29 aprile, 2006

 

Partito d’Azione. E’ attualissimo ancor oggi quel laboratorio di critica e di democrazia laica.

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È ATTUALE ANCOR OGGI QUEL
LABORATORIO DI DEMOCRAZIA

NICO VALERIO, L'Astrolabio, 8 aprile 1984

Strano destino quello del Partito d'azione. Della straordinaria accolita di giovani animosi che « con l'ottimismo della volontà e il pessimismo della ra­gione » – come ripeteva Parri – dato sotto il fascismo e nella Re­sistenza, e poi nella ricostruzione della nuova Italia, i più alti esempi di dinamismo e di acume politico, di co­raggio civile e militare, di integrità morale, fino a qualche anno fa parla­va solo qualche partigiano di G.L., come Nuto Revelli, qualche collega del CLN, o addirittura qualche avversa­rio. « Il Partito d'azione ha influenza­to tutta la vita politica italiana fino ad oggi», lamentava l'integralista cat­tolico Del Noce. Come meravigliarsi – sembrava voler dire – del laici­smo, del radicalismo e delle baruffe della nostra sinistra?

Eppure, mai formazione politica, co­me quella, era stata più citata ed evo­cata che realmente studiata dagli sto­rici e dai partiti, ai quali aveva forni­to per vent'anni – se si calcola anche il lavoro agitatorio di « Giustizia e Libertà » – in una diàspora che non ha l'eguale nella storia politica ita­liana, non solo il meglio della classe dirigente, ma anche le idee, le scelte di metodo e strategia, perfino le proposte di riforme costituzionali, sociali ed e­conomiche più lungimiranti. Hanno pa­gato quel debito i laici e i progressi­sti che oggi vantano ascendenze azio­niste?

Ora qualcosa è cambiato. Un po' per­ché molti protagonisti di quell'effime­ra ed esaltante stagione civile sono an­cora tra noi; un po' per la rinascita del­la cultura laica e dei progetti di « ter­za forza »; ma soprattutto perché si ripropone il problema « morale » nei partiti e nel governo e, in tempi di nuove proposte di riforme istituzionali, ci si accorge della straordinaria mo­dernità di quel progetto politico-sociale.

Dopo il convegno, in tre giorni, sul « Partito d'azione dalle origini all'ini­zio della resistenza armata », tenuto a Bologna dalla Federazione delle associa­zioni partigiane e dall'Istituto Ugo La Malfa, il fall-out d'interesse sulla stam­pa e la ricaduta di polemiche tra le due eterne anime del Partito d'azione (quella idealista liberal-democratica dei Parri, La Malfa, Bauer, Rossi, con la « coda » eretica del liberal-socialismo di Calogero-Capitini, e quella giaco­bina socialista-riformatrice dei Lussu, Garosci, Codignola, Trentin), hanno portato a verificare « che cosa è vivo e che cosa è morto » di quello che è stato il più vasto laboratorio politico della democrazia italiana.

I famosi « sette punti » della rivo­luzione democratica, stesi da Ragghian­ti nel '40, sono validi ancor oggi. Il primo, la « Repubblica democratica », prevede che « il Potere Esecutivo do­vrà godere di autorità e stabilità tali da consentire continuità, efficacia e speditezza di azione, per evitare ogni ritorno a sistemi di crisi permanente, risultati fatali ai regimi parlamenta­ri ». Una politica di scelte e di effi­cienza, oggi attualissima, se guardiamo ai lavori della Commissione bicamera­le per le riforme istituzionali.

Ancora imperfetto e in parte inat­tuato, al punto 2, il sistema delle au­tonomie locali, economiche e regionali, per scarsa volontà dei governi e inca­pacità o corruzione negli enti locali. Attuale, dopo lo sfortunato tentativo di Ruffolo, il punto 3 sul « coordina­mento economico nazionale e interna­zionale » (o programmazione), che pre­vedeva anche delle nazionalizzazioni, pur nella garanzia – oggi impossibile – che « l'intero organismo produttivo sia libero dai vincoli soffocanti della polizia economica e tutelato contro i pericoli della burocrazia ». Del punto 5, sulla « libertà dei sindacati », è at­tuato solo lo Statuto, ma non la co­raggiosa « parte essenziale di collabo­razione e di responsabilità nel proces­so produttivo» affidata ai lavoratori (cogestione e partecipazione agli uti­li). Mal attuato, col Concordato bis, il punto 6 sulla « separazione del po­tere civile da quello religioso». Anco­ra di là da venire il punto 7 sulla « fe­derazione europea di Stati liberi demo­cratici ».

Già nel '42 – si è ricordato al con­vegno – primo tra i rinati partiti de­mocratici, il Partito d'azione anticipa la storia, forte della più alta concen­trazione d'intellettuali e politici d'inge­gno che mai si sia radunata sotto le insegne d'un partito italiano.

La lucidità dell'analisi sociale e po­litica ne fa il primo partito moderno: europeismo, anticolonialismo, meridio­nalismo, scuola, sviluppo tecnologico, vicinanza alle democrazie industriali, nesso inscindibile tra morale e poli­tica. Il suo unico « errore » politico è quello di precorrere i tempi. Il nuo­vo « ceto medio » del lavoro, laico e progressista, né servo né padrone, quel­l'homo novus, borghese illuminato o salariato specializzato, (il White collar di Veblen, Friedmann e Mills) a cui si rivolgeva il Partito d'azione, 40 an­ni fa non esisteva in Italia, e comin­cia solo oggi ad avere un suo spazio economico (il « terziario ») e politico. Forse è anche per questo che oggi si riparla degli « azionisti ».

N.V.


28 aprile, 2006

 

