30 gennaio, 2013

 

Populismo italiano ieri e oggi. Le inquietanti affinità tra berlusconismo e fascismo.

Sulla dichiarazione di Berlusconi, proprio in campagna elettorale, che anche il Fascismo avrebbe fatto “cose buone”, da intendere ovviamente come cose politiche, perché non è pensabile che volesse riferirsi alla corretta posa in opere delle fognature, riprendiamo dal sito Lib-Lab un articolo di Gim Cassano che fa il punto sulle analogie inquietanti esistenti tra i due personaggi (NV):

Premetto che in natura, prima ancora che in democrazia, non si può impedire neanche agli asini di ragliare, e che il cavalier Berlusconi è pienamente libero di interpretare la storia nella maniera più volgare e di dimostrare una cultura poco meno che dozzinale. Ciò detto, piuttosto che contestare la sua ennesima ed inaccettabile dichiarazione sulle cose buone del fascismo elencandone le vergogne, forse è invece cosa utile far notare quanto profonde siano le affinità tra berlusconismo e fascismo.

Iniziando dalle figure dei loro capi, credo inutile il ricordare quante espressioni, battute, dichiarazioni, comportamenti, dell’uno e dell’altro, ne dimostrino i tratti comuni: cinismo; sbrigativa superficialità e pressapochismo; capacità istrionica e di mentire spudoratamente; noncuranza e fastidio nei confronti di regole, leggi, controlli; protagonismo di facciata e petulante aspirazione ad esser visti tra i grandi della Terra; revanchismo e disprezzo nei confronti delle culture politiche che li precedettero: rispettivamente, quelle che costruirono e svilupparono lo Stato Unitario, e quelle che produssero la Costituzione. E, per completare, persino l’ossessione sessista ed il disprezzo nei confronti delle donne. Ancora, gli slogans mussoliniani che ottant’anni fa tappezzavano i muri d’Italia o venivano proclamati ai microfoni dell’EIAR sono singolarmente affini alle sbrigative espressioni comunicative dell’età berlusconiana: non negli strumenti, ovviamente, ma nei contenuti e nelle forme del messaggio.

Quel che è più significativo è come, nel primo e nel secondo ventennio, si sia affermata una cultura nazional-popolare che ha la sua premessa nella solleticazione populista di istinti ed interessi piuttosto che della ragione. In entrambi i casi, concezioni lontanissime da quella storia civile che ha avuto origine con il nostro illuminismo, e che ha portato allo Stato Unitario e liberale prima, ed alla Costituzione della Repubblica poi, interrompendone il percorso e cercando di soffocare quel poco di pensiero critico liberale, socialista, democratico che, sia pur largamente minoritario, ha sempre segnato le migliori espressioni della società italiana, ne ha prodotto la modernizzazione, e ha saputo far sì che, anche nei periodi peggiori, il nostro isolamento non fosse totale. Come si fa a quest’ultimo proposito a dimenticare l’opera di Spinelli, dei Rosselli, di Toscanini, dei combattenti italiani in Spagna, di Sforza, e di tanti altri, espressioni delle più diverse concezioni politiche?

In entrambi i Ventenni si è fatto leva sui caratteri di un ceto borghese che non è mai stato borghesia e non ha mai conosciuto Max Weber, opportunista, liberista o statalista a seconda delle convenienze, conformista, uso a concepire l’opportunismo per aver salva la “roba” e la confessione per aver salva l’anima (non si sa mai), tipico di un Paese che ha subito la Controriforma senza mai aver avuto la Riforma.

La concezione della società, lontanissima dal conflittualismo di una visione pienamente liberale e socialista, si è ispirata a concezioni organicistiche per le quali ognuno debba svolgere il suo ruolo ed ognuno debba stare al proprio posto, portando ad una società chiusa ed immobile: l’esatto opposto di quanto abbiamo letto in Popper. E difatti, l’apologo di Menenio Agrippa, pezzo forte delle scuole elementari dell’Italia fascista, precorre la concezione berlusconiana delle relazioni sociali.

La concezione dei diritti individuali, civili, sociali, risulta affine, così come l’uso strumentale, da parte dell’ateo Mussolini e del cinico Berlusconi, del moderatismo e del conservatorismo delle gerarchie vaticane. Persino la politica di immagine imperiale delle opere pubbliche fasciste precorre le “grandi opere” del cavaliere, ad iniziare dall’inutile ponte di Messina.

Nell’uno e nell’altro caso, queste impostazioni culturali, il velleitario delirio di potenza, il fastidio nei confronti delle demo-giudo-plutocrazie allora e dell’Europa oggi, hanno allontanato l’Italia dai Paesi a più matura civiltà democratica, inducendola ad avventurismi ed a più che equivoche frequentazioni in politica estera.

Nulla da stupirsi, quindi, se l’Italia berlusconiana, come quella fascista, sia stata vista da parte di quei Paesi ai quali noi dovremmo essere più vicini per tradizioni, storia, cultura, interessi politici ed economici, come un corpo estraneo potenzialmente pericoloso ed inaffidabile, e se Berlusconi, anche nei tratti personali, sia unanimemente ritenuto il peggior leader politico che l’Italia abbia mai espresso a partire dalla fine della seconda guerra mondiale.

