17 novembre, 2005

 

17. Newsletter del 9 dicembre 2004

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Salon Voltaire
IL "GIORNALE PARLATO" LIBERALE
LETTERA DEL SALOTTO VOLTAIRE
"GIORNALE PARLATO" LIBERALE DI ATTUALITÀ, SCIENZA, CULTURA, POLITICA E COSTUME
Lettera n 17 - 9 dicembre 2004
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"Stress, ipertensione, colesterolo alto? Partecipa a un salotto liberale.
L’unico in cui il sedentarismo fa bene e stimola il cuore"
CARDIOLOGO ANONIMO
Sommario: M
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Sommario:
ORGOGLIO E PREGIUDIZIO. E i liberali celebrano se stessi
NO A VENDITORI D’AUTO E POLITICI. Sì all’infermiera in minigonna
LE COLPE DELLA SCUOLA. Numeri e parole bau-bau degli Italiani
POLITICI CRETINI. Troppi ghetti islamici? Chiama li Turchi
ACCADRA’ ALL’ALITALIA? Quei due piloti col bastone…
LIBERTA’ E SUOI LIMITI. "Ho l’auto e ci vado dove mi pare"
GIOVANI E VECCHI IN ITALIA. La politica (la parola) ci fa schifo
EMERGENZA PAESI ARABI. Il primo versetto dice: "democrazia"
RADICI D’EUROPA: IL PRESEPIO. Dottor sottile, Pio IX e l’Immacolata
VERBALI DELLA COMMISSIONE. Buttiglione, avevamo ragione noi
L’ARTE DI FARE I TITOLI. "Ucciso un soldato e quattro palestinesi"
CALANO LE DITTATURE. Meno Hitler in giro, grazie tv
RICCHEZZA E DEMOCRAZIA. L’Arabia è ricca, eppure…
CULTURA DELL’OMERTA’. Suore e mamme: "non fate la spia"
MORELLI CONTRO PRODI. L’Ulivo? Peggio di Tafazzi
DOTTRINA BASE DELL’EUROPA. Occidente è dove c’è il liberalismo
CARRUBA E CAROLI IN UN LIBRO. Liberali: è proprio un’arte
DIRITTI DELL’UOMO. Premio Ungari alla Bonino
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DOPO IL FALLIMENTO DELL’ASSIMILAZIONE
Troppi ghetti islamici? Chiama li Turchi
Turchia in Europa? I cugini radicali hanno organizzato a Bruxelles un bel convegno sul tema, ricco di interventi sui rapporti tra Stati, religioni e libertà. Complimenti: ottimi relatori e buon spessore culturale. Ma se questa è una copertura nobile per fare lobby a favore di una scelta politica, l’allargamento dell’Unione Europea alla Turchia – i lettori di Salon Voltaire già lo sanno – siamo decisamente contrari. Da liberali. Proprio per l’impatto negativo che avrebbe sulle libertà e i diritti di tutti, sulla società e la vita quotidiana. Quando poi si scopre che l’Islam, già con i "pochi" immigrati attuali, perfino con i figli degli immigrati nati e allevati in Europa, non si integra nei valori europei, ma si chiude nei ghetti di Londra, Berlino e Parigi rimuginando ostilità e rancore verso il liberalismo, be’, allora l’inserimento di altri 66 milioni di islamici asiatici (nella Ue la Turchia sarebbe la nazione più numerosa…) è solo una pazzia. Sarebbe come gettare benzina sul fuoco del disagio sociale e della protesta, creando altri milioni di oppositori delle leggi e del costume liberale. E quando questi andranno a votare, cari cugini radicali, il liberalismo sarà solo un ricordo. Due sole conseguenze tra mille. Pensate a come tutte le forze politiche modificheranno la loro offerta elettorale per catturare i tanti voti islamici. Pensate a come diventerà ancor più reazionaria e integralista la Chiesa cattolica, per "reazione identitaria". Possibile che non lo capite? No, perché vi conosciamo come molto, troppo intelligenti. E dunque, ci deve essere sotto qualcosa. Un secondo fine non dichiarato, che fareste bene a chiarire.
Il risultato di dieci anni di politiche dell’inserimento – nota il liberale Panebianco – è il fallimento delle politiche europee di "assimilazione" (Francia) e "multiculturalismo" (Regno Unito). La politica francese puntava a un’integrazione fondata su uno scambio: la concessione della "cittadinanza repubblicana", con i suoi diritti di libertà, in cambio di una privatizzazione del credo religioso, del divieto di far valere entro l’arena pubblica le appartenenze religiose. La politica multiculturalista britannica, all’opposto, concedeva generosamente spazi pubblici, sotto forma di "diritti collettivi", alle minoranze etniche o religiose. Nella prospettiva multiculturalista ciò avrebbe dovuto portare a un’armonica coesistenza fra i diversi gruppi all’interno di una società politica liberale e tollerante. Tanto il modello assimilazionista quanto quello multiculturalista sono ora in crisi. Nuovi immigrati e anche i figli dei vecchi immigrati islamici rifiutano oggi l’assimilazione: sono, paradossalmente insieme ai razzisti, per il separatismo culturale, contro l’appartenenza francese e inglese. Le periferie europee formano una minoranza islamica alienata e ostile.
E in queste condizioni alcuni politici che si ritengono molto "furbi" vogliono far arrivare milioni di nuovi immigrati turchi? Sarebbe una miscela esplosiva con il fondamentalismo islamico, che troverebbe di colpo un’immensa platea da convertire o influenzare. Sarebbe come far entrare decine di agnelli nella gabbia del leone. Senza contare i danni ai diritti liberali così faticosamente conquistati dai cittadini d’Europa. Tutto verrebbe contestato, dalla libertà di stampa a quella di parola, dal vestiario delle donne ai manifesti. Diciamolo: si avrebbe una piccola islamizzazione del nostro continente.
E invece, sapete quali sono state alcune delle argomentazioni del convegno organizzato a Bruxelles dagli amici radicali sulla Turchia in Europa? Sentite: che sarebbe utile (a chi?) per inviare "truppe di pace" (pace?) nell’area del Caucaso, e che sarebbe un "esempio" per i paesi islamici vicini. Certo, Al Quaeda è così sensibile agli "esempi". Capito fino a che punto si spinge la mancanza di buon senso? L’Europa deve fare ora più l’interesse dei paesi islamici come l’Iraq che dei cittadini europei. E, a proposito, sapete con quali paesi confinerebbe l’Unione europea dopo l’integrazione con la Turchia? Con l’Iraq, l’Iran e la Siria. Cinismo da politici provinciali che si credono uomini di Stato, o geo-politici della domenica che non sono mai saliti su un bus o in metropolitana? Davvero, SPQP (Sono Pazzi Questi Politici). Sì, anche i cugini radicali. (Sir Lawrence da Rabbia)
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ACCADRA’ ALL’ALITALIA?