L'Italia non è spaccata in due. E' un bipolarismo fasullo che ci divide

L’Italia non è spaccata in due, come dicono tutti superficialmente. Ma è il bipolarismo distorto e fallimentare della Seconda Repubblica a dividere gli Italiani in modo artificiale. E’ la suggestiva tesi del giornalista economico e "maitre à penser" Enrico Cisnetto, leader del club Società Aperta, per qualche aspetto analoga alla nostra, espressa sui siti Salon Voltaire e Liberali Italiani, con la differenza che non tiene conto delle differenze ideologiche - liberali con i liberali, ovunque siano, diciamo noi - ma solo del discrimine "moderati-estremisti". Cisnetto vorrebbe unire in un unico polo, più che in un terzo polo, tutti i centristi, abbandonanto al loro destino le ali estremistiche.
Ecco il suo originale ragionamento, che non fa distinzioni ideologiche ma ricorda un po’ il pentapartito: sommiamo gli elettori di Forza Italia, Udc, Margherita, Udeur, Rosa nel pugno e di una buona parte di An e Ds, il risultato fa 65-70 per cento. Gli italiani che hanno votato così sono decisamente omogenei tra loro - almeno sui grandi principi - rispetto a quel terzo di cittadini che hanno scelto comunisti, fascisti, secessionisti, giustizialisti e ambientalisti che dicono no a tutto. Il problema è che il nostro sistema politico, sorretto da una pessima legge elettorale, costringe questa grande maggioranza a dividersi tra due poli artificiali, a loro volta costretti a imbarcare partiti e partitini che rappresentano la minoranza dell’elettorato per vincere le elezioni, regalando alle "ali" una pesante capacità di "ricatto". Da qui nasce l’ingovernabilità, ed è solo dando ai due terzi degli elettori una rappresentanza politica adeguata che si può fermare il declino del Paese.
Bravo, Cisnetto, solo le persone intelligenti sono creative. Vediamo con interesse la tua proposta. E in parte l’appoggiamo: sempre meglio della situazione attuale è. Ma non ci convince del tutto, e almeno due obiezioni si possono fare.
Prima obiezione. Tu dici che i moderati sarebbero uniti, come nel vecchio pentapartito a guida Dc della cosiddetta Prima repubblica. Ma ci sarebbero cattolici, liberali e socialisti, sempre uniti-e-contrapposti tra loro a battagliare per qualsiasi questione. Pensiamo alla fecondazione assistita, ai Pacs, alla politica estera, alla Chiesa, all’economia statalista, alle corporazioni. Mi meraviglio, visto che sei un giornalista economico. Insomma, si riproporrebbero sul piano politico, tutti i problemi, diciamolo, ideologici e culturali che si pongono oggi.
Seconda obiezione, di tipo pratico. Come faresti, di grazia, a tagliare via in AN e nei DS le componenti più estreme, neo-fasciste e neo-comuniste, che pure ci sono? Dimmi, con quale meccanismo riusciresti a cacciarli, per lasciare nel pentapartito dei virtuosi solo i finiani e i fassiniani?
Perciò, caro Cisnetto, la tua analisi è corretta, ma la soluzione, così poco ideologica e tutta pragmatica - come se fossimo nel Regno Unito o negli USA, dove tutti sono liberali - non tiene conto delle enormi differenze, anche tra quelli che tu consideri "moderati". E allora, scusa, tanto vale prendere il toro per le corna e dividere razionalmente lo schieramento in tre tronconi omogenei nettamente differenziati tra loro: un Centro liberale-liberale, una Destra cattolico-conservatrice, una Sinistra socialista. Allora sì che sui grandi e piccoli temi non ci sarebbero ambiguità.
Tu potrai opporre: ma con questa tripartizione "ideologica" che ne fareste degli estremisti tipo Lega, verdi, comunisti o fascisti? Bene, intanto va detto che il loro peso è stato aumentato proprio dal bipolarismo, che ne ha fatto elementi di ricatto e di propaganda strumentale. Vedi l’importanza mediatica ed elettorale che Berlusconi ha dato a Bertinotti come interlocutore privilegiato, come pietra di paragone televisiva. Dice bene Pannella: "compagni di merende". Insomma, voglio dire che in tale tripartizione il peso delle ali estreme sarebbe di gran lunga minore di oggi. E, si sa, lontani dalle telecamere e dal potere, Diliberto, Bertinotti, Calderoli e Pecoraro Scanio evaporerebbero a poco a poco fino ai loro livelli fisiologici: 2-3 per cento.
La Costituente nuova che propone coraggiosamente Società Aperta piace anche a noi, sia chiaro, ma dovrebbe concludersi dando origine proprio a raggruppamenti omogenei rispetto alle riforme da fare. E dunque liberali con i liberali (diciamo un 25-30 per cento), conservatori cattolici con i conservatori cattolici (diciamo un 25-30 per cento), socialisti con i socialisti (un altro 25-30 per cento). Resterebbero fuori a mangiarsi le mani nelle loro torri d’avorio o a incarognirsi nelle piazze - tanto, lo fanno lo stesso già ora - gli estremisti di Destra e Sinistra (10-25 per cento).
Ma, quello che ci interessa di più è che i liberali siano sempre e solo con i liberali (e ci sono così tante sfumature e differenze tra di noi, che non ci si "annoierà" di certo…). Siamo convinti che se Mannheimer o Pagnoncelli sottoponessero alla gente un test con 50 domande - senza usare mai la parola "liberale" - sui più importanti temi di politica interna, politica estera, economia, diritti, costume, libertà, Stato-Chiesa ecc. (es.: "Se una azienda è in passivo e non sta più nel mercato deve fallire o deve essere aiutata dallo Stato?", "Se un dittatore minaccia il suo popolo e ricatta le altre nazioni, dobbiamo fare di tutto per rimuoverlo o no?", "E’ giusto che una religione impedisca la libertà di terapia dei cittadini imponendo le proprie norme come leggi valide per tutti?", "Se due cittadini vogliono regolare tra loro un qualsivoglia contratto, possono farlo o no?"), ebbene, siamo arciconvinti che i profili psicopolitici semanticamente liberali delle risposte sarebbero oltre il 30 per cento della popolazione.
Altro che bipolarismo finto, da stadio. "Il Re è nudo". L'Italia ha un grande Centro liberale, ma pochi lo ammettono e comunque non lo si può dire. Noi lo diciamo.

26 aprile, 2006

 

Vacca: "Né laico, né ateo, ma normale. Gli altri si chiamino come vogliono"

