21 luglio, 2011
La Repubblica degli avvocati. Altro che “garantismo”: privilegi e cavilli per la Casta.
Il grandissimo (e galantuomo) avvocato liberale Enrico De Nicola era talmente stimato che nessun partito politico, compresi i comunisti, si oppose alla sua elezione a Presidente provvisorio della Repubblica Italiana negli anni tumultuosi ma pieni di speranza del Dopoguerra. Mai confuse i diritti di libertà del cittadino con i propri interessi professionali o i pretesi diritti dei clienti da lui difesi in processo. Cosa che invece negli ultimi anni – che in futuro saranno tristemente noti come “Regime berlusconiano” – è accaduta. Ma oggi per “Repubblica degli avvocati” si intende una cosa del tutto diversa e per niente nobilitante. Con la scusa del “garantismo”, principio sacrosanto nel Liberalismo, complici anche certi gruppi politici, si intende che ogni mascalzone della classe politica, qualunque cosa abbia fatto di criminale, è assolutamente paragonabile al cittadino onesti “fino alla sentenza della Cassazione”. Eh, no, la classe politica ha l’obbligo morale e politico di “apparire”, almeno, più immacolata del cittadino comune.
Perciò, devo confessarlo (se non qui, dove? se non ora, quando?), alla notizia del sì all’arresto d’un Papa politico mi si è allargato il cuore. Un riflesso condizionato anticlericale? Non scherziamo. Oppure eccesso di rigorismo ottocentesco? Forse, ma certo non butto via l’occasione storica: un deputato, un giudice sospeso dal CSM perché la Magistratura lo ha rinviato a giudizio e ne ha chiesto l’arresto per reati che vanno dalla corruzione alla concussione, dall’estorsione al favoreggiamento (l’associazione per delinquere è ancora in forse), è stato eccezionalmente consegnato dalla Camera dei Deputati al giudice naturale. Così, la vicenda di Papa è diventata un simbolo, al di là della vicenda personale: una volta tanto (è appena la quinta volta in tutta la storia della Repubblica) una richiesta di arresto per un deputato è convalidata. Dopo decenni di omertà corporativa e mafiosa che ha coperto col mantello dei privilegi di Casta i reati – spesso molto gravi – dei parlamentari. Durante la XI legislatura, quella di Tangentopoli, i giudici si sono visti respingere 28 richieste d'arresto su 28.
Sarà poi la giustizia a fare il suo corso. E certo, i giudici si assumeranno le proprie responsabilità, se il Papa dovesse essere scarcerato per sopraggiunta prova dell’insussistenza dei reati dopo poche settimane o mesi. Ma con le attuali imputazioni, che si riferiscono a ben dieci episodi – calcolano gli esperti – il deputato incarcerato potrebbe essere condannato a 12 anni di detenzione.
Quel che è certo, è che con le polemiche sulla Casta che salgono da ogni dove, pochi deputati se la sono sentita stavolta di apparire morbidi agli occhi della stampa e degli elettori. Ne è andato di mezzo un deputato, chissà, forse non peggiore di altri, come dicono cinicamente gli innocentisti? Visto il livello morale della classe politica, sarà pure vero, ma questo non esimerebbe di sicuro il singolo politico “corrotto come tutti gli altri” dal dover pagare fino in fondo per i suoi reati. Anche se, è incredibile, la Casta conserva i suoi privilegi perfino in carcere. Papa, infatti, anche in cella conserva il diritto allo stipendio di parlamentare e può presentare proposte di legge, mozioni, interrogazioni e interpellanze. Potrebbe perfino votare con l’autorizzazione del giudice. Per la decadenza da deputato ci vorrebbe una sentenza di interdizione dai pubblici uffici, ma – campa, cavallo – il processo a suo carico non è neanche iniziato.
