30 novembre, 2005

 

32. Newsletter del 20 dicembre 2005

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Salon Voltaire
IL GIORNALE PARLATO LIBERALE
LETTERA QUINDICINALE DEL SALOTTO VOLTAIRE
RIVISTA LIBERALE DI ATTUALITÀ, SCIENZA, CULTURA, POLITICA E COSTUME
Lettera n.32 - 20 dicembre 2005
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"Stress, ipertensione, colesterolo alto? Partecipa a un salotto liberale
L’unico in cui il sedentarismo fa bene e stimola il cuore"
CARDIOLOGO ANONIMO
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Questo numero contiene:
ORIGINI CULTURALI. Festa della Luce e Saturnali

INDIVIDUALISMO Ebrei, perché sono naturalmente liberali
STORIELLE PLURALISTE. Robinson ebreo e le due sinagoghe
RITORNA L’OSCENITA’. Santanché contro godemiché
SCHERZI DELL’EURO. Disoccupati tedeschi in Sicilia
DA EINAUDI A CIAMPI. No al ministro di Stato in provincia
RIFORME BIPARTISAN. Federalismo, fratelli contro
CARCERI, AMNISTIE, INDULTI. Giustizia liberale. Cioè?
SOCIETA’ DEGLI AMICI. La Banda d’Italia
PROTEZIONISMO. Dopo lo scandalo, Italia in svendita
LOMBROSO SI SVEGLIA. Quella faccia un po’ così
LIBERALI COME ADAMO. Mostro il sedere all’Autorità
ITALIA DELLE CORPORAZIONI. Gli Ordini del disordine
IL PIU’ VECCHIO PARTITO. I 50 anni dei radicali
POLITICA CONTRO EFFICIENZA. Giudici contro se stessi
BERTINOTTI HA RAGIONE. Quando il partito dei liberali?
IL MONITO DI DARHENDORF. La democrazia illiberale
RADICALI NELL’UNIONE. Ma il programma resta
TRASFORMISMO. Ritratto d’un Fregoli della politica
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FINE ANNO, MOMENTO DI BILANCI E PROPOSITI
Festa della Luce e Saturnali
L’anno sta per concludersi, l’inverno sta per entrare nel suo periodo più centrale e più freddo: siamo al solstizio d’inverno. E’ forse il tempo d’una piccola pausa per i bilanci personali, magari per programmare qualche iniziativa per il prossimo anno. Nei pochi giorni di sosta c’è chi romanticamente indugia nei buoni propositi, ma è solo perché non ha riletto quelli che scrisse nell’ultima pagina dell’agenda lo scorso anno. Quasi mai realizzati. Mentre abbiamo fatto cose che non immaginavamo neanche. Così, curiosamente, questi nostri limiti ci rendono più saggi, perché ci fanno apparire ai nostri stessi occhi vulnerabili dall’alea, dal Caso.
E ora che per fortuna il sole, invertendo l’inquietante tendenza degli ultimi mesi, riprende a sorgere sempre più presto, a splendere sempre più in alto, e a tramontare sempre più tardi, la certezza della nuova luce conforta la nostra vita. Possiamo capire, perciò, la gioia dell’Uomo primigenio e le ataviche Feste della Luce, o del sole, in un periodo dell’anno in cui di sole e di luce non ce n’è mai abbastanza. E’ in questo periodo che i naturisti tedeschi organizzavano nella loro Lichtbund (Associazione della Luce) feste in cui per rigenerarsi esponevano il corpo ai tiepidi raggi del sole invernale. I Romani tenevano in questo periodo i Saturnali, grande rito collettivo della vitalità, del gioco, degli eccessi liberatori e dell’infrazione delle regole costituite. E quando i cristiani, dopo la scomparsa di Joshua il Nazareo, si appropriarono di questa grande festività pagana, la divisero in due momenti. La festa ludica la spostarono alla fine dell’Epifania (il carnevale), subito dopo la lunga festa religiosa, che fu fatta iniziare intorno al solstizio d’inverno per comprendere i popolarissimi Saturnali, Ma in fondo il solstizio, nonostante Feste della Luce, Saturnali e Natale, è solo un momento della rotazione terrestre utilizzato dai più antichi astronomi per calcolare il trascorrere degli anni. Origini "naturiste" dell’Europa. (Alessandro Volt-Ampère)
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PLURALISMO E INDIVIDUALISMO
Ebrei, perché sono naturalmente liberali
Un lettore, che poi scoprimmo appartenente alla Comunità ebraica di Milano, ci chiese l'anno scorso, all’uscita del Salon Voltaire come mai la newsletter, unica tra tutte quelle in cui si era imbattuto, si dichiarava insieme "filoebraica" e "filosemita". Per prudenza saltammo a pie’ pari tutte le nostre abituali considerazioni sulle "eccezionali qualità del popolo ebraico", per non essere accusati di "razzismo al contrario", e ci concentrammo su una risposta breve che ritenevamo potesse convincerlo: "Perché gli ebrei sono naturalmente liberali". Il lettore, un intellettuale che si dichiarava socialista, lì per lì restò perplesso. Ma quest’anno, oltre un anno dopo, ci ha telefonato: "Avevate ragione, ho scoperto che in realtà io sono liberale. Da quello che scrivete ho capito che il mio "socialismo" altro non è tecnicamente che un liberalismo laico e moderno…" Aneddoto edificante, ma vero, che tra l’altro dimostra quanto poco conosciuto sia il liberalismo, anche tra gli uomini di cultura.
Ma è il pluralismo innato il lato più intrigante e affascinante per un liberale della psicologia ebraica. L’amore per la dialettica, la sottolineatura dell’individualismo e della diversità, la tendenza alla critica, il gusto dell’opposizione, la propensione verso la pignoleria, sono altre "qualità" – "vizi" secondo i poveri di spirito – comuni a liberali ed ebrei. Non ci credete? Bastano le battute popolari e le storielle umoristiche, vero specchio degli uomini e dei popoli. "Due ebrei s’incontrano in treno? – recita una – sicuramente avrete tre idee politiche". Ma è proprio quello che i liberali, ridendo, denunciano (in realtà ne sono fieri) di se stessi. E allora, visto che i nostri fratelli ebrei hanno perfino lo stesso umorismo, ecco una classica storiella ebraica che mette in luce l’estrema tendenza al pluralismo e alle scelte personali. (Maimonide XXXII)

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PLURALISMO RIFLESSO DALLE STORIELLE
Robinson ebreo e le due sinagoghe
Un ebreo fa naufragio in Oceano e aggrappato a un relitto galleggiante approda faticosamente su un piccolo isolotto deserto lontano dalle rotte delle navi. Sette anni dopo, uno studioso di immagini satellitari scopre su un minuscolo e sperduto atollo delle costruzioni che sembrerebbero opera umana. Vengono allertate intelligence e autorità militari, anche per ragioni di sicurezza, e subito un aereo viene mandato in ricognizione. Il pilota fotografa e conferma: "Vedo una specie di capanna, ma accanto mi sembra di scorgere due sinagoghe". Finalmente viene inviata una nave. Il comandante con un barchino sbarca sulla spiaggia, accolto dal Robinson festoso, ormai dotato di una lunga barba.
- Finalmente, erano sette anni che aspettavo. Ora so che non morirò qui solo come un cane…
- Come, "solo"? – fa il comandante – e le due sinagoghe che vedo? Non le avrà mica costruite tutt’e due lei?
- Quelle? Certo che le ho fatte io. Ma sono da solo
- Ma, scusi, perché ne ha costruite due?
- Beh... quella lì a nord è dove vado sempre a studiare e a pregare...
- E quella a sud?
- Scherza? Ma io in quella non ci andrei mai!
Bellissima, questa storiella ebraica. In realtà, il Robinson ebreo si costruisce due sinagoghe, semplicemente… per essere libero di scegliere. Ditemi voi se non è un apologo liberale coi fiocchi. Avevamo o no ragione? (Sara Veroli, commessa in via Ottaviano)
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RITORNO, ALLA GRANDE, DELL’OSCENITA’
Santanchè contro "godemiché"
E’ il destino delle civiltà in crisi; manca l’Ethos e si colpisce il Pornos. Come se esaudendo i sogni dei moralizzatori sessuofobici (uccidere le prostitute, tagliare il pene ai Grandi Scopatori, cucire la vulva alle Peccatrici abituali), si ristabilisse il dominio della Virtù, anzi si diventasse di colpo tutti casti e puri. Vero il contrario, semmai. Prendi l’ultima campagna fisco-moralistica contro gli oggetti sessuali, il cui ricavato dovrebbe servire – strana vicinanza – ad "aiutare le donne bisognose a salvare i propri bambini". Quale mente contorta ha ideato questo contrappasso dantesco? In sostanza, alle donne pentite per aver usato il fallo naturale si dà un premio in denaro perché non abortiscano, mentre a quelle che per non abortire hanno usato il fallo artificiale si tolgono soldi.