E noi, adesso, non dobbiamo affatto stupirci del fatto che, nel corso della commemorazione della Shoah, il cavaliere abbia platealmente manifestato il suo disinteresse con il sonno, ed abbia successivamente parlato di “cose buone del fascismo”: ovviamente, secondo il suo punto di vista, che non è certo quello dell’Europa democratica e civile.
GIM CASSANO


24 gennaio, 2013

 

Nathan. Quel grande sindaco ebreo e inglese che fece le cose più belle e utili della Roma moderna.

COSTRUI' TANTE SCUOLE, MA NON FECE SCUOLA. Un anno prima dello scoppio della Grande Guerra in Europa, nel 1913, il sindaco di Roma, Ernesto Nathan, terminava i sei anni del suo mandato. Era quello il periodo più felice, liberale, laico ed europeo che Roma moderna abbia mai avuto, come ci si renderà conto in seguito.
      Inglese, ebreo, liberale, mazziniano, massone, anticlericale: sei diversità rispetto allo stereotipo del romano medio che ne hanno fatto un personaggio unico nella storia di roma e dell'Italia. Una bella meteora.
      E anche personalità ricca, multiforme, sfaccettata: idealista al limite dell'utopia, ma anche concreto, pragmatico e amante delle scienze. Modernista e progressista, ma cultore della eterna bellezza, delle arti e delle antichità. Risparmiatore all’osso, ma non ottuso: fu investitore previdente nei servizi, nell’energia, nei trasporti pubblici, soprattutto nelle scuole (raddoppiate in soli cinque anni) e negli asili comunali (154 nel 1911; oggi sono appena il doppio). «Fino a quando un solo scolaro, entro la nostra cerchia amministrativa, non può ricevere istruzione e educazione civile in ambiente sano e consono, le considerazioni del bilancio finanziario devono cedere il passo alle imperative esigenze del bilancio morale e intellettuale». Il suo liberalismo sociale e umanitario, attento contemporaneamente ai bilanci e alle finalità ideali, oggi sarebbe attualissimo. Insomma, tutto, letteralmente tutto quel che di nuovo, bello e moderno possiede la Capitale d’Italia nell prima metà del Novecento, è iniziato da lui o si deve direttamente alla sua iniziativa.
      Il disegno liberale illuminato e sociale di Nathan, però, non ebbe affatto vita facile, e contò parecchi avversari dentro e fuori della Giunta. Questa era composta da 7 liberali, 3 socialisti, 2 repubblicani e 2 radicali, ed era espressione dell’Unione Liberale Popolare (detta “Blocco del Popolo” dalla sua componente di Sinistra), coalizione che aveva vinto le elezioni capitoline del 1907 raccogliendo gli esponenti più illuminati della borghesia romana del tempo, non legati alla retriva proprietà terriera (Roma pontificia) e alla speculazione edilizia (Roma post-unitaria), ma più inclini alla modernizzazione industriale e sociale della città. La Giunta Nathan cercò così di perseguire le coraggiose finalità economiche del Comune (sorsero allora le Aziende Municipalizzate) e i numerosi interventi di solidarietà sociale, senza penalizzare la concorrenza e l’iniziativa dei privati. Era il primo esperimento del genere in Italia, e tra i primi in Europa. Mettere d’accordo partiti e volontà così variegate non fu facile per Nathan, in questo validamente aiutato dall’assessore ai Servizi Tecnologici, il socialista riformista Giovanni Montemartini, artefice di due opere grandiose, come la razionalizzazione – dopo aver eliminato monopoli e oligopoli esistenti – del trasporto pubblico (creazione dell’azienda municipale Atm) e della distribuzione dell’elettricità (Aem). Ma lo scontro tra la componente più di Sinistra che voleva interventi di vera e propria economia socialista e quella liberale portò alle dimissioni di diversi assessori e alla fine della Giunta Nathan nel 1913.
      Su Nathan si legga anche, sempre su Salon Voltaire, un altro mio articolo che introduce un mio articolo sull'Astrolabio, ancora attualissimo, specie per i romani ("Nathan non ha fatto scuola?"), in occasione d'un Convegno e d'un libro della Macioti sul grande e indimenticato Sindaco
      Un bel documentario di 56 minuti su Nathan, la sua vita, la sua famiglia, le sue idee, le sue opere, l’ambiente sociale e politico nel quale si trovò a operare, è stato realizzato dalla RAI.
      Un uomo così, davvero unico nel panorama politico e amministrativo italiano, avrebbe meritato di essere per dieci anni il “sindaco d’Italia”, cioè Presidente del Consiglio. E invece, fu una meteora, e avemmo sùbito dopo di lui – a causa del famigerato “Patto Gentiloni” tra liberali e cattolici – il  principe Colonna, della più antica e illiberale nobiltà papalina, e di nuovo gli speculatori al potere. E così la Chiesa cattolica rialzò la testa facendo ripiombare di nuovo l’Italia nel letargo secolare, nell’ipocrisia, nel privilegio, nella corruzione, nell’arretratezza economica e morale.
      Un grande uomo, un grandissimo amministratore, un forte personaggio politico che per noi resta un vero simbolo insieme di rettitudine, idealismo, libertà, giustizia e attivismo pratico. E il “fare” di Nathan, sempre sorretto dal “pensare”, cioè da un idealismo razionale, insieme liberale e sociale, è proprio quello che servirebbe oggi per Roma e per tutta l’Italia. Insomma, “aridatece Nathan” [dateci di nuovo un Nathan].
      Riprendiamo perciò molto volentieri la dettagliata monografia della prof. Maria Mantello da MicroMega. NICO VALERIO