Lo “Spirito del Tempo” voleva qualche vittima, finalmente, tra la classe politica. Del resto, gli ultimi anni hanno visto decine e decine di politici e ministri sotto processo, e spesso per reati gravi. I cittadini, perciò, vorrebbero che finisse questa selezione al contrario dei candidati al Parlamento, diventata spudorato sistema da quando al Governo c’è Berlusconi. Il Parlamento è oggi un vero refugium peccatorum. Sembra quasi che l’uomo ideale per entrare in politica, soprattutto nel PDL, sia quello che ha guai con la giustizia. Le espressioni popolari di “traffichino” e “maninpasta” gli si attagliano perfettamente. Ben 84 sono i parlamentari già condannati o inquisiti, per reati che vanno dalla concussione al collegamento con organizzazioni mafiose. Primo in classifica, naturalmente, il berlusconiano PDL. Peggio ancora nelle Regioni. La Sicilia, ovviamente, ha il primato: 28 consiglieri su 90, praticamente 1 su 3, sono indagati o sottoposti a giudizio. Senza che la “buona” borghesia palermitana e siciliana protesti o trovi un residuo di moralità per isolare i mascalzoni o almeno indignarsi: ecco come si spiega, poi, la sua nostalgia per i Borboni!
Come non comprendere, allora, l’esasperazione di quell’altra parte di cittadini italiani che è ancora onesta e meritevole? E’ cinico e mafioso accusarla, in questa situazione di degrado morale generalizzato, di “giacobinismo” o “giustizialismo”. Anzi, sono degli eroi. I conservatori e anarchici, che hanno la furbizia di fingersi “liberali”, non battono ciglio per i reati e la disonestà della classe politica, anzi vanno cianciando di liberismo come terreno di caccia di “sani spiriti animali”, ma poi si rivoltano quando qualcuno cerca di reprimere quei reati e punire i colpevoli. Certo, con gli errori inevitabili. Prima di accusare la voglia di legalità di una parte dei cittadini di essere sbrigativa e di passar sopra ai cavilli giuridici a difesa dell’imputato, prima di scagliarsi contro i Pubblici Ministeri e i Giudici, bisognerebbe aver almeno tentato di ridurre l’illegalità e la corruzione in Italia. Cosa che sia gli anarco-libertari, sia i legulei e formalisti del diritto che ora si stracciano le vesti non hanno mai fatto. Insomma, la protesta, sia pure sommaria dei cittadini è sacrosanta, anche e soprattutto per un liberale, che si aspetta piuttosto che un parlamentare non sia neanche sfiorato, non dirò dalla condanna, ma addirittura dalla Giustizia. Altro che attendere la sentenza della Cassazione! Insomma, è il giudizio etico-politico che deve prevalere su quello tecnico-giudiziario. Eppure, questa decisione della Camera, sia pure sofferta, a sorpresa, per alcuni eccessiva, è stata vista dai cittadini, forse un po’ ingenui, come un primo segnale forte per porre fine all’impunità per i politici e la Casta. Basta, dice la gente, arrestato un Papa, non se faccia un altro.
Che dite, secondo voi ha giocato l’impazienza popolare per le ingiustizie e i privilegi dei potenti? Io dico di sì. Anche se il Senato non si è mostrato altrettanto severo, ed ha “graziato” il sen.Tedesco (PD). “Pericolo di giacobinismo”, “prepotenza dei giudici”, “governo della piazza”? Macché, a dire queste sciocchezze sono stati – fateci caso – o politici del PDL o giornalisti pagati dalla Destra, o avvocati, che ovviamente tirano l’acqua al proprio mulino. Del resto, il provvedimento lo ha deciso la stessa Camera dei Deputati. Si potrà obiettare sul piano tecnico – dicono i giuristi – che visto che non c’era pericolo di fuga e di inquinamento delle prove, la custodia in carcere poteva essere evitata, ma la Magistratura ha scelto diversamente. E la Camera si è adeguata. Con un atto politico, quindi basato anche sul senso della opportunità.
Dunque, io non mi straccio le vesti per gli eventuali errori formali da parte dei giudici, e non mi scandalizzo per questa curiosa immediata adesione della Camera, anzi, vi confesso che godo “per compensazione”, pensando alle centinaia di reati dei politici – ben più gravi di questo – che in passato non sono stati perseguiti per il mancato placet del Parlamento. Ma come, tu liberale? Certo, malgrado io sia (o forse proprio perché sono) un liberale risorgimentale, e perfino un radicale, sia pure dissidente. [Ma stavolta i Radicali in Parlamento hanno giustamente interpretato lo “Spirito del Tempo”, cioè il valore liberale dell’indignazione popolare]. Questo è il punto del problema: l’inversione di tendenza. Finora si dava credito solo alle tesi degli avvocati, oggi finalmente qualcuno dà credito – per una volta – alle tesi dei magistrati.
