30 novembre, 2005

 

30. Newsletter dell’8 novembre 2005

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Salon Voltaire
IL GIORNALE PARLATO LIBERALE
LETTERA QUINDICINALE DEL SALOTTO VOLTAIRE
RIVISTA LIBERALE DI ATTUALITÀ, SCIENZA, CULTURA, POLITICA E COSTUME

Lettera n.30 - 8 novembre 2005
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"Stress, ipertensione, colesterolo alto? Partecipa a un salotto liberale.
L’unico in cui il sedentarismo fa bene e stimola il cuore"
CARDIOLOGO ANONIMO
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Questo numero contiene:

POLITICA E BATTUTE. Cronisti e politicanti al Gran Cortile Italia
DANNI DA CLASSE POLITICA. Cosa Nostra? Peggio: cosa pubblica
L’IPOTESI DEL GRANDE CENTRO. E il Papa convocò Casini
SPRECHI, LINGUA E POLITICA. Sant’Oro e la tv dei raccomandati
IL MONDO CI HA GUARDATO. Noi liberali, tutti ebrei e israeliani
MA IL TRENO NON ERA ECOLOGICO? Solo l’economia contro la Tav
TRATTAMENTI DI FAVORE. Don Camillo e l’asso nella manica
ARTE E SPETTACOLO LIBERI. Niente soldi al Cinema: rinascerà
"STILE ANDREOTTI" CONTINUA. Farsela sotto davanti agli Arabi
PIACERI DELLA CARNE. Se il monaco eremita prende il viagra
COME RIDISEGNARE L’ITALIA. 20 ottime regioni per dilapidare
LIBERISMO VERO E FINTO. San Giavazzi e il diavolo Tremonti
EVOLUZIONE IN CURIA. Il cardinale fa outing: "Anch’io scimmia"
SEGRETARIO CHE VINCE… La mancata testa mozzata dei Radicali
PROGRAMMA DELLA "ROSA". Sì a nuovi diritti, no a vecchi privilegi
LAICI A DESTRA E SINISTRA. Meno spazio per una lista liberale
LIBERALI DI SINISTRA. "Critica" e Federazione insieme
PROFESSIONI "LIBERALI". E la farmacista prese la valeriana
FAVOLE RACCONTATE A SCUOLA. E ai bambini? L’Arca di Noè
INDIVIDUO E MERCATO. Il paradosso del mendicante
TASSE SBAGLIATE. Ma re Filippo di Spagna pagava l’Ici?
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POLITICA E GIORNALISMO DELLE BATTUTE
Cronisti e politicanti al Gran Cortile Italia
Un Tizio, nei casi migliori munito di laurea (in lettere di solito), che chiameremo per comodità "giornalista", mette un microfono sotto il naso di Caio (a voler essere ottimisti laureato in legge), che per convenzione chiameremo "uomo politico". E chiede: "Che ne pensa della trasmissione tv in cui si dice che lei ha rubato 30 milioni di euro?" . E lui, con accento non propriamente senese: "E' una ciofeca" (in napoletano brodaglia, caffé venuto male e imbevibile). E un altro: "Un deputato ha in mente di tassare gli sms. Che ne dice?". "E' un'idiozia che ben rappresenta la sua parte politica". E a un altro ancora: "Come risponde alle voci che vogliono la Sinistra disunita su laicismo, economia e politica estera?". E l'onorevole: E' una chiara manovra di disinformazione di Berlusconi". Aspettiamo e prima o poi sicuramente ne sentiremo una del genere: "Cosa obietta a Sempronio? In tv ha detto che lei boicotta questa legge perché è pedofilo". Senonché Caio, politico navigato abituato alla "politica delle battute", anziché mandarlo a quel paese come farebbe in un qualunque Paese civile, reagirà con un’altra battuta: "E’ un volgare mentitore. Lo querelerei volentieri se sua moglie, che è mia amante, non me lo impedisse ". Piglia su, uno pari.
Erano solo degli esempi, per carità. Ma nel Gran Cortile Italia ci sono anche battute più leggere. Sempre pungenti, però, se no non "fanno ascolti" in tv. Ormai la politica delle battute, cioè la politica all’italiana, la si fa così. Tutti i telegiornali di Rai-Mediaset fanno ogni sera il solito giro delle sette chiese: Pecoraro Scanio (primatista indiscusso, i maligni dicono che a queste battute deve l’elezione), Bertinotti, Bondi, Rutelli, Fassino, Landolfi, La Russa ecc. Sempre i soliti. Ogni sera. All’ora di cena. Sempre battute brevi. Apodittiche. Apocalittiche. Autolesionistiche. Non provate (e come si potrebbe?). Stupide. Intelligenti. Insinuanti. Perfide. Ingenue. Sprovvedute. Fulminanti. Ironiche. Taglienti. Ma solo battute. Loro, politicanti e cronisti, dopo aver consultato il dizionario, le chiamano "dichiarazioni". E vi si preparano debitamente: non fanno altro tutto il giorno. Il momento clou della loro "attività politica" è la "battuta delle ore 20". A quell’ora non chiamateli al telefonino: sono impegnati. Ma dura poco, solo 4 secondi. Questo sarebbe il "giornalismo politico" televisivo e cartaceo, anzi che dico, la politica, in Italia. Ricordate con un certo disgusto il Grande Caffè Italia? Bei tempi. Ora siamo al Grande Cortile. (La badante russa di Cossiga)
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L’ITALIA OPPRESSA DALLA CLASSE POLITICA
Cosa Nostra? Peggio: cosa pubblica
Una rivoluzione s’impone in Italia: non quella della Destra contro le idee sbagliate della Sinistra, né quella della Sinistra contro gli uomini ottusi della Destra. Ma quella dei cittadini contro la classe politica e amministrativa che taglieggia da decenni il Paese. Un posto da deputato, consigliere regionale, sindaco, presidente di ente comunale o società pubblica ecc., oggi non solo non è finalizzato agli interessi nazionali e locali, ma neanche alle esigenze dei partiti. E’ ormai solo una retribuzione in moneta e potere che partiti e sindacati offrono ai loro galoppini in cambio di chissà quali servizi che questi hanno loro offerto. E quasi sempre, si tratta di gente mediocre, se non pessima, che non saprebbe fare nient’altro nella vita, priva del minimo bagaglio culturale e tecnico, inesperta di tutto. Ma capace - bisogna riconoscerlo - di due sole cose: imbastire alla meno peggio un discorsetto, o meglio fare battute sugli avversari, e intraprendere ogni tipo di giochi e scontri personali per il Potere.
La classe politica, con le sue branche amministrative, economiche e giornalistiche, attira i peggiori, non i migliori tra i cittadini, visto che i suoi membri privilegiati impediscono ai più preparati e ai non raccomandati di accedervi, se non altro per non dover mettere in discussione o suddividere i propri privilegi. Perciò, ogni riforma organizzativa ed etica dovrebbe partire almeno dalla drastica riduzione di questi "diecimila" eletti o cooptati tra loro, che sono i veri dittatori della cosa pubblica in Italia, tra politica, enti locali, economia, Rai-tv ecc. L’Italia con 58 milioni di abitanti ha quasi 100 uomini al governo e 1000 in Parlamento. Gli Usa con 280 milioni (quasi 5 volte di più) ne hanno 15 e 500 circa. Ma noi abbiamo oltre ai consiglieri di 8100 comuni, anche quelli di 365 comunità montane, 103 province, 20 regioni, 100 circoscrizioni. Per lo più inutili, anzi dannosi, a causa delle spese, dei privilegi e della coesione mafiosa tra i membri della classe politica - Destra o Sinistra - che impedisce ogni riforma modernizzatrice e liberale. Naturale che l’intera classe politica si opponga strenuamente a ogni ipotesi di riforma alla radice in senso anglosassone, bollandola come "qualunquistica", "rozza", "antipolitica", perfino "antidemocratica". Una classe al potere, insegnano gli studiosi delle élites, ha tanti modi per difendersi, anche con le sue stesse leggi. Del resto, quando mai una classe sovrabbondante e corrotta si è auto-epurata? (Camillo Benso di Latour)
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IL PAPA CHIAMA CASINI PER UN "PARTITO CATTOLICO"
"Ottocenteschi", chi? Quelli della Curia
Non vorremmo essere diffidati dal "delegato" pontificio (il commissario di pubblica sicurezza, ai tempi di Pio IX), perciò usiamo le maiuscole di rispetto. Ma ormai siamo davvero al Papa-Re del primo Ottocento, prima cioè che a Roma arrivassero i liberali. Clericalismo per le pressioni dei cardinali della Conferenza episcopale italiana? No, peggio, per la moral suasion dello stesso Papa. Anzi, avrete notato, da quando i radicali hanno cominciato a parlare di "superamento del Concordato" il cardinal Ruini, presidente della Cei e capo del Governo ombra, si è azzittito. Qualcuno deve avergli detto che, a forza di straparlare su questo o quell’aspetto della politica italiana, a forza di intromettersi perfino nelle leggi in discussione in Parlamento, il suo interventismo cominciava a diventare controproducente per i disegni della Chiesa. Ruini alleato segreto di Pannella? Be’, certo, è stato lui ha svegliare il "can che dorme" anticlericale. L’anticlericalismo, pochi liberali se ne ricordano, è parte sostanziale del laicismo, cioè della distinzione tra sfera privata e sfera pubblica, politica e religione. E il laicismo non è un "eccesso", un "estremismo", come sono riusciti a farci credere, ma è parte integrante del liberalismo storico come reazione e autodifesa di fronte al clericalismo. Insomma, voi non fate i clericali, e noi non faremo gli anti-clericali.