Quei due piloti col bastone…
Il ministro Siniscalco nega i finanziamenti all’Alitalia. La compagnia per risparmiare è costretta a ricorrere a due ex piloti ciechi. All'aeroporto di Milano Malpensa, i passeggeri del volo per New York in fila per il check-in notano con stupore due ciechi vestiti da piloti che battendo per terra col caratteristico bastone bianco salgono sull’aereo. Un passeggero si rivolge allarmato ad una hostess, che sorridendo risponde tranquilla: "Ciechi? Guardi, le assicuro che le tecnologie di avanguardia Alitalia permetterebbero anche a un cieco di guidare i nostri modernissimi aerei". E si allontana ancheggiando.
Per niente rassicurato il passeggero avvisa gli altri in fila, e poi tutti molto preoccupati salgono sull’aereo. Nel frattempo il velivolo si allinea. Arrivato il suo turno, comincia la lunga corsa per il decollo. Ma i chilometri si susseguono e l'aereo non si alza. I passeggeri guardano con terrore fuori dal finestrino. L’aereo continua ad accelerare ma non decolla. Non decolla. La gente è al panico. La pista sta quasi terminando, mancano pochi metri. I passeggeri ormai sono in preda alla più nera disperazione e cominciano a urlare, sempre più forte, sempre più forte. Finalmente, ad un metro dalla fine della pista, il velivolo come per miracolo si alza da terra. Tutti i passeggeri tirano un sospiro di sollievo. Qualcuno è svenuto.
Intanto nella cabina di pilotaggio, il comandante chiede al secondo pilota:
- Passami il wisky.
E il secondo al comandante
- Anche oggi è andata. Ma sai che ti dico? Il giorno che non strillano siamo fottuti... (Il barista di Porta Vigentina)
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ORGOGLIO E PROBLEMI IRRISOLTI
I liberali celebrano se stessi, ma…
C’era chi era arrivato con la faretra carica di frecce dalle punte intinte nel curaro. Ma non le ha volute usare. Anche qualche critica a "Roma accentratrice", alla "Casa dei laici" a guida socialista, alla stessa sigla PLI, è caduta sulla platea eccitata come una manciata di caramelle. Il primo Congresso del ricostituito Partito liberale italiano, tenutosi a Roma il 3 e 4 dicembre, prima ancora di risolvere i problemi cardine del liberalismo italiano e ratificare le nuove avventure politiche (alleanze, organizzazione nel territorio, elezioni), è diventato per i liberali italiani l’occasione per l’autocelebrazione sognata da anni.
"Il vento è cambiato", sembrava voler dire l’affollata platea. Ed eccoli lì, il canuto professore universitario Dejak, di Venezia, liberale da cinquant’anni, la biondina Zilberstein, abile organizzatrice a Napoli, e lo studente Andrea, new entry (quanti studenti e giovani liberali!), tutti ad applaudire entusiasti, ad assaporare con gioia il momento magico. E meno male che non doveva essere una "Rifondazione liberale": proprio questo è stato. Tanto che Diaconale, direttore dell’Opinione, che deve conservare una specie di amore-odio verso il PLI di ieri, è intervenuto dal palco a ripetere ben tre volte il suo solito "memento": attenti a non ritornare al ’94 ("heri dicebamus"), a non cedere alla nostalgia, a non fare una riedizione fuori tempo massimo del vecchio partito di via Frattina. Macché, era proprio quello che la platea nelle due giornate della rinascita liberale, sotto sotto, voleva. "Penseremo al futuro, non al passato - assicurava il segretario De Luca - saremo nuovi, propositivi, perfino sovversivi. Perché né il centro-destra né il centro-sinistra sono liberali". Era quello che i cinquecento congressisti, in rappresentanza ideale dei milioni di liberali italiani, volevano sentirsi dire. Ma sì, "Liberal pride", orgoglio liberale.
Smentiti i timori della vigilia, di cui aveva parlato il Salon Voltaire, hanno avuto torto quelli che a Roma non c’erano. Alcuni, come Morelli (FdL) e Vivona (Liberalitalia), per un terzismo equidistante da destra e sinistra (posizione ideale per un vero liberale, ma oggi eroica), altri perché stanno nell’Ulivo, come Zanone che da solo ha "fondato" l’ennesimo gruppo virtuale Democrazia liberale, altri per antipatie personali, altri ancora per i soliti distinguo da "tricotesserotomisti", o spaccatori abituali del capello in quattro. Così tutto o quasi è filato liscio. Dov’erano i Machiavelli delle tattiche d’assemblea, i presidenti-Mazzarino, i Pannella dei proclami sanguinosi, gli assalti dei mozionisti al tavolo della presidenza, i logorroici usque-ad-mortem legati al microfono con la catena, i cavalieri del "cavillo di Troia", per cui i liberali sono famosi? Spariti. Per di più, a far capire all’avvocato di Catania, all’ingegnere di Milano e al giovane manager informatico di Pesaro che si rientrava nel "giro della politica", erano giunti i saluti di Ciampi, Pera e Cossiga, e soprattutto ospiti come De Michelis, Biondi, Tremonti, La Malfa, Vegas, Scognamiglio, Bianco. Senza contare l’iscrizione di due ex radicali, Mellini e Negri. Ma il partito radicale non si è visto: un gesto di cafonaggine, lo ha definito Tentellini. Di altezzosità e gelosia, voleva dire.
C’erano state, però, in apertura le critiche di chi chiedeva più localismo e temeva una terza bufala dopo la "Costituente" e la "Casa del cittadino" di Costa e Biondi (Garatti), o di chi esigeva un partito davvero e solo liberale, senza doppiezze, senza garofani o edere, senza alleanze precostituite e senza quei leader che lo avevano affossato dieci anni fa (Caputi). Tanto più che quei leader oggi appaiono ancor più sbiaditi dalla lunga assenza dalla politica, che gli italiani non amano la parola "partito", e perfino la gloriosa sigla PLI (meglio, allora, "Liberali italiani") non è capita dai giovani e dalle casalinghe che votano (Valerio). Insomma, uno scontento non da poco, visto che toccava proprio il primo e il secondo tema del Congresso.
Eppure, un freudiano processo di autocensura ha fatto in modo che la gioia d’essere insieme, in tanti, facesse dimenticare i due errori fondamentali degli organizzatori: il non aver indetto una vera Assemblea Costituente invitando tutti i liberali italiani, compresi intellettuali, professori, gente di spettacolo e giornalisti (allora sì che la stampa ne avrebbe parlato…), e l’annullarsi in una "Casa dei laici" gestita di fatto da quei furboni degli ex avversari storici dei liberali, i socialisti, prima ancora delle decisioni dell’assemblea. Uno sgarbo da realpolitik, è sembrato ad alcuni. Tanto che perfino i più moderati hanno protestato, per spirito di bandiera, chiedendo al segretario e ai grafici di togliere subito, almeno, le tre parole estranee dall’onorato logo liberale.