GIUSTIZIA, LIBERTÀ E LAICITÀ:
LA LEZIONE DI ERNESTO NATHAN
Ernesto Nathan costituisce un esempio straordinario nel panorama politico italiano per il suo rigore morale, improntato ad una profonda concezione laica dello Stato. Negli anni in cui è stato Sindaco di Roma (dal 1907 al 1913), ha posto a fulcro del suo programma politico l’emancipazione dell’individuo e della società, scontrandosi con i centri affaristici di potere e realizzando una rivoluzione progressista: dalla scuola alla sanità, dall’edilizia alla municipalizzazione delle fonti energetiche, dal trasporto pubblico ai beni culturali. E tanto altro ancora. Per Ernesto Nathan lo sviluppo dell’individuo nella libertà e nella giustizia è il fine. La pubblica amministrazione è il mezzo per perseguirlo e realizzarlo. In coerenza con queste prospettive, egli ha costruito e sviluppato la sua rigorosa azione politica, rivolgendo l’attenzione soprattutto a quei gruppi sociali da sempre soggiogati dall’ignoranza e dalla miseria. Bisognava liberare le menti da dogmi e superstizioni educandole a pensare con la propria testa. Bisognava abituare all’esercizio dell’autonomia morale e alla gestione della libertà di scelta. Bisognava educare, insomma, all’etica laica della responsabilità, dove l’azione ha valore in se stessa e per le conseguenze individuali e sociali che implica.

