari di cani, e mille altre ingiustizie, fatti, questioni. E il giornalista per tutta risposta svolazza leggero ed effimero, fa lo slalom, evita in sostanza di rispondere, scantona parlando di note a margine secondarie. E conclude dicendo: ma su, non faccia così, possibile che vada tutto male? Tutto pur di non accusare nessuno: la giunta, i potenti, gli amici, la redazione romana "Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire". Leggetela, è bellissima. Vale da sola i 90 centesimi. (Sciura Egle di Porta Ticinese)
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SE SIETE IDEALISTI CROCIANI O CARDIOPATICI, NON LEGGETE
Al seggio come al mercato. E viceversa
Saremo troppo anti-italiani - e noi liberali spesso lo siamo - ma abbiamo l’impressione che gli italiani siano cattivi consumatori proprio "perché" sono mediocri cittadini e pessimi conoscitori e praticanti del liberalismo. Che c’entra? Come, che c’entra: esiste un legame fondamentale. Che quando avevamo vent’anni ed eravamo nella Gioventù liberale non capivamo. Non volevamo capire. Confessiamo che ci ripugnava un po’, imbevuti com’eravamo del vecchio e glorioso idealismo di Croce.
Ma le filosofie sono una cosa, la realtà psico-politica un’altra, come ha insegnato l’economista politico Schumpeter nel celebre saggio "Capitalismo, socialismo e democrazia". Il paradosso gustoso è che la "teoria economica della democrazia" inventata negli anni 60 da un socialdemocratico poco tenero col mercato e il liberalismo, è davvero realistica, comprovata da decenni di osservazioni del comportamento dell’uomo. E sembra fatta apposta per dimostrare la verità e funzionalità del mercato e del liberalismo, ben rappresentandone il momento psicologico, comunicativo e tecnologico della scelta, della "compera".
L’intuizione geniale è che il voto dell’elettore è uguale all’acquisto dell’acquirente. Tra le tante marche che si mettono in lizza davanti ai nostri occhi noi "votiamo" quella preferita, con considerazioni tutto sommato "politiche": simpatia-antipatia, carisma, risposta seduttiva al messaggio, semantica, perfino ideologia, addirittura il "politically correct" del rispetto dell’ambiente e della salute. Anche senza far parte dei "no-global", quanti "elettori da supermarket", di sinistra e di destra, si rifiutano – sbagliando – di "votare" Coca Cola o Nestlè per assurdi ma reali motivi ideologici, così come da "acquirenti elettorali" evitano di "comprare" in cabina elettorale il voto di An, Ds, Lega, FI, Rifondazione o Verdi?
Ma sì, non sono mai i partiti che ci comprano, siamo sempre noi a comprare i partiti. Così come tra i tanti partiti che si offrono sugli scaffali dei seggi elettorali noi "acquistiamo" quello giusto, con considerazioni e calcoli in fondo "economici", cioè di utilità pratica. Insomma, tutto il contrario di quello che si pensa. Entrambi, prodotti e liste, promettono mari e monti, fanno pubblicità non veritiera, elencano i componenti, ma mettono in caratteri piccolissimi i difetti e gli additivi. Entrambi fanno lo stesso tipo di pubblicità. E siamo noi consumatori-elettori a dover scegliere la politica del mercato e il mercato della politica. Può non piacere, ma è così.
Già il liberale Max Weber aveva messo in rilievo l'analogia tra lo Stato democratico e l'impresa moderna in cui "il vero sovrano, l'assemblea degli azionisti, non ha maggiore influenza nella condotta dell'impresa di quanta ne abbia un popolo governato da funzionari specializzati": al consiglio di amministrazione della società di capitali corrisponderebbe così, con una suggestiva trasposizione, l'élite politica o, se si vuole, il Governo delle moderne società democratiche e liberali. E c’è analogia concettuale tra concorrenza di élites politiche e sistema economico della libera impresa, tanto che il metodo liberal-democratico è stato definito da Schumpeter come "lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare", sempre rispettando "il gioco costituzionale di equilibri e garanzie". Gli economisti e studiosi marxisti (Illuminati) e socialisti (Schumpeter) degli anni 50 e 60 cercando di esorcizzare la libera concorrenza imprenditoriale, allontanandola dalla sfera economica (statalismo e tecnocrazie), suggeriscono però la sua presenza nella competizione politica fornendo anzi l'elemento caratterizzante e di continuità della democrazia liberale.