E pur di non rompere l'incantesimo del momento, i liberali hanno preferito celebrare se stessi. Un po’ autosuggestione (ironia della sorte, nella sala vicina alcuni psicoterapeuti tenevano una seduta di ipnosi) e un po’ il sonno sacro a Morfeo. Senza risolvere i problemi della vera riunificazione (restano fuori ancora numerosi club), della coabitazione ai margini d’una Casa delle Libertà che sembra snobbarli, della comunicazione (la dirigenza liberale è negata su questo punto), dei soldi che ancora non ci sono, tanto che il Congresso l’ha pagato De Michelis. L'argomento più battuto non era "che politica faremo se F.I. o De Michelis ecc", ma "come è bello fare i liberali puri e duri contro tutti, destra e sinistra". Insomma, dopo decenni di umiliazioni in un’Italia clericale o comunista, comunque poco liberale, ora che il liberalismo ha vinto nel mondo ma non ancora da noi, la platea dell’Hotel Universo ha sognato di mostrare i muscoli. Come se stesse vincendo contro tutti, come se il Davide liberale avesse mirato con la frombola sul Golia statalista e autoritario, finalmente atterrato. Perciò, il tema vero e sorprendente del Congresso sono stati i congressisti. Molti hanno battuto sul tasto della indipendenza, d’una severità e dignità di stampo risorgimentale che si riteneva perduta. Con frecciate continue - a destra e a sinistra - verso chi spende il nome liberale per farsi pubblicità senza fare una politica liberale. Perfino De Luca, eletto segretario all’unanimità, ha dipinto la "Casa laica" come una reazione di autodifesa dei liberali per non morire e cercare di salvarsi dalle probabili misure elettorali restrittive escogitate da Berlusconi (sbarramento al 5 per cento) alle prossime elezioni politiche.
Nella replica finale del segretario è stata sfumata e quasi annullata un’interessante proposta della relazione iniziale per cui il congresso doveva costituire solo l’inizio d’un processo di riunificazione, superando contrasti anacronistici e personalismi, come ha notato Guido Di Massimo. A questo scopo si sarebbe dovuto eleggere un "Comitato per la riunificazione" di tutti i liberali. Ma a sorpresa De Luca, anch’egli vittima della ventata di eccitazione e ottimismo, ha dichiarato nella replica finale che "la diaspora liberale è finita", che "ormai i liberali sono solo nel PLI", che il "cerchio si è chiuso". Un errore che sarà compito degli organi eletti correggere nei fatti, ma che intanto ha convinto il milanese Caputi (Liberali per l’Italia), che era appena confluito sub conditione, a riprendere la propria autonomia.
E come in tutti i congressi, c’è stato anche l’incidente, la beccata feroce, in questo caso all’incolpevole Tentellini, una delle poche menti lucide dei liberali romani, contestato sul "divorzio breve" e per aver parlato "anche da radicale" da una giovane claque di Destra liberale sfuggita ai controlli. Ma poi le stesse cose le hanno dette molti altri, tutti applauditi. E la claque? Sparita. Sommersa dalle proteste e forse da qualche lavata di capo. Dispiace che Tentellini, unico "ufficiale di collegamento" tra liberali e radicali, neanche inserito nel Consiglio nazionale, abbia restituito la tessera. Una perdita secca per i liberali.
Dopo questo strano e inesplicabile incidente, a platea rinsavita, tutto è filato liscio. La gente si è goduta la festa rimandando la risoluzione dei problemi al nutrito Consiglio nazionale di 130 membri - il vero congresso - nonostante che dal palco se ne sentissero di tutti i colori, secondo la ricca tavolozza liberale, dal vecchio professore crociano che ha letto un arduo brano della Critica sul laicismo, alla bionda e sorridente milanese Viola (ex FI) che ha entusiasmato la platea, fino all’ex segretario radicale Giovanni Negri che ha preso, provocatoriamente (com’è d’uso tra i pannelliani), la tessera liberale e chiederà anche quella repubblicana e socialista. Ma senza ambizioni politiche, visto che come Cavour, Ricasoli, Einaudi e Malagodi, si è ritirato a produrre ottimo vino. L’ebbrezza della libertà. (Camillo Benso di Latour)
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NON E’ VERO CHE RICCHEZZA FA DEMOCRAZIA
Ma l’Arabia è ricca, eppure…
Il marxismo per decenni ha lasciato credere che la democrazia liberale non si imponesse in certi paesi a causa della povertà. Ci saranno certamente nessi molteplici tra evoluzione civile e risorse economiche. Ma se la democrazia non si diffonde nei paesi arabi, non è certo per la loro presunta povertà, risponde lo studioso Joshua Muravchik. Anzi, aggiunge, "il Paese arabo più ricco è l’Arabia Saudita, che è anche quello senz’altro più distante da una forma democratica di governo; inoltre la democrazia ha stabilito solide radici nell’Africa subsahariana che è nel complesso molto più povera del mondo arabo". (L’usciere di Quintino Sella)
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NO A POLITICI, GIORNALISTI E VENDITORI D’AUTO
Evviva l’infermiera, in minigonna
Sulle procaci infermiere, sempre nude sotto una camiciola striminzita e regolarmente sbottonata, si è esercitata tutta una scuola di disegnatori umoristici. Sul tema sono stati prodotti anche dei serial televisivi. E il bello è che anche la pornografia ha preso di petto le prosperose assistenti sanitarie, croce e delizia di tanti malati immaginari degli ospedali di tutto il mondo. E già, perché nessuno ci toglie di mente il sospetto che certe giovani e curvilinee infermiere vengano distribuite dai medici nei vari reparti al puro scopo di fare da test sull’avvenuta guarigione dei pazienti maschi. E lo stesso, per par condicio, si insinua, a proposito di infermieri, per le pazienti donne, come riferiscono le cronache.
Fatto sta che, al di là dei desideri reconditi, resi più acuti dalla condizione psicologica d’una lunga degenza o dalla debolezza visionaria d’una convalescenza (basta leggere la "Montagna incantata" di Thomas Mann), ora anche un sondaggio Gallup conferma questa predilezione per la meno vestita, ma non la meno autoritaria, delle divise.
Tra le categorie professionali che riscuotono maggior fiducia tra il pubblico degli Stati Uniti, le "nurses" sono al primo posto, avendo superato i vigili del fuoco, che ebbero il loro momento d’oro dopo l’attentato delle Twin Towers. Infatti sull’onda della riconoscenza popolare, i giornali riportarono il curioso episodio d’una mogliettina di New York che, fingendo quotidiani impegni di volontariato, tradìva ogni giorno il marito con un pompiere diverso. Ma tutti, attenzione, della squadra più eroica, quella che aveva salvato più vite umane delle Torri Gemelle. La cosa durò dei mesi, prima che il marito lo scoprisse e chiedesse il divorzio.
