21 luglio, 2011

 

La Repubblica degli avvocati. Altro che “garantismo”: privilegi e cavilli per la Casta.

Benedetto Croce ed Enrico De Nicola (foto ripulita) Il grandissimo (e galantuomo) avvocato liberale Enrico De Nicola era talmente stimato che nessun partito politico, compresi i comunisti, si oppose alla sua elezione a Presidente provvisorio della Repubblica Italiana negli anni tumultuosi ma pieni di speranza del Dopoguerra. Mai confuse i diritti di libertà del cittadino con i propri interessi professionali o i pretesi diritti dei clienti da lui difesi in processo. Cosa che invece negli ultimi anni – che in futuro saranno tristemente noti come “Regime berlusconiano” – è accaduta. Ma oggi per “Repubblica degli avvocati” si intende una cosa del tutto diversa e per niente nobilitante. Con la scusa del “garantismo”, principio sacrosanto nel Liberalismo, complici anche certi gruppi politici, si intende che ogni mascalzone della classe politica, qualunque cosa abbia fatto di criminale, è assolutamente paragonabile al cittadino onesti “fino alla sentenza della Cassazione”. Eh, no, la classe politica ha l’obbligo morale e politico di “apparire”, almeno, più immacolata del cittadino comune.

Perciò, devo confessarlo (se non qui, dove? se non ora, quando?), alla notizia del sì all’arresto d’un Papa politico mi si è allargato il cuore. Un riflesso condizionato anticlericale? Non scherziamo. Oppure eccesso di rigorismo ottocentesco? Forse, ma certo non butto via l’occasione storica: un deputato, un giudice sospeso dal CSM perché la Magistratura lo ha rinviato a giudizio e ne ha chiesto l’arresto per reati che vanno dalla corruzione alla concussione, dall’estorsione al favoreggiamento (l’associazione per delinquere è ancora in forse), è stato eccezionalmente consegnato dalla Camera dei Deputati al giudice naturale. Così, la vicenda di Papa è diventata un simbolo, al di là della vicenda personale: una volta tanto (è appena la quinta volta in tutta la storia della Repubblica) una richiesta di arresto per un deputato è convalidata. Dopo decenni di omertà corporativa e mafiosa che ha coperto col mantello dei privilegi di Casta i reati – spesso molto gravi – dei parlamentari. Durante la XI legislatura, quella di Tangentopoli, i giudici si sono visti respingere 28 richieste d'arresto su 28.

Sarà poi la giustizia a fare il suo corso. E certo, i giudici si assumeranno le proprie responsabilità, se il Papa dovesse essere scarcerato per sopraggiunta prova dell’insussistenza dei reati dopo poche settimane o mesi. Ma con le attuali imputazioni, che si riferiscono a ben dieci episodi – calcolano gli esperti – il deputato incarcerato potrebbe essere condannato a 12 anni di detenzione.

Quel che è certo, è che con le polemiche sulla Casta che salgono da ogni dove, pochi deputati se la sono sentita stavolta di apparire morbidi agli occhi della stampa e degli elettori. Ne è andato di mezzo un deputato, chissà, forse non peggiore di altri, come dicono cinicamente gli innocentisti? Visto il livello morale della classe politica, sarà pure vero, ma questo non esimerebbe di sicuro il singolo politico “corrotto come tutti gli altri” dal dover pagare fino in fondo per i suoi reati. Anche se, è incredibile, la Casta conserva i suoi privilegi perfino in carcere. Papa, infatti, anche in cella conserva il diritto allo stipendio di parlamentare e può presentare proposte di legge, mozioni, interrogazioni e interpellanze. Potrebbe perfino votare con l’autorizzazione del giudice. Per la decadenza da deputato ci vorrebbe una sentenza di interdizione dai pubblici uffici, ma – campa, cavallo – il processo a suo carico non è neanche iniziato.

Lo “Spirito del Tempo” voleva qualche vittima, finalmente, tra la classe politica. Del resto, gli ultimi anni hanno visto decine e decine di politici e ministri sotto processo, e spesso per reati gravi. I cittadini, perciò, vorrebbero che finisse questa selezione al contrario dei candidati al Parlamento, diventata spudorato sistema da quando al Governo c’è Berlusconi. Il Parlamento è oggi un vero refugium peccatorum. Sembra quasi che l’uomo ideale per entrare in politica, soprattutto nel PDL, sia quello che ha guai con la giustizia. Le espressioni popolari di “traffichino” e “maninpasta” gli si attagliano perfettamente. Ben 84 sono i parlamentari già condannati o inquisiti, per reati che vanno dalla concussione al collegamento con organizzazioni mafiose. Primo in classifica, naturalmente, il berlusconiano PDL. Peggio ancora nelle Regioni. La Sicilia, ovviamente, ha il primato: 28 consiglieri su 90, praticamente 1 su 3, sono indagati o sottoposti a giudizio. Senza che la “buona” borghesia palermitana e siciliana protesti o trovi un residuo di moralità per isolare i mascalzoni o almeno indignarsi: ecco come si spiega, poi, la sua nostalgia per i Borboni!