Ecco a che cosa ha portato la campagna delle reti dei cittadini contro la Casta, per la moralizzazione della politica e per il Bene comune. E in questi temi idealistici ritrovo un po’ la mia adolescenza. Da critico della classe politica fin dai miei sedici anni, quando leggevo il Mondo di Pannunzio e la Tribuna. Allora, noi Giovani Liberali, a differenza di quelli di oggi, inquinati dalla mentalità super-individualista e iper-liberista alla Reagan-Thatcher (che non furono liberali, sia chiaro, ma ultra-conservatori), e dai metodi strafottenti e anarcoidi del berlusconismo, eravamo giustamente severi contro la corruzione e la disonestà, eravamo consapevoli, insieme con i cugini repubblicani, di impersonare un “ideale partito degli onesti” contro il “partitismo”, e avevamo il “senso dello Stato”, sia pure liberale. Insomma stavamo sia con Croce che con Einaudi. E poi il linguaggio! Non avevamo modi da estremisti, spazientiti e strafottenti. Due nostri miti erano Bozzi e Valitutti, altro che l’anarco-capitalista Rothbard! E non parlavamo come cinici avvocaticchi del Sud abili a districarsi utilitaristicamente nel formalismo giuridico dei nostri Codici e a dividere ogni capello in quattro (“tessarotricotomisti” li chiamo) in favore del proprio cliente super-pagante, ma mostravamo indignazione verso i disonesti e un sano disprezzo risorgimentale verso i machiavellici, corrotti o comunque interessati “professionisti della Politica”. Eh, come sono cambiati i Liberali in questo Paese! Sembrano sempre più attenti alla forma, ai trucchi, alle scappatoie, che alla sostanza delle cose! Ma liberale non è, non deve essere, non è mai stato, sinonimo di cinico. I grandi liberali del passato erano anche dei grandi idealisti, e attraverso la politica perseguivano anche un grande disegno etico.
Il discorso, perciò, si allarga e diventa generale. Perché i grandi Autori liberali hanno insegnato che un uomo di Governo, un politico, non deve avere più diritti e meno doveri di un cittadino qualunque, come accade in Italia, ma semmai l’opposto: più doveri e meno diritti. Perché non solo deve essere, ma deve “sembrare” onestissimo. E’ anche per questo che è votato. Come infatti teorizzano nei Paesi anglosassoni. Dove i parlamentari si dimettono non perché condannati con sentenza passata in giudicato, come vorrebbero in Italia, ma solo perché “sfiorati dal sospetto”. In Italia, invece, e questo è il vero scandalo, la faccia di bronzo è tale che si attendono i rinvii a giudizio o addirittura le sentenze… E poi, facendo credere che la libertà del Parlamento e la dignità di un politico consistano nella buona difesa degli avvocati, e anzi insinuando che tutti i parlamentari siano potenziali “vittime” della Giustizia, a Isernia e a Palermo, a Milano o Messina, si sentono con grande faccia tosta addirittura più “liberali” che a Londra e Glasgow! Ma se è così, visto che mancano del minimo di sensibilità politica e buoncostume sociale, segno che sono in politica solo per poter arraffare quanto più possono, e perciò non si dimettono neanche a cannonate – come invece è obbligatorio nei Paesi liberali – vanno cacciati con la legge, e a questo punto anche utilizzando quei cavilli a cui loro stessi ricorrono. E altro che ad un fumus persecutionis, ad un sospetto di persecuzione da parte dei giudici, bisogna stare attenti, ma semmai al più leggero venticello di voci e sospetti. Tanto delicata è, infatti, in democrazia liberale la posizione dei rappresentanti dei cittadini, che il sia pur minimo privilegio, la più piccola scorrettezza, il più piccolo reato, sono visti come il fumo negli occhi dai cittadini. Altrimenti si determinerebbe un vero e proprio classismo dei Protetti e Potenti contro i non protetti, cioè una arroganza di Potere senza pari. L’opposto dello Stato liberale. Insomma, con gente di tal fatta, “ad arrogante arrogante e mezzo”, l’accusa sempre meglio della difesa. A così tanta esasperazione hanno condotto i cittadini.