Rivestiti di morbida pelle di capretto per ragazze giovani e suore, di robusto cuoio ("vacchetta") o legno tornito per vedove, donne attempate e contadine, perfino in avorio cavo (da riempirsi con latte caldo), il godemiché – dal francese "godi Michele" – è stato per secoli il compagno efficiente e discreto delle donne singles nelle camere da letto, nelle celle dei conventi, nelle segrete, nelle cucine rurali. Tempi infelici? Al contrario, l’età dell’oro, gli anni felici in cui non esistevano la plastica né tutte quelle diavolerie dei vibratori elettronici moderni. Eppure i falli artificiali c’erano, eccome. Solo che erano più "naturali" di quelli d’oggi.
Quanta letteratura erotica, quanta storia del costume, quante discussioni filosofiche e – perché no – quanta poesia, attorno a quegli arnesi esagerati che facevano compagnia nelle lunghe giornate d’inverno a più della metà del Genere Umano. Svolgendo in alcuni casi anche un compito filosofico, politico. Addirittura? Ma come, non ricordate il capolavoro del marchese di Sade La philosophie dans le boudoir? Là il fallo artificiale (e anche quello naturale, se è per questo) ha il nobile scopo di educare le fanciulle ad una visione laica e politicamente corretta della vita. E in fondo, parlando o sparlando di Dio, preti e concezione (già allora i primi due ficcavano il naso nella terza) si criticava il Potere e si esaltava la libertà dell’individuo. Mica poco. E poi, più di cento illuministi il godemiché dimostrava in fondo "contra Ecclesiam" l’origine laica e materiale dei sentimenti. Se, dunque, le donne prenderanno mai il potere, la prima cosa che faranno dopo la rivoluzione sarà l’erezione – appunto – d’un monumento in ogni città e villaggio a questo "amico delle donne misconosciuto e ingiustamente vituperato".
Eppure, una di loro, la procace deputatessa di An Santanché, non ci sono santi, il godemiché non lo sopporta proprio. Un’irritazione locale? Peggio, generale. Visto che il collega Tremonti, genio riconosciuto della finanza diabolica, deve "fare cassa", e per salvare le finanze d’Italia sta studiando il modo legale o illegale di vendersi non solo spiagge, fortini militari e gloriose casematte del Risorgimento, ma perfino la moglie – quest’ultima in comodato d’uso, sia chiaro, ché alla nuda proprietà ci tiene – ecco che la bella deputata pensa di aiutarlo andando a "sfrugugliare" il mercato dei vibratori e degli altri ausili sessuali. Lei per la verità li chiama "pornografici", fingendo di non sapere che a tutto servono tranne che a scrivere. Ebbene, la porno-tax della Santanchè graverà di imposte altissime aggeggi, video, pomate, spray, filmini, foto, riviste, Dvd, frustini, attrezzi sado-maso e quant’altro potrà servire per stimolare illecitamente l’eros. Dopo quella "creativa", eccoci letteralmente alla "finanza del fallo", ha detto un vecchio prof. di latino, preso dai tanti ricordi di storia antica (il dio Priapo, le donne fallòfore in processione, le statue itifalliche ecc), però incazzato a morte per la storia contemporanea.
Ma, cara, bella, ingenua e maliziosa Santanché, lo sa che la sua legge fa rinascere alla grande l’oscenità, che finora viveva ai margini, riconoscendola come soggetto di diritto e importante contribuente? E poi non ce la farà mai a tassare ogni possibile oggetto sessuale, perché la fantasia di noi esseri umani, notoriamente erotomani, sarà sempre superiore a quella sua e del ministro delle Finanze. Non ci aveva pensato? Lei così dà inizio all’èra degli strumenti erotici "alternativi", gratuiti o economici. E noi italiani in passato siamo stati autarchici, e abbiamo fantasia al riguardo. Non oso pensare alla tecnologia "porno-tax free" che s’inventeranno i napoletani in Occidente e i cinesi in Oriente. E poi, mi consenta, elegante Santanché, a noi non la racconta giusta con questo suo ostentato atteggiamento superiore e distaccato da "legislatrice". Non è che questa ingiusta persecuzione del fallo artificiale nasconde qualche intrigante pulsione psicologica? Capisco che, lei che può e che ha provato tutto, giudicherà il fallo naturale incomparabilmente migliore di quello artificiale, dal suo punto di vista, ma non è un po’ sadico questo rincaro abnorme che colpisce il simbolo della donna single, talvolta abbandonata, handicappata, carcerata, o troppo brutta, povera, anziana o giovane per avere un fallo vero?
E preghi che non se n’accorgano la Bonino e i radicali. Che cos’è – protesteranno – l’ennesimo tentativo della nuova Destra clericale di rendere la vita difficile alle donne "fuori del matrimonio di Santa Romana Chiesa"? E la Sinistra e i Sindacati diranno che le donne ricche potranno comprarsi vibratori realistici e computerizzati, magari neri (mostruosi) e gialli (piccoli), mentre le disoccupate, le ex co-co-co, le poveracce, resteranno all’asciutto. Oppure dovranno accontentarsi di extra-comunitari in carne e ossa. Per caso c’è lo zampino – non dirò "la mano" nel timore che il porporato diventi ancor più rosso porpora – del cardinal Ruini? Insomma, mi creda onorevole, tutta questa attrazione-repulsione per innocui e discreti strumenti di piacere usati da donne che non fanno male a nessuno, neanche al proprio marito o alla vecchia fiamma, figuriamoci alle Fiamme Gialle, non le pare un po’ ambigua? Ed è proprio sicura che "con tutti i problemi che ci sono" proprio questo andasse affrontato con risolutezza, ma anche – ce lo lasci dire – con dabbenaggine mussoliniana? (La badante russa di Cossiga)
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SCHERZI INCREDIBILI DELL’EURO
Tedeschi disoccupati emigrano in Sicilia
No, non è una barzelletta o una finta notizia tanto per fare satira politica, come fa qualche volta il Salon Voltaire. E’ vera. Lo ha denunciato il giornale tedesco "Bild Am Sonntag" sparando come titolo: "Incredibile: disoccupati tedeschi lavorano in Sicilia come raccoglitori di arance". Be’, noi che un po’ di queste cose ce ne intendiamo (di che? delle arance siciliane?), avanziamo un’ipotesi, solo un’ipotesi: potrebbe trattarsi delle famose arance siciliane "biologiche" – v. il nostro dettagliato articolo sull’inconsistenza scientifica del "bio", Salon Voltaire n.4, 20 marzo 2004, fornibile a richiesta – che sono da anni molto conosciute e richieste sul mercato "bio" in Germania. Ma non abbiamo conferme. Finora – riprende Gaetano Saglimbeni con un articolo dettagliato – si sono offerti di lavorare il Sicilia ben 3000 disoccupati tedeschi, specialmente della Baviera, mettendo in crisi il produttore di agrumi Salvatore Cultrone, di Palagonia (Catania). Il quale è il più sbalordito di tutti. "E’ impossibile prendere in considerazione tutte le domande di lavoro dei tedeschi, per la campagna di raccolta in corso. Ne abbiamo potuto impegnare per adesso una ventina (c’era anche un ex impiegato di banca, Rudolf Walch, 50 anni, di Monaco), con un compenso di 8 euro l’ora. Vedremo in futuro, se come si prevede la produzione continuerà ad andar bene nel prossimo anno, ma non illudiamo nessuno. Sono un centinaio i siciliani che lavorano stabilmente per noi ed altrettanti gli immigrati africani che impegniamo: non possiamo mandarli a casa per favorire i tedeschi…" Che dire? Che deve essersi sparsa la voce, perfino in Germania, che in Sicilia, per mangiare e fare una vacanza si vive bene, il clima è piacevole e tutto costa poco. Mica scemo l’ex impiegato di banca Walch. (La cuoca di Pareto)
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CIAMPI, EINAUDI E I PREFETTI
No al ministro di Stato in Provincia
In tv abbiamo visto qualche giorno fa una composta platea di austeri signori (e signore, anche), per la verità più giovani di quello che aspettavamo, tutti vestiti di nero o blu, in una delle bellissime sale affrescate e dorate del Quirinale. Ascoltavano con compostezza il saluto del Presidente. Erano tutti prefetti. Erano lì i nostri veri, unici, "gran commis d’Etat", come dicono i francesi che di pubblica amministrazione sono maestri. Altro che i presidenti degli Enti e i direttori generali dei ministeri. Ciampi non ha sollevato alcun problema nel suo discorso. E noi, per contrasto, abbiamo pensato al primo presidente della Repubblica, il liberale Einaudi, che nel 1944 pronunciò su di loro un discorso molto forte: "Via i prefetti".
Il prefetto in Italia, fin dalla sua origine in tempi liberali (1861) è l’Ufficio territoriale del Governo, rappresentante del potere esecutivo e massima autorità amministrativa nella provincia. Perciò fa di tutto e ha anche compiti riservati. In certi casi è anche il galoppino elettorale, altre volte dirime controversie e coordina l’ordine pubblico. Ma, soprattutto, questo rappresentante dello Stato centrale, di cui ha abusato il fascismo, è nato per fare da contrappeso e controllo ai poteri locali, portando in ogni provincia il personaggio-simbolo dello Stato. Una carica con poteri forti, nient’affatto simbolici, anche "discrezionali". Che, a differenza di ministri centrali, direttori generali e presidenti di Enti, lavora nell’ombra, non ha gli occhi dell’opinione pubblica puntati addosso.