Come non comprendere, allora, l’esasperazione di quell’altra parte di cittadini italiani che è ancora onesta e meritevole? E’ cinico e mafioso accusarla, in questa situazione di degrado morale generalizzato, di “giacobinismo” o “giustizialismo”. Anzi, sono degli eroi. I conservatori e anarchici, che hanno la furbizia di fingersi “liberali”, non battono ciglio per i reati e la disonestà della classe politica, anzi vanno cianciando di liberismo come terreno di caccia di “sani spiriti animali”, ma poi si rivoltano quando qualcuno cerca di reprimere quei reati e punire i colpevoli. Certo, con gli errori inevitabili. Prima di accusare la voglia di legalità di una parte dei cittadini di essere sbrigativa e di passar sopra ai cavilli giuridici a difesa dell’imputato, prima di scagliarsi contro i Pubblici Ministeri e i Giudici, bisognerebbe aver almeno tentato di ridurre l’illegalità e la corruzione in Italia. Cosa che sia gli anarco-libertari, sia i legulei e formalisti del diritto che ora si stracciano le vesti non hanno mai fatto. Insomma, la protesta, sia pure sommaria dei cittadini è sacrosanta, anche e soprattutto per un liberale, che si aspetta piuttosto che un parlamentare non sia neanche sfiorato, non dirò dalla condanna, ma addirittura dalla Giustizia. Altro che attendere la sentenza della Cassazione! Insomma, è il giudizio etico-politico che deve prevalere su quello tecnico-giudiziario. Eppure, questa decisione della Camera, sia pure sofferta, a sorpresa, per alcuni eccessiva, è stata vista dai cittadini, forse un po’ ingenui, come un primo segnale forte per porre fine all’impunità per i politici e la Casta. Basta, dice la gente, arrestato un Papa, non se faccia un altro.

Che dite, secondo voi ha giocato l’impazienza popolare per le ingiustizie e i privilegi dei potenti? Io dico di sì. Anche se il Senato non si è mostrato altrettanto severo, ed ha “graziato” il sen.Tedesco (PD). “Pericolo di giacobinismo”, “prepotenza dei giudici”, “governo della piazza”? Macché, a dire queste sciocchezze sono stati – fateci caso – o politici del PDL o giornalisti pagati dalla Destra, o avvocati, che ovviamente tirano l’acqua al proprio mulino. Del resto, il provvedimento lo ha deciso la stessa Camera dei Deputati. Si potrà obiettare sul piano tecnico – dicono i giuristi – che visto che non c’era pericolo di fuga e di inquinamento delle prove, la custodia in carcere poteva essere evitata, ma la Magistratura ha scelto diversamente. E la Camera si è adeguata. Con un atto politico, quindi basato anche sul senso della opportunità.

Dunque, io non mi straccio le vesti per gli eventuali errori formali da parte dei giudici, e non mi scandalizzo per questa curiosa immediata adesione della Camera, anzi, vi confesso che godo “per compensazione”, pensando alle centinaia di reati dei politici – ben più gravi di questo – che in passato non sono stati perseguiti per il mancato placet del Parlamento. Ma come, tu liberale? Certo, malgrado io sia (o forse proprio perché sono) un liberale risorgimentale, e perfino un radicale, sia pure dissidente. [Ma stavolta i Radicali in Parlamento hanno giustamente interpretato lo “Spirito del Tempo”, cioè il valore liberale dell’indignazione popolare]. Questo è il punto del problema: l’inversione di tendenza. Finora si dava credito solo alle tesi degli avvocati, oggi finalmente qualcuno dà credito – per una volta – alle tesi dei magistrati.