E le professioni più screditate e meno affidabili? Politici, avvocati, giornalisti, pubblicitari, impiegati statali, meccanici e venditori di auto usate. La gente è convinta che non solo questi ultimi, ma anche gli altri, vogliano rifilarle dei "bidoni". Be’, non hanno tutti i torti. Siamo convinti che se si facesse anche in Italia un sondaggio del genere darebbe risultati analoghi. (Olga, la stagista di Putin)
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GIORNALISMO ANTI-ISRAELIANO
"Ucciso un soldato e 4 palestinesi"
Chi ha qualche pratica di redazione, o di lettura di giornali, sa bene che già dalla titolazione, anche nel caso ottimistico che non si dicano falsità, si può condizionare in un senso o nell’altro la lettura dell’articolo. Ogni giorno il benemerito sito www.informazionecorretta.com che denuncia le inesattezze o le parzialità dei mezzi di comunicazione, giornali e tv, sul mondo ebraico e su Israele, mette in rilievo casi curiosi che dovrebbero attirare l’attenzione del pubblico e della stampa. Ma così spesso non avviene.
E’ talmente facile e "normale", purtroppo, parlare o scrivere male degli ebrei, con la scusa falsa di "opporsi alla politica di Sharon", che pochi ci fanno più caso. Salon Voltaire, invece, alle falsità o ingiustizie ci fa caso, eccome. Scegliamo un piccolo esempio di questa distorsione nel presentare le notizie attraverso un titolo. Nel Mattino dell’8 dicembre – lamenta "Informazione corretta" - Michele Giorgio firma un articolo dal titolo "A Gaza è di nuovo battaglia. Uccisi soldato e 4 palestinesi". Be’, questo è un titolo da antologia. Sappiamo bene che ci sono problemi di spazio nei titoli, ma questa titolazione è come minimo opinabile. "Uccisi soldato e 4 palestinesi", senza dire il falso non dice – guarda caso – che il soldato era israeliano, e i quattro palestinesi non erano persone qualunque casualmente coinvolte negli scontri, ma due terroristi della Jihad islamica e due di Hamas che stavano compiendo un’azione militare. Per la cronaca, il soldato israeliano di un'unità cinofila anti-esplosivo, Nadav Kudinsky 20 anni, è stato ucciso con il suo cane dall'esplosione di un ordigno mentre perlustrava un pollaio in una zona agricola. Terroristi di Hamas hanno rivendicato l'azione. I suoi commilitoni, nel tentativo di soccorrerlo, sono stati fatti oggetto di un fitto fuoco da parte dei terroristi palestinesi che erano in zona: 4 soldati feriti. Sono seguiti violenti scontri tra i terroristi e i rinforzi israeliani. E questa era una piccola notizia, figuratevi le grosse. (Sara Veroli, commessa da Tagliacozzo)
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L’ANNUALE INDAGINE DEL CENSIS
"La politica (la parola) ci fa schifo"
Tutti in Italia parteggiano per Coppi o Bartali (pardon, volevo dire Berlusconi o Prodi). Quasi tutti hanno un’idea, un’ideuzza, una quasi idea, almeno una sensazione su Pannella, Rutelli, Bossi, Fini, Fassino, Bertinotti & C. Possibile che siano tutti così politicizzati? Manco per sogno. Per alcuni è come tifare Juventus o Milan, Inter o Roma. Quelle che esprimono sono scelte identitarie, di appartenenza, simili a quelle imposte dalla famiglia d’un clan etnico. Tant’è vero che le polemiche aspre ("flames", fiamme, si chiamano in slang informatico) da Guelfi e Ghibellini, Bianchi e Neri, hanno colonizzato i vari newsgroup di politica su internet, ai quali ci si accosta come per assistere ad uno spettacolo cruento o esilarante.
La "politica", quindi, ci ha preso le viscere. La usiamo, eccome. Precedenti indagini confermano che la gran parte dei giovani del Sud e perfino del Nord si fanno o si farebbero raccomandare da un potente locale, quasi sempre un politico. E gli impiegati e operai in difficoltà, da chi vanno a protestare per ottenere - siamo in un’Italia ancora pre-liberale – "l’aiuto dello Stato"? Dai politici. Se poi sono "anche" sindacalisti, meglio ancora. E la mafia, scusate, che altro è se non politica? E che politica: rete di alleanze, lotta tra partiti regolata da norme comuni, compromessi e mediazioni, vere e proprie elezioni, controllo del territorio, scelte di "governo", economia, rivolte, putsch, "diritto penale", forze armate…
Eppure, così immersi totalmente nella "politica", sia pure deviata, gli italiani ne odiano il nome. Anzi, peggio, lo sottovalutano, lo considerano vecchio, non più alla moda, poco utile. Lo ha accertato l’annuale indagine sociologica del Censis. Malgrado il rilievo che ha la politica nella formazione di molte opinioni, tutti - o quasi - gli italiani sono accomunati da giudizi assai negativi nei confronti dei suoi protagonisti (persino il sindaco, che è il politico considerato piu "vicino", suscita sfiducia nella maggioranza dei cittadini) e della politica in sé. Oppure sono indifferenti. Sono lontani i tempi - quarant’anni fa - quando si ripeteva, non solo a sinistra, che "tutto è politica e la politica è tutto". Oggi, due cittadini su tre - con, ancora una volta, una accentuazione tra i più giovani - dichiarano che la politica è "poco o per nulla rilevante per la mia vita". E, forse - osserva De Rita - anche perché sfiduciati nella capacità delle istituzioni politiche di aiutarli, restano pessimisti riguardo al futuro. Ne tengano contro i liberali che stanno lavorando alla riunificazione, e anche i creativi dell’immagine, copy-writers, grafici e art director - dilettanti o professionisti - che stilano programmi, disegnano manifesti o creano eventi liberali: battano più sul tasto cultura e psicologia che su quello politica, tantomeno chiamino i loro gruppi "partiti". (La cuoca di Pareto)
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EMERGENZA PER L’ORIENTE MUSULMANO
Il primo versetto dice: democrazia
I paesi ex comunisti non possono certo essere un esempio per l’Oriente islamico. Basta vedere quello che è accaduto in Kossovo e in Albania, sta accadendo in Ucraina e accade da anni in Russia. Ma quelli occidentali, sì. Ora che si sta concludendo l’anno in cui è stato chiesto per la prima volta alla Lega delle democrazie (100 governi) di costituirsi come gruppo stabile nell’Onu per promuovere i diritti civili e il metodo democratico in tutto il mondo, sarà bene che i paesi liberal-democratici si riuniscano per approntare una comune politica di democratizzazione dei paesi dell’Islam.