Le basi della sua etica laica
Ebraismo, mazzinianesimo e massoneria, sono le tre nobili componenti intellettuali che interagiscono nella sua formazione e nel suo impegno politico. Egli nasce a Londra il 5 ottobre 1845. I genitori, Sara Levi e Meyer Moses, sono entrambi ebrei. E dall’ebraismo apprende, fin da bambino, il dovere dell’impegno individuale a “costruire il paradiso sulla terra”. A Londra, la famiglia Nathan diviene ben presto il punto di riferimento per tanti esuli politici italiani. Primo fra tutti, Giuseppe Mazzini. Nathan, come noto, fino agli ultimi anni della sua vita, si è dedicato a raccogliere e diffondere gli scritti di Mazzini. Il pensiero del Maestro egli lo aveva “respirato” già in famiglia; ma lo studio e l’approfondimento sistematico avviene particolarmente quando, nel 1871, è lo stesso Mazzini ad inviarlo a Roma perché curi la “Roma del popolo”. E’ in questa occasione che Nathan si trova anche a “correggere”, per esigenze editoriali, gli articoli che Mazzini gli inviava da Londra.
“La riforma intuita e voluta da Mazzini – scrive Nathan in questi anni – investe tutta la sostanza della vita individuale, nazionale, umana; …Egli volle bandire una nuova fede, una religione civile che fosse norma di vita ai popoli; e nella nuova credenza, illuminata da coscienza e scienza, fondere il presente con l’avvenire”.
      Il valore ebraico dell’impegno personale a migliorare se stessi e la società, si coniuga con gli ideali mazziniani in una formidabile mediazione dialettica tra conoscenza ed etica. Quando, nel 1872 l’Apostolo muore, Ernesto ottiene, che accanto alla sottoscrizione fortemente voluta da Campanella, Quadrio e Saffi per edificare monumenti, se ne promuova anche un’altra (per altro generosamente finanziata dalla famiglia Nathan) perché “si sparga l’istruzione tra il popolo”. La madre, Sarina, fonda a Trastevere la scuola elementare “Giuseppe Mazzini”, trasformata nei primi del ‘900 in scuola professionale femminile, dove lo stesso Ernesto terrà lezioni.
      Promuovere l’educazione per l’emancipazione dell’individuo è un dovere, perché vi possa accedere soprattutto per chi ne era maggiormente escluso, come appunto le donne, per le quali Nathan voleva la parità di diritti. Fatto straordinario in tempi in cui l’unico diritto pubblicamente riconosciuto alle donne era quello di stare zitte e di fare figli. La consapevolezza di migliorare se stessi e la società trova ulteriore linfa nell’incontro con la Massoneria, che aveva prodotto i grandi ideali di “libertà”, “uguaglianza”, “fratellanza”, base della rivoluzione americana e di quella francese. Nell’800, quegli ideali chiamano alla realizzazione di Nazioni libere sempre più improntate alla democrazia e alla giustizia sociale. La Massoneria rappresenta, allora, il naturale punto di riferimento progressista del Risorgimento contro i potentati della “sacramentata” alleanza trono-altare.
      Pertanto, la Chiesa cattolica, quando dovrà fare i conti con l’irreversibile perdita del suo potere temporale, addita la Massoneria come la responsabile massima della sua crisi, dichiarandosi vittima delle trame giudaico-massoniche, che affermano le “aberranti” idee del socialismo e propugnano la libertà di pensiero contro i dogmi cattolici. E’ particolarmente Civiltà Cattolica, la rivista dei Gesuiti, a gridare al complotto definendo la Massoneria: “Sinagoga di Satana”. Mi limito a citare, a mo’ di esempio, due passi tratti dalla Civiltà Cattolica del 1880 e del 1881:
      “(…)la gran setta massonica, che è la Chiesa di Satana, nell’unico intento di esterminare dalla faccia della terra il regno di Dio (…) gli artifizi che usa per far proseliti e dilatare il suo spirito dappertutto (…) comprovano che la immensa congiura dei nostri tempi, contro Dio e il suo Cristo, è suggerita promossa e aiutata da una forza superiore all’umana, la quale non può essere altra che la diabolica (1880, serie XI, vol. III, p.145) ”;
      “Ed è, per fermo cosa portentosa e del tutto satanica, che l’odio anticristiano degli apostati cristiani si sia rassegnato a rendersi schiavo degli ebrei nella Massoneria ed in tutte le sette massoniche apparentemente politiche e in sostanza non altro che anticristiane, per riuscire così, in ultima analisi, a servire al Ghetto piuttosto che a Cristo” (1881, serie XI, vol.VI, p.482).
      Ernesto Nathan entra a far parte della Massoneria nel 1887. Dal 1896 al 1903 e dal 1917 al 1919 ricoprirà anche il ruolo di Gran Maestro. L’incontro con la Massoneria è per lui la sintesi di quell’educazione alla fratellanza universale, appresa dalla cultura ebraica ed alimentatisi nell’insegnamento mazziniano. “La Massoneria – dice Nathan – il 21 aprile 1901 all’inaugurazione di palazzo Giustiniani – …vive e fiorisce per essersi di volta in volta tuffata nell’acqua lustrale del progresso, assimilando ogni nuova fase di civiltà, il più delle volte divenendone banditrice… Siamo noi, che in nome di quel principio di fratellanza, abbiamo iniziato, spinto innanzi il movimento per la pace e l’arbitrato… Siamo il germe dei vagheggiati Stati Uniti d’Europa.”

Il bene dell’individuo e la funzione pubblica della politica
Nell’Italia di fine ottocento, dove nel 1898 il generale Bava Beccaris faceva sparare colpi di cannone sull’inerme popolazione milanese che chiedeva pane, Ernesto Nathan ricerca l’unità delle forze progressiste liberali (liberali progressisti, radicali, repubblicani) per realizzare le riforme sociali.
      Nel 1888 ha ottenuto la cittadinanza italiana, pertanto può candidarsi alle elezioni. Sceglie Pesaro, città natale della madre. Dal 1889 al 1894, ricopre la carica di consigliere comunale, non stancandosi mai di denunciare la scarsa attenzione delle istituzioni al sociale. Amministratore attento e scrupoloso, Nathan studia la situazione della città. E denuncia il nesso esistente tra malattia, emarginazione sociale, miseria. Rileva, ad esempio, che i ricoverati all’ospedale S. Benedetto sono contadini che la pellagra aveva portato alla demenza. A Pesaro, come poi a Roma, si batte per promuovere l’istruzione, la sanità, l’edilizia popolare; per ridurre la giornata lavorativa ad otto ore; per calmierare il prezzo del pane mediante l’istituzione di spacci comunali.
      Dal 1895 è consigliere al Comune di Roma: denuncia le cause economico-sociali che portano tante povere donne a prostituirsi; vuole la bonifica dell’agro romano per eliminare la malaria; lancia i suoi strali contro la speculazione edilizia e contro lo strapotere del Vaticano nel tenere imbrigliate le coscienze.
Dal 1907 e il 1913, finalmente, è Sindaco della Capitale. L’Unione liberale popolare (il famoso Blocco) formata da radicali, repubblicani e socialisti ha vinto le elezioni. I cattolici non hanno partecipato alla competizione elettorale, perché il “non expedit” del papa vietava loro l’accesso alle cariche istituzionali nel giovane Stato italiano, che aveva decretato la fine del potere temporale della Chiesa romana.
Nathan fa tremare il mondo affaristico clerico-nobiliare, che lucra grazie all’intreccio tra capitale finanziario e patrimonio fondiario, nell’immobilismo di una Roma della Rendita, dove le masse popolari sono tenute nell’alfabetismo e nella miseria. “Civiltà Cattolica” lancia i suoi anatemi contro il Sindaco che scandalizzata definisce straniero, ebreo, repubblicano e massone: “è il primo sindaco non romano dopo 37 anni, quanti ne sono corsi dal 1870, anzi nemmeno italiano, perchè di origine inglese, nativo di Londra. In ogni caso repubblicano, israelita, massone. La sua presenza a capo del comune romano è misura del livello a cui siamo discesi”. Quello “straniero” che aveva abitato a Londra, a Parigi, a Lugano, era forse troppo scomodo per rettitudine morale e visione europeista.
      Nel suo discorso programmatico del 2 dicembre 1907, all’atto dell’insediamento nella sua carica di Sindaco in Campidoglio, Ernesto Nathan diceva: “Guardiamo all’avvenire…a una grande Metropoli ove scienza e coscienza indirizzino… rinnovate attività artistiche, industriali, commerciali… perché guardiamo attraverso la breccia di Porta Pia.” Il crollo del muro del totalitarismo teocratico cattolico, che la Breccia di Porta Pia rappresentava, era dunque indicato con chiarezza da Nathan come la strada maestra per lo sviluppo scientifico, economico e sociale dell’umanità intera. Il 20 settembre era festività nazionale, e tale rimase fino a quando Mussolini non la soppresse. Nathan, ogni 20 settembre, non mancava di sottolineare l’importanza dell’evento storico, con chiarezza e coraggio:  “… per la breccia di Porta Pia, entrò nella città eterna il pensiero civile ed umano, la libertà di coscienza, abbattendo per sempre, muraglia di una Bastiglia morale, il potere temporale dei papi… Quella data… da nazionale diviene, nel suo alto significato filosofico, universale, e come tale la festa del popolo per i popoli”.