Ecco a che cosa ha portato la campagna delle reti dei cittadini contro la Casta, per la moralizzazione della politica e per il Bene comune. E in questi temi idealistici ritrovo un po’ la mia adolescenza. Da critico della classe politica fin dai miei sedici anni, quando leggevo il Mondo di Pannunzio e la Tribuna. Allora, noi Giovani Liberali, a differenza di quelli di oggi, inquinati dalla mentalità super-individualista e iper-liberista alla Reagan-Thatcher (che non furono liberali, sia chiaro, ma ultra-conservatori), e dai metodi strafottenti e anarcoidi del berlusconismo, eravamo giustamente severi contro la corruzione e la disonestà, eravamo consapevoli, insieme con i cugini repubblicani, di impersonare un “ideale partito degli onesti” contro il “partitismo”, e avevamo il “senso dello Stato”, sia pure liberale. Insomma stavamo sia con Croce che con Einaudi. E poi il linguaggio! Non avevamo modi da estremisti, spazientiti e strafottenti. Due nostri miti erano Bozzi e Valitutti, altro che l’anarco-capitalista Rothbard! E non parlavamo come cinici avvocaticchi del Sud abili a districarsi utilitaristicamente nel formalismo giuridico dei nostri Codici e a dividere ogni capello in quattro (“tessarotricotomisti” li chiamo) in favore del proprio cliente super-pagante, ma mostravamo indignazione verso i disonesti e un sano disprezzo risorgimentale verso i machiavellici, corrotti o comunque interessati “professionisti della Politica”. Eh, come sono cambiati i Liberali in questo Paese! Sembrano sempre più attenti alla forma, ai trucchi, alle scappatoie, che alla sostanza delle cose! Ma liberale non è, non deve essere, non è mai stato, sinonimo di cinico. I grandi liberali del passato erano anche dei grandi idealisti, e attraverso la politica perseguivano anche un grande disegno etico.

Il discorso, perciò, si allarga e diventa generale. Perché i grandi Autori liberali hanno insegnato che un uomo di Governo, un politico, non deve avere più diritti e meno doveri di un cittadino qualunque, come accade in Italia, ma semmai l’opposto: più doveri e meno diritti. Perché non solo deve essere, ma deve “sembrare” onestissimo. E’ anche per questo che è votato. Come infatti teorizzano nei Paesi anglosassoni. Dove i parlamentari si dimettono non perché condannati con sentenza passata in giudicato, come vorrebbero in Italia, ma solo perché “sfiorati dal sospetto”. In Italia, invece, e questo è il vero scandalo, la faccia di bronzo è tale che si attendono i rinvii a giudizio o addirittura le sentenze… E poi, facendo credere che la libertà del Parlamento e la dignità di un politico consistano nella buona difesa degli avvocati, e anzi insinuando che tutti i parlamentari siano potenziali “vittime” della Giustizia, a Isernia e a Palermo, a Milano o Messina, si sentono con grande faccia tosta addirittura più “liberali” che a Londra e Glasgow! Ma se è così, visto che mancano del minimo di sensibilità politica e buoncostume sociale, segno che sono in politica solo per poter arraffare quanto più possono, e perciò non si dimettono neanche a cannonate – come invece è obbligatorio nei Paesi liberali – vanno cacciati con la legge, e a questo punto anche utilizzando quei cavilli a cui loro stessi ricorrono. E altro che ad un fumus persecutionis, ad un sospetto di persecuzione da parte dei giudici, bisogna stare attenti, ma semmai al più leggero venticello di voci e sospetti. Tanto delicata è, infatti, in democrazia liberale la posizione dei rappresentanti dei cittadini, che il sia pur minimo privilegio, la più piccola scorrettezza, il più piccolo reato, sono visti come il fumo negli occhi dai cittadini. Altrimenti si determinerebbe un vero e proprio classismo dei Protetti e Potenti contro i non protetti, cioè una arroganza di Potere senza pari. L’opposto dello Stato liberale. Insomma, con gente di tal fatta, “ad arrogante arrogante e mezzo”, l’accusa sempre meglio della difesa. A così tanta esasperazione hanno condotto i cittadini.

E poi basta con la difesa della Casta politica, solo perché ci ricatta con la “Democrazia” (notate le virgolette?) di cui si è impossessata senza merito e solo per guadagni personali. Va a finire, secondo loro, che i “costi della politica” sono i “costi della Democrazia”. Noi cittadini, tanto più in uno Stato liberale, siamo la controparte naturale, i controllori impietosi e costanti, gli avversari istintivi, dei politici di professione e dei Governi. Non i loro complici o avvocati. Noi siamo i cittadini elettori, cioè “consumatori” di beni e servizi pubblici e politici, loro sono i cittadini “produttori” per noi e in nostro nome. Non dobbiamo difenderli, ma criticarli e pungolarli senza pietà.