Non è vero che l’esportazione della liberal-democrazia sarebbe una forma di violenza alle loro tradizioni. Sarebbe solo un’evoluzione, come lo è stata per noi europei. Le sopraffazioni dell’uomo sugli altri uomini non sono mai "tradizioni", ma crimini da punire e far cessare subito. Se anche una sola virgola di democrazia liberale può far aumentare la somma delle felicità delle donne e degli uomini dell’Islam, ben venga. Se l’abc del liberalismo può servire anche solo a far cessare la violenza sulle donne e sui bambini, allora avremo già vinto.
E nei paesi arabi (22, di cui nessuno democratico, cioè almeno con libere elezioni, mentre tra gli altri 170 paesi lo sono ben 121, il 71 per cento), fenomeni come la guerriglia per bande, la criminalità diffusa, la violenza sulle donne, la produzione e lo smercio di droghe, la confusione stessa di norme religiose, morali, giuridiche e politiche, potrebbero trovare almeno un primo ostacolo nell’acquisizione del sistema democratico, come sta accadendo in Afganistan e in Iraq. "La democrazia in tutti i paesi arabi e musulmani" deve diventare il primo versetto non scritto del nuovo Corano. Anche perché dei paesi a maggioranza musulmana, 9 (il 20 per cento) hanno governi eletti democraticamente Turchia, Albania, Bangladesh, Indonesia, Nigeria, Mali, Senegal, Niger, Gibuti. Segno dunque che l’Islam e il Corano non solo proprio incompatibili con le regole democratiche. Ma per ottenere questo bisogna che la questione venga posta finalmente all’ordine del giorno in una agenda internazionale. Quale? (Il postino di Tocqueville)
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CALANO LE DITTATURE, MA SENZA GUERRE
Meno Hitler in giro: grazie tv
"A partire dal 1973" ha calcolato sul Sunday Times l’ex ambasciatore americano a Budapest, Mark Palmer, "dal Cile all’Indonesia, dalla Polonia al Sud Africa e più recentemente da Belgrado a Tiblisi, gli strumenti del conflitto non violento - le organizzazioni, l’informazione, gli scioperi generali, le proteste di massa - sorti internamente e appoggiati dall’esterno, hanno ridotto il numero delle dittature dal 43 al 25 per cento delle nazioni del mondo, praticamente senza che fosse sparato un solo colpo". Palmer ha proposto che la dittatura sia riconosciuta come un crimine contro l’umanità e che un centro della Comunità per le democrazie si dia carico di raccogliere le prove contro "ciascuno dei restanti e poco amati dittatori". (Generale Lafayette)
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DOTTRINA MINORITARIA, MA HA FORGIATO L’EUROPA
L’Occidente? E’ dove c’è il liberalismo
Sentite che parole illuminanti sul liberalismo trova il Corriere nel presentare il libro di Carruba-Caroli (v. sopra), mentre non sempre le trova per gli articoli di fondo e di cronaca politica. Cose che succedono solo nel giornalismo italiano, fatto col bilancino dei rapporti di forza interni ed esterni:
"Il liberalismo non è una dottrina politica occidentale fra le altre. Al liberalismo spetta il destino paradossale di essere, al tempo stesso, una dottrina politica minoritaria (non solo in Italia) e di comprendere in sé le idee-forza che hanno fatto della civiltà occidentale ciò che essa è. Se ne comprendono le ragioni: poiché la visione del mondo liberale sostiene e giustifica le concezioni morali, le istituzioni, le pratiche sociali, che fanno la specificità dell’Occidente, ciò condanna la "dottrina" liberale a godere dell’apprezzamento di pochi. Il liberalismo è quotidianamente, ancorché inconsapevolmente, "respirato" dagli occidentali, impregna le migliori istituzioni di cui essi dispongono. All’infuori di ristrette élite, la maggioranza ne dà per scontati i benefici. Il successo pratico del liberalismo, l’avere esso dato vita alla "società aperta", lo ha per così dire "banalizzato" agli occhi di tanti (ivi compresi molti uomini di cultura), ne ha neutralizzato l’ appeal . L’effetto di questo paradosso è che i più finiscono non solo per non comprendere i principii cui si ispirano le società in cui vivono, ma anche per disprezzarli". (François Marie Arouet)
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IL PRESEPIO, FONDAMENTO DELL’EUROPA?
Dottor sottile, Pio IX e l’Immacolata
L’8 dicembre si è celebrato il 150mo anniversario del dogma della "Immacolata concezione", vale a dire quella della madre di Gesù Cristo, che sarebbe stata concepita, unica tra gli uomini, senza il peccato originale. La decisione fu presa dal papa Pio IX, (l’anti-liberale del Sillabo, oggi "beato") nel 1854 con la bolla Ineffabilis Deus. Ma moltissimi cristiani protestarono: nelle Scritture non ce n’era traccia, il dogma era solo un riconoscimento della devozione popolare - specie in Spagna - e per di più considerare Maria pura dal peccato originale voleva dire che per lei Cristo non sarebbe stato il Redentore. Ma il "Dottor sottile" (non Amato, ma quello vero, il francescano filosofo Giovanni Duns Scoto), aveva già escogitato una soluzione fantasiosa: anche la Madonna era stata redenta da Gesù, ma con una furba redenzione preventiva. Si decise così, 1854 anni dopo il fatto – e non si sa se Dio fosse stato avvertito – che era stata preservata dal peccato originale in previsione dei meriti futuri del suo figlio divino. Insomma, una raccomandata. Belle queste "dimostrazioni" d’un tempo: bastava mettere lì due parole e la cosa era fatta.
Ma a noi interessa che, in occasione della cerimonia, i cardinali Ruini e Maggiolini (il capo del governo ombra in Italia e il capo della diocesi di Como) abbiano duettato sul tema del presepio "a rischio estinzione" nelle scuole come segnale preoccupante d’un incombente "ateismo di stato". Senti chi parla, potremmo commentare. E subito, arriva il presidente leghista della Provincia di Treviso, Luca Zaia, che propone di registrare in un apposito "albo" dei cattivi gli insegnanti che si rifiutano di fare il presepio. Senti che pirla, potremmo aggiungere. "Insomma, la religione di Stato uscita alla chetichella nel 1984 con il secondo concordato rientrerebbe trionfalmente dalla porta delle scuole nelle quali, peraltro, il crocifisso continua a marcare il territorio nel nome di una e una sola religione", è l’amaro commento di Giulio C.Vallocchia, dell’associazione liberale No God.