I primi a stupirsi di quella inaspettata folla erano stati gli stessi organizzatori, aveva scritto Edoardo Sassi sul Corriere della Sera. Mai si sarebbero immaginati quel "serpentone" di gente in piazza del Campidoglio, a Roma, tutti pazientemente in attesa sotto un acquazzone incessante, in una domenica pomeriggio (6 novembre 2005), e non per una mostra alla moda, ma per un convegno dal titolo "L’autonomia dello Stato laico: presupposti e garanzie", organizzato dall’Associazione nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno" e ospitato nella Sala Pietro da Cortona. "Evidentemente c’è più bisogno di laicità e razionalità di quanto non si creda", disse al microfono Maria Mantello, una delle organizzatrici del convegno. Numerose furono le relazioni, tra cui "Dal potere elitario al potere di tutti. La lezione di Aldo Capitini", di Franco Ferrarotti; "Filosofia e spiritualità dello Stato Laico", di Luigi Lombardi Vallauri; "I costi del concordato", di Federico Coen; "La via della ragione", di Roberto Vacca e "La laicità nella Costituzione Repubblicana", di Gianni Ferrara. Le grida Bravooo e Bravaaa hanno così accompagnato i tanti riferimenti all’"indebita invasione delle gerarchie vaticane nella vita pubblica", ai "gendarmi dell’anima che dettano precetti", e a "quella laicità che siamo qui per difendere con fermezza". Dall'intervento di Roberto Vacca riportiamo un brano.
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I nomi non sono conseguenza delle cose, ma talora offuscano la comprensione di cose, situazioni, processi a cui si applicano. Accade con l'appellativo di "laico". Suggerisco di non usarlo. Derivò nel Medioevo dal greco "laikòs" - del popolo (laòs) contrapposto ai chierici che hanno da Dio eredità (greco "kleròs", sorte), quindi, privilegi e autorità e sfoggiano con la tonsura il loro stato. Io non voglio esser chiamato laico nel senso di non chierico. Non riconosco privilegi, nè superiorità ai chierici. Le loro classificazioni non mi riguardano: La religione è cosa loro. e la considero con B Russell "falsa e dannosa" dunque incompatibile con la ragione e con il pensiero di chi vuol capire la realtà.
Chiamiamoci, dunque, "normali". Io non mi chiamo ateo: l'alfa privativo indicherebbe che mi manca qualcosa, mentre chi crede in un Dio creatore si carica di una sovrastruttura inutile. Non mi chiamo agnostico - uno che non sa. So parecchie cose e continuo a impararne, ma non pretendo di conoscere oggetti inesistenti. Posso chiamarmi "gentile": appartengo a un'altra gens, a un'altra tribù, non a quelle dei monoteisti.
La questione centrale è culturale. I dibattiti attuali trattano di: fede in Dio o ricerca di Dio, di spiritualismo, sua definizione e status. Questa è l'arena in cui combatto.
Le religioni, del resto, sono inconciliabili con la ragione: è insensato farne graduatorie. Nella Seconda Guerra Mondiale gli Alleati combatterono anche per la libertà di religione (oltre che di parola, dalla paura e dal bisogno). In Italia sono apparentemente libere tutte le religioni (anche se si tenta di rendere più libera - da certe imposte - quella cattolica). Non appare libera quella ellenico-romana che fu codificata da Numa Pompilio legando insieme le credenze popolari meno assurde e classificando come superstitio le assurdità che avanzavano. Oggi la superstizione è rappresentata da sensitivi, astrologi, oroscopari: certe persone sedicenti colte non la trovano nemmeno ridicola. Sarebbe considerato ridicolo riesumare la religione di Jupiter e Juno, di Mars e Venus. Certo contiene elementi assurdi come quella di Mitra che si diceva fosse nato in una grotta dalla vergine Anahita (ingravidata dal dio Ariman), che dava comunione di pane e vino, fu crocifisso a un albero, morì e risorse Queste tradizioni sono state incorporate nella fede cristiana insieme ad altre credenze, assunte come dogmi negli ultimi secoli. La pretesa convergenza di fede cristiana e ragione appare assurda se i credenti continuino a dire con Agostino da Tagasta e con Anselmo d'Aosta: "Credo ut intelligam, non intelligo ut credam". Questa posizione nega l'approccio logico-sperimentale (di Galileo, Newton, dei fisici e logici moderni) e sfocia nel proverbiale "Credo quia absurdum" - negazione di ogni razionalità.
Noi riserviamo la nostra credenza in relazioni apparentemente assurde alla elettromeccanica quantistica. Non è irragionevole credere che un effetto si verifichi prima della sua causa, se questa ipotesi permette di prevedere i risultati di esperimenti con la precisione di una parte su 100 miliardi
Abbiamo fatto molti passi indietro rispetto all'editto di Flavio Claudio Giuliano del 4 febbraio 362 (1115 ab U.c.) che stabiliva libertà religiosa per tutti. La religione cristiana non era più quella forzosa dello Stato, né era esentata dal pagare le tasse. E Giuliano si impegnò a non perseguitare nessuno a causa della sua fede.
Noi che apparteniamo alla grande moltitudine dei non credenti (come diceva Luigi Luzzatti) non siamo interessati a conciliare fede e ragione. Richiamiamo i ragionamenti di grandi pensatori. Basterebbe citare Kant: le sue dimostrazioni dell'insussistenza delle prove fisico-teologica, ontologica e cosmologica dell'esistenza di Dio sono rigorose, ma ardue da seguire. Riporto in termini scolastici la più lineare e cogente prova dell'inesistenza di un essere immutabile, causa di sè stesso e dell'universo.
"L'ipotesi che qualche cosa sia sempre esistita, ci sembra non solo probabile, ma necessaria ed evidente. Quindi bisogna dire che delle due proposizioni seguenti una deve essere vera e l'altra deve essere falsa. La prima proposizione è che è sempre esistito un essere immutabile e causa di sè stesso, la seconda che è sempre esistita solo una sequenza di esseri mutevoli e dipendenti. Questa sequenza di esseri mutevoli e dipendenti coincide con l'universo. Quindi possiamo affermare: o questa sequenza ha avuto una causa esterna, oppure ha avuto una causa interna. Una terza ipotesi non esiste. Ma la sequenza di esseri mutevoli non può avere avuto una causa esterna, perché l'universo comprende, cioè include, la totalità delle cose che esistono e, quindi, anche tutte le possibili cause. Perciò la sequenza di esseri mutevoli deve avere una causa interna. Da questa proposizione non si conclude che una certa parte dell'universo sia la causa necessaria di tutte le altre parti. Il principio che necessariamente a una causa consegue un effetto è universale, nel senso che ci appare come un principio che funziona in tutto l'universo. Concludiamo, dunque, che l'essenza e l'esistenza dell'universo coincidono. Sbaglia, quindi, Tommaso d'Aquino quando dice che solo in Dio l'essenza e l'esistenza coincidono. La conclusione ultima è che non esiste nessun essere immutabile e causa di sè stesso, che venga chiamato Dio".

20 aprile, 2006

 