Certo, siamo garantisti. E allora? Certo, veneriamo la divisione dei poteri cara a Montesquieu. E che c’entra? Dunque, siamo liberali veri, completi di tutto, che non badano solo al formalismo e che conservano l’intelligenza, cioè il buonsenso. Non apparteniamo ad una banda di anarchici, o ad un circolo di avvocati di provincia, ma ad una dottrina che governa i grandi Stati dell’Occidente con un’arma implacabile, tipica del Liberalismo: la Legge. E che deve garantire, in pratica, le libertà e l’uguaglianza nei diritti a tutti, costi quello che costa. Legge che è la sola garanzia di libertà, perché distingue il criminale, il prepotente, il furbo, dagli onesti. E i diritti di libertà di tutti si difendono colpendo chi attenta a questi diritti.

Se io fossi un criminale, credetemi, mi rifugerei in uno Stato dittatoriale e dunque corrotto o corruttibile, e fuggirei da uno Stato liberale. Perché tutti sanno, tranne in Italia, noto Paese illiberale dove anche la stragrande maggioranza dei sedicenti “liberali” sono in realtà conservatori, che ancorché umana la Giustizia di uno Stato Liberale è, deve essere, più severa e implacabile, perché a differenza della dittatura ha il consenso preventivo dei cittadini. E non è giusto che il disonesto sia trattato come l’onesto. Io protesto, la vedo come una grave ingiustizia. Facciamo tanto per mantenerci onesti, patiamo danni per questo, e poi arriva dal profondo Sud un qualche deputato, un privilegiato, uno che non ha meriti né intellettuali né morali superiori ai nostri, che deve essere “perdonato” per principio, solo perché deputato?

Proprio in Italia, poi, questa difesa corporativa appare inopportuna e imbarazzante, perché il Paese è in declino proprio a causa del secolare disprezzo per la Legge delle regioni del Sud, che ormai si sta estendendo anche al Nord. E i cittadini italiani, pur avendo le loro gravi colpe, sono stufi della giustizia con due pesi e due misure: una per il cittadino comune, un altro per i potenti delle Corporazioni. Dunque c’è anche insensibilità psicologica e cinismo nei potenti e nei loro dipendenti che ora protestano per il sì della Camera all’arresto di un deputato. Dicono che è eccessivo e inutile. Quale insolita delicatezza! Magari la avessero per i problemi del semplice cittadino! Non afferrano l’indignazione, l’esasperazione della gente dopo tante prevaricazioni? Basta con i parlamentari “disuguali” di fronte alla Legge rispetto ai cittadini comuni. E, si badi, l’uguaglianza di fronte alla Legge è il cardine n.1 dello Stato di Diritto, cioè liberale. Ancor più della separazione dei Poteri. Che qui comunque non è minimamente toccata: è il libero Parlamento che ha deciso.

E basta, infine, con gli avvocati in politica: ce ne sono troppi in Parlamento, come lamentava già Cavour. Sono lontani i tempi gloriosi dei grandi avvocati liberali: o democratici, come Rattazzi, Cocco-Ortu, De Caro, Calamandrei, Villabruna e molti altri, oltre al già citato De Nicola. A vederli operare in politica, ci si dimenticava che erano o erano stati avvocati. E perfino tra i Mille garibaldini si contavano almeno 14 avvocati. Anche in tempo recenti abbiamo avuto avvocati impegnati in politica con grande dignità e senso dello Stato: Mellini, De Cataldo, Fortuna, Milio, Pisapia ecc. Oggi, però, nel Parlamento italiano ci sono ben 134 avvocati, cioè il 14 per cento dei parlamentari, un record mondiale. E’ avvocato (commercialista) perfino il ministro dell’Economia. E gli avvocati detengono la maggioranza nelle Commissioni Giustizia di Camera e Senato (come si legge nel sito di un avvocato e soprattutto nel bell’articolo di Sergio Rizzo sul Corriere della Sera). Una specie di “conflitto di interessi”: gli avvocati prima fanno le leggi – scrive Rizzo – poi le interpretano e le applicano. Perché in Italia un parlamentare avvocato, di solito, continua a difendere in giudizio. Una pacchia. Che direbbero loro se così tanti giudici sedessero in Parlamento? Che sarebbe aggirata, nientemeno, la divisione dei poteri teorizzata da Montesquieu! Nessuno contesta la loro importante funzione, ovviamente, però in Italia gli avvocati sono i più numerosi (circa 220 mila) e più protetti al mondo, e per colpa di un sistema giudiziario troppo formalistico finiscono per essere responsabili con i loro cavilli dei tempi lunghi della Giustizia. L’era berlusconiana, infine, ha dato il colpo di grazia alla categoria, perché sono stati fatti eleggere parlamentari gli avvocati personali del Premier. Inutile cercare, quindi, grandi idealità nella carriera politica degli avvocati di oggi. Sono eletti più per le loro conoscenze tecniche, utili alla Casta, che per i loro spessore politico. Eppure, sia dentro il Parlamento che fuori, continuano ad essere una potentissima lobby trasversale che influenza molto i giornali e le tv, e forma le idee correnti della società. A sentirli parlare – la loro specialità – finisci per dargli sempre ragione. E hanno la furbizia di parlare dappertutto, soprattutto negli ambienti laici: basti pensare allo spazio che hanno a Radio Radicale e in tutta l’area liberale. Ma il loro capolavoro di persuasione è dare ad intendere furbescamente – proprio loro che non dovrebbero manifestare idee o preclusioni morali, dovendo difendere chiunque – che la loro professione privata, spesso tra le più ricche, sarebbe in realtà quasi una sorta di missione etico-politica da compiere in nome della Libertà di tutti. E forse ci credono, perfino: per loro, difendere il peggior criminale della Casta significa “difendere la Libertà e la Democrazia”, nientemeno. Una mistificazione, di cui gli avvocati-politici sono maestri. E molti, nell’area garantista e liberale, ci cascano.