Ma oggi, in pieno Stato decentrato e regionalizzato, con una politica amministrativa diventata più trasparente, dopo l’approvazione dell’ordinamento fondato sulla devoluzione dei poteri, hanno ancora senso i prefetti? Einaudi li accusava di centralismo napoleonico e controllo autoritario, e riteneva che compito di ogni buon liberale fosse di cancellarli senza pentimenti dall’organigramma statale. Comuni e regioni dovranno amministrarsi da sé nella più ampia autonomia – diceva Einaudi – liberi di formarsi i propri governanti elettivi, i propri funzionari, nel modo che essi, legislatori sovrani, vorranno stabilire. Sì, vaglielo a dire a molti conservatori, e perfino ad alcuni liberali che si definiscono "di destra", ma forse sono più di destra che liberali, che vedono nel decentramento un "attentato all’unità dell’Italia". (Giolitti, il gelataio di Campo Marzio)
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RIFORME CHE DOVREBBERO ESSERE BIPARTISAN
Federalismo, fratelli contro
Alcuni punti confusi, pasticciati, contraddittori ci sono nella riforma costituzionale e nella nuova legge elettorale, anche perché non si è voluto tornare al proporzionale puro dei tempi della Prima Repubblica, ma lo si è temperato con soglie e premi in modo da avere un risultato con qualche valenza maggioritaria. Però, se non altro, ha detto qualcuno, col nuovo sistema i liberali potranno contarsi. E finirà l’ingiustizia di vedere vincere una coalizione (di Destra o Sinistra che sia) che ha riportato in totale molto meno voti dell’altra. Uno scandalo difficile da far digerire alla gente semplice che non mastica di politica. Certo, bisognerà vedere gli effetti sulla governabilità. Ma dopo la mediocre prova del maggioritario puro, non ci aspettiamo niente di peggio. Piuttosto, ha fatto impressione che dopo la Destra anche la Sinistra si sia spaccata sulle riforme costituzionali e sul sistema elettorale. E perfino nelle famiglie ci sono divisioni curiose. Per esempio in casa Debenedetti, mentre l’ing. Carlo è per il vecchio maggioritario e critica le ultime riforme costituzionali ed elettorali del Centro-destra, che a suo parere andrebbero cancellate, il fratello Carlo, senatore liberista dei Ds, è possibilista e sulle riforme costituzionali è favorevole. Nella sua rubrica su Panorama il senatore Debenedetti si dice d’accordo con almeno tre temi importanti. E fa notare perfidamente una circostanza che molti avevano dimenticato: il premierato, la devoluzione e il senato federale "sono stati capisaldi dell’Unione. Meglio pensare a modifiche, per non deludere gli elettori". (Angelo Brofferio)

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CARCERI, AMNISTIE, GRAZIE, INDULTI & CONDONI
Giustizia "liberale" Cioè?
"Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri – scriveva Voltaire – poiché è da essi che si misura il grado di civiltà di una nazione". Vero. Ed è anche vero che molte carceri italiane sono disumane, il che è contrario non solo all’efficienza e alla dignità liberale, ma addirittura alla Costituzione., che riserva a questo punto un comma. Detto questo, dobbiamo deludere i tanti amici – due per tutti: Achille Della Ragione, da Napoli, e Luca Tentellini da Roma – che ci hanno invitato appelli per la Marcia di Natale per l’amnistia. Suvvia, amici, cerchiamo di vedere le cose non emotivamente ma con razionalità: che c’entra il problema delle carceri con gli indulti, le amnistie, le grazie e i condoni? Lo so che è sempre stato tirato in ballo, ma è solo una scusa. "Perché tutta questa caciara sull’amnistia?", chiede in una lettera al suo giornale Claudio Velardi, già consigliere di D’Alema, ora editore del Riformista e su posizioni che potremmo definire "liberali e liberiste di sinistra". Che senso ha marciare per l’amnistia, se il problema sono le carceri piene? Semmai bisognerebbe manifestare "per riformare e sveltire la giustizia e far funzionare i tribunali". Questa sì che sarebbe una "posizione riformista", spiega: "a difesa del buon senso e dei brandelli dello Stato di diritto. E poi costruiamo nuovi carceri civili, se servono". E Sofri? "Cosa c’entra Sofri con l’amnistia? – conclude Velardi – "Mescolando le cose gli creiamo grave danno".
E tutto questo gran parlare di riduzioni di pena ad intervalli regolari, alla vigilia di elezioni o a Natale (già, ma perché proprio a Natale, festa cristiana, si vuol forse dare ad intendere che l’amnistia sia un "perdono" cattolico, una "buona azione"?), coltivando speranze che illudono i carcerati, e che se non avverate possono provocare sommosse, non rende ormai incerte e casuali le pene in Italia? Pene all’italiana, cioè così severe proprio perché mitigate dalla quasi certezza che ai potenti "amici degli amici" non verranno applicate, e che ai cittadini comuni resterà qualche residua speranzella di amnistie e indulti ricorrenti. Che poi finiscono per sommarsi negativamente al reperto medievale e assolutistico della "grazia" del re, e ai troppi condoni concessi negli ultimi anni con la scusa di "fare cassa", determinando un’atmosfera di incertezza e discrezionalità del diritto degna dello Stato delle Due Sicilie. Diciamo che a noi sembrano ipocrite e paternalistiche versioni giuridiche laiche del "perdono" del prete confessore, già un abuso secondo le altre chiese, comunque intollerabili in un sistema liberale. Non vogliamo una giustizia "pietosa" (in entrambi i sensi: che fa e ha pietà), ma liberale, cioè giusta, equa e razionale.
Scrive il liberale Federico Orlando sull’Europa. "Marcia per l’amnistia? No, innanzitutto per la destinazione della marcia: San Pietro. Avrei preferito il Quirinale, che è tornato ad essere il luogo dell’unità, della laicità, dell’indipendenza e della sovranità dello Stato. Chi vuole, se è d’accordo col Papa, vada pure a San Pietro, ma non per sostenere leggi che spetta fare istituzionalmente e unicamente allo Stato. E poi – prosegue Orlando – l’amnistia non può essere giustificata con "le carceri che scoppiano". Se scoppiano, vuol dire che difetta la prevenzione dei reati, che troppi comportamenti illegali sono puniti come reati e invece dovrebbero essere depenalizzati, che troppe sentenze irrogano anni carcere e non cercano pene alternative, che le carceri sono poche e vecchie, e bisogna costruirne di nuove e umane, che le leggi criminogene vanno abolite, che i processi vanno sveltiti imponendo ai giudici tempi certi per decidere (oggi la prescrizione è alimentata anche dal fatto che molti giudici non lavorano o non possono lavorare abbastanza)".
"In questa riforma complessiva della giustizia, che di per sé svuoterebbe le carceri di permanenze divenute inammissibili, l’amnistia avrebbe quindi solo un ruolo complementare e conclusivo. Naturalmente non dobbiamo dimenticare che i veri delinquenti, gli omicidi, gli stupratori, i mafiosi, gli usurai, i bancarottieri, i distruttori dell’ambiente, i falsari, sono relativamente pochi, e il loro posto è la galera. Ma in larga maggioranza i carcerati sono gente povera, un terzo stranieri, un terzo tossicomani, un terzo giovani "violenti" come i "Ragazzi di vita" di Pasolini, capolavoro che ogni parlamentare e giudice dovrebbe imparare a memoria prima di insabbiare le riforme della giustizia o di emettere sentenze".
Senza contare che si sa bene che non c’è in Parlamento attualmente una maggioranza bipartisan dei due terzi che possa votare un’amnistia, ha fatto notare Violante. E quindi questa campagna che illude i poveri carcerati potrebbe essere solo un espediente un po' cinico per avere gratuita visibilità sui giornali e in tv. (La figlia cleptomane di Cesare Beccaria)
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SOCIETA’ DEGLI AMICI, DENARO E POLITICA
La Banda d’Italia
Dopo l’arresto di Fiorani, l’inchiesta su Consorte e l’Unipol, l’auto-sospensione di Billè e le dimissioni di Fazio, al mercato di Porta Portese (Roma) i truffatori del gioco delle "tre carte" sono preoccupati: e se i quattro colleghi dovessero "parlare" e l’inchiesta dovesse estendersi anche a loro? A Forcella (Napoli), invece, sono incazzati: "San Gennaro, vuoi vedere che chille figl’e zoccola dei Nordisti ci arrubbano pure ‘o lavoro?". E ormai per "lavoro" intendono solo quello sporco. Del resto, la criminalità ha i medesimi obiettivi. Solo gli strumenti e le dimensioni del bottino cambiano. Nel Sud tradizionalista e arretrato una banca la si rapina ancora all’antica: passamontagna sul viso e pistola in pugno. Per qualche migliaia di euro. Grosso errore. Prendete esempio dal Nord evoluto e informatizzato: una banca la rapinano più facilmente in giacca e cravatta con mouse e computer. "Non vale, è concorrenza sleale", si lamenta al caffè Gennarino Esposito. Del resto, mai la criminalità tradizionale era arrivata alla bassezza di rubare dal conto in banca dei poveri correntisti. Prima ci provavano i bancari disonesti, ora lo fanno addirittura i banchieri.