Cabaret della politica. Chi ha perso davvero? Lo sanno i magistrati

Riceviamo e pubblichiamo, ma scindiamo le nostre responsabilità da quelle della "Badante russa di Cossiga", l’oscuro e frustrato collaboratore di provincia che ci invia un ambiguo pastone pseudo-politico così volgarmente intriso di qualunquismo inconcludente da dimostrare chiaramente di essere colluso con i più deboli dei Poteri Forti (Salon Voltaire).
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Oddio il golpe rosso. Anzi, no, bianco (Prodi è "bianco" o no?). E se fosse nero? Ma che dici, pirla. Ma come, non vedi che neanche sono finite le elezioni, manco inizia il governicchio Prodi, che i magistrati arrestano tutti? Provenzano, Ricucci, i pedofili (l’ordine è casuale). Allora aveva ragione Capezzone. A un tentato regime di destra si sostituisce un potenziale regime di sinistra. Che mal di testa. Altro che Pannella ministro della giustizia. Coi tempi che ricorrono nell’Unione, è già tanto se la sfanga a non finire in galera pure lui. In qualche retata purificatrice, salvifica. Perché dal male per te viene il bene, dice il catechismo. La cambiale in mano al Vaticano passa alla cassa. La Binetti si paga il biglietto a sinistra. E Pannella a Radio Carcere, sì, ma dall’altra parte dell’inferriata. E Bordin di Radio Radicale stia attento, di questi tempi union-reazionari: che non debba curarsi la bronchite cronica (a proposito gli consigliamo aerosol con essenza di origano: una mano santa) in una astanteria a scelta tra Poggioreale, Secondigliano, Rebibbia o San Vittore. E Nico Valerio non faccia tanto lo spiritoso scimmiottando i liberali "ottocenteschi" col suo fogliaccio illuminista. La famosa "pillola RUE 2006" (acronimo di Reazione unitaria ecclesiastica" colpisce i reprobi, con i tempi lunghi della consolidata tradizione curiale.
Ma, eliminati i capataz, la retata in corso avrà anche risvolti mondani. Se no, come ci vanno su Novella 3000 gli inquirenti? Attendiamo quindi gli arresti domiciliari di Marzullo, Pippo Baudo, la madre di Berlusconi (la vera mandante, se ci pensate bene) e Cecchi Gori. Sembra che non solo la Anna Falchi in Ricucci, ma anche per non esser da meno le bellone sue concorrenti di tutt’e tre le categorie, senoalto, coscialunga e sederone, dalla Bellucci alla Marini, per evitare sorprese di CC, PS, Finanza o Digos alle sei di mattina - con tutti i tranquillanti che prendono per dormire, povertette - [era un refuso, ma lo lascio], dormano ogni notte in letti diversi. Come, ci sono abituate? C’è poco da ridere. Anche perché la Marini ormai ci ha il QI (quoziente d’intelligenza) da quasi-genio e magari ti querela. Davanti al giudice potrà dimostrare di aver interpretato bene il test di Rorschach: le macchie d’inchiostro sugli assegni le vede sempre piene, anziché vuote.
Ma allora, se repulisti deve essere per una superiore Questione Morale, sai quanta gente dovrebbe finire in manette... Quasi tutta la Casa delle Libertà per "contraffazione di liberalismo", "spaccio di speranze vane", "affaracci propri" e "insipienza molesta". Quasi tutta la disunita Unione per "nome abusivo", "veteromarxismo virale", "acefalia post-partum" e "masochismo tremens".
E i – diciamo così – "giornalisti"? A parte quelli del web che scrivono "innoquo", almeno i due terzi dei giornalisti italiani dovrebbero dormire sul tavolaccio nella ideale Repubblica di Platone. O sono raccomandati, o non sanno scrivere, o entrambe le cose. Ad un livello sottocorticale, poi, quelli televisivi, soprattutto Rai, che per difficoltà di linguaggio dicono tutti: "i attentati", "i straordinari", "i eserciti". Politica, disinformazione, poca professionalità? Altro che mobilità del lavoro. Mediocri abbarbicati alla poltrona: ma che puzzo! Se la sono fatta sotto? Roba che anche la signora Enza, la veneta che mi vende le uova al mercato, non me le incarta più con i giornali. Per non sporcarle.
Ma per favore, non facciamo i qualunquisti, mica siamo al cabaret del Bagaglino. A proposito, quello che al Bagaglino faceva ridere di più, Pippo Franco, da quando si è messo a fare il candidato buon cristiano, a parlare sottovoce come i preti, e a piacere ad Andreotti, è stato trombato (mentre una mia amica, poco candida candidata di Forza Italia, non se la tromba mai nessuno, lamenta lei). Pippo non ha avuto più successo: capirai, ora vende un prodotto che non tira più. Come la Mussolini. Meglio quando era una scosciata starlette, come testimonia impietosa Internet. E poi c’è troppa concorrenza: Calderoli, Mastella, Benetti, Ruini, Pera, Ferrara. Loro sì che, a parità di prodotto col cabaret di Pippo Franco, fanno ridere di più. E gratis, per giunta. Be’ proprio gratis no, qualcosa il popolo italiano paga sempre. L’unico serio sembra Luxuria, e senza ironia.
Dice che appena conteggiate le schede elettorali per il controllo, prima ancora di annunciare i veri vincitori, i magistrati di Cassazione hanno preferito fare direttamente una bella retata. E sì, prima che i soliti maneggioni si mettessero d’accordo col governo di turno. Capito? Li hanno bruciati sul tempo, prima che i furbetti del quartierino sapessero a quale nuovo santo votarsi. Be’, più che quartierino, la stamberga di Provenzano somigliava all’antro della strega allestito per le prove di ammissione dell’Isola dei famosi. Più famoso di lui. Lui del resto è come Rutelli: senza pane e cicoria non può vivere.
Che vitaccia. Chi, i politici? Ma no, i magistrati di Cassazione. A loro i famosi casseurs francesi je fanno un baffo. I casseurs per cassare pagano, loro per cassare sono pagati, anzi strapagati. Dovevano cassà, cassà, avevano promesso. Ma non hanno cassato un casso. Cambiato il vento? Ma no. Opportunismo? Ma scherzi? Anzi. Non avevamo detto che tutti quegli arresti prima delle elezioni non stavano bene? Così loro, per non "influenzare" la campagna elettorale hanno aspettato, e ora – è naturale – si sono accumulate un po’ di pratiche inevase. Inevase? Almeno loro, perché poi i criminali veri, quelli grossi, evadono sempre. Che tempi. Per fortuna ci sono Loro, ma sì, i magistrati della Cassazione: mettiamone uno alla Presidenza del Consiglio e uno alla Presidenza della repubblica. Almeno loro, i voti, a differenza dei cialtroni di Destra e di Sinistra, li sanno contare.(La badante russa di Cossiga)

14 aprile, 2006

 

I danni dei teo-con. La mancanza d'una lista laica ha fatto perdere la CdL

Altro che "tema secondario" riservato solo ad un'élite, e dunque non rilevante politicamente. La laicità dello Stato non è un argomento come gli altri, anzi, a rigore non è neanche un tema: è piuttosto un modo di vedere, una sensibilità liberale, un principio onnicomprensivo che pervade tutti gli aspetti del vivere sociale.
La separazione netta tra Stato e Chiesa, religione e legge, morale religiosa e diritto positivo, peccato e delitto, credenza privata (nel chiuso della coscienza) e adesione del cittadino alle leggi dello Stato (pubblica), è alla base dell'ideologia e della società liberale. Basti ricordare che dalla libertà di religione - qualsiasi religione, compresa la non-religione - e dall'uguaglianza di tutte le religioni, credenze o idee di fronte alla legge, nacque in Europa il liberalismo.
Insomma, si tratta d'un aspetto fondamentale della moderna società liberale, che è costato nella Storia migliaia di morti e grandi tragedie, una conquista del progresso morale e civile che, perciò, non si può mettere in discussione, né si può eludere.
E invece, come se niente fosse, soprattutto la Destra, ma anche la Sinistra, hanno cercato di occultarlo nella passata campagna elettorale, pensando furbescamente che facendo pubblica adesione ai voleri della Chiesa e del Vaticano avrebbero guadagnato voti. Così non è stato. La Destra, per esempio, di voti ne ha persi parecchi a causa della mancanza di laicismo ["laicità" è una qualità che attiene allo Stato, "laicismo" alle persone laiche, NdR], come ha dimostrato Claudio Tomassini sul giornale L'Opinione di oggi. Come avevamo già anticipato, nucleo del discorso è la risposta elettorale dei Radicali. Solo che il Tomassini, a differenza di tanti faziosi commentatori della stampa di destra e di molti blogger conservatori, mette in tavola tutte le cifre, non solo quelle che fanno comodo agli anti-liberali e anti-radicali.
"Per rilevare come l'assenza di vera forza laica abbia danneggiato la Cdl, basta esaminare con un po’ di attenzione i dati elettorali", scrive il Tomassini. "Limito il mio ragionamento al voto espresso in Italia, rimandando ogni considerazione sul voto degli italiani all’estero. Alla Camera, dove l’Unione ha vinto, aggiudicandosi il premio di maggioranza, per soli 25.224 voti (19.001.684 contro 18.976.460), la RnP ha avuto 991.049 preferenze. Facendo un raffronto con le precedenti elezioni (avendo come riferimento il voto per la parte proporzionale alla Camera) si può notare come, nel 2001, lo Sdi (che si era presentato con i Verdi nella lista Girasole) aveva preso 805.340 voti, mentre i Radicali (presentatisi da soli con la lista Bonino) 832.213 voti, per un totale di 1.637.553 voti. Il 9 aprile la RnP ha avuto 991.049 voti, i Verdi 783.944, per un totale di 1.774.993 voti, con una variazione positiva complessiva di 137.440 voti.
Semplificando, credo si possa dire che, almeno il 50% di questo incremento, cioè circa 69.000 voti (ampiamente sufficienti a colmare il gap fra i due schieramenti), siano riconducibili a elettori che hanno scelto la RnP perché unico partito che innalzava il vessillo della laicità dello Stato, opponendosi alle pesanti e ripetute ingerenze nella vita politica delle gerarchie vaticane. E il discorso è riproducibile anche per il Senato. Nella regione “chiave” per questa elezione, la Campania, il centrosinistra ha avuto 1.507.646 voti contro i 1.491.875 voti andati alla Cdl, prevalendo, quindi, per soli 15.771 voti. In questa regione la RnP ha ottenuto 83.569 preferenze.
E’ chiaro che un’analoga forza laica del centrodestra, la quale fosse stata capace di attrarre anche solo il 10% del consenso andato al nuovo soggetto radical-socialista, avrebbe rovesciato il risultato, facendo ottenere il conseguente premio di maggioranza alla coalizione guidata da Berlusconi, garantendole così anche il controllo di Palazzo Madama.
Da questa babele di cifre (ma sono certo che il lettore saprà districarvisi egregiamente), ritengo appaia di tutta evidenza come, in queste elezioni, la Cdl abbia commesso un errore nel sottovalutare l’importanza delle istanze laiche, relegando a un ruolo assai marginale le forze, al proprio interno, che queste rappresentano. Un errore che, spero, non abbia a ripetersi nelle prossime importanti consultazioni amministrative. E, se proprio non vorranno capirlo le oligarchie partitiche, credo spetti a noi cittadini darci da fare, anche dando vita a liste civiche che offrano un’alternativa di voto laico, liberale, repubblicano e socialista riformista".
Una conferma in più di quello che andiamo scrivendo sull'esito delle elezioni. Il Centro-destra ringrazi gli ottusi neo-con e teo-con (in francese, letteralmente: "teologi coglioni"), da Ferrara ad Adornato, da Pera a Casini. Che del resto danneggiano e condannano alla sconfitta ogni cosa che toccano. Basti pensare alla legge elettorale, imposta da Casini e l'Udc come rivalsa su Berlusconi. Guadagnandoci, però, in fama e carriera...