Intanto nessun immigrato musulmano, che se ne sappia, e tanto meno il Governo, ha chiesto di eliminare i presepi "per non urtare la suscettibilità dei bambini islamici". Gli islamici non possono chiedere proprio nulla in Italia, visto quello che fanno a casa loro. Si adeguino alle leggi e alle usanze, e basta. Neanche togliere il crocifisso possono: eliminare questa usanza sarà invece compito nostro, dei liberali italiani. Terzo, nel frattempo ogni scuola, ogni classe fa quello che vuole, a pieno diritto. D’altra parte dobbiamo tollerare (come manifestazione di idee), anche se non lo condividiamo, l’attaccamento popolare a certe minute tradizioni, che più che religiose - molti cristiani non le hanno - sono superstiziose rappresentazioni "teatrali", culto delle immagini. E dobbiamo tollerare anche le critiche delle gerarchie cattoliche alle iniziative delle scuole, che però sono state prese grazie alla loro autonomia. Purché, s’intende, queste idee non arrivino ad influenzare le scelte di Stato ed Enti locali, che devono essere assolutamente laici, neutrali, non cattolici. Se volete i presepi e i crocefissi – si dovrebbe rispondere - li potete ammirare a casa vostra. Ma non dovete imporli agli altri, nei luoghi pubblici. Questa sarebbe, è, una violenza culturale e psicologica degna di "tradizioni" profondamente illiberali che l’Europa rifiuta. Come sarebbe, per esempio, imporre agli altri il no all’aborto o alla fecondazione.
Ma non possiamo sopportare che certi politici che pescano voti nell’area liberale (ora la Lega, altre volte UDC, AN, FI, Margherita ecc) rispondano così male e in modo fuorviante all’attacco alla cultura occidentale e liberale. Anziché difendere le grandi, vere conquiste liberali dall’Islam autoritario e teocratico, p. es. la libertà di idee e di critica, la democrazia, il rispetto delle donne, la distinzione assoluta tra Stato e religione, pensano populisticamente di prender voti facendo finta di difendere la credulità popolare, il presepio, il crocifisso e la processione del santo patrono. Questo non succedeva neanche ai tempi bui della Dc. Ripetiamo: è una risposta stupida e sbagliata, impolitica e antiliberale. Non è così che si riafferma la nostra identità culturale. Perché, semmai, le tradizioni caratteristiche dell’Europa, il suo vero patrimonio distintivo, sono proprio l'opposto, come dimostra il millennario filone culturale che dal diritto romano arriva all’Illuminismo: spirito critico, razionalità, rispetto dell’individuo, libertà in tutti i campi, separazione assoluta tra Stato e religione. Altro che santo patrono, presepio e crocifisso. E ai tanti cattolici che oggi per nascondersi si dicono "liberali" ma che parlano come Pio IX, chiediamo: che cosa mai direste, allora, se foste cattolici integralisti e non "liberali"? (Don Minzione)
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RESI NOTI I VERBALI DELLA COMMISSIONE
Buttiglione: avevamo ragione noi
A suo tempo sull’interrogatorio "da Santa Inquisizione" furono dedicate intere pagine di giornali. Molti ingenuamente protestarono, tanti liberali furono tratti in inganno e si allinearono con i cattolici più oltranzisti. Perfino Pannella sbagliò di brutto (e da allora sta tentando acrobaticamente di fare macchina indietro). L’ateo-devoto Ferrara sul Foglio ancora ci inzuppa il pane. Ebbene, non era vero niente. O meglio, nessuno aveva fatto violenza psicologica al candidato commissario Buttiglione. Né lo aveva "discriminato" ingiustamente. Il Salon Voltaire, tra pochissimi in Italia (e avevamo pochi minuti per capire e decidere) prese subito e con forza la posizione giusta, quella rigorosamente liberale. Ora, guardando i verbali della Commissione, Riccardo Gottardi scrive: "A Buttiglione è stato chiesto di fare un esempio di un'azione che avrebbe intrapreso per combattere la discriminazione contro le persone omosessuali. Ha risposto parlando di peccato, ma non facendo alcun esempio (esempi invece fatti nel caso di donne, Rom e minoranze etniche). Più tardi gli è stato chiesto ancora se intendesse assumere un ruolo attivo nel combattere le discriminazioni per orientamento sessuale. Ha risposto dicendo che non comprendeva cosa si intendesse per ruolo attivo. Il giorno successivo a domanda ha risposto che si sarebbe opposto da membro della Commissione a legislazioni contrarie alla sua morale. Non è questione di distinguere tra "pensare" e "fare", Buttiglione stesso ha già esemplificato la risposta nelle sue audizioni. La questione è se Buttiglione sia stato credibile o meno nelle sue riposte. Non lo è stato". (La badante russa di Cossiga)
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CULTURA DELL’OMERTA’
Suore e mamme: non fate la spia
I musulmani moderati - cioè antintegralisti - non vedono, non sentono, non parlano, in pratica non ci sono, fa notare Vittorio di Sambuy. D’altra parte, nell’Italia del Sud mafia e camorra eliminano chi parla e sopravvivono perché nessuno si azzarda di denunciare i boss per paura di ritorsioni. E ora ci scandalizziamo per la proposta di mettere una taglia sugli assassini di un povero benzinaio, nella speranza che qualcuno, meno pusillanime, sia invogliato a parlare. Perché questa brutta fama arabo-mediterranea della nobile fugura del delatore? Se siamo convinti che l'omertà sia una piaga da combattere, per favore non inculchiamo ai nostri figli che "fare la spia" è una brutta cosa, come ripetono non solo i ragazzacci quasi-teppisti di scuola media, ma anche le buone suorine del catechismo, le maestre e la mamme italiche. (Il fratello scemo dei Bandiera)
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I LIBERALI DELLA FDL CONTRO PRODI
L’Ulivo? Continua a farsi del male
Le prossime elezioni dividono già adesso: con quale sistema si terranno? I liberali che in origine, come tutti, erano proporzionalisti, si fecero convincere, come tutti, dai radicali e da Mario Segni che il sistema maggioritario, pur non essendo fedele nel rappresentare la volontà del popolo nelle sue sfumature, era però molto più adatto a produrre una classe politica capace di governare. Così questo sistema, temperato da una piccola quota proporzionale, divenne operativo. E fu grazie al quasi maggioritario che Berlusconi vinse e si insediò a palazzo Chigi. Ora, però, nella Casa delle libertà e anche dentro FI si sta valutando se sia conveniente o no aumentare di molto la quota del proporzionale per poter vincere anche nel 2006.
Ma anche a sinistra il sistema elettorale è un problema spinoso. D’Alema ha proposto un maggioritario secco con doppio turno. Subito applaudito dal bravo e attentissimo segretario radicale Capezzone, almeno per la prima parte della proposta. Capezzone ha però fatto notare che tutte le forze politiche sabotarono il referendum radicale teso ad abolire la residua quota proporzionale dell’attuale legge elettorale. E ha proposto un tavolo di confronto sul tema tra tutti i partiti.