E dietro chi c’è? La solita Italia degli "amici" ("io faccio un favore a te, tu fai un piacere a me") e degli "amici degli amici", dei raccomandati e dei fessi, dei furbi, dei furbetti e dei gonzi, dei dritti e dei pirla. Bell’Italia. L’Italia dei paraculi "fondata sulla famiglia", meglio se numerosa, per dirla col cardinal Ruini e col destro-sociale Storace. "Famiglie" da raccomandare e gratificare. Dovunque, dal Sud al Nord, da Palermo a Bari, da Napoli a Milano. Ora anche a Lodi, nel loro piccolo. Ma non era terra di latte e formaggi, che almeno – tranne i Polenghi – sapevano fare bene? Fatto sta che solo ora, prima delle elezioni, il solito tribunale di Milano si accorge che è un formaggio con troppi buchi. Buchi neri dove spariscono interi bilanci. Quel maledetto vizio mafioso, un tempo solo meridionale, ora dilagato in tutto il Paese come malcostume nazionale, di favorire la cordata dei "clientes" e di azzardare operazioni criminali di gruppo ai danni della fazione avversaria. Alla televisione, nei giornali, nella politica, negli enti locali, perfino nell’economia e nella finanza. Guelfi e ghibellini davanti ai computer, con i file cancellati e gli hard-disc estraibili da gettare in una roggia, sia chiaro, nel caso che la Finanza arrivi fuori orario d’ufficio alle 6 di mattina.
E fanno scandalo i silenzi e l’imbarazzo dei moralisti di professione, i post-comunisti Ds, unici veri beneficiari politici di Mani pulite, alla notizia dell’inchiesta sull’Unipol rossa, che con i soldi degli umili cooperanti voleva scalare la Banca nazionale del lavoro. Che dicono l’onesto Fassino e il liberista D’Alema? Non sono più nel partito che Berlinguer riteneva "moralmente superiore a tutti gli altri"? Erano i tempi in cui i Ds sembravano retti da un integerrimo Torquemada, l’ex giudice Violante, lo stesso che aveva incarcerato l’eroe liberale Edgardo Sogno, medaglia d’oro della Resistenza, solo per aver ideato una reazione efficace in caso di golpe comunista. Ebbene ora i Ds, vedono sospettati di scalate abusive e reati finanziari i compagni amministratori delle Coop rosse, da cui traggono lauti finanziamenti. Consorte, presidente e amministratore delegato delle assicurazioni rosse Unipol, è indagato dalla procura di Roma per aggiotaggio informativo, manipolazione del mercato e ostacolo all'autorità di vigilanza. E da liberali ci chiediamo: può una cooperativa, che gode di vantaggi fiscali e legali che i suoi concorrenti non hanno, fare speculazione finanziaria? Non è concorrenza illecita?
Quando lo disse Pannella fece scandalo. Ma allora aveva ragione a sostenere che in carcere ci vanno, e subito, solo immigrati, poveracci, drogati e scemi. E che i veri mascalzoni stanno fuori. E comandano. E amministrano enti pubblici, banche, regioni, comuni, partiti. Per uno che viene preso, magari per motivi di "giustizia politica" all'italiana, cento sghignazzano dentro i caveau dell’isola di Jersey rimirando come Paperone l’oro rubato. E sì, perché ora si è visto che ci sottraggono soldi per via telematica. L’esempio gli è venuto dall’alto. Vi ricordate la famosa incursione notturna nei nostri conti correnti del governo del "galantuomo" Amato?
"Oddio, non bastava Sgarbi, ora anche Beppe Grillo scrive sul Salon Voltaire?", vi chiederete allarmati. Be’ intanto il Grillo sparlante finge di scandalizzarsi di una parte sola e facendo pagare ai suoi fans masochisti ("cornuti e mazziati") biglietti d'ingresso carissimi. E poi dà credito a qualsiasi leggenda metropolitana. Fa solo politica anti-americana, anti-capitalista e anti-occidentale. Vuol essere "popolare". Ma è solo un vecchio demagogo che per far soldi e avere successo deve stare nel suo "personaggio" anche a costo di sembrare un cripto-comunista. Ma soprattutto non fa più ridere. Noi invece prendiamo in giro tutti, seguiamo solo la Libertà e la Ragione, smontiamo le leggende anche a costo di essere impopolari, e qualche volta facciamo pure ridere. Ma il Salon Voltaire, nel suo piccolo, è nato per richiamare l’attenzione degli "opinion leader" laici e liberali – in Italia almeno tremila persone – oltre che sul fanatismo, il terrorismo, le superstizioni e l’irrazionalità dei tempi moderni, anche su questa ulteriore grave "irrazionalità" tutta italiana, che nasconde metodi illiberali, nonostante che quasi tutti si definiscano "liberali": il familismo amorale, il comparatico, la società degli amici, nell’economia, nella politica, nella vita sociale.Fatto sta che nella vicenda Fiorani-Consorte-Billè-Fazio ci sono tutti gli ingredienti d’un pasticcio di economia illiberale e di politica succube dei poteri economici e finanziari, a Destra e a Sinistra. Non è una bella pagina né per la Casa delle Libertà, né per l’Unione. Mancati controlli, anzi controllori amici dei controllati, distorsione del mercato e della concorrenza, sprechi di denaro pubblico e privato, distrazione di fondi sociali, truffe ai danni del cittadino-consumatore da parte di veri e propri oligopoli improvvisati, partiti di Destra che appoggiano finanzieri di ventura e Governatori colpevoli, partiti di Sinistra finanziati dalle banche amiche – cioè con i soldi di tutti – anziché dai simpatizzanti, mancata tutela del cittadino risparmiatore e investitore (alla faccia della Banca d’Italia e dei vari "ombundsman"…), cartelli illegali tra banche, mancanza di libertà e di chiarezza del mercato, conflitti d’interesse, assenza del principio del merito... Dobbiamo andare avanti?
Non meravigliamoci troppo, quindi, per quello che sta accadendo nella cosiddetta "alta finanza", alta solo per il livello vertiginoso dei suoi imbrogli. E’ la ripetizione, ingrandita al pantografo, di quello che accade tutti i giorni dalla Vetta d’Italia a Capo Passero in enti di Stato e perfino aziende private "all’italiana", segreterie politiche, studi professionali, banche di affari e di credito, sedi di regioni e Comuni, e perfino (vi ricordate il cardinal Marcinkus e la sua Banca Ior, Istituto per le Opere della Religione, del Vaticano?) nei veri Sancta Sanctorum, quelli degli affari ecclesiastici, alimentati dall’equivalente di migliaia di miliardi di lire, ogni anno, che gli italiani inconsapevoli sono costretti a donare dal meccanismo perverso dell’otto per mille. Su cui, prima o poi si dovrà pur indagare. Ma dove sarà allora la giudice Forleo? (Lo chauffeur di Einaudi a Dogliani)
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L’ERRORE DEL PROTEZIONISMO FINANZIARIO
Dopo lo scandalo Italia in svendita
Viva l’Italia. Ora i furbi, i furbetti e chi doveva controllarli si difendono con lo "stellone", col nazionalismo finanziario, col protezionismo verso le banche tricolori. Ma non attacca. Ancora una volta le misure illiberali non pagano. Anzi, sono controproducenti. Ha ragione il Wall Street Journal nel definirlo un tentativo fallito, ma anche la classica zappa sui piedi. Quindi alla fin fine anti-italiano. E non solo per il gravissimo discredito internazionale sul nostro Paese. Capirete, coi luoghi comuni sugli Italiani che circolano all’estero, in certi ambienti finanziari di Londra e New York non si aspettava altro. Questo scandalo viene come una manna. Ora c’è tutta un’Italia indifesa da conquistare a poco prezzo. E sì, perché è un precedente che domani scoraggerà chiunque.
E il Wall Street Journal se lo lascia scappare: "I paladini del protezionismo sono oggi costretti a una tale marcia indietro che in futuro difficilmente saranno in grado di tenere a bada gli stranieri". Capito? A buon intenditor… E ora perfino il più giovane operatore dell’ufficio titoli di Amburgo o Seattle sa che non solo è stato arrestato con accuse infamanti un ex presidente e amministratore della Banca popolare italiana che aveva cercato di bloccare l'acquisizione di Antonveneta da parte di Abn Amro, ma che lo stesso governatore della Banca d'Italia Fazio è assediato delle umilianti richieste di dimissioni perfino da parte del suo Governo, dalle inchieste della Commissione europea (proceduta d’infrazione contro l'Italia), da un’indagine giudiziaria per sospetto abuso d'ufficio, e perfino sconfessato in casa dagli scioperi e dalle prese di distanza dei dirigenti della "sua" Banca d’Italia. Ma lui, sembra non vergognarsi di nulla, e con testardaggine e faccia tosta ritarda fino all’ultimo le sue dimissioni. Una vergogna senza pari. Anche perché ci tocca la faccia e le tasche. (Quintino Sella & Mosca)
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LOMBROSO SI RIGIRA NELLA TOMBA
Quella faccia un po’ così…
E a proposito di faccia. L’avete vista bene quella di Fazio? Notato nulla di lombrosiano, per caso? Davvero una rivelazione televisiva e fisiognomica (antropometrica no, ché si offende), questo piccolo uomo di Alvito (Frosinone). Ora che tutto gli cade addosso, dopo tante finzioni, si rivela finalmente per quello che è. Ma è possibile, signori politici di Destra e di Sinistra, che ai posti di potere in Italia dobbiamo sopportare solo gente professionalmente inadatta o di secondo piano o moralmente non ineccepibile? E non trinceratevi dietro la "autonomia" della Banca d’Italia. Quando volete, ci mettete chi volete ai posti di comando. E, poi, sull’elezione di Fazio, per favore, è possibile che il nostro amato presidente della Repubblica, Ciampi, che è stato a lungo Governatore dell’Istituto (e tra l’altro ha gestito il nostro ingresso nell’euro, tollerando la parità sbagliata delle 1936 lire…), non abbia proprio alcuna responsabilità? E’ credibile che gli sia subentrato Fazio "contro" ogni suo parere? Com’è che nessuno ne parla?
