31 dicembre, 2007

 

2007 "anno clericale". Ecco, invece, come parla un vero cattolico liberale

Un annus horribilis finisce, con la Chiesa cattolica che imita un poco l’Islam e va all’attacco dello Stato liberale su posizioni neanche conservatrici, ma reazionarie, mettendo in discussione la fondamentale separazione voluta da un liberale moderato come Cavour. Ha ragione Pannella: che grandezza, retrospettivamente, aveva la cavourriana Destra storica liberale di fronte a questa finta Sinistra e a questa finta Destra, entrambe clericali, non liberali, incapaci e corrotte, fazioni uguali e contrapposte ("Palermitani e corleonesi") del malgoverno e dell’inazione. "I buoni a nulla contro i capaci di tutto".
Che geni modesti, invece, e perciò grandiosi, quei cavourriani della Destra storica che mandarono il più cattolico e papista dei generali piemontesi a bombardare le mura del Papa, con la consegna di fare meno danni possibile e di salvaguardare la persona del Pontefice. E quello, diligentemente, dopo aver pregato nella messa al campo detta dal cappellano militare, siccome era più liberale che codino, perché anche la religione come qualunque idea, compreso l'ateismo, vuole la libertà, aggirò la scomunica facendo ordinare il bombardamento da un provvidenziale capitano Segre, ebreo piemontese.
Che grande classe dirigente. Così poco Destra da incarcerare i vescovi rivoltosi del Piemonte che aizzavano i fedeli a disobbedire alle leggi dello Stato. Così poco Sinistra da rimettere i conti in pareggio, fino al punto che la lira arrivò a valere più dell’oro.
Un calcolo sbagliato, quello della rivincita sul Risorgimento e sull’Illuminismo, nientemeno, che i consiglieri di papa Ratzinger, se non lui stesso, hanno proposto. Ma non si può andare contro la Storia, che è sempre Storia della libertà, come ripeteva un Benedetto ai suoi tempi poco benedetto Oltretevere, nonostante che avesse la Croce nel cognome.
Sia chiaro, le prediche antiliberali di qualche religioso - qualunque sia la religione - sono comuni ovunque. Solo che in Occidente interessano tutt'al più alcune frange ortodosse di fedeli. I politici neanche le prendono in considerazione. Né plaudono, né criticano, né rispondono. E i giornali, ovviamente, neanche riportano, visto che un pastore, un imam, un rabbino o un prete che blatera contro la rilassatezza dei costumi è una cosa risaputa, non fa notizia. Ecco la reazione giusta: ignorare. E finora era stato così anche in Italia.
Perciò, questo nuovo e antistorico revanchismo clericale non è politicamente imputabile alla Chiesa, che fa il suo mestiere ed ha tutto il diritto di dire la sua (e anzi un liberale dovrebbe battersi perché questo diritto le fosse riconosciuto, se già non lo avesse), ma ai furbi politici italiani di Destra e di Sinistra che con cinismo ributtante, anche se divorziati, "pubblici peccatori" (secondo la Chiesa), non praticanti o addirittura atei, fanno mostra di eseguire immediatamente i desiderata ecclesiastici, per trane - loro sperano - benefici elettorali.
Il rischio di questo gioco cinico dell'opportunismo in cui la religione e la Chiesa sono soltanto strumentalizzate a fini di bassa politica, è di riportare l’Italia indietro di 150 anni, intaccando gravemente le libertà del cittadino e travolgendo nell’inevitabile caduta – perché la libertà è destinata comunque a vincere – la stessa religione cattolica, già screditata dalle migliaia di casi di pedofilia e in inarrestabile crisi di vocazioni e di fedeli.
Può essere di buon auspicio, perciò, terminare il vecchio anno con le belle parole tratte da un più ampio discorso che nel 1960 pronunciò un famoso cattolico, il candidato presidente degli Stati Uniti d’America, John Fitzgerald Kennedy, cattolico osservante, credibile perché andava in chiesa a sentir messa ma non si lasciava influenzare dalla Chiesa, a differenza di tanti politici italiani sedicenti cattolici che usano la religione solo come Potere, cioè per fare politica, e politica reazionaria, facendosi forti del presunto appoggio divino, ma che poi in chiesa non mettono piede. Erano la bestia nera già del cattolico liberale Cavour, il quale era solito ripetere che non si può fare politica con una persona che quando è in minoranza pretende di aver ragione perché "parla a nome di Dio".
Perciò è importante il discorso di Kennedy. Che cosa vuol dire essere politici cattolici in un Paese liberale e moderno? Come coniugare la propria fede con la libertà di tutti, come conciliare la dipendenza personale da un credo con l'indipendenza dello Stato laico che è il fondamento del liberalismo? E che le parole liberali del cattolico "cavourriano" Kennedy, che svergognano certi untuosi e ipocriti "atei devoti" o "teo-dem" di casa nostra, servano a molti per finire degnamente questo anno e cominciare coi migliori propositi l’anno nuovo.
.
IL POLITICO CATTOLICO CHE PROMETTO DI ESSERE
di John Fitzgerald Kennedy
.
"Io credo in un’America in cui la separazione di Chiesa e Stato sia assoluta, e in cui nessun prelato cattolico possa insegnare al Presidente (qualora questi sia cattolico) quel che deve fare, e in cui nessun pastore protestante possa imporre ai suoi parrocchiani per chi votare; un’America in cui a nessuna Chiesa o scuola di carattere confessionale siano concesse sovvenzioni tratte dal pubblico denaro, oppure preferenze politiche, e in cui a nessuno sia impedito di accedere a un pubblico ufficio, solo perché la sua religione differisce da quella del Presidente in grado di nominarlo o del pubblico in grado di eleggervelo.
Io credo in un’America che ufficialmente non sia cattolica né protestante né ebraica; in cui nessun pubblico ufficiale richieda o accetti istruzioni sulla politica da seguire sia dal Papa, sia dal Concilio nazionale delle Chiese, sia da altre fonti ecclesiastiche; un’America in cui nessun organismo confessionale cerchi di imporre direttamente o indirettamente la propria volontà al popolo in generale, ovvero alle iniziative dei pubblici funzionari, e in cui la libertà di religione sia una e indivisibile, tanto che ogni azione contro una delle Chiese sia considerata attentato contro la Nazione nel suo complesso.
Infine, io credo in un’America in cui prima o poi l’intolleranza religiosa sia destinata a sparire, e in cui tutti gli individui e tutte le Chiese siano trattati da eguali; un’America in cui ognuno abbia lo stesso diritto di frequentare o no la Chiesa che si è scelta, e in cui non si diano voti cattolici o anticattolici, e in generale nessun blocco di voti di alcuna specie: in cui cattolici, protestanti ed ebrei, laici o ecclesiastici che siano, si astengano da quegli atteggiamenti di disprezzo e ostilità che tanto spesso hanno in passato intralciato la loro azione, per promuovere invece l’ideale della fratellanza tra i cittadini americani.
Questa è l’America nella quale io credo, ed è anche il tipo di ufficio presidenziale nel quale io credo; un compito di grandissima importanza che non deve essere né umiliato, facendone lo strumento di questo o quel partito confessionale, né sporcato negando arbitrariamente la possibilità di accedervi a un membro di qualsiasi gruppo confessionale.