I principali interventi della Giunta Nathan: la scuola
“Le considerazioni di bilancio finanziario devono cedere il passo alle imperative esigenze del bilancio morale ed intellettuale. Le scuole devono moltiplicarsi, allargarsi, migliorarsi; rapidamente, energicamente, insieme col personale scolastico”, aveva detto Nathan nel suo discorso programmatico. E lo mantenne. Nell’agro romano le scuole rurali, che nel 1907 erano 27, nel 1911 divengono 46 e il numero degli alunni da 1183 passa a 1743. Le scuole urbane hanno un incremento di ben sedici edifici, e gli alunni, che nel 1907 erano 35.963, nel 1912 sono divenuti 42.925. Le scuole statali, come sosteneva il coraggioso sindaco, hanno il compito: “d’insegnare per sviluppare l’intelletto, d’educare per sviluppare il cuore, addestrando all’esercizio della virtù quale dovere civile. Quindi insegnamento laico fondato su educazione morale”.  Nathan si avvale di pedagogisti, medici, scienziati, specialisti nella cura della malaria (imperversava nell’agro romano). Alcuni nomi: Maria Montessori, Sibilla Aleramo, Carlo Segrè, Giovanni Cena, Alessandro Marcucci, Alessandro Postempski, Angelo Lolli.
      La giunta Nathan eroga fondi perché le scuole elementari siano dotate di refezione, di piccole biblioteche, di essenziali laboratori scientifici, di cinematografo…; ma assolvano anche al fondamentale servizio di medicina preventiva. Nei quartieri popolari, come ad esempio Testaccio e S. Lorenzo, sono costituite le sezioni estive, per sostenere i più deboli nell’apprendimento. L’impegno di Nathan nella creazione di scuole pubbliche si allarga finanche agli asili: nascono i “giardini d’infanzia” comunali in Via Appia Nuova, Via Galvani, Via Regina Margherita, Via Novara; al Portico d’Ottavia e a Borgo S. Spirito. E le loro sezioni si triplicano: nel 1907 sono 50, nel 1911 ben 154.
“Più scuole e meno chiese” - ripeteva Nathan - che a conclusione del suo mandato poteva affermare con orgoglio: “Là dove in passato necessitava ricorrere alle scuole confessionali, oggi il Comune ha reso la deleteria loro opera inutile”.