Del tutto simile, forse anche più suggestiva, è la tesi per cui gli stessi partiti politici in un sistema democratico possono essere equipa-rati agli imprenditori di un sistema economico libero. L'analogia è portata alle estreme conseguenze riconoscendo che i partiti "formulano qualsiasi politica sia in grado secondo loro di guadagnare il maggior numero di voti, proprio come gli imprenditori per le stesse ragioni producono qualsiasi prodotto in grado di dare i maggiori profitti" (A. Downs, An Economic Theory of Democracy); cosicchè come la concorrenza si rivela il metodo più efficiente per selezionare gli imprenditori, il metodo liberal-democratico è il sistema migliore per selezionare i partiti o le élites. (La cuoca di Pareto)
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UN LIBRO DI MURRAY NEWTON ROTHBARD
Chi ha detto che il capitalismo non ha etica?
Tradotto e curato da Luigi Marco Bassani, il volume "L'etica della libertà" è il prodotto maturo di una delle grandi menti del ventesimo secolo. È la costruzione di una morale adeguata al capitalismo del laissez-faire, inteso come sistema della libertà naturale dell'uomo. Ne ha riferito la Newsletter "Harp of David" di Carmine Monaco. Rothbard propone una società nella quale sia abolito il monopolio statale della violenza – riferisce Harp of David - e tutti i servizi (anche sicurezza, protezione e giustizia) siano offerti in libera concorrenza sul mercato. L'analisi rothbardiana, nel solco di tradizioni quali l'anarchismo individualista americano, la Scuola Austriaca dell'economia, il neotomismo e la dottrina lockeana dei diritti assoluti di proprietà, sviluppa gli argomenti morali a favore di una società libera, analizzando le implicazioni della libertà in tutti i campi, dalla dottrina dei contratti, alla famiglia, al diritto penale. Su un fondamento ultrarazionale egli costruisce quindi una filosofia politica che ha il compito di eliminare il ruolo della violenza nella vita umana, negando alla metafora organicista dello Stato il potere di appropriarsi dei beni e della vita degli individui. Come per Nock prima di lui, il nemico naturale della libertà dell'uomo è sempre e comunque lo Stato, l'organizzatore dei mezzi politici, ossia degli strumenti di coercizione. (Il massaggiatore della Moratti)
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AL VITTORIANO I DOCUMENTI SULLA SHOA’ (1938-1945)
Sette anni terribili: ecco la mostra più completa
Gli esperti dicono che è la mostra più esauriente mai realizzata in Italia sulla persecuzione degli ebrei d’Italia. In sette anni, dal 1938, gran parte dell'ebraismo italiano fu cancellato dalla società con le leggi razziali, e poi dalla vita stessa fino al 1945, quando fu scoperto il lager di Auschwitz. Ed è proprio questo che vuole ricordare la mostra "Dalle leggi antiebraiche alla Shoah. Sette anni di storia italiana 1938-1945" in programma al Vittoriano (popolarmente noto come "Altare della Patria") dal 15 ottobre 2004 al 30 gennaio 2005. La quantità e qualità drammatica dei documenti esposti è impressionante. Provengono dai principali Archivi pubblici e privati, come, ad esempio, i testi delle leggi antiebraiche, i diari dei perseguitati, i registri delle carceri, le ultime lettere gettate dai treni di deportazione, pubblicazioni varie e fotografie.
I momenti storici principali sono illustrati anche da filmati originali, alcuni dei quali provenienti dall'Istituto Luce, documentari odierni, videointerviste ai sopravvissuti ad Auschwitz realizzate dalla Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano (Cdec). L'esposizione è il frutto del lungo lavoro di ricerca della Fondazione Istituto storico della Shoah in Italia che negli anni scorsi ha portato a termine ricerche fondamentali, quali la ricostruzione dell'elenco completo degli ebrei arrestati e deportati dall'Italia, la ricostruzione integrale della legislazione antiebraica fascista, la ricostruzione informatizzata delle strutture di sterminio del campo di Auschwitz.