"Ottocenteschi"? Sì, ma non noi, piuttosto i religiosi, i cardinali di Santa Romana Chiesa. Ma ora è il papa stesso, esautorato come troppo invadente e grossier Ruini, che ha "avocato a sé" la pratica "Partito cattolico in Italia". E sarà un faldone voluminoso e pesante. Papa Ratzinger, verso cui il laicista Salon Voltaire ha sempre manifestato stima ("preferiamo gli avversari aperti e decisi a quelli subdoli e all’acqua di rose, perché rafforzano il nostro liberalismo…"), ha addirittura convocato il presidente della Camera, Casini (che si è detto sorpreso dell’attenzione pontificia alle cose italiane), dopo aver messo in calendario tutti i leader cattolico-moderati, da Berlusconi a Rutelli, per sondare l’ipotesi d’un nuovo e potente partito unico dei cattolici in Italia. Sembra di capire – suggerisce Cesare Vallocchia – che in Vaticano si stiano orientando verso un nuovo partito cattolico per liberare la Cei dalla evidente sovraesposizione nella politica italiana, che sta provocando la salutare reazione dei laici (proposta di revisione del Concordato). Duemila anni di esercizio del potere rendono la Chiesa molto avvertita sul pericolo che il governo di fatto oggi esercitato dalla Cei sulla politica italiana possa rivelarsi un boomerang. Un partito-cuscinetto, invece, renderebbe meno evidente il suo potere e la metterebbe in salvo dalle possibili reazioni.
Ma siamo nel 2005 o nel 1830? Una coalizione di cattolici "liberali" riunita dal Papa? Gioberti nella tomba si gratta le parti basse, con decenza parlando: lui ci cascò e sa che "porta sfiga". Oddio, che giramento di testa. Perfino divertente, se non fosse allarmante. Clericalismo puro, allo stato nascente. Ditemi voi se non è una ingerenza bell’e buona. E poi, questa non era la prima illusione dei cattolici liberali alla Rosmini e Manzoni, poi naufragata quando si accorsero che alla Chiesa interessava solo una libertà, la propria? Fatto sta che abbiamo corsi e ricorsi storici: politici a rapporto dal pontefice, cardinali che dicono come fare leggi e votare, perfino la "manomorta ecclesiastica" (che non è il prete lubrico che allunga le mani sul sedere delle ragazze in bus, ma oggi è l'esenzione dall’Ici e l'8 per mille). A quando, ci chiediamo, il ripristino dei "lampioni a gas" nelle strade? Che aria di restaurazione beghina. E che atmosfera nostalgicamente passatista. Smetto di giocare a volano e corro subito in farmacia a comprare l'acqua di rose per mia nonna e una bottiglia di Seltz per papà.
E poi c’è qualche cretino di Centro, di Destra e di Sinistra (quello dell’intelligenza, si sa, è un bipartitismo imperfetto), perfino infiltrato tra i liberali, che si lagna di quanto siano "ottocenteschi" gli anticlericali. Dove, quali e quanti, di grazia? (Don Minzione)
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SANT’ORO E LA TV DEI RACCOMANDATI
La rivoluzione rossa della grammatica
"Vorrei dire una cosa a chi ha lavorato con me, perché a causa mia hanno passato un sacco di guai. Io ritorno e vado fino in fondo: loro si preparassero a lavorare" Così, ospite dello spettacolo di Celentano, straparlò il condottiero degli Arditi della grammatica, il Pietro Micca della sintassi (perché chi ci rimette è lui stesso, in fin dei conti…), quel raffinato Michele Santoro, nato a Salerno e "laureato in filosofia, già strapagato giornalista di Stato alla Rai-Tv delle elargizioni di denaro (degli italiani) e delle violenze sulla lingua (degli italiani), famoso per la liberale equanimità con cui conduceva i dibattiti in tv, poi dopo le elezioni mandato dalla Sinistra a Strasburgo "per grazia ricevuta" come deputato europeo – viva il merito – a fare coppia con l’altra giornalista geniale (a proposito, l’avete più vista o sentita?), la rossa Lilli Gruber, anche lei brava a monetizzare. Ma almeno lei sa parlare anche tedesco, lui invece è la prova vivente della "liceizzazione" dei corsi universitari di lettere da Roma in giù, e perciò parla bene solo in salernitano. "Ma ccà niscuno è fesso, cumpa’, mò li sordi se fanno cu la pulitica". Perciò lo chiameremo Sant’Oro. (Nicolò Tommaseo)
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EST E OVEST GUARDANO ALL’ITALIA, STUPITI
Noi liberali: tutti ebrei e israeliani
Niente ipocrisia: la fiaccolata era per Israele e per gli ebrei, contro l’Iran, inutile negarlo. Ma la folla che si è unita alla Comunità ebraica di Roma, fatta di romani autentici, pigri e scettici, (non i soliti "lavoratori" manifestanti di professione, importati dai sindacati con i pullman…), dice più di qualunque rapporto sociologico che la mentalità sta finalmente cambiando in Italia e in Europa. Finiti i tempi in cui sulle piazze e sui giornali avevano spazio solo le adunate politiche contro Israele e il mondo ebraico, equiparati con la più atroce delle bestemmie ai nazisti, pur di negargli il diritto di esistere. Questa volta contro la delirante invettiva antisemita del presidente dell’Iran (è "offesa a capo di Stato estero" se diciamo che nelle foto ha uno sguardo da invasato che ci preoccupa?), a manifestare c’erano anche molti politici.
Un evento. La prima adunata in comune tra Destra e Sinistra, se non a memoria d’uomo, almeno di commesso della Camera. L’unico precedente, infatti, fu il famoso accordo notturno bipartisan per aumentarsi lo stipendio. E se la mente e il braccio sono stati attribuiti alla Destra (l’idea e l’organizzazione erano di Ferrara e del Foglio), le gambe ce le ha messe più la Sinistra. Veramente, anche la Sinistra dei "distinguo" pelosi s’è fatta vedere, perfino l’amabile faccia tosta di Pecoraro Scanio, che già c’era stato il giorno prima con Bertinotti ad accomunare Israele con i palestinesi – che non c’entrano niente – è ritornato su piazza per carpire quel po’ di visibilità mediatica. Politici, vil razza dannata.
La novità è stata grande, e il mondo intero ci ha guardato con ammirazione, meraviglia, perfino inquietudine e timore. Chi l’avrebbe detto di quei cacasotto senza princìpi degli italiani, romani per giunta, andreottiani nel DNA ("due forni", cioè "Franza o Spagna"), eterni vigliacchetti equidistanti pronti a tradire alla minima convenienza (Alberto Sordi nella "Grande Guerra", Badoglio nella Seconda), fossero capaci d’un gesto così idealistico, puritano, anglosassone? Fatto sta che, dai giornalisti della Stampa Estera ai politici americani, gli stranieri erano stupiti. "Francesi e americani, Wiesel, Cohn-Bendit, Podhoretz – ha dichiarato Ferrara – mi hanno detto di essere stupefatti di fronte a un'iniziativa che considerano unica al mondo. Per la prima volta in Occidente non si manifesta contro un Paese "imperialista", "sionista", "cattivo", "di destra", ma in sua difesa. Non si bruciano le bandiere con la stella di David ma si sventolano. Non si difendono a oltranza le ragioni di un Paese del terzo mondo ma si contestano le minacce del suo presidente: l'Iran non può pensare di cancellare Israele, e neppure di minacciarlo". E così è stata una festa, un’adunata gioiosa, con canti e bandiere, e quei commoventi ebrei romani, più saggi di molti di noi, che, attraverso il rabbino capo dott. Di Segni, hanno perfino voluto la bandiera dell’Iran sul palco, come a voler distinguere il popolo dal suo governo teocratico e assolutista. Una lezione di tolleranza.
In Occidente e in Oriente, a Destra e a Sinistra, tutti sono rimasti meravigliati. I teorici e ambigui maitres à penser d'Europa, abituati a spaccare il capello in quattro senza accorgersi che stanno per cadere nel tombino, ci hanno invidiato la risolutezza, la capacità di semplificare il problema, di distinguere subito il giusto dall’ingiusto, la libertà dalla tirannia, il progresso dalla reazione, e fare in modo semplice e rapido una scelta insieme politica ed etica. Ma gli altri? Anche i non pochi nostalgici antisionisti e antisemiti di estrema Sinistra e di estrema Destra, gli ultimi antigiudaici (cattolici), e soprattutto governi, giornalisti e quel po’ di opinione pubblica antisemita dell’Oriente arabo e islamico cominciano ora a rifare i propri calcoli geo-politici. L’Italia, e tra poco l’Europa, non sono più per loro un terreno facile di conquista. Nonostante l’infiltrazione degli "emigranti". Anzi, se continua così, se com’è accaduto nella paciosa Italia levantina "anche i romani, nel loro piccolo, s’incazzano", se perfino i benpensanti moderati tutti "casa e tv" escono di casa con la bandiera di Israele, è davvero il principio della fine per loro. Il trend è iniziato. La ragione contro il fanatismo, una volta tanto. L’islamismo estremista, l’attacco al liberalismo e l’antisemitismo subiranno un’altra sonora, definitiva batosta sotto le mura di Vienna. E questa volta, non ne verranno come contentino neanche i gustosi "croissant", creati in quell’occasione. A pane e acqua li lasceremo. (Ernesto Nathan)
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MA IL TRENO NON ERA ECOLOGICO?
Nimby”" all’italiana: non è la Natura ma l’economia a dire no alla TAV.