E poi basta con la difesa della Casta politica, solo perché ci ricatta con la “Democrazia” (notate le virgolette?) di cui si è impossessata senza merito e solo per guadagni personali. Va a finire, secondo loro, che i “costi della politica” sono i “costi della Democrazia”. Noi cittadini, tanto più in uno Stato liberale, siamo la controparte naturale, i controllori impietosi e costanti, gli avversari istintivi, dei politici di professione e dei Governi. Non i loro complici o avvocati. Noi siamo i cittadini elettori, cioè “consumatori” di beni e servizi pubblici e politici, loro sono i cittadini “produttori” per noi e in nostro nome. Non dobbiamo difenderli, ma criticarli e pungolarli senza pietà.
Certo, siamo garantisti. E allora? Certo, veneriamo la divisione dei poteri cara a Montesquieu. E che c’entra? Dunque, siamo liberali veri, completi di tutto, che non badano solo al formalismo e che conservano l’intelligenza, cioè il buonsenso. Non apparteniamo ad una banda di anarchici, o ad un circolo di avvocati di provincia, ma ad una dottrina che governa i grandi Stati dell’Occidente con un’arma implacabile, tipica del Liberalismo: la Legge. E che deve garantire, in pratica, le libertà e l’uguaglianza nei diritti a tutti, costi quello che costa. Legge che è la sola garanzia di libertà, perché distingue il criminale, il prepotente, il furbo, dagli onesti. E i diritti di libertà di tutti si difendono colpendo chi attenta a questi diritti.
Se io fossi un criminale, credetemi, mi rifugerei in uno Stato dittatoriale e dunque corrotto o corruttibile, e fuggirei da uno Stato liberale. Perché tutti sanno, tranne in Italia, noto Paese illiberale dove anche la stragrande maggioranza dei sedicenti “liberali” sono in realtà conservatori, che ancorché umana la Giustizia di uno Stato Liberale è, deve essere, più severa e implacabile, perché a differenza della dittatura ha il consenso preventivo dei cittadini. E non è giusto che il disonesto sia trattato come l’onesto. Io protesto, la vedo come una grave ingiustizia. Facciamo tanto per mantenerci onesti, patiamo danni per questo, e poi arriva dal profondo Sud un qualche deputato, un privilegiato, uno che non ha meriti né intellettuali né morali superiori ai nostri, che deve essere “perdonato” per principio, solo perché deputato?
Proprio in Italia, poi, questa difesa corporativa appare inopportuna e imbarazzante, perché il Paese è in declino proprio a causa del secolare disprezzo per la Legge delle regioni del Sud, che ormai si sta estendendo anche al Nord. E i cittadini italiani, pur avendo le loro gravi colpe, sono stufi della giustizia con due pesi e due misure: una per il cittadino comune, un altro per i potenti delle Corporazioni. Dunque c’è anche insensibilità psicologica e cinismo nei potenti e nei loro dipendenti che ora protestano per il sì della Camera all’arresto di un deputato. Dicono che è eccessivo e inutile. Quale insolita delicatezza! Magari la avessero per i problemi del semplice cittadino! Non afferrano l’indignazione, l’esasperazione della gente dopo tante prevaricazioni? Basta con i parlamentari “disuguali” di fronte alla Legge rispetto ai cittadini comuni. E, si badi, l’uguaglianza di fronte alla Legge è il cardine n.1 dello Stato di Diritto, cioè liberale. Ancor più della separazione dei Poteri. Che qui comunque non è minimamente toccata: è il libero Parlamento che ha deciso.