In quanto a Fazio, cattolico super-praticante e amico di vescovi e cardinali (il card. Re ha impetrato per lui di recente presso il Governo…) e al suo amico Fiorani, per consolazione, quando saranno usciti dalla bufera o dal carcere, abbiamo una propostina. Eleggiamoli rispettivamente presidente e amministratore delegato dello Ior, la banca con sede unica nella Città del Vaticano. Là la Finanza non può entrare, almeno per ora, finché la fazione "teo-con" auspicata da Pera e altri non va al potere… E, vista la fine che ha fatto, se c’è stato Marcinkus che era un monsignore, ci possono benissimo stare Fazio e Fiorani, che signori non lo sono. E perciò, un loro arresto con ignominia non sporcherebbe neanche la tonaca. (Urbano Rattazzi)
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DAI LIBERALI IN MUTANDE A QUELLI SENZA
Sfregi: "E all’autorità mostro il sedere"
Quante volte avete sentito i liberali, specialmente del Nord, lamentarsi che le tasse e i governi lasciano il cittadino "in mutande"? Be’, è roba vecchia, sorpassata. Aggiornatevi. Ora ad alcuni, e pure in un paese freddo, hanno tolto anche quelle. O meglio, per non dargliela vinta, se le sono tolte da soli. Ma la notizia potrebbe anche essere letta in quest’altro modo: tale era l’astio che il cittadino liberale aveva accumulato verso il Potere dispotico che ad un certo punto, come fanno nello "streaking" gli studenti americani, ha deciso per supremo sfregio di mostrare il sedere alle competenti Autorità. Sempreché le Autorità – sapete com’è, in Russia i costumi sono diversi dagli Stati Uniti – non abbiano equivocato.
Ad ogni modo, in Russia un noto esponente liberale di provincia, l’insegnante di storia e membro della comunità ebraica Lev Moscinsky, del partito liberale "Russia democratica" (leader Valeria Novodvorskaya), ha abbandonato l’attività politica tradizionale ed ha rifondato la antica comunità degli Adamiti, notoriamente attiva nel vicino Oriente (1200) e poi da lì estesa in Russia, Bulgaria e Cecoslovacchia (1300-1400). Gli adamiti praticano la nudità totale e la semplicità di vita, ma anche l’amore libero e la sessualità senza inibizioni. I loro riferimenti sono nella Bibbia e nelle antiche fonti religiose, che citano i "tempi remoti e felici in cui gli uomini vivevano nudi e senza malizia nell’Eden". A sentire Moscinsky, sembra che perfino uno dei 12 apostoli dell’ebreo Joshua (Cristo) fosse un nudista adamita. Comunque, ci conforta sapere che l’amico Lev non deve essere considerato "perso" per il liberalismo. Lui stesso sostiene che in lui non c’è contrasto tra l’adamita e il liberale. Ne siamo lieti. Continua – dice – la stessa missione di prima: "Cercare e difendere la libertà". Bene, cari amici liberali, per tacere degli altri innumerevoli vantaggi della scelta di questo liberale eccentrico (per esempio il privilegio di scegliersi finalmente ictu oculi partner femminili che non riservino sorprese estetiche, volete mettere?…), avete calcolato quanto risparmia il nostro amico Lev ogni anno di soli vestiti? (Thoreau, il guardiano della capanna)
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L’ITALIA DELLE CORPORAZIONI
Gli Ordini del disordine
Riordinare gli Ordini, fino ad eliminarli. E' la riforma più difficile di tutte. E non solo non si toccano i privilegi degli Ordini, ma si stanno estendendo per legge a nuove corporazioni, nuovi "albi" chiusi: dai "pranoterapeuti" ai "maestri di yoga". Una riforma liberalissima che non ha fatto la Sinistra quando è stata - a lungo - al Governo. E non l'ha fatta la Destra, finora, anche se ne accennò nel programma del '94. E averne parlato, sia pure in un tempo lontano, senza poi farne nulla, non si sa se è un'aggravante o un'attenuante. "Che cataclisma deve accadere - scrive a questo punto un lettore del Corriere, Giorgio Gentili, che immaginiamo giovane e ingenuo - perché un governo di non importa che colore metta mano alla riforma degli ordini professionali?" E così risponde Romano: Leggo ne La Stampa che il 40 per cento dei parlamentari italiani appartiene a una categoria professionale contro il 18,5 per cento in Gran Bretagna. Capito? La politica stessa, in Italia, è basata sull'appoggio e la connivenza delle corporazioni privilegiate, che vivono di rendita di posizione fuori mercato. Sarebbe ingenuo chiedere proprio a loro un appoggio per liberalizzare il lavoro indipendente, no? Speriamo in Sant'Europa. Ancora una volta, un po' di liberalismo - e non solo le sciocchezze burocratiche - potrebbe venire imposto da Bruxelles e Strasburgo, dall'alto, come le costituzione regie "octroyées", concesse dai monarchi pre-risorgimentali al popolo bue. (Salvatore, quello che scopa in redazione)
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IL PIU’ VECCHIO PARTITO ITALIANO
I cinquant’anni dei Radicali
I liberali del Risorgimento e i radicali d’oggi sono stretti da una paradossale analogia: entrambi nascono come movimento di giovani, ma oggi attirano solo i vecchi. Ed è un peccato in tutti e due i casi, anzi un’ingiustizia della Storia. Però "grazie" alla strage selettiva di partiti fatta dall’inchiesta "Mani pulite" nei primi anni 90, oggi i radicali si ritrovano ad essere curiosamente il "più vecchio partito italiano" attivo senza soluzione di continuità.
Di questo andrà fiero Marco Pannella, anche se da eterno giovane non gradirà. Ora, poi, che essendosi spostato al Centro-sinistra sta sempre sui giornali e in tv, come ha osservato acidamente l’ex compagno radicale Calderisi dei "radicali di Centro-destra o "Riformatori liberali"), ha modo di dimostrare con le sue geniali invenzioni tattiche che è rimasto il giovane creativo di sempre. Uno che conosce i segreti, la psicologia e le sfumature della politica italiana forse meglio di Andreotti. D’altra parte, che c’è di più giovane che fare politica liberale? Liberale? Be’, a leggere il bel Manifesto Laico con cui nel 1955 si ponevano le basi per il "Partito radicale dei liberali e dei democratici italiani", si direbbe che i radicali nascano – nonostante i più diversi apporti – come da Minerva, cioè dalla mente del filosofo Guido Calogero, quindi liberal-socialisti. Anzi, dopo i fallimenti di Giustizia e libertà e del Partito d’Azione, e la condanna teoretica da parte di Croce del disegno calogeriano del liberal-socialismo ("è un ircocervo", come a dire un animale fantastico, un mostro impossibile, per metà nobile cervo, per metà rozzo caprone), va a finire che il Partito radicale è stata la sola cosa funzionante e di successo di quell’utopia.
Anche perché Pannella ci ha messo molto di suo. L’eterno movimentismo agitatorio, la specializzazione in alcuni temi (Stato-Chiesa, divorzio, aborto, diritti civili, gay, droghe, carceri ecc), l’utilitaristica ciclica oscillazione tra temi socialisti democratici (antimilitarismo, fame nel mondo, amnistie, grazia, referendum ecc) e liberali (filo-occidentalismo, guerra ai dittatori, liberismo, meritocrazia, anti-sindacalismo ecc), la struttura a fisarmonica del gruppo (di norma leggerissimo, ma capace nei momenti topici di moltiplicarsi in poche settimane), l’imitazione delle battaglie da strada dei "liberal" americani (contro-informazione, uomini-sandwich, tavoli, firme, megafoni, volantini distribuiti in modo liberale, cioè dati alla singola persona…), l’uso della non-violenza e dell’insistenza di Gandhi, con i suoi "ricatti morali" (digiuni, provocazioni, auto-denunce), il lobbing paziente e tenace verso i parlamentari d’ogni tendenza, l’uso continuo e regolare di strumenti eccezionali di democrazia diretta (referendum), il saper piegare i temi del gruppo alle necessità e alle tecniche della comunicazione, e non viceversa come fanno i partiti. Tutti elementi che delineano un vero e proprio fenotipo nuovo e originale, che non ha più niente a che fare con i metodi e la prassi dei soliti partiti liberali o socialisti, e che potremmo chiamare "pannellismo".