 

Da "Porco Giuda" a "povero Giuda". Rivincita d'un ebreo discriminato

"Porco Giuda", diceva il popolino, e non solo, ai tempi in cui perfino le parolacce erano suggerite da Santa Madre Chiesa, nella più invadente teocrazia. Come oggi nei Paesi retti dall'Islam, in cui anche nelle maledizioni non c'è libertà, ma bisogna usare solo quelle proposte dal pulpito in moschea.
Ma era davvero colpevole? Insomma, questo Giuda Iscariota "tradì" veramente Jeoshua il Nazareo (cioè il ribelle, non "di Nazareth", fa notare il cristologo Cascioli). Così dicono i quattro vangeli riscritti e autorizzati dalla Chiesa, tra i tanti che erano in circolazione. Ma altri documenti lo negano.
Secondo recenti ritrovamenti, sembra che fosse ingiustamente accusato. Noi non abbiamo la competenza per dire la nostra opinione. Possiamo solo notare che Giuda è stato il primo ebreo ad essere discriminato dai Cristiani, essendo accusato di tutte le nequizie immaginabili.
Nell'omelia del Giovedì Santo papa Benedetto XVI, con molte acrobazie teologiche e la proverbiale dialettica degli uomini di Chiesa, ha ribadito la figura negativa di Giuda, osserva G.C.Vallocchia. Ma di fatto accredita la validità storica e documentaria, pur svilendone i contenuti, della favola simbolica del vangelo riemerso dalla sabbie del deserto etiopico, in cui l'esecrato apostolo appare non colpevole.
Non abbiamo argomenti, ma ci intriga l'ipotesi. Anche perché è statisticamente improbabile che tra i tanti vangeli che allora correvano per il vicino Oriente, non ci fossero testimonianze divergenti da quelle "ufficiali" scelte o riscritte dai Cristiani del I secolo dopo Cristo, per "ragion di Stato".
Ma l'amico Vallocchia commenta: "E' come voler riaffermare la bontà di Biancaneve negando la verità di un raccontino parallelo che rivela che in realtà è la principessina ad avvelenare la matrigna". Oltre a dire che l'intervento del papa mette sullo stesso piano di credibilità anche i cosiddetti Vangeli Apocrifi e ingenera legittimi dubbi sulla veridicità dei quattro vangeli canonici, conclude il presidente di No God.
Chi ne sa di più? Forse il colto Cascioli?

 

Le elezioni e il paradosso delle motivazioni: il voto "contro"

Ma che cosa vogliono questi Italiani? Non credo di sbagliar troppo affermando che una notevole quantità di elettori abbia votato per la coalizione di sinistra in odio a Berlusconi, e che una buona quantità di elettori abbia votato Berlusconi per idiosincrasia verso la sinistra.
Ecco, mi piacerebbe sapere quanti sono quelli che hanno votato “contro”; e quanti quelli che hanno votato “per”. E, a proposito, vale più un voto positivo o uno negativo?
Se la maggioranza degli elettori di una parte e dell’altra ha votato non “per” ma “contro”, come si può capire che cosa vogliono gli italiani? Se la somma dei votanti “contro” fosse la maggioranza, non potremmo forse dedurre che la maggioranza degli Italiani non vorrebbe nessuno dei due?
Il motto “votiamo per il meno peggio” è risuonato da più parti (tranne forse che nei giornali); ma il meno peggio non è il meglio; non è quello che si vorrebbe. E dunque che cosa, chi, vorrebbero gli italiani?
E infine come sono stati “costretti” a votare i liberali, avendo di fronte una coalizione sedicente di centrodestra, liberale solo a parole, e una coalizione detta di centrosinistra che non è liberale nemmeno a parole?
GUIDO DI MASSIMO
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Caro Guido, a parte le antipatie preconcette, secondo me, e anche secondo molti anglosassoni, noi liberali votiamo sempre un po' contro e un po' a favore. Dopotutto le elezioni di fine legislatura sono una specie di rendiconto dei governanti di fronte all'assemblea dei cittadini che danno il voto alla gestione della cosa pubblica. E in questa fase è lecito anche bocciare, cioè come dici tu votare "contro", senza per questo convintamente votare a favore dei nuovi governanti. Poi ci sarebbe anche un altro caso, quello in cui l'assemblea dei cittadini, disgustata dagli uni e non convinta dagli altri, finisce per votare tutti e due o nessuno dei due. Com'è accaduto nei giorni scorsi... (Nico Valerio)

13 aprile, 2006

 