Abbiamo sempre sostenuto la ferrovia, il treno, contro le strade statali, le autostrade e i Tir. Non c’è proprio paragone, come inquinamento e anche come costi che cittadini e natura devono sopportare. E perfino come rendimento, a sistema ottimale: avete presente gli ingorghi e i blocchi da incidenti? Un Paese moderno e razionale ha molte e buone ferrovie (e servizi marittimi, se ha il mare), come ben sapevano i vecchi liberali dell’Italia dell’800 – primo tra tutti il grande Cavour – che costruirono quello che allora era uno dei migliori sistemi di "strade ferrate" d’Europa. E’ stato naturale, perciò, come fautori da sempre d’una Ecologia Liberale (che non vuol dire affatto essere "mezzi ecologisti", come pensano i disinformati, anzi, vuol dire ecologisti scientifici, cioè più conseguenti e poco inclini ai do-ut-des e alle idiosincrasie della politica), batterci sempre per il binomio virtuoso ferrovia-elettricità, tipico dei paesi nordici e liberali (vedi Gran Bretagna), che odiano gli sprechi, anziché per il trinomio vizioso strade-camion-petrolio, tipico dei paesi del Sud del mondo, senza infrastrutture e dediti al puro consumo consumistico senza produzione (vedi Paesi Arabi, Sud-America, Africa).
Figuratevi ora la meraviglia con cui guardiamo ai paesani un po’ ottusi della Val di Susa (mi scuso con la vetta del Rocciamelone, m.3500, che a 18 anni mi battezzò montanaro), che con l’appoggio dei finti ecologisti, in realtà politici qualunquisti di estrema sinistra, si oppongono alla costruzione d’una linea ferroviaria ad alta velocità. Perché? Per i fastidi e i danni ambientali che, sostengono, procurerebbero lavori così altamente tecnologici. Dimenticano che ogni attività umana ha dei costi, dei prezzi da pagare, anche sulla salute. Perfino la frittura della buona massaia di Borgone di Susa è altamente tossica. Così si sono attaccati a tutto: dall’uranio all’amianto contenuti nelle rocce. Ma si sa, le rocce delle montagne contengono centinaia di minerali, e basta scavare (tutto il percorso sarà sotto terra) per sollevare polveri. Ma poi, finita la perforazione della galleria, chi si ricorderà di quel modesto inquinamento temporaneo che il vento avrà diluito? Il rivestimento del tunnel avrà coperto e protetto tutto. Non è questo il problema, di fronte ai vantaggi del treno. Più sensato, semmai, il problema dell’acqua. Sappiamo che le galleria sotto le montagne non hanno mai "impatto zero": spesso disperdono le falde idriche, le preziose raccolte di acqua (da bere) che esistono alla base, come è accaduto al Gran Sasso. E questo, sì, sarebbe grave, perché l’acqua pura è un patrimonio comune da non sprecare, anche per l’equilibrio ambientale locale. Anche se una buona progettazione potrebbe limitare al minimo questo danno.
Ma perché gli oppositori della TAV tirano in ballo l’ambiente, che sarebbe toccato solo minimamente, e non usano le uniche argomentazioni serie, razionali e vincenti? Se le facessero proprie noi saremmo con loro. Per ogni opera pubblica bisogna valutare il confronto costi-benefici. E i vantaggi economici per la collettività della linea Torino-Lione sarebbero alla lunga inesistenti. Per due motivi sostanziali: 1. La linea ferroviaria (a velocità normale, ma si tratta di pochi chilometri) Torino-Lione esiste già, ma non incontra i favori del pubblico, insomma non è richiesta dal mercato, e i treni passeggeri viaggiano mezzi vuoti. Basterebbe, semmai, aggiungere treni merci; 2. I costi sono enormi e in tempi di crisi ormai strutturale del tutto ingiustificati dal ricavato sperato. Se l’Unione Europea insiste per una linea veloce trasversale Portogallo-Ungheria, che paghino tutti gli Stati, non solo Italia e Francia. 3. C’è il sospetto-certezza che si voglia non seguire una domanda di mercato, inesistente, ma gli interessi di quale azienda costruttrice. E sarebbe uno scandalo analogo a molti episodi di corruzione.
E allora, ditemi, perché gli egoisti anti-modernisti Rosso-verdi della Val di Susa tirano fuori inesistenti ragioni ecologiche e non l’abnorme costo della inutile grande opera? Certo che i lavori sono un fastidio per chi vive vicino, ma mi viene da pensare a quelle casalinghe di città che protestano contro i lavori che portano la metropolitana sotto casa. Ha ragione chi considera questi sindaci e valligiani attorno a Susa, Borgone e Bussoleno ai classici "Nimby" ("not in my backyard", non nel mio cortile), in versione italiana. Proprio come per lo smaltimento dei rifiuti nel Napoletano. Ricordate? "Oddio, che schifo – dicevano le madri meridionali - tutti questi rifiuti puzzolenti faranno male alle "creature" [bambini, NdR], portateli via". Ma quando una società voleva riciclarli, trasformarli, ecco protestare con cortei e barricate: "No, qui vicino a noi, no", urlavano sindaci e madri . Quindi niente inceneritori, che in cambio d’un modesto inquinamento, sopportabile, danno energia, piuttosto spedizioni ad alto costo verso il Nord, il Veneto, la Germania. E neanche la separazione alla fonte dei rifiuti (“raccolta differenziata”) e il risparmio dei rifiiuti, metodi perfetti, senza inquinamento. Però alle madri campane piace, eccome, consumare e lasciare rifiuti d’ogni genere (anzi, ne hanno un po’ il primato…). Vogliono produrre rifiuti, ma non smaltirli e tantomeno risparmiarli e raccoglierli in modo differenziato. Un apologo davvero istruttivo di come molti italiani, specie al Sud, intendono la società, l’economia dei consumi, la libertà, i diritti, i doveri. Una vergogna. La Val di Susa (Torino) come Acerra (Napoli)?
Sarebbero più credibili se tirassero fuori i motivi seri per il “no”, quelli economici e di mercato. La Natura e l’inquinamento radioattivo o da amianto non c’entra nulla. Invece, con tutto il nostro amore per il treno, perfino il treno è inutile, anzi è uno spreco insopportabile, dove esiste già una linea moderna (sotto-utilizzata). Bisogna dire basta alle Grandi Opere inutili, fatte solo per avvantaggiare le ditte costruttrici o per rispettare sbagliate politiche europee. Una trattazione più dettagliata del problema TAV è in questo articolo. (Thoreau, il guardiano della capanna)

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TRATTAMENTI DI FAVORE
Oddio, don Camillo ha un asso nella manica
La scesa in campo dei radicali avvantaggia, non c’è dubbio, sia i laici liberali di Destra, sia i laici liberali di Sinistra. Dopo la scoperta che anche le cellule staminali e la libertà di ricerca scientifica (compresa la pillola Ru486) potevano essere un argomento politico, ora i radicali impongono come inevitabile la discussione sul Concordato tra Stato e Chiesa. E anche questa volta non sono stati loro a iniziare le ostilità, ma hanno reagito ai ripetuti attacchi di esponenti religiosi. Come ai tempi del divorzio e dell’aborto. E, scusate, ci viene fatto di pensare: ma se non ci fossero loro, i radicali, a reagire, quali e quanti "liberali" all’acqua di rose lo farebbero?
E la Bonino, che è una che pesa le parole, e non è mai stata un’estremista, dice: vogliamo approvare leggi all’altezza dei tempi e contrastare l’offensiva della Chiesa. Ruini ha cose da dirci ogni giorno, su tutti i temi politici. E’ un nuovo leader politico? Bene, ciò è possibile in un sistema liberale. Ma allora, se è diventato un leader politico, la Chiesa non può avere vantaggi sui suoi concorrenti. Deve giocare ad armi pari, e per esempio non deve avere i privilegi del Concordato". Potrebbe essere la scena d’un vecchio film in bianco e nero della serie "Peppone e don Camillo", quando il furbo don Camillo in una partita a carte, dopo aver innalzato gli occhi al Signore per chiedere perdono, tira fuori un asso dalla manica per vincere la partita.
L’Italia non dice sempre di voler essere come le grandi democrazie liberali dell’Occidente? E allora, perché un Concordato con la Chiesa e gli accordi speciali col Vaticano? E’ una stranezza, e l’anticlericalismo non c’entra. Li avevano fatti i governi liberali? No di certo. Vuol dire quindi che i politici di oggi sono più liberali di Cavour? No di certo, sono molto meno liberali. Il Concordato, del resto, "non fa parte di una tradizione storica, ma è stato introdotto solo alcuni decenni fa dal fascismo". E perché, poi, il trattamento di favore verso la Chiesa e le altre religioni, con l’8 per mille (mentre la ricerca scientifica in Italia langue senza finanziamenti)? Ce l’abbiamo soltanto noi italiani, e non è né il gorgonzola, né la Torre di Pisa, cose italiane uniche, sì, ma buone e belle. E un nuovo adagio, di cui vanta il copyright il Salon Voltaire, recita: "Se al di fuori di arte, natura e cucina, una cosa esiste solo in Italia, è sicuramente sbagliata" (Peppino de Condorcet)
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LIBERTA’ PER L’ARTE
"Niente soldi al cinema: rinascerà"
Tagli necessarissimi, ovviamente, quelli al cinema. Era davvero uno scandalo che i film in Italia fossero finanziati dallo Stato, distorcendo il mercato e la concorrenza, e favorendo oltretutto elargizioni agli amici di questo o di quello. E’ il pubblico, solo il pubblico che deve "finanziare" i suoi film preferiti. Cosa? In tal caso dovremo aspettarci tutti film pieni di parolacce, grassa comicità e tette di fuori, tipo quelli fortunatissimi "di Natale" con De Sica e Boldi? Be’, intanto quelli almeno "fanno ridere", cosa sempre molto difficile ad autori e attori italiani. Ma, scusate, fino ad oggi che film si programmavano in Italia? Essere costretti a spendere in modo oculato i propri fondi farà solo bene a produttori, soggettisti, sceneggiatori e registi. E farà bene anche agli attori. "Non date soldi al Cinema. Rinascerà", ha detto il grande sceneggiatore Suso Cecchi D’Amico.