E basta, infine, con gli avvocati in politica: ce ne sono troppi in Parlamento, come lamentava già Cavour. Sono lontani i tempi gloriosi dei grandi avvocati liberali: o democratici, come Rattazzi, Cocco-Ortu, De Caro, Calamandrei, Villabruna e molti altri, oltre al già citato De Nicola. A vederli operare in politica, ci si dimenticava che erano o erano stati avvocati. E perfino tra i Mille garibaldini si contavano almeno 14 avvocati. Anche in tempo recenti abbiamo avuto avvocati impegnati in politica con grande dignità e senso dello Stato: Mellini, De Cataldo, Fortuna, Milio, Pisapia ecc. Oggi, però, nel Parlamento italiano ci sono ben 134 avvocati, cioè il 14 per cento dei parlamentari, un record mondiale. E’ avvocato (commercialista) perfino il ministro dell’Economia. E gli avvocati detengono la maggioranza nelle Commissioni Giustizia di Camera e Senato (come si legge nel sito di un avvocato e soprattutto nel bell’articolo di Sergio Rizzo sul Corriere della Sera). Una specie di “conflitto di interessi”: gli avvocati prima fanno le leggi – scrive Rizzo – poi le interpretano e le applicano. Perché in Italia un parlamentare avvocato, di solito, continua a difendere in giudizio. Una pacchia. Che direbbero loro se così tanti giudici sedessero in Parlamento? Che sarebbe aggirata, nientemeno, la divisione dei poteri teorizzata da Montesquieu! Nessuno contesta la loro importante funzione, ovviamente, però in Italia gli avvocati sono i più numerosi (circa 220 mila) e più protetti al mondo, e per colpa di un sistema giudiziario troppo formalistico finiscono per essere responsabili con i loro cavilli dei tempi lunghi della Giustizia. L’era berlusconiana, infine, ha dato il colpo di grazia alla categoria, perché sono stati fatti eleggere parlamentari gli avvocati personali del Premier. Inutile cercare, quindi, grandi idealità nella carriera politica degli avvocati di oggi. Sono eletti più per le loro conoscenze tecniche, utili alla Casta, che per i loro spessore politico. Eppure, sia dentro il Parlamento che fuori, continuano ad essere una potentissima lobby trasversale che influenza molto i giornali e le tv, e forma le idee correnti della società. A sentirli parlare – la loro specialità – finisci per dargli sempre ragione. E hanno la furbizia di parlare dappertutto, soprattutto negli ambienti laici: basti pensare allo spazio che hanno a Radio Radicale e in tutta l’area liberale. Ma il loro capolavoro di persuasione è dare ad intendere furbescamente – proprio loro che non dovrebbero manifestare idee o preclusioni morali, dovendo difendere chiunque – che la loro professione privata, spesso tra le più ricche, sarebbe in realtà quasi una sorta di missione etico-politica da compiere in nome della Libertà di tutti. E forse ci credono, perfino: per loro, difendere il peggior criminale della Casta significa “difendere la Libertà e la Democrazia”, nientemeno. Una mistificazione, di cui gli avvocati-politici sono maestri. E molti, nell’area garantista e liberale, ci cascano.
Il problema è anche di mentalità, psicologico, dunque. Come mai il “liberale” italiano tipico tende ad identificarsi con l’imputato, ovviamente “innocente”, e mai con la Legge, che è il baluardo unico dello Stato liberale, come invece fa d’istinto il liberale anglosassone? Certo che i diritti di libertà e le garanzie giuridiche del cittadino sono fondamentali per noi liberali, ma lo devono essere per tutti, non solo per la Casta. Cosa che i migliori avvocati hanno capito. Ma, ricordiamolo sempre, i problemi di libertà e giustizia non sono degni di nota solo se coincidono con gli interessi della classe forense, come il garantismo non è rilevante solo se di tratta di salvare il singolo potente. Esistono anche e soprattutto le esigenze di moralità di una società e le garanzie di uno Stato liberale. E la Giustizia, l’ordine che viene dalla certezza e immediatezza del diritto, è fondamentale per le Libertà.
Quindi di che cataclisma si va ipocritamente cianciando in questa “Repubblica dei Disonesti” che è diventata l’Italia? Per fortuna abbiamo un Presidente della Repubblica, che, benché ex comunista, per senso dello Stato, visione etico-politica e buonsenso ricorda curiosamente il liberale Einaudi. Teme, Napolitano, che le "comprensibili insofferenze" dell'opinione pubblica per i privilegi e i costi della politica potrebbero trasformarsi in "pericolosi umori antidemocratici", se i partiti non correranno ai ripari con "tangibili correzioni del costume politico". Ma aspettando la “Repubblica degli Onesti”, nel frattempo, come non dobbiamo ricorrere per emergenza ad una giustizialista Repubblica dei Giudici, così, a maggior ragione, dobbiamo vigilare perché non s’instauri neanche (mentre invece si rischia proprio questa, ammesso che già non ci sia, e sarebbe ben peggiore) un’innocentista Repubblica degli Avvocati!
NICO VALERIO
IMMAGINE. L’avvocato napoletano Enrico De Nicola, bella figura di liberale, incontra Benedetto Croce ai tempi dell’Assemblea Costituente.
Nell'occasione vorrei però spezzare la proverbiale lancia a favore degli avvocati in politica ricordando un caro amico di mio nonno, avvocato perlamentare sorretto da un granitico ethos liberale: Bruno Villabruna. A dimostrazione (ma chi ne ha mai dubitato?) che si può onorare sia la politica che la professione.
<< Home