Non l'Unione, ma la nèmesi liberale ha colpito la Casa delle libertà

I liberali italiani, penalizzati dalle candidature e dal voto, si sono perfidamente vendicati facendo perdere le elezioni a chi si era definito "liberale", mentre era diventato negli anni conservatore, statalista o clericale. Proprio come avviene nei Paesi liberali anglosassoni, più che premiare la parte avversa, ripicca italiana, hanno voluto in realtà "punire" la parte al potere negli ultimi cinque anni, perché il giudizio elettorale verte sulla legislatura passata e non sullo scibile, o sulla visione del mondo. Perché nei plebisciti il voto è preventivo, ma nelle elezioni di fine legislatura, si sa, il voto è solo consuntivo.
Una Nèmesi meritata, che è il sale dell’alternanza liberale: chi ha sbagliato paga, e si vota l’altro. E non dovrebbe esserci nessuna identità di clan, nessuna faziosità preconcetta. Per questo esistono le opposizioni nel sistema liberale. Che fanno parte integrante del sistema. E gli avversari - bisogna ricordarlo ai politici e al popolo di Destra e di Sinistra - non sono nemici da uccidere, come nelle barbare guerre etniche orientali, ma quelli che voteremo la prossima volta se gli altri si saranno comportati male. Questo nel liberalismo.
Altrimenti si è al fanatismo, alla guerra per bande, alle lotte all’ultimo sangue per odio razziale, ai palestinesi contro gli israeliani. In questa luce, anzi, la diminuzione delle astensioni è paradossalmente un elemento negativo. Il bipartitismo fazioso all’italiana chiamando tutti alle armi sembra aver prodotto solo una rozza semplificazione, reso parossistica una contrapposizione manichea, rafforzato i partiti estremisti, svuotato le liste meno illiberali. Ma soprattutto ha reso impossibile una lista di veri liberali, oltretutto vista come troppo poco competitiva in una competizione solo per estremisti.
L’alternativa? In prospettiva lontana un tripolarismo all’inglese, con i liberali (molto più numerosi di quanto a Destra si voglia dare ad intendere per interesse…) a fare da ago della bilancia, un Centro-destra conservatore e cattolico, un Centro-sinistra socialista e progressista. Il che dovrebbe servire anche a svuotare le estreme, inconcepibili in un sistema liberale avanzato: Lega e An, Rifondazione, Comunisti e Verdi. Ma è chiaro che in questo scenario futuro non ci sarebbe posto neanche per un partito spurio e populista come FI, né carne né pesce: sarebbe smembrato nelle sue componenti: destra, cattolici, liberali e socialisti.
Fatto sta che i milioni di liberali in Italia (ben oltre i 12 mila nostalgici del glorioso PLI) hanno scoperto che in un Paese in cui tutti i politici furbi si definiscono "liberali" era stata impedita qualsiasi lista liberale. Perché sia la Destra sia la Sinistra temono come la morte una lista liberale come pietra di paragone, che dimostri alla gente con la sua stessa presenza che loro, invece, liberali non sono, ma solo ciarlatani. E quando hanno avuto la controprova, con la riduzione a mero simbolo perfino dei Riformatori liberali di Della Vedova, che poveretti si erano fatti ancor più moderati di quanto già non fossero, si sono rivolti ai Radicali, ai radicali veri.
I Radicali, proprio come tutti i liberali, avevano subìto la medesima delegittimazione ed esclusione dalla Destra, fin dai tempi del referendum sulla fecondazione medica. Ma al contrario dei soliti liberalini timidi e imbelli di casa nostra, sono un gruppo forte e determinato che ha imparato a coniugare al programma (i temi puramente liberali), modi percepiti come tipicamente di sinistra (tenacia, denuncia, protesta, fantasia comunicativa). E dunque sono stati visti come vincenti, un po’ come viene visto dal piccolo di casa, di fronte alla prepotenza d’un coetaneo, il fratello maggiore che sa dirgli il fatto suo. E dunque, i liberali frustrati hanno votato in massa i fratelli maggiori radicali, sicuri di essere vendicati.
In "massa"? Sì, il successo, sia pur limitato, della Rosa nel pugno (un milione di voti e un gruppo parlamentare alla Camera, come ai bei tempi) non contrasta con questa supposizione. L’effetto scaricabarile, con i voti che si scavalcano a ripetizione, è stato favorito non solo dalle asprezze della campagna elettorale, ma anche dal cambiamento di fronte troppo repentino, dopo dieci anni di "quasi Centro-destra", che ha disorientato tutta una generazione di neo-radicali di base un po’ all’acqua di rose, ha indotto i socialisti nostalgici a votare più a sinistra, e ha convinto molti neo-radicali "degli anni ‘90", impauriti dal "mamma li Turchi", a rifugiarsi sotto la sicura sottana di FI. Ma in compenso ha spinto praticamente tutto il nocciolo duro liberale di FI a tradire la CdL e a votare Rosa nel pugno.
E se oggi il bravo Capezzone, insieme con Pannella, Bonino e Cappato, che non hanno compiuto errori gravi, ma sono stati soltanto vittime d’una campagna e d’un metodo elettorale falsati e adattati ad usum Delphini, facessero fare un’indagine demoscopica, scoprirebbero che con la nuova lista Rosa nel pugno è completamente mutato il campione sociologico che vota radicale. Il che porrà, è vero, qualche problema ai dirigenti di via Torre Argentina nella messa a punto della macchina del partito e nella definizione dei programmi futuri. Ma è anche risaputo, per chi un po’ li conosce, che i Radicali – grazie al rigore e all’inusuale coesione morale – danno il meglio di sé proprio nei momenti difficili, e come è accaduto tante volte in passato sono insuperabili nell’arte di trarre dal peggio il meglio. Ed oggi il loro compito è uno solo: immettere fiato giovane e temi liberali nella casa della Sinistra, appena nata e già vecchia. A loro devono essere grati tutti i liberali, anche quelli del Centro-destra.

07 aprile, 2006

 

Appello al Governo che verrà: tuteli il Paesaggio, la vera identità dell'Italia, con l'Arte e la Cultura.

