30 giugno, 2009

 

L’equilibrio delle illegalità. Fa comodo il patto mafioso tra cittadini e Potere

E’ toccato alla Corte dei Conti, in mancanza di altri organi istituzionali dotati di coraggio civile, additare all’attenzione degli Italiani il costo anche economico della corruzione diffusa in Italia tra gli uffici e gli istituti della Pubblica Amministrazione. Ma va da sé che ad essere corrotti non sono ruoli, poltrone e scrivanie, ma gli uomini che le occupano, cioè i cittadini. E’ bene precisarlo quando si ripete una contrapposizione Stato-cittadino che in Italia non esiste.
La verità è che essendo i cittadini italiani corrotti, e per antica, secolare abitudine, di conseguenza sono corrotti anche l’Amministrazione, il Comune, la Regione, lo Stato. E non viceversa, come vanno blaterando i Partiti e i giornali.
Altro che "rivolta degli onesti", che saranno pochissimi. E’ in atto da decenni un patto mafioso tra cittadini sudditi e cittadini di Potere, entrambi corrotti: "Voi ci lasciate raccomandazioni di parenti e amici, evasione fiscale (100 miliardi, ha calcolato la Corte dei Conti) e mancato rispetto delle regole, insomma il "costume diffuso"; noi in compenso vi lasciamo le ruberie pubbliche in Regioni, Comuni ed Enti di Stato (almeno 60 miliardi)".
Ognuno si illude di avere il proprio tornaconto dal singolare e aberrante sistema italiano di "illegalità bilanciata". Ecco perché le cose non cambiano.
In Italia, il problema sono gli Italiani, non i Governi. Esiste tutta una letteratura civile al riguardo, che è passata anche attraverso le vicende del Risorgimento, quando le élites liberali si resero subito conto di non essere seguite dalla popolazione, se non a vittorie avvenute, come sempre in Italia, per opportunismo. Un tema che ripetiamo dai tempi del liceo. Evidentemente già a sedici anni dovevamo aver fatto buone letture.
Da chi abbiamo preso? Non da Etruschi e Romani. I primi dieci secoli – non poco – di civiltà etrusco-romana ebbero degli ideali di onestà privata e pubblica che sono rimasti nei libri. Si può dire che lo Stato di diritto nacque allora, visti i continui riferimenti degli scrittori giuridici e politici alla "legge sopra le parti", compresi i governanti. Certo, c’erano ogni tanto degli scandali, legati all’attività politica in sé, come arte della mediazione. E lo stesso Cicerone lamentava che la politica fosse fonte di corruzione. Ma gli episodi di malcostume non erano diffusi nella popolazione, e quelli politici-amministrativi erano prontamente isolati e repressi dalle autorità. Insomma, eravamo gli "anglosassoni" d’allora, in tutto.
Ma già allora la Magna Grecia dava problemi. Tutto il sud in Italia era composto da greci emigrati, che pur essendo più attivi, aperti e intraprendenti dei concittadini rimasti in madrepatria (come accade sempre agli emigrati) si portavano dietro il fardello atavico della litigiosità, delle polemiche inconcludenti e paralizzanti, delle minute avversioni municipali, delle invidie acerrime, dell’immobilismo, dell’interesse privato su quello pubblico, della corruzione a tutti i livelli.
La colonia greca di Neapolis, dove si parlò greco fino all'impero, era così corrotta e litigiosa che i Romani della Repubblica mandarono un esercito. Che, all’americana, regolò i conti in modo brusco approfittando per piazzare propri uomini controllori. E allora non c'erano a Neapolis né un Bassolinus né una Russos-Iervolinus.
Insomma fino al 1918 ancora si poteva dire con retorica e approssimazione che esisteva un’Italia "buona e onesta", e una arretrata e quindi obbligata ad essere disonesta. Ma poi, con le migrazioni interne successive al primo e soprattutto al secondo dopoguerra, si è esteso a tutta la Penisola il tessuto antropologico fondato sulla greca arte di arrangiarsi, di aggirare le regole e di favorire gli amici.
Perciò l’ineffabile "Mister B" ha successo presso la gente comune poco scolarizzata, per lo più casalinghe e pensionati che non leggono giornali e saggi, perché rappresenta meglio di altri il tipico italiano furbo, e di manica larga, spaccone, parolaio, sessista e simpatico. Un identikit ormai antico nell’immaginario collettivo, che ancora si rappresenta intatto nei bar di tutta la Penisola.
All'Italia, invece, servono urgentemente politici che non parlino, per niente "greci" e levantini, che non sorridano, che non facciano la minima propaganda, che non promettano nulla, antipatici, severi, nordici, protestanti, come non ce ne sono ormai neanche più nel Nord Europa. Che si va un po’ italianizzando, se è vero che l’esempio è distruttivo, e che moneta cattiva scaccia moneta buona.
Ma a noi basterebbero amministratori che come a Stoccolma fanno pagare 100 euro a chi butta la scatola delle sigarette per terra. Figuriamoci il resto. Anche se sappiamo bene che verrebbero cacciati dopo una settimana da Destra, Centro e Sinistra unite. E anzi prevediamo fin d’ora che un cialtrone qualsiasi arruffa-popolo promuoverebbe subito una sfilza di referendum abrogativi. E siamo sicuri che in tal caso il 99% degli Italiani andrebbe a votarli.
La dice lunga l’assenza dei soliti gracchianti moralizzatori, un tempo anti-Dc, poi anti-B, quando si tratta di andare contro il Popolo Italiano, il vero, grande, unico e più antico immoralista cronico.
Ora tutti zitti sul tema cruciale dell’immoralità duffusa, dall’Unità a Repubblica, da Libero a Liberazione, e perfino i Radicali. Il solito silenzio sul dato antropologico e meta-politico. Comprensibile, quando si esce dal Partitismo, quando non si possono incolpare i propri avversari politici, quando è stra-provato che la colpa è della "gente", la stessa che ascolta la tua tv, compera i tuoi giornali e ti vota. Chi si azzarderà mai in Italia a dire qualcosa? E’ il limite ambiguo della Democrazia. Quando non è sana né liberale, sono dolori. E non si sa che fare.
E i giornalisti sono i primi in quest’arte subdola del dire e non dire: avete mai letto un articolo con cui il direttore d'un giornale se la prende coi propri lettori? Se ciò accadesse, equivarrebbe ad una lettera di dimissioni. Anche il praticante ventenne sa che non si tirano mai le orecchie al lettore che ti dà il pane. L’unico ad aver scritto prima da giornalista e poi da scrittore che i miei lettori non capivano un cavolo fui io, e infatti questo conferma la regola.
Se dunque i mali non sono politici, ma pre-politici – sembrano obiettare i politicanti e i giornalisti – se la Politica non può tutto, perché non è tutto, noi allora che ci stiamo a fare su questo squallido teatrino? Riconoscere che i mali italiani sono antropologici vuol dire che la Politica è inutile. Sarebbe l'accusa peggiore, più sanguinosa ancora che definirla corrotta e corruttrice. Una polemica "inutile", perché non c’entrerebbero né il solito Berlusconi, né i soliti comunisti.
Ecco perché, malgrado i tanti nullafacenti a sbafo, le pensioni immeritate, i posti nei giornali e alla Rai dati ai figli degli amici, le auto in seconda e terza fila, le code aggirate, le tasse evase, i soldi di tutti i cittadini mangiati da pochi eletti, il patrimonio ambientale e artistico deturpato, le case abusive, gli affari fatti incontrandosi a cena anziché con una gara regolare, ecc. ecc., non troverete mai articoli e saggi sulle colpe degli Italiani.

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