Il problema è anche di mentalità, psicologico, dunque. Come mai il “liberale” italiano tipico tende ad identificarsi con l’imputato, ovviamente “innocente”, e mai con la Legge, che è il baluardo unico dello Stato liberale, come invece fa d’istinto il liberale anglosassone? Certo che i diritti di libertà e le garanzie giuridiche del cittadino sono fondamentali per noi liberali, ma lo devono essere per tutti, non solo per la Casta. Cosa che i migliori avvocati hanno capito. Ma, ricordiamolo sempre, i problemi di libertà e giustizia non sono degni di nota solo se coincidono con gli interessi della classe forense, come il garantismo non è rilevante solo se di tratta di salvare il singolo potente. Esistono anche e soprattutto le esigenze di moralità di una società e le garanzie di uno Stato liberale. E la Giustizia, l’ordine che viene dalla certezza e immediatezza del diritto, è fondamentale per le Libertà.

Quindi di che cataclisma si va ipocritamente cianciando in questa “Repubblica dei Disonesti” che è diventata l’Italia? Per fortuna abbiamo un Presidente della Repubblica, che, benché ex comunista, per senso dello Stato, visione etico-politica e buonsenso ricorda curiosamente il liberale Einaudi. Teme, Napolitano, che le "comprensibili insofferenze" dell'opinione pubblica per i privilegi e i costi della politica potrebbero trasformarsi in "pericolosi umori antidemocratici", se i partiti non correranno ai ripari con "tangibili correzioni del costume politico". Ma aspettando la “Repubblica degli Onesti”, nel frattempo, come non dobbiamo ricorrere per emergenza ad una giustizialista Repubblica dei Giudici, così, a maggior ragione, dobbiamo vigilare perché non s’instauri neanche (mentre invece si rischia proprio questa, ammesso che già non ci sia, e sarebbe ben peggiore) un’innocentista Repubblica degli Avvocati! 
NICO VALERIO

IMMAGINE. L’avvocato napoletano Enrico De Nicola, bella figura di liberale, incontra Benedetto Croce ai tempi dell’Assemblea Costituente.


14 luglio, 2011

 

Costretti ad un’umiliante fine vita, per ordine della Chiesa, da sadici e clericali Torquemada

“...Il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: …anche in questo il medico deve rispettare la vita” (papa Paolo VI).