E poi basta con questa idea reazionaria, davvero "di destra", che il pubblico è immaturo e dobbiamo insegnargli che cosa è bello e che cosa è brutto. In questo la Sinistra è più insopportabilmente snob della Destra. Anche in questo caso – ha scritto giustamente Alberto Moioli – i privati potrebbero far meglio dello Stato, accrescendo attraverso la concorrenza la qualità della produzione artistica. I fondi enormi stanziati ogni anno per finanziare il mondo dello spettacolo comprendono anche numerose manifestazioni e programmazioni, in cui i film "finanziati" sono puntualmente "bocciati" non solo dal pubblico, ma anche dalla critica. Comprensibili, ma solo corporative, le proteste dei "cinematografari". E lo stesso si dica del Teatro e dell’Opera lirica, dolenti note queste ultime - ci dispiace per Paolo Isotta - con costosissimi allestimenti e migliaia di persone da pagare (forzosamente, dalla tasca anche di chi magari ama il jazz), a beneficio di quattro gatti privilegiati. E basta coi fanatismi provinciali: Bach, Vivaldi, Haendel e la grande musica strumentale (che in Italia si ascolta pochissimo: una vergogna in Europa) sono infinitamente più grandi di Bellini, Puccini, Mascagni, e anche d’un certo Verdi. E’ un costoso protezionismo corporativo che diseduca il pubblico all’Arte. Meditate statalisti, protezionisti e conservatori di Sinistra e di Destra, meditate. (Massimo D'Azeglio)
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CONTINUA LO "STILE ANDREOTTI"
Oggi come ieri: farsela sotto davanti agli Arabi
Dice: "Ma erano minacciati", "Gli ultrà islamici avevano promesso attentati", "Un po’ di senso dello Stato: i ministri non manifestano sotto le finestre d’una ambasciata, è poco diplomatico". Sì, in tempi normali. Ma, visto il momento, sono tutte scuse, tutte balle. Perché, è forse "diplomatico" chiedere la cancellazione di Israele dalle carte geografiche, è politicamente corretto considerare tutti gli ebrei e l’intero popolo israeliano come "criminale"? E poi quello dell’Iran non è un governo normale, liberale, per bene: è stato definito dal Governo degli Stati Uniti uno "Stato canaglia" che finanzia e ospita terroristi d’ogni genere, ed ora è presieduto da un personaggio che visibilmente ricatta il mondo con la minaccia dell’atomica. "Energia"? Ma che bisogno ne ha, visto che annega nel petrolio? In realtà i nostri ministri Fini, Martino e Buttiglione, ma anche lo stesso Presidente Berlusconi, e anche Prodi, il suo concorrente della Sinistra, hanno sbagliato. Hanno avuto paura. Non hanno mostrato quel coraggio civile, talora fuori le righe, che separa i grandi uomini dagli uomini qualunque. Ma solo piccolo calcolo politico, cinismo e opportunismo. Almeno per il liberale Martino – cerchiamo disperatamente un’attenuante – si sarà trattato di quell’esasperato formalismo procedurale caro a molti liberali non idealisti. Ma a tutti questi assenti poco coraggiosi chiediamo: al tempo di Hitler che avreste fatto? Non avreste manifestato "per non rovinare i rapporti diplomatici"? Non vi bastano i precedenti di Milosevic e Hussein? Scusate, ma vi siete comportati peggio di Pecoraro Scanio, il furbo che per avere visibilità ha fatto sia la contro-manifestazione filo-palestinese del giorno prima, sia quella filo-israeliana del giorno dopo, e perfino di Bertinotti ("Non si parla dei palestinesi…", E che c’entrano?) che nella sua sfacciata improntitudine è stato almeno più creativo, quasi geniale.
La verità è che, al di là delle false parole della politica, la libertà non interessa ai politici italiani ed europei. Continua nei fatti quella ributtante equidistanza sostanziale – con la scusa del petrolio e delle commesse industriali – tra paesi arabi-musulmani retti da governi fanatici e le loro vittime interne (cittadini tenuti nell’ignoranza, nel fanatismo e nella dittatura) ed esterne (Israele, gli ebrei, le democrazie liberali, l’Occidente). E’ questa acquiescenza, questa debolezza psicologica dell’Occidente che favorisce paradossalmente il terrorismo islamico. Ma sì, lo "stile Andreotti". (Il fattore di Tocqueville)
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PIACERI DELLA CARNE: MEGLIO OGGI O DOMANI?
Se il monaco eremita prende il viagra
"C’est mieux foûtre aujourd’houi, où le lendemain?", meglio fottere oggi o domani? si arrovellava tutto il santo giorno un antico saggio eremita camminando avanti e indietro nella sua caverna scavata nella montagna. Come scegliere? Il furbo asceta si illudeva di essere circondato da una folla di bellissime donne, libero di scegliere. E se non vi riusciva, non era perché mancasse la materia prima, ma solo perché per uno strano intoppo del cervello non poteva mai decidersi. Senza contare che non sapeva se fosse più saggio farlo con una bruna o una bionda, una alta o una bassa, una grassa o una magra. Ah, saperlo. E intanto, in attesa che Dio misericordioso lo illuminasse, i decenni passavano.
La libertà di fare sesso (o il "diritto alla sessualità", come si dice oggi), non è contemplata dalla Chiesa per i veri osservanti. Solo nel matrimonio col legittimo coniuge, e con l’intenzione di fare figli, si può fare sesso, non per puro piacere. Eppure non ci sembra di ricordare nel Cantico dei Cantici (Bibbia) qualche riferimento a pargoli plurimi in arrivo. Ma ora, poiché l’Europa invecchia, i moralisti cristiani sono al lavoro per dare "risposte moderne" a nuovi e vecchi problemi.
Per esempio, i malati, gli anziani, i debilitati, possono prendere il viagra per avere regolari rapporti sessuali? Sì, ha scritto magnanima la rivista dei Padri Paolini Club 3, ma – attenzione – solo se davvero malati, e sempre consapevoli che si tratta d’una medicina, non d’una droga per aumentare il desiderio e il piacere. Capito? Non fingetevi "malati", inutile fare i furbi: Dio vi vede. Per i tanti cristiani impenitenti commettitori di atti impuri, non resta allora che il Paradiso. Chissà, forse come premio, se su questa Terra siamo stati buoni cattolici, magari "teo-con" convertiti come Ferrara o Pera… "No, neanche per sogno – ha gelato gli speranzosi un papa severo – nell’Eden non ci si va per scopare – ha detto in sostanza – anzi, là non ci saranno "marito e moglie". "Ogni donna che troverete in cielo sarà una "donna altrui". Da non desiderare". Che sfiga.
Vabbè, abbiamo capito, il Paradiso non è fatto per noi. Continuiamo pure ad essere miscredenti e "edonisti". Non senza una certa invidiuzza per i "buoni islamici" che nell’Aldilà hanno diritto a decine di giovani donne "vergini" tutte per loro. Vergini? Paesi esotici, dove evidentemente le donne vergini – a quanto riferiscono i viaggiatori – abbondano. Mah, abbiamo dei dubbi. Resta però il problema dei cristiani. Che gli facciamo fare da morti? Come nelle carceri italiane, poco o nulla. Se vogliono ammazzare il tempo nella loro prigione dorata, che si abbonino a Sky. Se no, parole crociate, sudoku e kakuro (l’ultimo rompicapo giapponese), e carte da gioco (con le donnine nude, s’intende). (La bambola gonfiabile di Paolo Mantegazza)
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LE "AUTONOMIE" LOCALI PEGGIO DELLO STATO
Venti ottime regioni per dilapidare
In Italia, comuni, province e regioni sono più distanti dai cittadini dello stesso Stato centrale. Con buona pace di Bossi. Quanto spendiamo per questi centri di potere? Con quello che rendono, cioè nulla, tantissimo. Le amministrazioni locali, rette da personale politico ancor meno selezionato di quello centrale, sono ormai solo dei centri di spesa e di corruzione. D’altra parte, già gli italiani si devono accollare almeno 320 milioni di euro all’anno – ricorda Gerardo Mazziotti – per il Parlamento e gli organi rappresentativi, mentre gli Stati Uniti, più grandi quasi di cinque volte, spendono solo 80 milioni di dollari, pari a 67 milioni di euro. Ma è il potere locale che li spolpa. Ogni anno in Italia si spendono 80 milioni di euro per tutta quella massa di inutili politicanti locali, reggiborse e ceffi "di sottopotere" che operano in province, province "autonome" (cioè privilegiate), regioni semplici, regioni a statuto speciale (le peggiori), municipi di quartiere (le grandi città sono dannatamente piene di quartieri), perfino comunità montane (e l’Italia è un paese terribilmente montagnoso). Una rappresentanza eccessiva che non rappresenta tanto i cittadini, quanto le pretese alimentari delle mafie politiche e degli arrivisti raccomandati.
Senza pudore e senza razionalità: una regione geografica piccola (supera di poco il milione di abitanti) come il Friuli-Venezia Giulia, per esempio, deve mantenere a costi altissimi l’Ente Regione, le 4 province, i 219 comuni e le 7 comunità montane. Il che vuol dire tasse e mancanza di risorse per fare riforme e cose concrete. Tutti soldi della comunità se ne vanno per pagare la burocrazia inutile. Questi non sono "i costi della democrazia", ma della dabbenaggine e dell’imbroglio.
E si potrebbero fare altri esempi, come la disabitata Valle d’Aosta (appena 120 mila abitanti, quasi come Torre del Greco in provincia di Napoli), che costa al contribuente italiano oltre 25 milioni di euro l’anno, contro i 700mila euro della cittadina vesuviana. Il Molise ha appena 300mila abitanti (come Catania), e ci costa oltre 46 milioni di euro l’anno ossia 46 volte il costo dell’amministrazione della città etnea. La spopolata Umbria ancora peggio, con le sue due inutili province. La Sardegna con soli 1,6 milioni di abitanti ha ben 85 consiglieri, contro gli 80 della Lombardia, che per di più ha 9,1 milioni di abitanti. Il Trentino ha 70 consiglieri con 900mila abitanti, contro i 60 della Campania (5,7 milioni di abitanti). Senza contare le moltitudini di consiglieri, funzionari e usceri della Regione Sicilia, ormai entrata nelle barzellette da bar. Ingiustizie, sprechi e favoritismi incredibili, contro cui nessuno protesta.