C’è chi ha accusato Pannella, in passato, di "non voler vincere", di non volere eletti in Parlamento per poter manovrare tatticamente meglio un movimento tenuto sempre sulla corda piuttosto che un partito di parlamentari stanchi e seduti. Ma le rappresentanze radicali in Parlamento sono ricordate ancor oggi come le più battagliere, e anche capaci di ottenere risultati. C’è chi lo ha accusato di "non aver mai imposto un tema impopolare", ma di aver aspettato per combattere e vincere che il tema fosse maturo presso la gente. Ma questa è proprio la genialità nella scelta dei tempi del bravo psicologo politico. Altri lo hanno criticato per questo mix tutto suo che umiliava la forma partito e i soliti riti mediatori della Politica (compresa la capacità di allearsi), una formula spesso condita di populismo, troppo dipendente dalla comunicazione, e quasi sul punto di diventare un "sindacato di categorie" (donne, gay, tossicodipendenti, carcerati ecc). Ma va riconosciuto con onestà e col senno di poi che se i radicali fossero stati più simili agli altri partiti, probabilmente sarebbero spariti da tempo o sarebbero ridotti ora ad una piccola corrente in un partito altrui. Il che è sufficiente per riconoscere a Pannella, nonostante gli errori, il ruolo del politico più originale dell’Italia degli ultimi trent’anni. (Il padrino di duello di Felice Cavallotti)
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POLITICA AL POSTO DELL’EFFICIENZA
Giudici contro se stessi
Vi ricordate quando i giudici erano tutti governativi per principio? "Magistratura di destra", "Giudici reazionari", strillavano gli striscioni dei cortei di studenti e sindacati, ma anche i titoli dei giornali di sinistra. Saranno stati personalmente conservatori, eppure nessuno di loro si azzardava a quei tempi a fare dichiarazioni politiche, tantomeno a criticare le leggi in pubblico. Non solo sarebbe stato trasferito per punizione, ma avrebbe leso il principio fondamentale in una sistema liberale: la divisione dei poteri.
Oggi, invece, solo dopo aver vinto il concorso in magistratura un laureato in legg si accorge che quella del giudice è naturalmente la posizione conservatrice del "funzionario dello Stato", che deve applicare e semmai interpretare le leggi, non discuterle. E che deve "apparire" neutrale e al di sopra delle parti, se vuole essere credibile come giudice o pubblico accusatore. D’altra parte il famoso Potere giudiziario si riferisce virtualmente al sistema Giustizia nel suo insieme, non certo al singolo giudice. Ma questa verità giuridica viene allontanata da sé con disgusto. Ciò che "dovrebbe essere" è meglio di ciò che "è". E i giudici oggi si autoconvincono di essere ognuno una "fetta di Potere", e di dover essere tutti di sinistra pour cause. E spesso di sinistra estrema, come sappiamo. Sono così imbevuti di politica che anche il loro organo amministrativo e di controllo è di fatto una rappresentanza politica, che si permette pubblicamente di criticare con durezza un progetto di legge, un uomo politico, un partito. Così "normale" in Italia – e solo in Italia – che non fa più notizia. In qualunque paese liberale giudici del genere verrebbero licenziati.
La giustizia in Italia è da Paese sottosviluppato: lentissima, inefficiente, burocratica, corporativa, non responsabile (nonostante un referendum). L’Italia subisce ogni anno numerose condanne per colpa dei suoi giudici. La discrezionalità del giudizio è tale che raramente per uno stesso fatto si hanno sentenze uguali, e quasi mai i grandi criminali sono perseguiti e condannati, che le carceri pullulano di piccoli criminali, tossicodipendenti, immigrati, poveracci, che non hanno i soldi per pagarsi un avvocato decente. E certamente in Italia anche gli avvocati (dov'è la formazione e la selezione? ricordiamoci dei famigerati "concorsi" a Catanzaro...) danno il loro contributo alle lungaggini e alle inefficienze della giustizia.
Perciò ha destato scandalo l’ultima protesta della magistratura, con l’adesione di tutte le correnti politiche: non partecipare alle cerimonie di inaugurazione dell'anno giudiziario che si terranno nei distretti di Corte d'appello il 28 gennaio prossimo, "laddove sono previsti rappresentanti della maggioranza", ha detto l'ex presidente dell'Anm Edmondo Bruti Liberati. Il solo a votare contro è stato Mario Cicala che ha richiamato l'assemblea ad alcuni principi: "Una legge dello Stato si applica - ha spiegato - con questa decisione rischiamo di dare la sensazione di essere contro quanto stabilisce il Parlamento". Davvero, siamo ai giudici organizzati come un partito politico. (Minimo D’Azeglio)
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COSI' PARLO' SIR FAUSTO "TWEED" BERTINOTTI
"Ma perché i liberali non si fanno un loro partito?"
Il diessino "liberista" Franco Debenedetti stava addentando in santa pace una tartina al salmone (pensando forse di mangiarsi Taradash o Della Vedova...), quand’ecco che il mondano Bertinotti, che non si perde un vernissage, un dinner party, un'olivetta o una coscia femminile, così lo apostrofa: "Ma perché i liberali non si fanno un loro partito, e non si misurano con il consenso, invece di nascondersi nella sinistra, che per vocazione dovrebbe essere estranea alla cultura dei liberali? Forse perché sanno che non avrebbero consenso..." Come a dire: non rompete le balle voi liberisti. Mettetevi per conto vostro, uscite allo scoperto e contatevi. Anziché brontolare dietro le spalle.
Be’, che dire? Invochiamo san Bertinotti. Ironia a parte, diamo ragione all’elegante farmer reazionario sir Fausto, detto "Tweed". Sinistra raffinata, non c’è che dire. "Come porta lui le giacche di lana grezza…", sospira mia madre. Mentre, tra gli "scaciati" della Destra si salva solo il giornalista Vittorio Feltri, altro gentleman "Harris tweed" amato dalle vecchie signore. Intanto, riferiremo di questa "interpretazione autentica" bertinottiana all'amico Morelli, che ritiene il liberalismo incompatibile con la Casa delle libertà, ma curiosamente compatibile con l’Unione.
Questa provocazione del vecchio dandy ex sindacalista ci voleva, eccome, per risvegliare gli spiriti dormienti dei liberali atarassici e svogliati, e pungerli nell’amor proprio (se ne hanno ancora). Così, per merito suo, ora abbiamo appelli, articoli, polemiche, precisazioni, fermenti e autodifese di esponenti liberali sul "problema": chiamiamolo unificazione, partito, Stati Generali, Assemblea Costituente, o almeno collegamento permanente. Ma sì, che aspettano questi ridicoli liberali snob di Destra e Sinistra, tutti ugualmente individualisti accesi uno contro l'altro, campioni nella sottile arte della "tricotessarotomia" (lo spaccare il capello in quattro), sempre pronti a dividersi, scindersi, distinguersi, suddividersi, anziché unirsi? Perché non si rifondano in un solo movimento partendo una buona volta da zero?
Date uno sguardo all’interno dei vari partiti, ai club, ai giornali e all’intera società italiana. Ebbene, tra vecchi e nuovi, i liberali – e liberali veri - sono talmente tanti sulla carta che, perfino in quest’Italia illiberale, in teoria avrebbero oltre il 30 per cento dei voti. Parlo di quelli che sottoscriverebbero "tutti" i temi liberali, e non soltanto alcuni, perché questi ultimi sono forse il 90 per cento della classe politica e il 70 per cento della società italiana. Del resto, perché meravigliarsi: dopotutto siamo un Paese occidentale, no? E oggi alcuni temi liberali sono addirittura "imposti" dall’Europa. Pensate solo all’ombundsman. Da giovani liberali lo sognavamo: oggi c’è un "garante" e un "ombundsman" pure per i turisti. Che poi funzioni davvero, questo è un altro problema.
Insomma, non è più come ai tempi del vecchio PLI di Malagodi. Il liberalismo oggi è di massa. Ed è più avanzato, più anglosassone e liberista di quello del moderato Malagosi. Perciò i vecchi tromboni nostalgici del Partito liberale degli anni 70 o 80, non ci capiscono più niente. Hanno perso il polso della società. Del resto non hanno mai avuto psicologia. Sono solo "retrò". E sì, perché oggi c'è gente nuova, il cosiddetto "popolo delle partite Iva". Gente mai stata liberale ieri. Ma lo sono oggi, e più di molti "vecchi liberali" che certe volte sono conservatori e statalisti. Numerosi cittadini, magari ex-comunisti, sono oggi per mercato libero, laicità, no allo Stato padrone, no alle corporazioni, no ai monopoli, sì a diritti civili, divisione dei poteri, delegificazione, tutela del cittadino, ecc. E la somma di questi e altri valori si chiama "liberalismo". Non è difficile, signori Mannheimer e Piepoli. Perché non ci fate sopra un bel sondaggio? Ma con le domande giuste.