Sarà ricordato per decenni, anche sui libri di scuola, il degrado morale e materiale a cui sta conducendo l’Italia questa Destra berlusconiana inefficiente ma furba, dedita regolarmente alla falsità, alla mistificazione e all’intrigo, incapace di governare e inesperta di tutto, ma abile solo a rubare in proprio (non si sa più quanti sono i loro politici indagati dalla Magistratura), e quindi per autodifesa bisognosa di proteggersi all’interno della stessa maggioranza col ricatto reciproco degli uni contro gli altri, e all’esterno legandosi alle corporazioni di potere, fingendosi super-clericale – loro per gran parte atei – in cerca dell’appoggio cinico della Chiesa. Che, si sa, da sempre stipula patti anche col Diavolo, se vi scorge un interesse pecuniario: vedi l’8 per mille, che una legge e un’arbitraria prassi interpretativa permettono di estorcere anche ai non cattolici. Così, dopo averne fatte di tutti i colori, svergognando l’Italia anche all’estero, ora i clericali ipocriti di Governo hanno deciso di far dimenticare a quei furbi babbioni del Vaticano le loro orge e le loro ruberie, e per rifarsi una verginità sanfedista e reazionaria agli occhi miopi e cisposi di cardinali e monsignori di Curia, come nel Medio Evo s’impossessano – per il nostro bene, s’intende – perfino del nostro corpo morente. Vogliono decidere loro, approfittando che i malati terminali paganti, sono per lo più alloggiati nelle cliniche cattoliche (attività molto lucrosa e protetta da Stato e Regioni), quando i poveretti in fine vita devono “morire” legalmente, quando i malati senza speranza devono chiudere davvero gli occhi. E contro la possibilità che i cittadini possano scrivere per tempo in un “testamento biologico” le proprie volontà di interrompere ogni inutile accanimento terapeutico, fanno una legge che condanna i malati terminali a soffrire inutilmente e senza speranza fino all’ultimo, prolungando d’autorità una vita che – sono parole di papa Pio VI, Montini –  “non è più pienamente umana” (v. citazione, in alto). Al solito, più papisti del Papa, dunque, i neoconvertiti e zelanti ex-socialisti, ex-radicali, ex-atei del cosiddetto “Popolo delle Libertà” (a proposito, il nome è il più sfacciato ossimoro dei nostri tempi!). Neanche la Chiesa, dunque, è stata unanime su questo punto. E infatti gran parte dei cattolici è contraria a questa legge sadica, tant’è vero che oltre il 70% degli Italiani si è dichiarato in un’indagine demoscopica favorevole all’eutanasia, in casi estremi. Ma un articolo di fondo di Francesco D'Agostino sul quotidiano dei vescovi, l’Avvenire, smentisce che si tratti di fanatismo cattolico, e si attacca nientemeno a… Ippocrate:

“Smettiamola di invoca­re, a proposito della legge sulle Dat, il principio su­premo di laicità dello Stato (sul quale concorda­no tutti, anche e in primo luogo i cattolici). Ab­biamo ripetuto infinite volte – senza tema di es­sere smentiti – che questa legge è ispirata non al­la dottrina 'cattolica', ma ai principi della medi­cina ippocratica (risalenti al quarto secolo avan­ti Cristo), tra i quali è prioritario quello del rispetto per la vita. La medicina ippocratica non impone la difesa della vita «a ogni costo» e non ne fa un principio dogmatico, ottuso e indiscutibile: è per­fettamente coerente con i suoi principi la rinun­cia all’accanimento terapeutico, anche quando da tale rinuncia potesse conseguire un’accelera­zione del processo del morire. Ciò che non è coerente con la medicina ippocra­tica è l’eutanasia. Che tra coloro che criticano la legge sulle Dat ci siano in prima fila, e con parti­colare virulenza, espliciti fautori della 'dolce mor­te' dovrebbe dare molto a pensare a quale sia l’au­tentico portato bioetico di questa legge”.

Ma con noi, che in quanto “naturisti” siamo tra i pochi ippocratici in Italia, i furbi esponenti della CEI cascano male. Del padre della medicina oggi si prende il principio di curare in modo dolce e naturale, p.es. con gli alimenti, non le idee filosofiche estranee alle terapie, come quelle sulla fine della vita, che risentono pesantemente di tempi arcaici in cui la morte e la dignità dell’uomo avevano un valore molto diverso da oggi. Altrimenti, dovremmo legittimare la schiavitù, visto che il grande giurista Cicerone riteneva lecito e naturale avere degli schiavi. Ad ogni modo, il provvedimento è stato definito “osceno” dai pochissimi liberali rimasti nella Destra, attenti alla dignità dei tempi moderni, non del IV sec. a.C. “E’ una legge ingiusta e sbagliata, che toglie solo libertà, e nulla aggiunge. Se ci sarà un referendum abrogativo lo voterò”, ha detto il ministro Galan, che di origine non è un socialista o un democristiano, ma un liberale. E la Sinistra? Nonostante le analoghe gravi responsabilità dei passati Governi di Sinistra – non dimentichiamo Prodi – ricattati anch’essi da una minoranza clericale, stavolta perfino i cattolici del PD pare che abbiano votato contro alla Camera, “per quanto male è fatta – hanno detto – questa legge”. Resta, ad ogni modo, che questo progetto di legge configura un’appropriazione indebita e vergognosa della nostra libertà. Ne trattano qui di seguito un breve commento di Mario Staderini su Notizie Radicali, un articolo di Maria Mantello su MicroMega e l’intervista al ministro Galan sulla Repubblica.
NICO VALERIO