Una petizione di Mazziotti – che non passerà mai – chiede che le modifiche al Titolo V della Costituzione, note come "deregulation", prevedano governi di 10 ministri e 10 sottosegretari oltre al Premier (come proposto a suo tempo dal ministro Franco Bassanini ), un Parlamento di 200 deputati e 100 senatori (pari a più della metà dei parlamentari americani, russi e giapponesi ) eleggibili non più di due volte, per favorire il continuo rinnovo della classe politica, col divieto di passare da un gruppo politico all’altro (vincolo di mandato), e l’istituzione, sensatissima, di 4 macroregioni, Nord, Centro, Sud e Isole con soppressione degli statuti speciali. Statuti e stipendi tutti uguali e stabiliti dal Parlamento (e qui noi suggeriamo una particolare tirchieria, per non tentare i soliti furbi…). Eliminare ovviamente province, circoscrizioni comunali ("municipi") e comunità montane, come proposto anche da Brunetta (FI) e Rossi (Margherita), e tanti altri enti inutili. Trasformare le 103 città capoluoghi ( è possibile ridurne il numero ) in altrettante aree metropolitane allargate rette da sindaci tradizionali, i quali però dovrebbero – udite, udite – affidare l’amministrazione dei restanti 7.998 comuni a "city managers" scelti tra i dirigenti della pubblica amministrazione, quindi già sotto stipendio. Avete idea di quanto si risparmierebbe e quanto sarebbe più efficiente (ci vuol poco) la macchina pubblica in Italia? (La serva prodiga di Marco Minghetti)
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SE I TASSISTI DI CASTELFRANCO VENETO…
Diavolo Tremonti e San Giavazzi
"Ha dda venì Tremonti", minacciava lisciandosi il baffo alla Stalin l’ex socialista artigiano (passato a Forza Italia) restauratore di mobili in via dei Banchi Vecchi, nella Roma dei vicoli papalini. E ancora. "Quel Visco lì l’è un pirla, qui ci vuole il Tremonti, che li manda tutti a casa", batteva il pugno sul tavolo davanti alla tv, a rischio di far fermare il Rolex, l’ing. Cantini della Cantini & C di Novate Brianza (infissi per l’edilizia), spaventando la filippina. E i gatti, laziali o lombardi, scappavano sotto la credenza del tinello, le mogli bionde o brune trasalivano, i figli interrompevano i video-giochi. Che tempi.
Sembra un secolo fa. Erano liberali? Bah. Né sì né no. Gente normale, laboriosa, che aveva sempre letto pochi libri, mai si era occupata prima di politica, mai si era fatta raccomandare, come fanno tutti da Roma in giù (e ora anche parecchi da Roma in sù). Ma erano stufi dello statalismo, della burocrazia, dell’inefficienza, delle tasse della Sinistra, dell’assistenzialismo a pioggia dato ai loro concorrenti meno bravi ma ammanicati col potere. Che avevano visto nel Polo e soprattutto in Forza Italia la miccia per far esplodere anche in Italia la rivoluzione liberale, il merito individuale, l’efficienza, finalmente un po’ di concorrenza vera. Perché, non potevano darsi pace i brav’uomini, quello che è normale a Londra, Parigi e Washington è impossibile a Roma, dove neanche le licenze di taxi si riesce a togliere? Già, ma lì hanno due difetti, di cui solo il primo veramente grave: non hanno il gorgonzola e non hanno gli italiani.
Ora, però, quel Tremonti lì non è più lui. O meglio, è finalmente tornato ad essere quello che è sempre stato, chiusa la messinscena elettorale finto-liberista tutta giocata nel salotto di Porta a porta davanti al mellifluo e pretesco Vespa. Dopotutto, statalista e socialista era nato, statalista e socialista resta. Non solo come ministro dell’economia (nominato, cacciato e reintegrato), ma ora anche come autore. Il suo ultimo libro, Rischi fatali, sta scontentando e irritando tutti i liberali, di Destra e di Sinistra, mentre il saggio Lobby d’Italia, dell’economista Francesco Giavazzi (Bocconi e Mit), ai medesimi piace eccome. Tanto che il segretario dei radicali Capezzone ne vuole fare addirittura il "manifesto economico" del proprio partito. "Un contributo fondamentale alle liberalizzazioni e al mercato, contro le lobby e le corporazioni che vivono su rendite comode, parassitarie, finora inattaccabili". Al contrario, le tesi di Tremonti sono così "a-liberali o anti-liberali" che – ha suggerito ironicamente – Bertinotti farebbe bene a dargli la tessera honoris causa di Rifondazione comunista.
"Fa benissimo Giavazzi a chiedersi perché, mentre i tassisti di New York sono afgani, curdi, vietnamiti, i tassisti di Castelfranco Veneto siano invece tutti di Castelfranco Veneto, dove i lavoratori italiani sono una minoranza". Capezzone – scrive Sergio Rizzo sul Corriere – contrappone le tesi di Giavazzi a quelle del premier Berlusconi, che avrebbe scritto al presidente del comitato delle professioni: "Pensiamo che gli albi regolati per legge siano molto meglio delle libere associazioni anglosassoni". Ah sì? Liberali e radicali "con il professor Giavazzi, sono convinti del contrario": la strada da seguire è quella delle associazioni privatistiche all’inglese. Non riconosciute per diritto pubblico. Basta con gli Ordini fascisti, basta con le corporazioni di arti e mestieri. Queste ultime, certo, nacquero anche per tramandare le tecniche e vigilare sulla correttezza dei membri. D’accordo, sono parte gloriosa della nostra Storia, ma ormai sono superate, anzi un vero impedimento per la libertà di intrapresa e di lavoro.
E invece nel libro di Tremonti l’ignaro lettore liberale troverebbe il protezionismo più stretto, lo statalismo più estremo, l’ostilità al "mercatismo" (si vergognava l’Autore a chiamarlo "liberismo"?), come denunciano sul Foglio Ernesto Felli e Giovanni Tria. Per loro, Tremonti non ha pudore nell’appropriarsi dell'ideologia no-global, con tutta quella paccottiglia di pauperismo anticonsumista, di retorica no-logo, di sociologismo esistenzialista, di spiritualismo new age, di assonanze marcusiane (l’uomo a una dimensione? No "l'uomo a una taglia unica": la extra large o, se vincono i coreani, la small). Forse sono esagerazioni polemiche, radicalizzazioni del dissenso, commenta Pierluigi Battista – al solito – versando pepe sulla ferita inferta al liberalismo dal "traditore". Però, a parte il provocatore PLB, anche Michele Salvati ha sottolineato la presenza dello spettro di Karl Marx nelle pagine di Tremonti. Sulla Stampa – insiste Battista – Giuseppe Berta ha accostato addirittura il nome di Tremonti a quello di Toni Negri, come simbolo di una cultura che vede nel "mercatismo" mondialista il nuovo pericolo per l'umanità. Sull'organo di Alleanza Nazionale, Il Secolo d'Italia, Giano Accame, studioso di Ezra Pound, ha colto nel libro di Tremonti un'eco delle violente invettive poundiane contro lo strapotere delle banche, l'influenza nefasta dell'intermediazione finanziaria, equiparata tout court alle pratiche odiose dell'usura.
E meno male che "il liberalismo ha vinto ovunque", come diceva quel tale (anche noi di Salon Voltaire, talvolta). Pensate se avesse perso. Dopo un presidente della Camera cattolico-liberale che fa il cattolico integralista, un presidente del Senato liberale popperiano che diventa il porte-parole del card. Ruini, l’ateo Ferrara che vuole il cristianesimo che mena botte da orbi, i liberali di Forza Italia tutti muti e sordi, ora abbiamo anche il ministro liberal-statalista-noglobal. Pace all’anima sua.
Proprio vero che i più pasticcioni stanno a Destra. E se è così, allora, onore delle armi a chi fin dall’inizio, da sempre, con coerenza indefettibile, ha avuto e dimostrato idee sbagliate. Ma sì, la Sinistra. E tra tanti amanti di contorsionismi, la tenacia virile nell’errore (al posto della mutevolezza femminea) non è forse una virtù? (Quintino Sella & Mosca)
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L'EVOLUZIONISMO APPRODA IN VATICANO
L’outing del cardinale: "Anch’io scimmia …"
Da tempo nella Curia se ne erano accorti, perché – si sa – il Vaticano è piccolo e la gente mormora. Ma le convenienze imponevano di ricoprire voci malevole e timori sotto il rituale involucro del rispetto formale. Ma sì, quel cardinale di Santa Romana Chiesa, quel Poupard, negli ultimi mesi non era più lui: tutto quel pelo fulvo che gli era cresciuto sulla faccia… "E almeno se la tagliasse" sbotta suor Edvige, la clarissa che gli prepara i pasti. "E se tanto mi dà tanto – le ha sussurato maliziosa all’orecchio una consorella giovane – chissà, Dio non voglia, come sarà diventato peloso sul resto del corpo…". "E tutti quegli strani versi, poi, quei grugniti animaleschi…" ha aggiunto l’autista. Be’, hanno notato in Curia, proprio una cosa riprovevole, certamente un’azione di Satana. Ed è proprio del Maligno provocare scandalo, ha chiosato un noto teologo esorcista. Ora, poi, che il cardinal Paul Poupard ha fatto addirittura "outing" rivelando in pubblico la propria orgine scimmiesca, la desolazione si è sparsa in Vaticano. "Lo dicevo io che i criteri di selezione del personale dirigente erano obsoleti" ha rimproverato tutti in tedesco (come fa sempre quando è nervoso) papa Ratzinger.