I servizi pubblici
“Sottrarre i pubblici servizi dal monopolio privato; renderli soggetti alla sorveglianza, alla revisione, all’approvazione del Consiglio…preparare la via al più assoluto controllo che la cittadinanza deve acquisire su quei gelosi elementi primordiali di ogni civiltà urbana”. Così si era espresso Ernesto Nathan nel discorso programmatico del 2 dicembre 1907. Pensava alla municipalizzazione di luce, gas, acqua; pensava alla realizzazione di linee tranviarie pubbliche. Vale appena ricordare, ad esempio, che prima di Nathan, l’acqua Marcia era un fondo del Vaticano, che proprio in quegli anni stava cercando di accaparrarsi anche il controllo dell’acqua Vergine.
      Acqua, luce, gas, linee di trasporto sono beni di tutti, quindi solo un organismo statale, come il Comune, può gestirli in nome dell’interesse collettivo. E Nathan chiama la cittadinanza a scegliere tra gestione privata e gestione pubblica. Una giunta popolare può reggersi solo sull’appoggio popolare, era solito affermare il Sindaco, che per la prima volta in Italia, il 20 settembre 1909, in concomitanza della ricorrenza di Porta Pia, chiama i romani a votare. Dei 44.595 aventi diritto, si recano alle urne in 21.460. I contrari alla gestione comunale dei servizi sono poco più di trecento. Nascono così l’Azienda elettrica municipale (AEM) e L’Azienda Autonoma Tranvie Municipali. Le zone del Centro, del Salario, di Porta Pia, di Santa Croce in Gerusalemme e di San Giovanni, sono attraversate da ben 200 tram. Per tutto questo fondamentale è l’apporto professionale dell’ingegner Giovanni Montemartini, che dirigeva l’Ufficio Servizi Tecnologici. Tra i servizi urbani, “gelosi elementi primordiali di ogni civiltà”, come Nathan li aveva definitivi, rientrano la centrale del latte, il mattatoio, l’acquario, i mercati e i magazzini generali. Le nuove strutture garantiscono igiene alimentare, ma anche risparmio economico, come ricordava Giggi Pea in una sua canzone popolare a proposito del mercato del pesce (*).
      Ma occorre cibo anche per la mente. Così, oltre alle scuole, Nathan si impegna a sviluppare i beni museali per la cittadinanza. Nel discorso tenuto in occasione dell’Esposizione internazionale del 1911, voluta per il 50° anniversario di Roma capitale (il palazzo delle Esposizioni a via Nazionale a Roma ne è ancora la tangibile testimonianza), è il Sindaco stesso a ricordare questi interventi culturali: Castel S. Angelo, trasformato da fortezza papalina in “museo di ricordi d’arte medievale per insegnamento ed affinamento dei cittadini”; le Terme di Diocleziano “ridotte a fienili, magazzini e sconci abituri. Ora si circonda di giardini e ritorna in vita (…) impareggiabile Museo Nazionale”; il palazzo di Valle Giulia, “acquistato dal Comune perché divenga Galleria d’arte contemporanea”.