BIOTESTAMENTO. CI RUBANO ANCHE LA MORTE. SONO MODERNI AGUZZINI
Con la legge 40 hanno rubato la vita e la liberta di ricerca scientifica, con la legge Calabrò ci rubano anche la morte. Questi moderni aguzzini vogliono, attraverso il sondino di Stato imposto per legge, disinnescare le conquiste di libertà che Piergiorgio Welby e la famiglia Englaro hanno assicurato agli italiani con la loro lotta.
Se il Senato confermerà il provvedimento, non sarà più possibile decidere della propria vita. Per tutti hanno deciso noi Udc, Lega e Pdl, meschine comparse di un film scritto in Vaticano. Chi ha votato questa legge infame lo ha fatto nella consapevolezza che sarà smantellata dalla Corte Costituzionale, solo che ci vorranno anni, durante i quali si ripeteranno drammi umani che colpiranno soprattutto i più poveri. L'hanno votata nonostante la maggioranza degli italiani e degli stessi cattolici fosse a favore del vero testamento biologico, solo perché non ne pagheranno il costo, come accadrebbe in una democrazia. Davanti a Montecitorio noi Radicali ci siamo trovati ancora una volta soli a manifestare, mentre chi poteva mobilitare le masse non lo ha mai fatto in questi mesi. A chi invoca il referendum rispondiamo: va benissimo, ma che sia anche lotta per la democrazia e contro i suoi aguzzini.
MARIO STADERINI

SOFFOCATI DAL SONDINO OSCURANTISTA
Si sta chiudendo il cerchio per negare il diritto ad essere proprietari della propria vita sempre. Il disegno di legge Calabrò avanza a grandi tappe e per essere liberati dal sondino di Stato bisognerà che l'organismo sia definitivamente ‘andato’. E quindi non più in grado di assorbire alimentazione e aerazioni artificiali. Quelle che il ddl Calabrò, onde evitare altri fastidiosi casi Englaro, esclude dai trattamenti sanitari. Insomma il sondino sarà lo spettro che sovrasterà ognuno, perché tutti potremo trovarci nella condizione di diventare ostaggio di intubazioni e macchinari, costretti a sopravvivere in una condizione di tortura. Di non vita. Contro la nostra volontà. E a niente varranno le volontà anticipate sul fine vita, perché considerate “orientamenti” da prendere in considerazione per altro solo se si è in stato vegetativo irreversibile, fatto coincidere con “l’assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale”.
È questa la patente di ‘scientificità’ dell’emendamento passato alla Camera, che ribadisce sempre e comunque il fatto che la decisione se staccare il sondino spetta ad una terna di medici (anestesista, neurologo, specialista) “designati dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero”, con l’aggiunta del medico curante del paziente. Evidentemente in strutturale ruolo minoritario. E non c’è da dormire tranquilli per questo ruolo decisionale dato alle amministrazioni sanitarie dove si è ricoverati, se si pensa al fatto che ad occuparsi di lunghe degenze e di malati terminali sono per lo più le cliniche cattoliche, dove i dipendenti (medici compresi) per contratto devono aderire all’impostazione ideologica del loro datore di lavoro: il Vaticano.
Del resto è proprio la conferenza episcopale ad essere la più soddisfatta, come si legge dalle colonne del quotidiano dei vescovi: «La legge in corso di approvazione sottrae l’autodeterminazione del volere all’arbitrio eutanasico, rapportandola alle ragioni dell’intelligenza, che sono le ragioni del bene morale della vita e della sua inviolabilità». Non staremo qui a ricordare la vecchia riproposizione che una siffatta affermazione evidenzia nella pretesa di inglobare intelligenza – scelta – volontà nel confessionalismo di una chiesa che delle vite e sulle vite pretende di avere l’appalto. Ma abbiamo il dovere categorico (razionale) di denunciare con forza che questa è una legge che sacrifica al precetto il diritto dei cittadini alla propria autodeterminazione e mette sotto scacco la sovranità dello Stato, tradendone il valore laico e con esso il diritto umano non negoziabile di essere ognuno il proprietario dell’unica vita concreta che abbiamo a disposizione con certezza. E nella quale – proprio come la Costituzione repubblicana stabilisce – siamo anche liberi di scegliere a quali trattamenti sanitari sottoporci.
Berlusconi e la sua “maggioranza” parlamentare l’avevano promessa al Vaticano questa legge. L’avevano messa in sordina dopo le sconfitte alle amministrative e ai referendum. Ma ecco che proprio dopo quelle sconfitte, alla ricerca di benedizioni di riscatto e nel mercimonio delle assoluzioni, vogliono affrettarsi a concludere. Ecco allora la fretta di sfornarla dalla Camera questa legge. Prima della chiusura estiva. Così da poterla offrire sull’altare degli scambi simoniaci a settembre, quando finalmente tornerà al Senato, che già l’aveva approvata a prima botta.
Così, in autunno gli italiani, oltre ai problemi del lavoro, della scuola, della casa, si troveranno anche sfrattati nel proprio corpo da una legge anticostituzionale, ma in perfetta linea con la politica di un governo che proclama le libertà per le caste e le nega ai cittadini. Un governo che ha bisogno di sudditi e di controllori delle loro coscienze. Ma che deve fare i conti col fatto che i giochetti degli “Unti dal Signore”, forse, non fanno più presa. Soprattutto se gestiti da chi nomina il nome di Dio invano. O da chi in nome di questo Dio pretende di far credere ad esempio ad un malato di sla o di tumore, che vivere intubati è volontà di Dio.
MARIA MANTELLO