Eppure, c’è il rovescio della medaglia. Il lato umano. L’intelligenza degli uomini politici e di cultura. Manca in molti liberali (sono i nostalgici "retrò" che abbiamo detto) il senso dell’appartenenza: ritengono i valori liberali una generica conquista culturale dell’intera società italiana, non la vittoria di una parte politica. Detto così, non sembrano avere torto. Ma che sbagliano è dimostrato da questo paradosso: proprio ora che il liberalismo sta vincendo dappertutto, anche in Italia, i liberali non dovrebbero avere – unici tra tutti – un loro movimento, un loro partito? Sarebbe assurdo. Perciò, sono loro i colpevoli del deficit di rappresentanza del liberalismo in Italia. Sì, proprio i cosiddetti politici "liberali", più che gli uomini di cultura laica, che – si sa – potrebbero non essere attratti dalla politica. Ma perché gli intellettuali, almeno, non hanno pensato ad un grande "movimento culturale" liberale, un soggetto cioè che faccia lobby e che diffonda le idee liberali in tutti i campi? Lo si potrebbe fare benissimo, anche senza presentarsi alle elezioni. E’ questo il grosso errore. Non c’è neanche chi "parla" delle soluzioni liberali, chi "fa pubblicità" al nome stesso di "liberalismo". Insomma, non si fa comunicazione. Perciò in Italia si ha la strana impressione che il liberalismo, che ha vinto o sta vincendo dappertutto in Occidente, da noi, solo da noi, non abbia ancora vinto. Ma non è vero.
E poi, certo, ci sono i "casi umani". Quelli che di questa diffusione neanche se ne sono accorti. Che addirittura la contestano, per comodità e pigrizia (perché se no, dovrebbero darsi da fare…). Il vecchio Pli non solo non gridò vittoria, ma non fece un manifesto alla caduta del comunismo nell’89. Eloquente. Anzi, vergognoso. Figuriamoci un nuovo Pli. E oggi lo si vorrebbe resuscitare con quattro gatti, senza nessuna personalità, nessun intellettuale, solo per il biglietto da visita d’un segretario o d’un presidente? Un aneddoto è illuminante. All’obiezione che il suo club nulla aveva fatto in quell’occasione e anche dopo, per diffondere le idee liberali, il direttore scientifico d’un famoso club liberale mi disse con tono saccente e sorrisetto snob di chi la sa lunga: "Ma, guardi, è il comunismo che ha perso, non è il liberalismo che ha vinto". Restai senza fiato per l’improntitudine del finto intellettuale. Lo sanno perfino i cronisti sportivi, invece, che il comunismo è crollato (Germania DDR e Polonia) proprio per il confronto stridente col benessere e la libertà dei vicini paesi occidentali. Al paese mio, quando un boxeur cade, è l’altro che vince.
Dicono di essere "moderati" in politica, ma come si vede sono moderati nell'intelligenza. Diciamo che perfino ad alti livelli i nostri intellettuali sono quello che sono. E spesso se ne escono in assurdità fantasiose e controproducenti. Ricorderemo sempre lo stupido "elogio del fumo" spacciato per una libertà minacciata. Roba da non superare l’esame di terza liceo. Sarebbe come se un liberale volesse passare in auto col semaforo rosso per infrangere un "divieto stalinista". Capisco che veniamo da mercanti, importatori, negozianti, agricoltori, artigiani, professionisti e imprenditori. Perché la libertà "pratica" ha sempre preceduto quella "teorica". Però quella gente non era affatto scema, e in passato infatti abbiamo avuto fior di pensatori. Ma oggi? Il livello medio della classe politica e intellettuale liberale appare bassino. In certi casi, si direbbe quasi che si è liberali per una questione più di cuore che di mente. E visto che in un gruppo "moderato" nessuno ti controlla o ti costringe a dichiarare le tue scelte politiche, o a parlare sempre di politica, abbondano gli infiltrati. Che poi si lamenteranno, si piangeranno addosso, ma non faranno mai niente. Von Masoch, più che Freud.
E c'è chi, in provincia e nel Sud, pur di essere "presidente" o "segretario" di qualcosa, si accontenta di una sigletta-fantasma da 0,1 o 0,3 per cento, evitando come la morte la propaganda, rifiutandosi di far conoscere il liberalismo alla gente, anzi tagliando le gambe ai giovani e ai volonterosi, impedendo come il personaggio del Gattopardo che qualcosa cambi, si maturi, si accresca, si diffonda tra gli italiani. Stupidi? No, mediocri consapevoli: "Finché la mia sigla resterà minuscola e virtuale non farà gola a nessuno, e dunque nessuno più bravo di me mi caccerà, anche se come segretario sono una nullità..." "Liberali" del terzo tipo: più che da poltrone, da indirizzo postale virtuale.
Perciò, cari amici liberali che nascosti e silenti nei più diversi partiti così tanto male fate al liberalismo in Italia, prestate orecchio al vostro "compagno" di snobismo Sir "Tweed" Bertinotti, che di queste cose se ne intende. Andate ad una vera Rifondazione liberale. Ma che sia una cosa grossa: il liberalismo non è il rimasuglio comunista. E’ vincente. Dovrete, dovremo, ricominciare da zero, con un appello con cui chiamare a raccolta tutti, ma proprio tutti, da Ostellino a Sgarbi (sì, pure gli antipatici), compresi i 100 Club di cultura liberale. E non cominciando col dire: "iscrivetevi al mio gruppo"... Allora sì, su un progetto preciso e credibile di Assemblea Costituente dei Liberali italiani (ottimo nome, basta con i "partiti"), con il meglio dell'intelligenza lib-lib-lib, che arriverebbero anche i finanziamenti dei mecenati. Perché gli industriali non sono scemi: se il gruppo promotore non è credibile, non "buca" il mercato delle idee, a loro e a noi non conviene. (Camillo Benso di Latour)
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IL MONITO DI DARHENDORF
E c’è anche la democrazia illiberale…
"Che significa essere liberali, e chi sono, e dove stanno oggi i liberali?" Anche Sterpa, sul Giornale, prende le mosse dalla sparata pedagogica di Bertinottii: che ci stanno a fare, certi liberali, a Sinistra? E anche lui non si traccia le vesti, anzi gli dà polemicamente ragione. Certo, siamo d’accordo, non vediamo nessun liberale tra i tanti no-global, glocal, black-bloc, e nella stessa base della Sinistra normale e borghese che pure esprime politici o economisti "per bene", "moderati", "con la testa sulle spalle", ma che poi in fin dei conti resta un po’ anti-americana, appena antisemita, tanto pseudo-ecologista, troppo anticapitalista (quando non si tratta del capitalismo scorretto delle Coop rosse), sempre giustizialista, istintivamente staliniana. Perché, si sa, l'avversario politico è un nemico, e se non si riesce a sconfiggerlo col voto, bisogna screditarlo moralmente, meglio se all’estero (sputtanando l’intera Italia) e infine denunciarlo alla magistratura, tanto più se questa è fatta di "compagni" che garantiscono rinvii a giudizio e sentenze. Senza contare i patetici comunisti storici come Cossutta e un buon quarto dei Ds, o gli allegri, fantasiosi, quasi-comunisti gandhiani arcobaleno (Bertinotti). Tutta 'sta gente sarebbe "democratica"? Dicono di esserlo, anzi formalmente se ne riempiono la bocca (salvo brogli ai seggi...), ma certo si tratta di viscerali anti-liberali.
Fortuna che sul Riformista Biagio De Giovanni ha replicato a Bertinotti: che cosa sarebbe una democrazia che consideri con ostilità ed estranea la dimensione liberale? "Sarebbe una democrazia lontana dalla tradizione più alta del pensiero europeo, dal concetto di libertà affermato da Constant (fondamentale il discorso pronunciato nel 1819 all’Athénée Royal di Parigi) e prima ancora da Kant (la libertà dell’uomo come risultato di scelta autonoma e non eterodiretta) e da Montesquieu, autore de Lo spirito delle leggi, opera che afferma l’altrettanto fondamentale principio della divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario)". A De Giovanni bisogna essere grati - dice Sterpa - per la intelligente e robusta difesa della indispensabile coniugazione democrazia-liberalismo. Giustamente definisce "nuovi reazionari" quanti rigettano il liberalismo con "irresponsabile critica". Indica senza esitazione negli "antagonismi antimoderni e corporativi" uno dei lasciti della "vecchia sinistra italiana". E conclude: "L’intelligenza della sinistra deve impegnarsi perché ciò non avvenga: il suo vero compito è in questa battaglia".
Ma la Sinistra di oggi in Italia ha in sé valori, principi, che siano garanzia per la tenuta e lo sviluppo di un regime insieme democratico e liberale? C'è da dubitarne. Non a caso Ralf Dahrendorf, teorico liberale che spesso la Sinistra cita a proprio vantaggio - obietta Sterpa - scriveva giorni fa su Repubblica che la democrazia politica, magari con elezioni formalmente democratiche, da sola non garantisce l’ordine liberale", anzi può portare ad una democrazia illiberale, come è avvenuto in vari Paesi. Insomma, per dirla con von Hayek, perché un regime politico sia davvero liberale, bisogna che libertà di pensiero e libertà di azione del singolo cittadino siano assicurate sempre e anche nelle cose più piccole della vita quotidiana. Insomma, come insegna il mondo anglosassone, o il liberalismo permea l'intera società, oltre alle istituzioni e al diritto, diventando anche un "modo di pensare" e di comportarsi giorno per giorno, oppure non esiste. (La serva di Adamo Smith)
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RADICALI, DOPO IL PASSAGGIO ALL’UNIONE DI PRODI
Ma il programma resta (quasi tutto) liberale
Se qualcuno temeva un addolcimento in salsa sinistrese del programma dei radicali, specialmente sul versante economico liberista, be', si dovrà ricredere. E' vero però che, grazie alla posizione "sul confine", gli amici radicali mettono ora in risalto, tra i tanti loro temi tradizionali, quelli più appetibili in teoria per la psicologia cattolica e "di sinistra" (virgolette ironiche d'obbligo), come l'amnistia, che a noi liberali, poco amanti del perdonismo e sempre determinati a scegliere la responsabilità personale e la certezza del diritto, non ci entusiasma. Però, sono fondate le analisi tecniche e sociologiche fornite dai radicali sulle disfunzioni della giustizia in Italia. Potere e privilegi corporativi della casta dei giudici, da una parte, e condizioni inumane nelle carceri dall’altra. I 60mila carcerati non devono diventare oggetto d'una sorta di "sindacato" specializzato (come anche tossicodipendenti, gay, donne, giovani ecc), ma è vero che sono troppi, troppo costosi per la cittadinanza, e sono per lo più immigrati, drogati e poveracci. Quando molti grandi criminali, non solo della mafia ma anche dell'economia, della finanza e della politica, stanno fuori. E per noi liberali le pene devono essere severe, interamente scontate, ma anche rieducative. E concentrate sui reati più socialmente pericolosi. I piccoli reati, droga in primis, andrebbero depenalizzati.