La salute e la casa
“Molto è da fare per perfezionare l’assistenza sanitaria, coordinarla ad una rigorosa osservanza dei precetti igienici contemplati dalla scienza (…) adoperarsi affinché tanto nella città, come fuori dalle mura, sia provveduto alla pronta assistenza, sia prevenuta dall’igiene la terapeutica. Né in questo doveroso ufficio di umana civiltà (…) anteporre interessi e lucri”. Ecco cosa aveva affermato il 2 dicembre 1907 nel suo discorso programmatico. Obbiettivo prioritario sono i quartieri poveri e le borgate. L’agro romano, con i suoi rifugi malsani, desta le maggiori preoccupazioni. “Vivono in capanne senza pavimento – aveva scritto Sibilla Aleramo – sembrano anche loro di fango… attoniti bimbi e vecchi”. Bisogna dettare quindi norme igieniche di abitabilità (decreto 25 giugno 1908) perché non sia più possibile che i latifondisti continuino a destinare porticati, grotte, capanne con tetti fatti con paglia o con foglie di granturco ad uso abitativo per contadini e braccianti.
      Nell’agro romano nascono case cantoniere e presidi medici che forniscono assistenza gratuita. Nella città sono istituite pubbliche guardie ostetriche, presidi per l’assistenza sanitaria e la profilassi delle malattie infettive. La salute con Nathan non è più cosa per i ricchi o assistenza caritatevole, ma un pubblico dovere. L’Assessore alla Sanità era il dott. Achille Ballori, primario dell’ospedale Santo Spirito.
Abbiamo lasciati per ultimi gli interventi edilizi, perché proprio su questi la giunta Nathan dovette combattere la più dura battaglia. Il Sindaco fu anche minacciato fisicamente. “Hanno tentato di tutto” – affermerà Nathan alla fine del suo mandato – “ma una cosa non hanno mai osato: offrirmi denaro”. A Roma prima di Nathan il sommario piano regolatore del 1883, era continuamente eluso dalle “convenzioni fuori piano”. Così, la già ricca proprietà fondiaria continuava a fare affari d’oro. “Bisogna promuovere, organizzare, integrare le diverse iniziative” – aveva detto Nathan nel suo discordo programmatico – “né potremo plaudire ad un piano regolatore che raddoppia l’estensione della città senza esattezza di tracciato e senza la scorta indispensabile dei provvedimenti atti a salvare il vastissimo demanio fabbricabile dalle sapienti astuzie dell’aggiotaggio edilizio”.
      L’Ufficio edilizio è diretto personalmente dal Sindaco, che può contare sulla professionalità dell’architetto Sanjust di Teulada. E’ questi l’autore del nuovo piano regolatore cittadino del 10 febbraio 1909, improntato alla varietà edilizia (fabbricati, villini, aree di verde pubblico). I fabbricati non possono superare i 24 metri d’altezza; i villini, costituiti da un pianterreno con giardinetto, non possono superare i due piani.
      Ma è la Rendita fondiaria che Nathan colpisce: impone tasse sulle aree fabbricabili e procede agli espropri, applicando quanto il governo Giolitti aveva già stabilito a livello statale. Nathan aveva anche ottenuto grazie a quello che va sotto il nome di seconda legge Giolitti in materia (legge n°502, 11 luglio 1907), che la città di Roma elevi la tassa sulle aree fabbricabili dall’1 % al 3%. La coraggiosa Giunta Nathan prevede che il valore di ogni area sia stabilito dallo stesso proprietario, che pagherà l’imposta su quanto dichiarato, e su questa base verrà risarcito in caso di esproprio da parte del Comune. Una norma chiara e onesta. Ma la rivolta dei proprietari terrieri non si fa attendere: uniscono le loro forze fondando l’Associazione dei proprietari delle aree fabbricabili, risultante dall’unione della Società italiana per le imprese fondiarie, del Vaticano, con la Società gianicolense, della famiglia Medici del Vascello, proprietaria di ben 142.000 mq. di terreno edificabile. Ma, nonostante la virulenta opposizione dei potentati della rendita, che intanto hanno avviato contro il Comune una miriade di ricorsi contro gli espropri, la giunta Nathan avvia il primo piano di edilizia economica e popolare. Case igieniche e dignitose con cortile e giardinetto interno sorgono a S. Giovanni, a Porta Metronia, a Testaccio, ma anche nelle campagne dell’Agro romano.
      Dopo Nathan, tutto tornerà come prima. Decaduto il Non expedit del papa, grazie all’accordo in funzione antisocialista di Giolitti con Ottorino Gentiloni (Patto Gentiloni del 1913), i cattolici sono eletti nelle liste dei Liberali. In nome della nuova alleanza tra liberali e cattolici, si consuma anche il sacrificio politico del nostro Sindaco. A Roma, il 14 giugno 1914, la cattolica “Unione romana” vince. Il principe Prospero Colonna, esponente di spicco della rendita immobiliare romana, subentra a Nathan. La tassa sulle aree fabbricabili, coraggiosamente applicata da Nathan, sarà progressivamente ridotta fino alla sua definitiva abolizione con Mussolini (regio decreto n° 2538, 18 novembre 1923). Nel 1915, la Società italiana per le Imprese fondiarie del Vaticano giunge a possedere azioni per quasi due milioni di valore nominale. E tra il 1918 e il 1919, amplia straordinariamente il suo giro d’affari attraverso la Società Immobiliare. Proprio quella che, negli anni ’60, è divenuta tristemente famosa per la selvaggia speculazione edilizia della Capitale: il “Sacco di Roma”. Grazie a deroghe, variabili ed abusivismo, da sanare di volta in volta con la provvidenziale pratica del “condono”, usata ed abusata fino ai giorni nostri in tutta Italia. MARIA MANTELLO

IMMAGINE. Ernesto Nathan con la moglie Virginia in una rara fotografia.

(*)“Er mercato der pesce è ‘na risorsa,  questi so’ fatti, mica so’ parole…/ …si ne voi ‘na prova/ ar sinnico tu chiedi un baccalà/ nemmeno vorta l’occhi e te lo trova/ e nun lo paghi manco la metà”.

AGGIORNATO IL 27 MAGGIO 2016

09 gennaio, 2013

 

Destra italiana: unisce di nuovo cani e porci. La politica ridotta a mera tecnica elettorale.

La rinnovata alleanza tra il Popolo della libertà e la Lega Nord rilancia entrambi i partiti, altrimenti destinati ad un sicuro disastro elettorale.

La Lega Nord punta a governare la Regione Lombardia e rinverdisce la propria mitologia: il 75 % del gettito delle entrate deve restare nel territorio (mentre l'onere del debito pubblico a chi va?); il governo leghista di Veneto, Lombardia e Piemonte renderà possibile una nuova macroregione del Nord, destinata a brillanti prestazioni anche nel contesto dell'Unione Europea, mentre i restanti Italiani si arrangino. La Padania si è un po' ristretta, ma la sostanza non cambia.

L'alleanza è ancora più importante per il PdL, restituito al protagonismo berlusconiano. Qui siamo ad un completo cambio di strategia rispetto al passato. Il Popolo della libertà fu concepito come partito unico del centrodestra. Nacque per assorbire ogni altra formazione politica della medesima area: dai repubblicani di Nucara a Dini, da Alleanza nazionale a Giovanardi e Rotondi.

Un sano realismo impone ora la rinunzia all'ambizione di essere il partito di maggioranza relativa (quello più votato). Al momento, primo partito è saldamente il Partito Democratico e c'è poco da fare.

La nuova strategia si chiama: "offerta politica plurale"; che è qualcosa di molto di più di un semplice "spacchettamento".