"HO IL TERRORE DI SOFFRIRE COME ELUANA
LA NUOVA LEGGE CI RENDE MENO LIBERI"
Il ministro della Cultura Galan contrario alle norme votate dalla Camera. "L'eutanasia non è un tabù. Ognuno dovrebbe avere la possibilità di scegliere"

"È una legge ingiusta e sbagliata: toglie solo libertà e nulla aggiunge. Se fanno il referendum sicuramente voterò perché venga cancellata". A dire il suo no senza mezzi termini al testamento biologico approvato martedì alla Camera non è un leader dell'opposizione, ma un ministro del governo: Giancarlo Galan, ex governatore del Veneto ora a capo del dicastero Beni culturali dopo essersi occupato di Politiche Agricole.
Perché è contrario?
"Avrei voluto per me, come per tutti, la libertà di poter scegliere, di poter decidere la mia sorte nei miei ultimi giorni" dice andando a quello che considera il cuore del problema.
Chiede libertà per tutti?
"Sì. Libertà di restare aggrappato ad ogni forma di vita per chi lo desidera o ha fede, ma anche libertà e profondo rispetto per chi la pensa diversamente e non vuole andare avanti ad oltranza, in ogni situazione e ad ogni costo".
Parla di un diritto a morire?
"Sicuramente di comprensione e possibilità di scelta per chi non vuole fare la fine di Eluana. E io ho il terrore di ritrovarmi come lei, per anni attaccato alle macchine. Ecco, adesso con questa legge io non ho più una via di uscita".
Il suo partito che ha votato la legge si chiama Popolo delle libertà...
"Beh, ora di libertà ce n'è una in meno. Quella di decidere sulla propria vita".
Esponenti del suo governo insistono: la vita è indisponibile.
"Rispetto il principio, comprendo chi crede in Dio e pensa che la vita non gli appartenga e che debba seguire il suo corso, ma non accetto che questo pensiero mi venga imposto. E soprattutto non sono così convinto che tutti i credenti ragionino così. Anzi".
Alcune indagini dicono che il 70% degli italiani vuole poter scegliere in materia di cure e fine vita.
"Mi conforta che sia la maggioranza del paese, fa piacere sapere che vogliono decidere da soli su una realtà così importante, personale".
Quindi chi dovrebbe decidere?
"Ogni persona deve poter decidere del suo destino, dei suoi ultimi giorni".
Cosa pensa dell'eutanasia, la dolce morte?
"Io non salto sulla sedia davanti a questa parola, non mi scandalizzo".
Favorevole o contrario?
"Sono aperto a tutte le ipotesi perché sono convinto che bisogna aprire un dibattuto su questi temi troppo a lungo considerati tabù".
In quali casi la trova comprensibile?
"Soprattutto nei casi di malattie dall'esito scontato non condivido l'obbligo a vivere ad oltranza. Non capisco perché obbligare qualcuno a trascinare un'esistenza che non considera degna di essere vissuta o sopportabile. La vita, le sensazioni, i dolori, principi e valori che guidano le nostre scelte sono personali. Non sono gli altri a dover decidere per noi, al posto nostro e soprattutto su un tema così definitivo, fondamentale".
Hanno detto che la legge è stata fatta perché altrimenti decideva la magistratura.
"Questa è l'argomentazione più seria che ho sentito a favore di una legge che comunque continua a non piacermi. E, anche se non mi attira l'idea di un magistrato che in un caso decide in un modo e all'opposto in un altro, per me il diritto individuale è nettamente superiore, è ben più importante anche di questa motivazione".
Qualcuno ventila che il ddl sia stato approvato per attrarre nella maggioranza l'Udc, i cattolici.
"Non ci avevo pensato, potrebbe essere. Ma se è così, ancora una volta, io non condivido".
Intervista di CATERINA PASOLINI


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