Eppure, a guardare alle adesioni alla proposta dell’amnistia, in particolare ai silenzi dei Ds, si direbbe che anche questo tema "strappacuore" non sia neanche più tanto della Sinistra politica istituzionale, quanto di quella alternativa e, ancora fino a papa Wojtyla, di quella cattolica. Poi, certo, nel programma radicale c'è la grazia a Sofri, e più in generale il potere di grazia del presidente della Repubblica. Quindi l'abrogazione del Concordato, l'eutanasia, i diritti delle minoranze (anche sessuali) e la riforma del sistema politico in senso anglosassone. Un ringiovanito Pannella e il dinamico segretario politico Capezzone dicono sì alle proposte avanzate tempo fa da Giavazzi: abolizione degli ordini professionali, a cominciare da quello dei giornalisti, del valore legale del titolo di studio (vecchio cavallo di battaglia dei liberali) e della golden share con cui lo Stato continua a dirigere i consigli d'amministrazione degli Enti "privatizzati". Infine, visti i propositi di reazione che circolano nella Sinistra estrema, è degno di plauso il deciso no radicale all’abolizione della legge Biagi, una delle riforme buone fatte dalla Casa delle libertà. E ancora, separazione delle carriere dei magistrati, e infine fedeltà alle alleanze in politica estera, cioè all'Occidente liberale. (Ernesto Martini & Rossi)
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TRASFORMISMO, VECCHIO VIZIO ITALIANO
Ritratto d'un Fregoli della politica
Un "uomo delle Istituzioni", uno studioso stimato, uno dei più illustri rappresentanti della Seconda Repubblica. La sua biografia politica, però, più che idealità o istituzioni – dice una presentazione editoriale – evoca il teatrante Leopoldo Fregoli, celeberrimo per le formidabili doti trasformistiche. Ha compiuto incredibili piroette con le quali è arrivato fino ai vertici dello Stato, in quota laica e berlusconiana. E molta acqua è passata sotto i ponti, da quando si proclamava fautore di un "socialismo pragmatico" e strizzava l'occhio al Psi di Craxi (primi anni Ottanta), a quando come intellettuale "di sinistra" scriveva sul Manifesto. Da quando cavalcava l'ondata giustizialista e antipartitica provocata da Mani Pulite (primi anni Novanta). Da quando, campione liberale di laicità e anticlericalismo, si avvicinò ai radicali, fino a quando nel 1994 liquidò l'avvento di Forza Italia affermando che "Berlusconi è a metà strada tra un cabarettista azzimato e un venditore televisivo di stoviglie, una roba che avrebbe ispirato e pure angosciato il povero Fellini". Ma nel 2005 lo troviamo (a parte l'alta carica istituzionale) senatore di Forza Italia, nemico giurato delle "toghe rosse", filoclericale, a braccetto con papa Ratzinger, antilaico e teo-con all'italiana. Chi è?
Il libro "Siamo alla frutta: ritratto di Marcello Pera", molto ben scritto dal dirigente radicale Michele Di Lucia e presentato in via di Torre Argentina, a Roma, da Giuliano Ferrara, Gad Lerner e altri, non è solo un pamphlet polemico, ma soprattutto un'accurata e perfino equanime ricostruzione biografica, a quanto riferisce chi l'ha letto. Del resto, i cambiamenti d'abito del professore divulgatore di Popper sono stati tali e tanti che parlano da sé: inutili le invettive. Noi di tutti questi passaggi funambolici ci meravigliamo, sì, ma un po' ne sorridiamo anche, come si fa ad uno spettacolo acrobatico ben riuscito. Ci vuole abilità. Ma è una malattia ben nota nell'Italiuzza del "O Franza o Spagna, purché se magna". Del resto in letteratura esistono saggi o capitoli interi sulla tendenza al "trasformismo" degli uomini (politici o no) dell'Italia dal Medioevo ad oggi. In questo Pera è tipicamente italiano. Anche nelle "motivazioni". E sì, perché in Italia queste giravolte si chiamano "maturazioni", con la scusa che "solo gli stupidi non cambiano idea". E' vero, ma chi parlava di intelligenza elementare? Noi qui si sta parlando di coerenza morale, di ethos, di maturazione psicologica, e anche di personalità. Ed è indubbio che chi ha propensione a cambiare spesso idea, una forte personalità non ce l'ha.
Certo, si può discutere il buon gusto dei libelli ad personam (ma quanti ne circolavano nell'800 liberale?), che talvolta possono paradossalmente creare una vittima-eroe, come scrive l'amico Tentellini sull'Opinione. Anche se nel caso di Pera questo pericolo non lo si corre certamente. Ma, perché definirlo, come fa lui, "un libro illiberale"? Un liberale è sempre un polemista. Sarebbe "staliniano", solo se i radicali fossero in un Governo assolutista e avessero il ministro di polizia. Ma allora, state sicuri, Pera sarebbe un "radicale ultrà", anzi un giacobino mangiapreti. E poi, ricordiamocelo, il liberalismo non è mai neutrale, anodino, vigliacco. Non è la media delle posizioni politiche possibili, come credono molti non liberali che pure cianciano di "liberalismo" a Destra e a Sinistra, ma è una vigorosa e decisa parte in causa. Non solo gli eroi del Risorgimento, ma perfino Gobetti, sapevano che il liberalismo è lotta. E nella lotta, si sa, ci sono gli avversari. E se questi colpiscono sotto la cintura o con armi vietate (strumentalizzando la Chiesa, la "morale" cattolica, le "origini cristiane" dell'Europa, il no alla libertà della scienza), cioè con un clericalismo da 800, noi dobbiamo reagire. I liberali sono tenuti alla legittima difesa.
E se i radicali hanno commesso qualche errore politico (ieri eccesso di referendum e quesiti "non politici" o troppo politici, oggi confusione tra liberalismo e socialismo nella versione "ad usum Prodi"), che c’entra questo col libro su Pera? O siamo addirittura al detto evangelico "scagli la prima pietra"? Che non è per niente liberale, perché in base a questo nessuno potrebbe mai denunciare alcunché. E i furbi o gli incapaci continuerebbero ad agire impunemente. No, gli errori, le malefatte, i cambi di casacca, il trasformismo, l’opportunismo, le furberie ecc., vanno sempre denunciati, resi pubblici, fatti conoscere all’opinione pubblica e agli elettori. Che devono conoscere prima di votare.
E poi, cos’è questa vulgata popolare secondo cui i liberali dovrebbero essere solo moderati? E' come se un pugile fosse destinato a prendere solo pugni in faccia. Dove sta scritto? Già i liberali (i radicali, no) sono depressi del loro. Ora questa confusione delle acque che accomuna in un’assurda scomunica il trasformista - figura più comune in Italia della maschera di Pulcinella - e chi lo critica e lo segna a dito, li deprimerà ancor di più. E invece, tutto si può rimproverare ai liberali italiani fuorché d'essere arroganti. Sono semmai molli e accondiscendenti. Ma forse l'amico Tentellini pensa solo ai radicali quando dice "liberali". Sono diversi. Eppure il libro del radicale De Lucia è sensato e obiettivo, per niente estremistico "nonostante sia radicale". E in verità uno dei motivi per cui il Salon Voltaire è nato, è che i liberali occorre svegliarli, dargli coraggio, renderli finalmente "parte" in causa, gruppo combattente, come tutti. E devono reimparare – come gli animali selvatici nati in cattività – a menare botte da orbi per farsi largo nella savana illiberale che li circonda. Filosofi, saggi, equidistanti? Già lo sono (siamo) stati fin troppo. Ora basta. I finti liberali, gli infiltrati, i voltagabbana, gli opportunisti che spacciandosi per "liberali" si fanno votare e vanno al Governo o fanno opposizione con i nostri voti, vanno denunciati. Non certo al Comitato Centrale o alla magistratura, ma all’opinione pubblica. Che deve sapere. Come pretende la morale liberale. Per la virtù liberale dell'onestà, della chiarezza e della trasparenza. Perché i cittadini non li votino la prossima volta. Eh, sono finiti i tempi del vecchio Pli, in cui la timorosa e vergognosetta Berta filava, filava, filava... (Niccolò Tommaseo)

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