Il Popolo della libertà cambia, dunque, schema di gioco. La legge elettorale vigente si basa sulle coalizioni elettorali? Allora ciò che conta è allestire una coalizione quanto più ampia possibile. Ciò significa che va concesso il vincolo di coalizione a tutti i soggetti politici potenzialmente capaci di ottenere voti. Purché i voti si prendano, importa relativamente poco chi li raccolga e in base a quali suggestioni. Tanto più che, con riferimento all'elezione del Senato, la medesima legge elettorale vigente fa sì che ogni Regione faccia storia a sé: quindi, in Regioni diverse, è possibile coalizzarsi con partiti che nella stessa area territoriale si farebbero la guerra perché portatori di interessi contrapposti. Valga in proposito l'esempio della Lega Nord da un lato e del Grande Sud dall'altro.

La concezione della coalizione plurale consente anche di risolvere una serie di problemi interni. Ci sono dei politici di un certo rilievo che hanno fatto la fronda, perché mal sopportavano l'eccessivo accentramento decisionale? Che magari si sono ostinati a chiedere le elezioni primarie? Invece di risolvere siffatte questioni con i vecchi metodi delle espulsioni, o delle scissioni, basta fare confluire i rompiscatole in un partito nuovo di zecca, ma pur sempre coalizzato. Così i voti non vanno persi, loro si illudono di essere diventati protagonisti ed anche nel PdL si sta un po' più tranquilli.

Altro problema è quello delle candidature problematiche, quando un parlamentare dovrebbe andare in pensione per età, eccesso di numero di mandati, profili di inopportunità connessi a disavventure giudiziarie il cui iter non si è ancora definitivamente concluso. Anche in questo caso, invece di procedere a dolorose rinunce, si possono creare le condizioni affinché altre liste coalizzate si facciano carico dei casi difficili.

Ancora non sappiamo da quante liste sarà complessivamente composta la coalizione di centrodestra. Probabilmente non saranno meno di sette, delle quali almeno due specificamente attrezzate per raccogliere consenso nel Mezzogiorno. Ad esempio, i parlamentari, prima qualificati "responsabili", poi confluiti nel Gruppo di Popolo e Territorio, non possono tutti essere rieletti nelle liste del PdL; necessitano, quindi, di un diverso veicolo elettorale.

Pensavamo che alcune liste, tipo i "Moderati italiani in rivoluzione" (MIR), fossero poco più che folklore. Invece, basta contare i cartelloni giganti con la foto di Samorì che si affacciano sulle strade principali di Palermo, per comprendere che anche questa lista sembra in grado di movimentare risorse economiche non da ridere.

Questa coalizione plurale è stata costruita e messa insieme da Silvio Berlusconi; che, alla sua rispettabile età, dimostra ancora la tenacia di un combattente. Veramente capace di farsi ora concavo, ora convesso, secondo l'interlocutore, pur di raggiungere l'obiettivo. Rivendica il suo ruolo di capo della coalizione, che ha rilevanza immediata, anche agli effetti della legge elettorale. Questo è il certo, che ha strappato per sé. Largheggiando però in concessioni quanto all'incerto. Ha, quindi, nuovamente dichiarato di essere pronto a fare un passo indietro, a rinunziare alla carica di Presidente del Consiglio, in caso di vittoria. Così solletica l'ambizione di tutti gli alleati che a quella carica potrebbero ambire. E fornisce loro un alibi psicologico: potranno sempre dire che sono riusciti ad imporre l'esigenza di un nuovo Presidente del Consiglio.

In tal modo tutti, inclusi gli stessi dirigenti del PdL, possono dare ad intendere di essere impegnati in un progetto politico nuovo, ovviando almeno in parte al fatto che l'immagine del leader carismatico è oggettivamente logorata per i risultati non brillanti della pregressa attività di governo e per l'impietoso trascorrere degli anni.

E' vero che il repertorio argomentativo di Berlusconi non è stato interamente aggiornato alla nuova strategia elettorale e così oggi suonano stonate le critiche nei confronti dei piccoli partiti. Che sono state concepite contro l'UDC ed il FLI, ma potrebbero essere male interpretate dagli stessi alleati dello schieramento di centrodestra.

Inutile valutare la variegata coalizione dal punto di vista della razionalità politica. Siamo al trionfo della politica politicante, alla politica ridotta a pura tecnica elettorale. Si ricordino di questo precedente quanti vogliono che la legge elettorale assicuri un robusto premio di maggioranza. La logica della conquista del premio è quella di avere un voto in più dei principali avversari politici, sommando tutto ciò che si può sommare. Non è certamente per questa via che si ottiene stabilità di governo! Meno che mai così si garantisce buon governo.

Eppure sbaglierebbe chi sottovalutasse la resa elettorale di questo schieramento di centrodestra. Fin troppo vitale, fin troppo determinato nella sua volontà di conquistare con ogni mezzo quanti più seggi possibile e di mettere al riparo carriere politiche. Schieramento probabilmente destinato ad essere secondo, come peso parlamentare. Se poi, sovvertendo ogni pronostico, arrivasse primo, davvero povera Italia e poveri noi.

LIVIO GHERSI


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