L’incertezza sul metodo elettorale - ha notato il liberale Raffaello Morelli, segretario della FdL – rischia oltretutto di danneggiare l’Ulivo. Appena D’Alema ha riproposto il maggioritario puro a due turni (previsto dalla tesi n.1 dell’Ulivo), ecco che Prodi lo blocca in nome degli interessi di Margherita, verdi e sinistra antagonista, "terrorizzati di perdere, con il doppio turno, le loro rendite di posizione non corrispondenti agli interessi dei cittadini elettori".
Con questo stop alla proposta di D’Alema - prosegue Morelli - Prodi toglie al centro sinistra una utilissima e solida linea di difesa contro l’intenzione di Berlusconi di cambiare la legge elettorale accrescendo la quota proporzionale, se non addirittura tornando al proporzionale puro. Berlusconi ha la maggioranza e l'intenzione per farlo, e più aumenta il proporzionale più diminuiscono le possibilità di vittoria del centro sinistra. Invece - continua Morelli - proprio accettando di tornare alle origini e proponendo il doppio turno che nel ‘96 il centro destra non rifiutava, che il centro sinistra potrebbe trovare un terreno di compromesso su cui raggiungere una riforma bipartisan, di certo gradita al Quirinale e in qualche modo anche a Forza Italia all’interno della Casa delle Libertà. Oltretutto un compromesso alto, perché salvaguarderebbe tutte le posizioni politico culturali vere favorendo il formarsi delle coalizioni secondo le scelte dei cittadini e non delle caste partitocratiche". (Il copista di Piero Gobetti)
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CULTURA E SVILUPPO A RISCHIO
Parole e numeri, spauracchi degli Italiani
A Trento sono i più bravi in matematica al mondo. Seguono in seconda posizione i bolzanini e i lombardi. Ma per fortuna c’è anche il Sud, che fa numero, eccome. E così - sapete come funzionano le classifiche e le indagini demoscopiche - per colpa di tanti ma non di tutti, gli italiani risultano un popolo di ignoranti. E neanche tanto svegli di comprendonio. Se l’avessimo detto noi sarebbe apparsa la provocazione del solito cinico liberale critico verso la scuola di massa, ma detto dall’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che riunisce i 30 paesi più industrializzati) è un dato inconfutabile: gli italiani, nel loro complesso, non sanno far di conto, e non solo leggono pochi libri e giornali, ma non capiscono bene neanche quello che c’è scritto.
Chiunque scriva in Italia si accorge dopo un po’ che i suoi lettori, anche quelli ritenuti di media cultura, non sono in grado di interpretare con sicurezza tutte le frasi e tutti i concetti, specialmente quelli espressi con ricchezza di sfumature, analogie, incisi, frasi limitative o dipendenti, ecc. Solo le frasi brevi e lapidarie, solo i concetti elementari, semplici e univoci, sono sicuramente capiti e correttamente interpretati. E questo anche nel caso più favorevole: che il lettore conosca tutte le singole parole lette. Il lettore medio, perfino laureato, si attacca proprio al singolo termine e non al contesto della frase. Insomma, non sa leggere. Potete immaginare le proteste, le polemiche, perfino le querele, causate da questa incapacità interpretativa, che dovrebbe essere acquisita in ogni persona di media cultura e intelligenza. Questo difetto, unito all’insofferenza per la matematica e i numeri, molto grave perché impedisce la vera cultura, l’abitudine mentale alla logica e alla precisione, e allo stesso tempo ne è una conseguenza, è stato ora documentato da un’indagine comparata triennale (2000-2003) che l’Ocse ha condotto sugli studenti. Quelli italiani sono risultati al 25mo posto su 29 paesi nella comprensione dei testi e al 26mo nel calcolo matematico, due elementi logico-culturali fondamentali. Un dato che conferma le indagini condotte in Italia dall’Invalsi e spiega il deficit di iscrizioni ai corsi di laurea scientifici, e il basso livello culturale dei laureati umanistici italiani, con le conseguenze che è facile immaginare per il futuro di un Paese industrializzato.
Le responsabilità della corporazione degli insegnanti e del sistema burocratico scolastico sono altissime. Finché non si potranno licenziare a migliaia gli insegnanti non bravi e non efficienti, finché non si introdurrà quella severità e quella precisione nello studio che erano una caratteristica della scuola italiana dell’epoca liberale, l’Italia sarà ferma e impedita nel suo sviluppo culturale, scientifico, industriale e tecnologico. E, certo, c’è anche la responsabilità, enorme, delle famiglie, del mondo politico e di tutti noi elettori. (Alessandro Volt-Ampere)
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BIGNAMI DEL LIBERALISMO. LIBERTA’ COME LIMITE
"Ho l’auto e ci vado dove mi pare…"
Su Internet, frequentata per lo più da giovani, non mancano gli articoli di politica liberale, nascosti nei più impensati siti. Ad esempio, Ragionpolitica, il sito di don Baget Bozzo (ex socialista e ora deputato di FI), contiene parecchi articoli sui vari aspetti del liberalismo. Valentina Meliadò ha scritto un lungo articolo sui rapporti tra liberalismo e diritto in generale, dove non mancano gli spunti di interesse. Ma nel mare di frasi, non dà rilievo ad un semplice concetto-base, che cioè il liberalismo è la dottrina dei limiti. Poiché è un sito intelligente - anche se troppo ecclesiale per noi liberali mangiapreti destinati all’inferno - che potrebbe essere letto dai giovani di FI che nulla sanno di liberalismo e vogliono saperne di più, per evitare equivoci e luoghi comuni errati consiglieremmo di partire, come in una guida sintetica alla Bignami, dal concetto assai poco intuitivo di "libertà come limite". Oltretutto è nostro interesse che le giovani generazioni diventino liberali. Cominciamo da piccole ed elementari considerazioni.
Sì, è vero, noi liberali ci riempiamo la bocca di "libertà", ma poi tutto il tempo lavoriamo per limitarla. Contraddizione? No, è giusto che sia così, anche se molti liberali non ne tengono conto e sembrano sempre riferirsi solo ai propri diritti come se fossero tutti assoluti e incomprimibili. Sbagliano, naturalmente: non sono di questo tipo tutte le libertà del liberalismo. Il cittadino non è un dittatore, esistono anche gli altri cittadini, che hanno altrettali e altrettanti diritti. Tranne, s’intende, identità, libertà di parola e analoghi diritti indivisibili (nessuno può, anzi dovrebbe, sentirsi colpito dalle mie idee, o dal fatto ch’io vada a Viterbo).