La guerra era finita da poco, l’Italia era ancora povera e sotto le macerie; eppure i nostri grandi padri Costituenti trovarono il tempo e la sensibilità per occuparsi d’un aspetto che a quei tempi sarà apparso eccentrico e troppo raffinato al cittadino medio. Gli intellettuali che sedevano nell’Assemblea riuscirono a imporre un articolo (tra i primi 10, incredibile) che nessun’altra nazione aveva e ha tuttora: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione". Di recente, il presidente Ciampi ha definito questo articolo 9, a ragione, "il più originale della Costituzione". Magistrale.
      Ma oggi, una classe politica molto più rozza e ignorante di quella d'allora, vorrebbe rimangiarsi quel principio, per consentire ogni sorta di speculazioni e devastazioni della Natura e dell’Arte, che costituiscono entrambe il nostro unico e vero patrimonio nazionale.
      Alla vigilia delle consultazioni elettorali, perciò, la benemerita associazione Italia Nostra, fondata da grandi liberali e filantropi come Umberto Zanotti Bianco ed Elena Croce, rivolge un appello al futuro Governo, qualunque esso sia. Innanzitutto "tuteli l’articolo 9 della Costituzione - raccomanda al primo punto il comunicato dell’Associazione di tutela, firmato dal suo presidente Ripa di Meana - e dica no a ogni iniziativa di revisione. "Non è negoziabile il primato dei valori culturali che è alla base della tutela sia del patrimonio storico e artistico, che del paesaggio, e caratterizza il modo stesso di essere della Repubblica".
      Si parla, spesso a vanvera, di "identità", di "valori"? Ecco la prima vera identità: la natura e le bellezze artistiche dell’Italia, quelle che la fanno unica, diversa da ogni altro Paese. E tra le bellezze che la caratterizzano c'è il Paesaggio, sia naturale che urbano. Conservare questa identità, questi valori unici, non significa essere "conservatori", ma, al contrario, perseguire con intelligenza l’unico vero progresso, quello della cultura e dell'intelligenza.
      L’Italia è, poi, storicamente il Paese dei più antichi Centri storici. Vanno difesi come entità a sé, come "ambienti" coerenti e testimonianze di un patrimonio culturale, indipendentemente dallo stile o dal valore intrinseco della singola costruzione. Antonio Cederna li definì beni culturali unitari, "monumenti da conservare integralmente". "E’ un vanto e un primato italiano - ha detto il presidente Ripa - la moderna cultura dei centri storici". Eppure è proprio contro di essi che si scatena la prima linea della speculazione, sotto forma di grossolane deroghe delle "leggi obiettivo", usi impropri e degradanti. E le periferie squallide e invivibili che assediano i centri storici? Concentriamo lì - esorta Italia Nostra - le risorse e la creatività della migliore architettura contemporanea. Ma salviamo e lasciamo integri, a testimonianza futura, i Centri storici.
      Il "Paesaggio", che per la sua forza storica e identitaria è un valore autonomo e prioritario, perfino rispetto all’ambiente - è la tesi di Ripa, che sembra rimandare alle motivazioni della benemerita legge sulla tutela del Paesaggio voluta e presentata da Benedetto Croce nel 1920 - dovrà essere in cima ai programmi del futuro Governo, qualunque esso sia.
      Che fare subito? Intanto rendere i Piani paesistici davvero obbligatori, prescrittivi e vigilati, come vuole una legge troppo disapplicata. Anzi, si dovrebbe aprire un’inchiesta parlamentare sul deterioramento del paesaggio, ormai una calamità di vaste proporzioni.
      La montagna e la campagna vanno, poi, tutelate dalla urbanizzazione selvaggia e inutile, dalla disseminazione edilizia, dalla distruzione del patrimonio culturale sparso, dalle cave (come quelle che stanno letteralmente decapitando le Alpi Apuane) e dalle devastanti e non produttive torri eoliche. Rivolgiamoci ad altre energie alternative, non distruttive del profilo del nostro Paese, come il solare fotovoltaico, per esempio.
      D’altra parte, cittadini e classe politica si devono rendere conto che il territorio è un bene limitato. Attenzione, quindi, all’andazzo della "urbanistica contrattata", in cui gli speculatori siedono addirittura al tavolo con gli urbanisti e gli amministratori comunali e regionali. Come liberali, siamo d’accordo con Italia Nostra anche su questo punto: che i sindaci facciano i sindaci, e i ministri i ministri. Bisogna restituire alle amministrazioni pubbliche, che esistono proprio per questo e ci costano un occhio della testa, la responsabilità delle scelte di loro competenza, in modo che trasformazioni e destinazioni nell’interesse generale garantiscano le libertà di utilizzazione del territorio da parte di tutti i cittadini, e non solo di alcuni.
      E le "grandi opere"? Il sospetto che talvolta siano elettorali o servano a far guadagnare grandi gruppi amici, è forte. Certo, alcune, secondo una sensata posizione liberale, sono utili e ci mettono al passo con i Paesi più progrediti, ma la maggior parte no, e quando non sono soltanto un annuncio elettorale, sono solo uno spreco, un'occasione di corruzione e un'offesa alla Natura.
      Ci ricordiamo del vecchio slogan alternativa "piccolo è bello". Italia Nostra sostiene che la "mistica delle grandi opere" fa parte ormai d’un modello di sviluppo industriale sorpassato, che provoca guasti ambientali. Spesso sono opere inutili e antieconomiche, dividono le popolazioni, o travolgono le cautele delle valutazioni di impatto ambientale.
      La tendenza oggi è quella di "valorizzare", cioè di attribuire un valore economico a beni così fondamentali che sono senza prezzo. Come il commerciante, abituato a vendere di tutto, non si venderà certo la madre o i figli, che per lui sono un "bene sommo", non economico, e quindi non farà certo torto alla sua fede nel mercato, così il prossimo Governo che uscirà dalle urne deve reimparare a tutelare, altro che a "valorizzare", cioè a commercializzare o a svendere, e pure sottocosto, i preziosi beni ambientali e artistici dell’Italia. Potenziare gli organismi preposti alla tutela, quindi, come il personale tecnico-scientifico (soprintendenze) del Ministero per i beni e le attività culturali.
      Secondo Ripa di Meana, inoltre, il Ministero per i beni e le attività culturali, dovrebbe essere reso capace di gestire in proprio i musei statali e gli altri luoghi di cultura, mentre le gestioni indirette dovrebbero essere solo casi limite, comunque sotto la sua stretta vigilanza. Applichiamo queste stesse regole agli enti locali.
      E infine, quello che tutti noi avevamo sempre pensato, ma che non avevamo mai avuto il coraggio di chiedere: ma che c’entrano lo spettacolo e addirittura lo sport con la natura e i monumenti? Togliamo queste competenze dal Ministero più bistrattato d’Italia, perché distraggono mezzi ed energie dall’esercizio della tutela.

AGGIORNATO IL 18 NOVEMBRE 2017

05 aprile, 2006

 

Perché Emma deve vincere per il bene dei liberali. Anche della CdL

"Per il bene dei radicali è meglio che la Rosa nel Pugno perda le elezioni", ha scritto sull'Opinione l'amico Luca Tentellini, compagno di tante battaglie liberali. Ma questa volta, caro Luca, finalmente abbiamo idee divergenti.
Al contrario, per il bene di noi liberali, ovunque ci troviamo, è essenziale che i Radicali vincano le elezioni. Perché - può non piacere, per invidia - ma la loro lista Rosa nel pugno è la sola liberale presente a livello nazionale. Perché queste consultazioni sono proporzionali, bellum omnium contra omnes, e dunque dobbiamo premiare i singoli gruppi, più che le coalizioni, che sono un coacervo di tutto e del contrario di tutto. Ma soprattutto perché ai nostri occhi liberali Emma, Pannella, Capezzone & C. appaiono come un contravveleno provvidenziale in questa fase profondamente illiberale, populista e clericale della politica italiana, sia a Destra sia a Sinistra. Sono, infatti, gli unici sul "mercato" politico ed elettorale a sollevare temi, ad avanzare soluzioni, ad usare il senso critico, in modo tipicamente liberale. Su ogni argomento. Senza la minima traccia di estremismo. Chi altro c’è, se no, oltre a loro?
Noi liberali, come ripete l'amico Raffaello Morelli, che ne è una dimostrazione vivente, siamo pignoli. E infatti, anche i radicali non scherzano, su questo punto. Confessiamo che è da quando hanno dato luogo alla lista "Rosa nel pugno" con i socialdemocratici di Boselli che li osserviamo con attenzione minuziosa. Da criticoni liberali, li aspettavamo al varco per prenderli in castagna: "Ecco, vedete? – eravamo pronti a far notare acidamente – da quando state con i socialisti e, ancor peggio nell’Unione, non siete più voi, avete dimenticato le vostre origini liberali e libertarie, fate errori, concessioni e omissioni. Stavate meglio a Destra".
Macché, questo in coscienza non possiamo dirglielo. Nulla di tutto questo si è verificato. Neanche il più piccolo errore hanno fatto. Continuano con la loro ben nota caparbietà a dire le stesse cose di prima. Non hanno edulcorato un bel niente. Anzi, di nuovo c'è che il virus liberale, grazie a Capezzone, Bonino, Cappato e agli altri radicali, dopo aver dato l'impronta alla rinata Rosa nel pugno e aver reso più vivaci e più liberali i boselliani, ora sta seminando dubbi, crisi e razionalità nell'intera Unione. Basta vedere le reazioni di autodifesa nei Ds, l'imbarazzo dei clericali nella Margherita, ma anche l'emarginazione, grazie ai radicali, delle posizioni antimoderniste, antagoniste o vetero-marxiste di comunisti, no-global e verdi. E sì, perché come da noi previsto, la Rosa punge chi la riceve, non chi la impugna.
Perciò è davvero incomprensibile e immotivato quel "Goodby, Emma" dell'amico Luca sull'Opinione. Che il collega si sia addormentato davanti allo schermo, dopo aver sgranocchiato troppi pop-corn, e non si sia accorto che proiettavano un altro film? Ma forse, è più probabile, che abbia semplicemente deciso di aderire meglio alla linea politica del giornale, cosa perfettamente logica e legittima. Perché la linea d'una testata - e quante volte noi liberali ci siamo scontrati su questo con amici e colleghi di sinistra? - la fa il direttore, non il giornalista. Resta, però, il fatto che non uno dei giudizi su Emma e sui radicali della Rosa nel pugno è motivato. Compreso il "dopo elezioni" e il ruolo "ambiguo" del Corriere. Anzi, scusa Luca, è proprio il contrario: Mieli ha già fatto la scelta riformista, il che andrebbe a vantaggio di Emma e Capezzone.
E così, in mezzo a tante convergenti spinte stataliste, protezioniste, conservatrici, proibizioniste, populiste, clericali, sia a Destra che a Sinistra, da Mantovano a Mastella, da Calderoli a Rutelli, da Alemanno alla Binetti, da Giovanardi alla Bindi, da Diliberto a Caruso, tutta gente che ignora le distinzioni e il rigore di Cavour, di Sella e di Einaudi (e del suo allievo prediletto Ernesto Rossi), nel teatrino pseudo-politico da Tv ecco che il gesto severo del logico Capezzone, più cavourriano ed einaudiano che gobettiano, con relativo aplomb da giovane liberale classico (che ci ricorda tanto la Gioventù liberale d'un tempo), e quello d’una Emma che sa parlare al cuore delle donne col suo ben noto "buon zenzo", sono le cose non solo più nuove e originali di questa campagna elettorale, ma le uniche davvero liberali.
Per questo quei coraggiosi più "lib" che "lab" della Rosa nel pugno meritano di vincere. Non tanto per loro, quanto per tutti i liberali, anche quelli frustrati, muti e imbolsiti nascosti nella cosiddetta Casa delle libertà. Per dimostrare che, finalmente, da qualche parte - non ci interessa dove a noi del Salon Voltaire - "i Liberali vincono". Era ora.
E poi, scusate, di che si lamentano, solo adesso, gli amici della CdL? I Radicali non sono forse stati cacciati da Udc, An, Lega e perfino da FI con il no al referendum sulla libertà di scienza e di terapia? Se il Centro-destra perderà, sarà - è vero - per i Radicali. Ebbene, ringrazi Giovanardi, il Comitato Scienza & Vita, Il Foglio di Ferrara, Mantovano, Casini e Buttiglione, che i Radicali hanno criminalizzato e allontanato. O si volevano anche a Destra, tra tanti ottusi poco utili, anche degli "utili idioti"?