Ma che aveva detto di tanto sconveniente il buon Poupard? Che sì, è vero, la teoria dell’evoluzione di Darwin non è smentita dalla Chiesa, che l’uomo in conseguenza può benissimo essere derivato dalla scimmia, e che quindi sbagliano quei cattolici integralisti che si sono attestati come soldati nella difesa all’ultimo sangue del "creazionismo". Figuratevi voi lo scienziato iper-cattolico Sermonti e il frate-giornalista Socci, aggirati a sinistra dal cardinale "radicaloide", "illuminista" e "scientista". Cose da pazzi. Farebbe meno impressione un asino che vola. A proposito di asini: chissà come la prenderanno in certe scuole del profondo Sud degli Stati Uniti, dove questioni del genere vengono risolte dai fondamentalisti anti-scienza a suon di citazione in tribunale. Una fissazione americana, così, tanto per monetizzare anche le questioni di principio…
Ma poi, siamo sicuri che sia davvero blasfemo il cardinale, che è "ministro della cultura" in Vaticano? No. Semmai, come dire, revisionista critico, "gesuita" si diceva un tempo. Oppure è semplicemente un normale cardinale di buon senso, come tanti, che – immaginiamo – leggerà libri e giornali, frequenterà le biblioteche, andrà al cinema, parlerà con gli scienziati. Ha solo detto che la teoria dell'evoluzione di Darwin e la creazione del mondo secondo le Sacre scritture possono convivere tranquillamente. E ha criticato il "rigido creazionismo" di quegli esaltati che pretendono di leggere "alla lettera" la Bibbia "negando le acquisizioni della scienza". L’errore – ha aggiunto - è "prendere alla lettera e dare un contenuto scientifico a una parola che non aveva alcuna finalità scientifica". Anche monsignore Gianfranco Basti, direttore del Progetto Stoq - che coinvolgendo ricercatori, filosofi e teologi mira proprio a superare qualsiasi pregiudizio reciproco fra scienza e fede - attacca i fondamentalisti "che se la prendono con l'evoluzionismo, usando in maniera ideologica il concetto di creazione". Lo stesso Giovanni Paolo II aveva definito il principio dell'evoluzione "più che un'ipotesi". "Un'ipotesi può essere vera o falsa - ha spiegato Basti - e dire che è più di un'ipotesi vuol dire che a favore dell'evoluzione ormai ci sono delle prove che fanno tendere verso una teoria scientifica abbastanza consolidata. Ma da qui, dire che il principio di evoluzione è contro il principio di creazione non sta né in cielo né in terra: è proprio un'affermazione falsa". Insomma, sarebbe sempre Dio ad aver creato l’uomo, ma più intelligentemente attraverso l’evoluzione. "Tè capì?", ha commentato la segretaria Teresa al bar del Giuanin di Porta Vigentina. "Prendi sû e porta a casa". Insomma – è la Chiesa a dirlo – Socci non sta né in cielo né in terra. Così, il cardinale è tornato in pace alla sua residenza in Vaticano. E il pelo fulvo? Be’, suor Edvige, prima ha fatto la gaffe di telefonare allo zoo comunale, poi gli ha regalato un rasoio di sicurezza. (Alessandro Volt-Ampere)
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SEGRETARIO CHE VINCE NON SI CAMBIA
La mancata testa mozzata dei Radicali
Cadrà, non cadrà? Erano deluse le tricoteuses napoletane che sferruzzavano nervosamente sui palchi del Congresso di Riccione, venute per vedere dopo la defezione di Della Vedova e di Carmelo Palma almeno una testa mozzata rotolare nel cesto. Macché. "Capezzone non perde ‘a capa – bisbigliavano – chill’è nu bravo guaglione…". E sì, perché al Congresso di Riccione dei radicali, lama e ghigliottina sono rimaste in uno sgabuzzino, e il boia inoperoso è stato visto assentarsi "un attimino" al bar per rimorchiare la cassiera. Altro che esecuzione, un trionfo è stato.
Certo, chi come noi non ama troppo le assemblee, né le folle, e teme che nei momenti di passaggio queste possano far emergere uomini e soluzioni irrazionali (ricordate la Psycologie des foules di Le Bon?), ha apprezzato la misura e razionalità del popolo radicale di Riccione. E dire che alla vigilia qualche osservatore esterno temeva addirittura per la testa del bravo segretario Capezzone, ora che un nuovo vento palingenetico soffia in via di Torre Argentina. E, a proposito di testa, una testa calda – non si sa mai – avrebbe potuto per un mal riposto zelo neofita, far pagare come una "sbandata" neo-con la temporanea vicinanza del lucidissimo Daniele agli ambienti intellettuali liberal-conservatori Usa. Che, pochi lo sanno in Italia, sono spesso stati più liberali dei Democratici americani.
Così non è stato, per fortuna, anche per la chiarezza fraterna e dialettica del rapporto impostato tra radicali e socialisti, in cui ciascuno è andato al tavolo della trattativa ostentando e non nascondendo ciò che aveva di più caro e specifico. Perché proprio i valori liberali portati in dote dai radicali – segretario in testa – sono stati quella boccata d’aria individualista e occidentalista di cui c’è bisogno a Destra e ancor più a Sinistra, che ha aiutato i socialisti di Boselli a riscattarsi da una grigia conduzione e a prevenire il condizionamento clerico-statalista di Prodi e Rutelli, quello clerico-assistenzialista di Mastella, quello leaderistico dei Ds, e infine il populismo reazionario della piazza no-global dei rosso-verdi, da Bertinotti a Pecoraro.
Insomma, l’abilità dell’assemblea è stata quella di aver capito subito che, dopo una trattativa rischiosa durata tutta l’estate, il filo ininterrotto del nuovo percorso suggerito da Pannella (che Capezzone, dopo la perplessità iniziale ha interpretato con abilità e intelligenza), aveva lo stesso colore dell’ordito radicale che ben conosciamo. E soprattutto che le scelte maturate dopo il referendum, nell’emergenza finanziaria e organizzativa del partito ("Ormai siamo maturi per governare", era il leit-motiv più detto e pensato nella sala) sono sempre state ideate, confrontate, criticate e meditate concordemente da frequenti riunioni plenarie di dirigenti e iscritti. Una frequenza che altri partiti si sognano. E perciò, quale strappo? Politica dei diritti di libertà prima, politica dei diritti di libertà dopo. Davvero un segno di responsabilità e buonsenso questa paradossale continuità del congresso di Riccione, che la stampa ha invece definito, per fare titolo, il "Congresso della svolta". Restano i problemi finanziari: ci sono così pochi soldi che non vorremmo essere nei panni della tesoriera Rita Bernardini. Se continua così, altro che "La rosa nel pugno": sarà "La rosa nel Pegno". (Ernesto Martini & Rossi)
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RADICALI. UN PROGRAMMA RICCO
Sì ai nuovi diritti, no ai vecchi privilegi
Si sono ispirati al riformismo laico e liberale europeo e, seguendo il significato aperto della parola stessa "liberale", che è lontano da "reazionario", "conservatore" ma anche da "rivoluzionario", hanno chiesto riforme liberali. Discutibili, certo, ma non c’è dubbio che siano liberali. Come, ad esempio, il riconoscimento dei diritti – per esempio l’eredità o la reversibilità della pensione – delle coppie di fatto. Fateci caso: quanti amici conosciamo che al momento delle presentazioni dicono: "Ecco la mia compagna"? I pacs, se vogliono – solo se vogliono – sono per loro. E poi l’antiproibizionismo sulle droghe, che potrebbe ridurre le conseguenze gravi della criminalità legata all’infrazione della norma. Poi l’abolizione degli ordini professionali, assurdi privilegi di casta che bloccano il mercato e la modernizzazione, e penalizzano ormai quasi soltanto l’Italia
Ma i radicali si impegnano anche ad ottenere un provvedimento generale di amnistia. Questa, ci scusino i cugini radicali, è la cosa meno liberale del loro bel programma. Si offendono se noi insopportabili "liberali perfettini", come il grillo parlante di Pinocchio, giudichiamo di matrice culturale cattolico-socialista qualunque atto di "perdonismo" o buonismo che cancelli il rigore e equipari ingiustamente responsabilità individuali non confrontabili? Libertà, certo, ma anche continuità e certezza del diritto, e soprattutto giustizia: non è giusto equiparare chi ha fatto di tutto nella propria vita per non commettere reati con chi i reati li ha commessi. Poi, anche noi siamo d’accordo che i tossicomani non dovrebbero stare in galera, ma questa è un’altra cosa.
Un altro impegno tipicamente liberale dei radicali è il "superamento del Concordato tra Stato Vaticano e Repubblica italiana". Confermati gli organi dirigenti: Segretario Daniele Capezzone, Tesoriera Rita Bernardini, Presidente Luca Coscioni. Auguri Rita e Daniele da parte del Salon Voltaire. (Il padrino di duello di Felice Cavallotti)
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ATTIVISMO LAICO A DESTRA E A SINISTRA
Meno spazio per un nuovo partito liberale
I liberali, dispersi in mille rivoli e presenti in vari partiti, con tutta probabilità non ci saranno alle prossime elezioni politiche, a meno che qualche formazione raccogliticcia non si presenti all’ultimo minuto, e quindi con scarse possibilità di successo. Quel che è certo è che i politici liberali, immersi nel loro lungo sonno, sembrano aver perso l’occasione della Grande Rifondazione d’un soggetto liberale unico e indipendente, che potrebbe aspirare in teoria anche al 30 per cento dei voti. Da un momento all’altro, infatti, ci aspettiamo che un Piepoli o un Mannheimer tirino fuori dal cappello a cilindro un questionario di 100 domande su temi tipicamente liberali capace di rivelare l’esistenza – perfino in Italia – d’una grande formazione liberale e laica degna d’una maggioranza relativa.