Due esempi facili sono il traffico automobilistico e il fumo. Tutti hanno diritto a muoversi, e anche ad avere un’auto. Ma non esiste un "diritto a usare l’auto ovunque". Questo è limitato dagli altrettali uguali diritti degli altri automobilisti, e perfino dagli altrui diritti contrari alla salute. Se la strada è stretta o i troppi gas di scarico fanno male alla salute, ci saranno sensi unici alternati e perfino giorni di fermo e divieti assoluti. Chiunque ha diritto a fumare, anche se si sa che "fa male", ma poiché anche gli altri hanno diritto a non essere intossicati dal nostro fumo, ecco che si trovano limitazioni.
Insomma, un liberale non può dire, come invece si sente dire spesso in Italia: "Ho l’auto e ho diritto di andarci (o di parcheggiare) dove mi pare". O addirittura "E’ illiberale non farmi fumare dove voglio". Semmai è anarchismo autoritario, non liberalismo. Questo potrebbero dirlo Mussolini o Lenin. Infatti, il dittatore, il fascista o il comunista, sembrano le persone più "libere" al mondo, mentre il singolo uomo liberale, poveretto, appare il soggetto meno libero in assoluto. In realtà, i primi tre sono solo prepotenti (si prendono tutte le libertà per sé), mentre solo il liberale è libero, cioè condivide, a prezzo di molti limiti, le libertà con milioni di altri cittadini. Il vantaggio, però, è enorme: così tutti sono liberi. Ecco perché le libertà liberali coincidono col diritto: consistono in diritti limitati. E nel liberalismo se tutti limitano un poco i propri diritti, ecco che tutta la popolazione gode di tutte le libertà possibili, anche le più strane e particolari, sia pure attenuate, come ascoltare musica ad alto volume, fare comizi, pubblicare un giornale, attaccare manifesti, andare in giro con i capelli lunghi o rasati, fare nudismo, abortire, fare satira. E' questo il geniale meccanismo inventato nel corso dei secoli: una piccola limitazione delle libertà dei singoli, permette di estendere tutte le libertà che prima erano solo dei re o dei dittatori a tutti gli uomini. Insomma, se tutti si limitano un poco, tutti godono di più. Che dite, i nostri vicini di casa che parcheggiano il fuoristrada davanti al nostro cancello, si definirebbero ancora "liberali" se sapessero queste cose? (Lo chauffeur di Einaudi a Dogliani)
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CARRUBBA E CAROLI: IL PICCOLO LIBERALISMO ILLUSTRATO
Liberali? E’ proprio un’arte
Avete presente il vecchissimo Nuovissimo Melzi? Tra i nostri bisnonni dell’Italia liberale ebbe successo perché era illustrato. Dall’illuminismo in poi, dalle belle incisioni dell’Encyclopedie di Diderot e d’Alembert, la nascente borghesia riteneva giustamente che il disegno e poi la fotografia dessero un quadro più fedele e preciso, come dire, "scientifico" delle tecnologie, delle arti e del sapere. Ma oggi, alla vigilia del 2005, incuriosisce lo stesso, stavolta per gli accostamenti intriganti e non sempre prevedibili, che una raccolta di temi fondamentali del liberalismo venga illustrata con riproduzioni di opere d’arte. Che opera d’arte ci avranno mai messo, vi chiederete con curiosità, accanto all’articolo sul libero mercato, per esempio, o all’azione diplomatica di Cavour? Scrivendo una "temeraria mappa liberale illustrata involontariamente da 50 artisti", come recita il sottotitolo del loro libro L’arte della libertà, fresco di stampa, il giornalista e saggista Salvatore Carrubba e lo storico dell’arte Flavio Caroli raccontano il liberalismo in un modo nuovo. Facendo interagire due modi di illustrare la società e i rispettivi linguaggi, pensiero politico e arte.
Le scelte di Caroli - riporta la presentazione del Corriere - riflettono la sua personale lettura dei temi trattati e la sua visione della storia dell’arte. In alcuni casi, l’accostamento voce-dipinto è, per il lettore, immediatamente comprensibile. Così troviamo, ad esempio, il celebre ritratto di Alessandro Manzoni di Hayez collegato alla voce "cattolici liberali", il ritratto di Erasmo, ad opera di Holbein, alla voce "tolleranza", la "Dichiarazione di Indipendenza" di Trumbull alla voce "federalismo", "I sindaci dei drappieri" di Rembrandt alla voce "concorrenza". In altri casi, invece, la scelta è spiazzante e imprevedibile, ma l’effetto è sempre suggestivo e obbliga a riflettere su connessioni inaspettate. La voce "democrazia" è illustrata da "Primo acquarello astratto" (del 1910) di Kandinskij. Caroli lo sceglie perché evocativo della tensione fra l’ordine della democrazia e le forze vitali che spingono gli uomini al conflitto, al disordine e talvolta anche alla violenza. Questa tensione tra ordine e disordine, tra armonia e disarmonia, è il tema del dipinto, ove però "l’equilibrio, la melodia, il ritmo, la democrazia delle note governano" e l’ordine ha la meglio sul disordine, anche se, come il pittore ci fa intendere, il disordine è comunque sempre espressione di vita ed energia. (Bottino Ricasoli)
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LEGA ITALIANA DEI DIRITTI DELL’UOMO
Il premio "Paolo Ungari" alla Bonino
Il riconoscimento dei diritti civili e politici, la salvaguardia dei diritti umani, l'affermazione e il rafforzamento dello stato di diritto ovunque nel mondo. Ecco il curriculum della leader radicale e parlamentare europea Emma Bonino, con trent'anni di impegno politico, che la Lega italiana dei diritti dell’uomo ha voluto premiare quest’anno con il conferimento del Premio "Paolo Ungari", intitolato ad un grande liberale e uomo di cultura, dalle non comuni doti di umanità, semplicità e generosità (tipiche dei veri grandi), che ci ha lasciato da pochi anni. Per l’organizzazione del liberale Carmine Monaco, in occasione del 56° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, si è tenuta a Roma, presso la Sala conferenze di Palazzo Marini, la Giornata nazionale dei diritti dell’uomo 2004, nel corso della quale ha avuto luogo la cerimonia di consegna del premio, che è stato assegnato alla Bonino.
Profondamente convinta che le donne rappresentino il motore di un possibile sviluppo in senso democratico, oltre che economico, di quest'area del mondo – si legge nella nota dell’ente organizzatore – la Bonino promuove al loro fianco iniziative volte al riconoscimento di quei diritti civili e politici, oggi preclusi, che fanno di un essere umano un cittadino, a partire per esempio dal diritto di voto, attivo e passivo. Il filo conduttore di questa lunga storia politica è la difesa della democrazia non come modello di Stato perfetto, ma come il migliore possibile e perfezionabile, e il rafforzamento dello Stato di diritto e della legalità delle istituzioni. (Ciccio, il giardiniere della Palombelli)

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