La mostra illustra cosi' cosa accadde in Italia sotto il regime fascista e dal 1943 sotto la Repubblica sociale italiana e l'occupazione tedesca. Il percorso espositivo si sviluppa dalla campagna stampa antiebraica del 1938 alla deportazione ad Auschwitz-Birkenau, luogo principale dello sterminio degli ebrei della penisola, si sofferma sugli atteggiamenti della società e sul contesto bellico, evidenzia la specificità di singoli episodi e contestualizza gli aspetti generali. E' documentato, per la prima volta in modo scientifico e completo, cio' che avvenne in Italia in quei tragici anni: la legislazione antiebraica e le sue conseguenze sulle vittime (autunno 1938 estate 1943); gli arresti, la deportazione, lo sterminio e la vita ebraica in clandestinità (settembre 1943 aprile 1945).Il visitatore si troverà dinanzi ai fatti, ai testi, alle fotografie dell'epoca, affinché possa essere maggiormente coinvolto da quegli eventi, riconoscere il perseguitato che venne strappato alla scuola pubblica, alla vita lavorativa, alle amicizie, alla vita. ''Antico antigiudaismo cristiano, nuovo razzismo scientifico, moderno nazionalismo, nuovissimo spirito tecnologico, profondo spirito reazionario, recente antisemitismo politico, tutto ciò e altro ancora - sottolineano i curatori della mostra - compose una miscela che, nel contesto del nuovo sanguinoso conflitto, produsse la shoah''. La cura storica della mostra è di Alessandra Minerbi (direttrice) e Valeria Galimi. Il Comitato scientifico della mostra è composto da Liliana Picciotto, Michele Sarfatti e Alessandra Minerbi. (La nipote di Moshe Dayan)
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INEFFICACI QUASI TUTTI I COSMETICI SPECIALI
Quello shampoo alle erbe che ti lava il cervello
Razionali e liberali perfino nella stanza da bagno? "Non ho studiato biologia o biochimica", pensa l’avvocato o la studentessa di lettere. "Come faccio a sapere se quello shampoo alle erbe è utile o no?" Ecco, allora, alcune regolette elementari e generali, che possiamo ricavare da un esempio a caso. Prendiamo un latte detergente dal marchio (di fantasia) Bio-Biloba. La furba assonanza del nome, lascia supporre nei più informati ma distratti che contenga Gingko Biloba, vegetale che in laboratorio sui topi ha dato qualche risultato come vitalizzante, energetico, "anti-invecchiamento". E invece no, non ce n’è traccia. Ha solo, oltre i soliti grassi chimici (gliceril-stearati, glicol-propilene, acido glicolico ecc), un po’ di olio estratto dai semi di arancio (Citrus aurantii) e perfino guaranà (Paullinia capuana). Ma il guaranà è efficace se lo si consuma per bocca: è un nervino più potente del caffè.
E ancora, qualche altro trucco da scoprire. Un gel dopo-barba tonificante al germe di grano, oltre alla solita chimica, ha olio di castoro e Triticum vulgare (grano). Ammesso pure che si tratti dell’olio di germe, questo è efficace se lo si ingerisce, ma per uso esterno è pari a qualunque altro olio, anche il più ordinario. Non tonifica affatto, al massimo protegge la pelle dagli agenti atmosferici come tutti gli oli. E una "crema viso alla pesca e ai fiori d’arancio per pelli giovani" è data come idratante e tonificante. Nella composizione si riporta l’olio di nocciolo di pesca e un "estratto" di mandorle dolci, più estratto di altea, gamma-orizanolo. un derivato dall’orzo, e acqua di fiori d’arancio. Anche qui, paroloni per incantare il consumatore e dare al prodotto una qualche parvenza scientifica e "naturale", quando è noto che oltre il 90 per cento nei cosmetici è acqua, grassi, alcolici e conservanti. Il resto è "cosmetica del cosmetico", del tutto inutile.
Shampoo alle erbe. Come il sapone, hanno solo un mero potere detergente del capello e del cuoio capelluto, qualunque sia la sostanza naturale "medicatrice" o cosmetica vantata in aggiunta. Questa può essere in teoria farmacologicamente efficace o non efficace. Nel primo caso mettersi in testa – è il caso di dirlo – che il capello in quanto cheratina non può assorbire biologicamente nessuna sostanza dall’esterno. Può solo trattenere all’interno delle proprie "squamette" sostanze lucidanti e ammordbidenti come tutti gli oli. Solo il cibo, in teoria, potrebbe eventualmente a livello sistemico influire sulla salute del capello attraverso la circolazione generale del sangue in tutto l’organismo e la radice. Se questa è ancora vitale (molti capelli sono morti). Oltre alla radice del capello, la pelle (cuoio capelluto) può in teoria assorbire sostanze chimiche. Tanto è vero che se noi facciamo impacchi sul cuoio capelluto con erbe velenose, ci avveleniamo. Ma solo in seguito a impacchi prolungati, di vaste aree e-o ripetuti. Eventuali vantaggi si potrebbero avere a secondo delle sostanze naturali, ma dopo applicazioni di ore o addirittura l’intera notte, e più volte di seguito. Non certo nei pochi secondi del lavaggio con uno shampoo. D’altra parte, non esistono sostanze naturali curative ad azione istantanea. Quindi non può avere fondamento la vanteria pubblicitaria di sostanze "che nutrono" il capello direttamente (impossibile) o che sono assorbite dal cuoio capelluto (troppo poco tempo). Perciò la maggior parte di sostanze vantate sono solo nomi altisonanti fatti per impressionare l’acquirente. Del tutto inutili biologicamente. (Sor Giovanni, il farmacista di Bassano)