Nelle ultime settimane, poi, si sono verificati due avvenimenti che giocano uno a favore e l’altro contro un’eventuale lista liberale. Berlusconi ha rimescolato il mazzo delle carte elettorali con una legge proporzionale, sia pure corretta. D’altro canto, i cugini Radicali hanno "sparigliato le carte" del mondo laico infilando loro uomini sia a Destra (Della Vedova, Taradash, Calderisi, Palma), sia a Sinistra (convergenza di Radicali italiani e socialisti dello Sdi), con un’azione non si sa se più preveggente o più avventurosa. E anche se il dispiegamento delle forze politiche è in piena evoluzione, non c’è dubbio che quest’inedita azione a tenaglia intesa a imporre con urgenza – grazie allo spauracchio delle "elezioni all’ultimo voto" – temi squisitamente laicisti e liberali sia alla Casa delle Libertà, sia all’Ulivo, toglie spazio ad un’eventuale nuova formazione liberale. (Mastro Olindo Malagodi)
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AGGREGAZIONI LIBERALI A SINISTRA
"Critica" e Federazione: patto di collaborazione
Dopo il connubio Radicali-Socialisti, i "pacs" o patti di convivenza tra partiti o movimenti sono all’ordine del giorno. Siamo più vicini di quanto il calendario non dica all’inizio della campagna elettorale per le elezioni politiche del maggio 2006. In vista di quella data, partiti e movimenti liberali cercando di organizzarsi e di riposizionarsi. La rivista Critica liberale si è data il compito di aggregare le sigle liberal-dmocratiche che osteggiano la Casa delle libertà e simpatizzano per la Sinistra. Un primo passo è stato raggiunto durante il Congresso della Federazione dei liberali, che si è tenuto a Firenze sabato 5 novembre. E’ stato sottoscritto tra Raffaello Morelli (Federazione dei liberali) e Enzo Marzo (Critica liberale) un accordo di collaborazione e di consultazione.
Lo scopo, hanno detto i due esponenti liberali, è quello di assicurare una riconoscibile presenza liberale nella politica italiana, oggi assente, che però abbia come punti di riferimento l’Internazionale Liberale e il Partito Europeo dei Liberali-Eldr. E qui la giusta stoccata, tra le righe, era nei confronti di Forza Italia, che dopo essersi definita "liberale" aderì non al Gruppo Liberale europeo, ma a quello Cristiano-Popolare. Con grande delusione dei liberali di FI, come Biondi, Martino, Sterpa e Costa, che allora cominciarono ad aprire gli occhi.
La presenza liberale, proseguono Morelli e Marzo, è essenziale alla costruzione di regole della convivenza che assumano la libertà dei cittadini quale perno della vita politica e civile in una società pluralista, multietnica e democraticamente conflittuale. Un obiettivo importante in vista delle elezioni politiche del 2006, che vedono i due gruppi liberali della Sinistra in posizione molto critica e polemica nei confronti del Centro-destra. "L’alleanza di governo, per le radici politico-culturali autoritarie, clericali, xenofobe o antieuropee di alcune sue componenti e per l’assenza di radici di altre, si è dimostrata ostile al liberalismo, e con esso del tutto incompatibile nella sua concreta pratica di governo". Anzi, continua la risoluzione, è in atto "un pernicioso processo di diseducazione civile" dal quale è urgente liberare l’Italia. Ma attenti, non è che a Sinistra siano rose e fiori. L’obiettivo di una presenza liberale nell’Ulivo non può limitarsi a sconfiggere la Destra, ma deve anche promuovere un’azione di governo attenta al metodo e alle scelte liberali. Per realizzare questi obiettivi a Firenze è stato costituito un Comitato con Franco Caramazza, Enzo Marzo, Raffaello Morelli, Pietro Paganini, Lucia Pignatelli e Eleonora Tantaro.
Conoscendo un poco gli statalisti Prodi, Mastella, Diliberto, Bertinotti, Pecoraro e gli altri, non sarà facile per i nostri amici liberali "esportare" il liberalismo a Sinistra, anzi potrebbe essere perfino più difficile dell’analoga azione che altri liberali stanno tentando a Destra. E perfino quei panzer dei Radicali hanno difficoltà. Ma, scusate l’integralismo ideale, gli schieramenti ci interessano fino a un certo punto. Ovunque dei liberali lottano per qualcosa – questa è la nostra filosofia – noi siamo con loro, e quindi di cuore inviamo i migliori auguri del Salon Voltaire. (Angelo Brofferio)
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DIRETTIVA BOLKESTEIN PER IL MERCATO
E la farmacista prese la valeriana…
Ha i capelli rossi, gambe lunghe e un fisico mozzafiato, eppure vede nero davanti a sé. Da quando è stata consegnata la Direttiva Bolkestein che dà indicazioni per rimuovere in Europa gli ostacoli alla concorrenza e alla libertà di mercato anche nelle professioni, la mia amica farmacista non ci dorme più la notte. La valeriana e i sedativi che prima vendeva alle clienti emotive, ora se li prescrive da sé ogni sera. Fatto sta che dopo troppi anni di lassismo, finalmente dall’Unione europea spira un vento liberista. Non crediamo ai nostri occhi. Sarà vero?
L’Europa chiede nuove regole e una maggiore libertà "effettiva" di mercato. Così sotto l’indice puntato della Ue vengono a trovarsi in prima fila i privilegiatissimi e corporativi professionisti italiani, i più protetti al mondo, ma anche una serie di attività economiche e commerciali, come per esempio i chioschi dei giornali e le farmacie. Solo in Italia, infatti, medicine, tabacchi e giornali devono essere venduti solo in appositi negozi a numero chiuso e a distanze prestabilite uno dall’altro. Le loro corporazioni, come quelle di notai, farmacisti, commercialisti, avvocati, ingegneri, architetti, infermieri, giornalisti, perfino tassisti, vigilano e denunciano gli "abusivi". In futuro gli abusivi, se dotati di titolo, saranno solo dei concorrenti. E i vantaggi per i clienti e gli utenti saranno molti. Così, con tutta probabilità aumenteranno anche gli affari. Eppure, con la tipica ottusità che pervade molti nei periodi di novità, molti professionisti e negozianti, perciò, si sono scoperti conservatori, schierati in difesa dell’esistente, del passato.
Ma per noi liberali, la vittoria non è certa. E’ significativo che Raffaele Sirica, presidente del Cup, il Comitato permanente degli Ordini e dei collegi professionali, non sia preoccupato. "So che il parlamento europeo - dice - intende escludere dalla direttiva Bolkestein gli ordini professionali. Anche vari esponenti di categorie (avvocati, ingegneri ecc) sono dell’idea che la "propria categoria" non c’entri con la Bolkestein. Ma allora a chi si applicherà?
Ma c'è anche – scrive il Corriere – chi sostiene la Bolkestein. Come Giuseppe Lupoi, presidente del coordinamento delle libere associazioni professionali e Alberto Mingardi, direttore del dipartimento Antitrust dell'Istituto Bruno Leoni. "E' fondamentale per la libera circolazione dei servizi - dice Lupoi - amplia le possibilità di lavoro. Il mercato diventerà unico e i professionisti italiani avranno la possibilità di fornire le proprie prestazioni in altre nazioni". "E' il tentativo più ambizioso - aggiunge Mingardi - di rendere possibile la concorrenza tra operatori e i vari ordinamenti, nell'interesse del consumatore. Purtroppo si tratta solo di una proposta ed è in atto una forte mobilitazione politica per attenuarne l'efficacia. A destra si teme vengano meno le prerogative nazionalistiche, a sinistra la direttiva viene vista come il più forte strumento della globalizzazione. Spero rimanga saldo il nucleo centrale della direttiva anche per dare una scossa liberista alla nostra riforma sulle professioni". (Lord Acton)
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MAESTRI CHE RACCONTANO FAVOLE
Ai bambini? L’arca di Noè
"Sul sussidiario di quarta elementare di mia figlia (nuovi programmi della riforma) la Genesi, con tanto di mela, serpente e arca con tutti gli animali compresi i dinosauri, gli yorkshire e i pidocchi, è fatta passare per storia e non per mito", lamenta giustamente una lettrice del Corriere, Antonella Basilico Spotti, di Borgo Val di Taro (Pr). E prosegue: "Chi inizierà la prima superiore nel 2007, all'esame di maturità potrà portare una tesi personale sulle difficoltà che ebbe Noè nel recuperare koala e giaguari da infilare nell'arca". Queste baggianate noi le abbiamo sopportate, e malamente, all’asilo dalle suore. Ma una ragazzina di 8 anni è troppo grande per le favole, per di più raccontate a tempo pieno dal personale insegnante pagato da tutti noi. E per le fiabe, poi, non c’erano le nonne? Ci ha colpito la preveggenza chic di Noè, che in mezzo al diluvio ha l’accortezza mondanamente corretta di scegliere razze alla moda e pregiate come lo "yorkshire", creato dagli inglesi nell’Ottocento. Siamo strabiliati: che ne sarà della prossima generazione? (La filippina in nero di Maria Montessori)
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ABBASSO HEGEL, EVVIVA L’INDIVIDUO
Il paradosso del medicante
Liberali e socialisti sono di moda in queste settimane. Merito del più famoso liberal-socialista "apparente" che si conosca: Pannella. Che in realtà è solo liberale, ma ha avuto sempre la furbizia, da guru della comunicazione, di condire linguaggio e pratica liberale di parole, tecniche e tic socialisti. Un mix vincente: la ragione e le idee liberali, più l’emotività, la passionalità, l’umanità, il cameratismo socialista. Ma sono proprio così vicini i due termini? Bepi Lamedica, di Veneto liberale, ci fa sopra qualche pensierino veloce che noi abbiamo preso come spunto per ulteriori fughe tra l’attualità, la teoria e il paradosso.