03 aprile, 2006

 

Centro-destra. La favola del leone e dei capretti compagni di merenda

Il leone invitò a merenda due capretti. Dopo aver loro offerto dell’erba fresca, si avventò sul primo e lo sbranò. Il secondo riuscì a scappare e si rifugiò su una roccia inaccessibile. Ma dal basso il leone lo andava rimproverando: "Ecco, per colpa tua, oggi non ho mangiato abbastanza. Se mi indebolisco, il cacciatore mi troverà e mi ucciderà. Ce l’avrai sulla coscienza".
Ma il capretto rispose: "Tu sei così astuto che ora ti atteggi a vittima, ma le vere vittime siamo noi capre, e d’ora in poi ci guarderemo bene dall’accettare i tuoi inviti".
Una nuova favola di Fedro? No, un apologo sulla politica insieme sfacciata, arrogante e dissennata della Casa delle libertà proprio sulle libertà. Dopo tanti inviti e dichiarazioni di intenti "liberali", Forza Italia si è pappata i liberali. I radicali, invece, sono riusciti a scappare e a mettersi in salvo. Ma ora quei furbi fanno finta di piagnucolare: "Se perdiamo sarà colpa vostra: come avete potuto farci questo?"
Morale della favola: neanche Esopo, Fedro e La Fontaine sentirebbero il bisogno di aggiungerla.

01 aprile, 2006

 

Nèmesi farmacologica. Effetti secondari sui farmacisti. Era ora

La federazione dei farmacisti sta scatenando una costosissima campagna pubblicitaria, a suon di intere paginate sui quotidiani, per intimorire il pubblico ignaro di cose scientifiche e farmacologiche con un presunto "rischio liberalizzazione". I detentori del privilegio monopolistico e corporativo, tipicamente italiano, delle farmacie numerate e contingentate come unici negozi in cui si posso acquistare i farmaci, vorrebbero insinuare che il commercio libero in altri esercizi (p.es., nei supermercati, come accade in quasi tutti i Paesi del mondo) possa aumentare il rischio farmacologico e tossicologico.
Ma perché non dicono alla popolazione (vedi i tanti studi pubblicati dalle riviste scientifiche, ed anche qualche articolo divulgativo del prof. Garattini) che già ora il rischio dei farmaci - di per sé - è altissimo? Chiunque li venda, sia chiaro. Gli Italiani, eterni bambinoni malati immaginari adatti ad ogni genere di "placebo", devono saperlo prima o poi: le medicine per lo più fanno male, anche molto male. E non solo alla tasca e alle finanze delle Regioni. Gli effetti "secondari" dei farmaci, dal più comune antipiretico alla molecola dell'ultima generazione, sono così alti, così devastanti, che non si capisce perché non li chiamano "primari". Basta dire che la molecola dell'acido acetil-salicilico è associata spesso a micro-emorragie. Di cui il pazientissimo paziente non saprà mai nulla. Però è così anticoagulante e preventivo degli infarti che...
Come insegnavano gli ippocratici: tutto fa bene e tutto fa male. Rischi talmente alti che non si vede proprio come potrebbero aumentare con la liberalizzazione della vendita. Anzi, la libertà portando con sé un certo grado di incertezza e insicurezza, al pubblico potrebbe venirne paradossalmente qualche sollievo. Tantopiù (o tantomeno) che anche nei supermercati il commesso potrebbe benissimo continuare ad essere un farmacista.
Insomma, non era giusto che tutto il rischio dei farmaci lo subissero solo i consumatori. D'ora in poi si estenderà anche ai proprietari di farmacia. Sotto forma di rischio economico da concorrenza. Era ora che colpisse la Nèmesi farmacologica, var. oeconomica.
"La battaglia contro il monopolio dei farmacisti nella vendita dei farmaci da banco, che non richiedono prescrizione medica - denuncia l'Istituto Bruno Leoni - ha conquistato una certa visibilità sui mezzi di comunicazione di massa. L'associazione di categoria Federfarma ha reagito rivendicando le caratteristiche di maggior "sicurezza" che sarebbero garantite dall'attuale sistema rispetto a uno più liberalizzato.
L'Istituto Bruno Leoni dedica al tema un Focus di Andrea Gilli, "Come si difendono le rendite. Il caso dei farmacisti" che dimostra come invece quello dei farmacisti sia il tipico comportamento di chi difende una rendita di posizione, a scapito dell'interesse dei consumatori e dell'efficienza economica in generale. Per Alberto Mingardi, direttore generale dell'IBL, "questo paper dimostra come la questione della sicurezza sia del tutto secondaria. La realtà è che non c'è nessuna ragione per impedire a una persona, laureata in farmacia e dotata di tutti i requisiti necessari, di esercitare la professione dietro il banco di un supermercato".
Il Focus è liberamente scaricabile dal sito http://www.brunoleoni.it/

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