Cominciamo da Bobbio, per il quale il liberalismo è eterno. Se infatti, dice, lo consideriamo come la teoria e la pratica dei limiti del potere dello Stato, sarebbe molto difficile da eliminare. Perché? Ma perché ogni individuo istintivamente è interessato ad una libertà vista come semplice "non impedimento", insomma una mera possibilità. Questa libertà noi oggi la chiameremmo "libertà negativa", contrapposta alle infinite "libertà positive", le varie libertà di "fare" in concreto, insomma i diritti moderni. Lo Stato, dunque, come origine, fonte primaria dell’autorità. E Sartori ci ricorda che il socialismo, parola inventata dal Leroux, aveva in origine un significato anti-liberale: rivendicava la priorità dello Stato sull'individuo. Capìto Bobo Craxi?
Scherziamo. Però da questa premessa discenderebbe l'incompatibilità teorica e pratica tra liberalismo e socialismo. Con buona pace di Pannella e Boselli (ci va di celiare, ma mica tanto). Di qui la cattiveria di Croce – i liberali, si sa, non sono mai stati "simpatici", perfino quelli napoletani – che rispondendo a Calogero definì il liberal-socialismo come un "ircocervo", cioè un animale fantastico, impossibile, mai visto.
Invece, il rapporto più critico è oggi quello tra libertà e giustizia, un rapporto non definito una volta per tutte, ma che deve essere sperimentato volta per volta nella nostra vita. Ebbene, sembra che siamo ad una svolta, suggerisce Lamedica. Oggi, dopo un secolo "socialista", in cui la libertà individuale è stata compressa per soddisfare la giustizia (anche quella "sociale"), è ormai indispensabile rivendicare il primato della libertà dell’individuo, cioè del liberalismo sul socialismo. Ed è curioso, perché, prima del secolo socialista, il 900, c’era stato l’800 liberale. Corsi e ricorsi?
Ma quale liberalismo, poi? Quello "vero" delle origini, verrebbe da dire. E sì, perché tra le più diverse forme storiche del liberalismo, in Italia si sono spesso confusi i liberali con i conservatori e perfino con gli statalisti, magari moderati. In liberali come Valitutti e Bozzi, ad esempio, ricorreva spesso il termine "Stato" come aulico termine di riferimento, forse per rispetto a Hegel… Del resto è arcinoto l'insegnamento crociano secondo cui liberalismo e "liberismo" economico possono anche non essere congiunti. Ed è stranoto che Einaudi polemizzando con Croce va alle origini della "ideologia anglosassone", sostenendo che libertà economica e libertà politica sono sempre congiunte. Ma sì, lo statista di Dogliani si vendica. E’ come se rifacesse il verso al pensatore di Pescasseroli: "perché non possiamo non dirci liberisti". Non è un caso che la distinzione liberalismo-"liberismo" (per colpa o merito di Croce e Einaudi) è solo italiana: all’estero si parla di liberalismo anche in economia, giustamente.E anche se non ci fosse stata tutta la filosofia politica, noi liberali abbiamo visto con attenzione com’è finito il comunismo: non per la vittoria delle idee iperuranie di libertà, ma per merito del potere attrattivo della libertà di mercato, addirittura sbirciata in tv con occhi invidiosi, dall’altra parte della Cortina di ferro, come balorda ma propellente "società dei consumi" (Germania orientale, Polonia, Russia, Albania). Infatti, il grande Hayek, sottolinea Amartya Sen, ha rivitalizzato il concetto di liberalismo provando che la libertà economica è paradossalmente necessaria più alla libertà individuale – cioè allo "spirito" direbbe Croce – che alla prosperità materiale.
Per cui non è vero – ci viene in mente – che il liberalismo è adatto solo ai popoli ricchi, come pure pensano per pigrizia mentale certi liberali. Né che per goderlo appieno bisogna essere dei capitalisti, come credono cattolici, pauperisti no-global, terzomondisti (tra cui una mia amica giornalista brasiliana…), socialisti d.o.c. e comunisti. Anche un povero, anche un barbone, traggono vantaggi, non solo economici ma soprattutto di rispetto dei diritti individuali da un Paese retto a economia liberale. Anzi, se portiamo all’estremo il paradosso, un ricco starebbe bene ovunque. Il capitalista avrebbe ogni possibilità anche col fascismo o, se "capitalista di Stato", anche col comunismo (Urss, Cina). Ma un hippy, un indigente, come tutti gli individui deboli, irregolari, borderline, facilmente senza tutela in uno Stato autoritario, (pensiamo alle persecuzioni nazista e comunista degli zingari) stanno bene "solo" in un sistema liberale. Che poi è la ragione vera, statistica e demografica, per cui il liberalismo funziona davvero e ovunque: dà diritti e possibilità alle masse, alla gente qualunque, al semplice cittadino. Senza tanti proclami e paroloni, il liberalismo è molto più "popolare" del socialismo. Vogliamo chiamarlo il "paradosso del mendicante" nell’economia liberale? Bene, ma sia chiaro, il copyright è nostro.
Solo la Cina sembra contraddire per ora questo diagramma. Nella Storia è l’unico caso di liberalismo economico non ancora seguito dal liberalismo politico. Ma si tratta d’una evoluzione in atto in un Paese grande come un continente. Ne riparleremo quando si sarà conclusa. (Beniamino Constant)
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ASSURDE LE IMPOSTE SUGLI EDIFICI
Ma re Filippo di Spagna pagava l’Ici?
Niente tasse comunali sugli immobili alla Chiesa? Ma dovrebbe essere eliminata anche per tutti i cittadini, ci scrive con impeto da sanculotto il lettore Piero Mazza a commento dell'articolo del Salon Voltaire sui "Privilegi intollerabili secondo il liberalismo". "Sembrano veramente attuali le parole che lo sconsolato re Filippo, dopo il duro monito dell'Inquisitore che lo esorta a far fuori il suo migliore amico, pronuncia nel Don Carlos di Verdi: "Dunque il trono piegarsi dovrà sempre all'altare!". Qui in Italia passiamo dall'assurdo di un Primo Ministro che può essere ridicolizzato ogni cinque minuti – qualunque cosa dica o pensi – ai veri e propri "intoccabili". Tra questi il Presidente della Repubblica (mi riserverò in una futura lettera di elencare brevemente cosa non mi piace in Ciampi) e, soprattutto, il Papa. Ma, caro Silvio, in quattro anni di governo non dovevi limitarti a proporre di abolire l'Ici alle organizzazioni religiose per comprarti una cospicua fetta di elettorato, piuttosto dovevi impegnarti per abrogarla completamente!"
Caro amico, si figuri se noi liberali non siamo contro le tasse. E quelle comunali, poi, che spesso servono per pagare pessimi concerti di musica pop "gratuiti" e "Notti bianche" elettoralistiche (vedi il furbo Veltroni a Roma). Ma se vuole eliminare davvero l’Ici perché le case non sono un indicatore vero del reddito (ed è vero), sappia che i Comuni, anche ammesso che la rivoluzione "anti abolizione Ici" da loro scatenata non fosse vincente, dovrebbero ridurre drasticamente le spese su cui si fonda tutto il potere mafioso della classe politica locale. A cominciare dagli impiegati. Lo sopporteranno quei viziati e irrazionali italiani, per abitudine borbonica amanti degli impieghi comunali e statali? Ne parli con i suoi vicini di casa. (L'autista di Einaudi a Dogliani)
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VECCHIO SUD E NUOVI TRUCCHI
Offerte per terremoto? Ce le spartiamo noi
Per i tanti che al Sud si lamentano sempre dello Stato o del Nord, e mai, dico mai, di come il Sud si autogoverna. Perché si sa, non solo in Iraq, ma anche da Roma in giù (e ora purtroppo, perfino da Roma in sù), la colpa è sempre degli "altri".
L’Italia generosa e altruista aveva inondato di offerte sostanziose il paesino terremotato, mostrato pietra per pietra dalla cinica Tv. Così il sindaco di San Giuliano di Puglia (Campobasso) si è ritrovato con una somma imponente in mano. Che farne? Si è chiesto. Opere pubbliche anti-sisma? No, troppo pericolose: e se poi crollano di nuovo? Vado in galera, avrà pensato il furbo brav’uomo. Rafforzare le case esistenti nemmeno: tutti lavori che non si vedrebbero ad occhio, non "farebbero scena", non darebbero soddisfazione (politica, s’intende). Pensa che ti ripensa, che fare?
Ah ecco, perché non distribuirceli tra noi, così alla buona, tutti quei soldi? Ma in modo equo, per carità, ché se no chi li sente i giornali? Ma dopo averli distribuiti, ed erano tanti, persona per persona, compresi i lattanti e i centenari, si avvide che arrivavano sempre nuove somme. Dannazione, che jella. Qui i soldi sono troppi. Alla fine, un’idea folgorante: premiare con un’elargizione speciale anche i morti. Con regole precise, però: solo i defunti negli ultimi 3 anni. Naturale che questa manna caduta dal cielo sui cittadini di San Giuliano (pensate quanto hanno avuto le famiglie numerose…) abbia alimentato non i restauri edilizi, ma semmai l’acquisto di auto nuove, le cene luculliane e i viaggi all’estero. Qualcuno ha protestato, certo. "Provo mortificazione e disgusto per questa obbrobriosa decisione..." ha detto Carmela Ferrante, che nel terremoto ha perso la sua bambina. Perfino Bertolaso della la Protezione civile, andando oltre i suoi poteri, ha espresso riprovazione morale. Ebbene, avete per caso letto sui giornali che un sindaco del genere "è stato rimosso immediatamente dal Prefetto o dal Ministero dell’Interno"? Noi no. Del resto, che volete, ogni popolo elegge i sindaci, i governatori e i deputati che si merita. (Francesco Saverio Nitti)

Comments:
La ringrazio per Blog intiresny
 
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