Il mio ideale è un Presidente le cui opinioni religiose siano questione che riguarda lui solo, e a cui non siano imposte dalla Nazione, tanto meno come condizione per il mantenimento della sua carica".

27 dicembre, 2007

 

Difendo i “vu cumprà”. Da liberale. Hanno l’economia e il diritto dalla loro

I "vu cumprà"? Hanno ragione. Ragione da vendere, appunto. Eppure, in tutte le zone turistiche di Roma, e credo anche nel resto dell'Italia, sono in corso da mesi enormi, dispendiose, ridicole retate interforze (Finanza, Carabinieri, Vigili Urbani soprattutto) degne di esercitazioni militari, che sbalordiscono i turisti stranieri, destano ilarità, causano fastidi ai cittadini o addirittura disordine. E' davvero uno scandalo che bravi agenti siano sprecati per queste sciocchezze, mentre i criminali veri restano indisturbati. Per questi si usa ripetere la comoda litania che "non ci sono abbastanza agenti". E' facile prendersela con pacifici africani fermi a vendere cinture, borse o portafogli vuoti. Più difficile, certo, catturare chi le borse e i portafogli, pieni, li ruba. Senza contare i reati più seri. Ma chi e che cosa c'è dietro questi ordini insensati?
Non solo chi è liberale, ma perfino uno studente al primo anno di economia e diritto, dovrebbe difendere i cosiddetti "venditori abusivi". Perché in realtà, a ben vedere, di abusiva c'è solo la repressione di questo piccolissimo reato o addirittura non-reato. Tanto patente è l'errore di chi con vasto e costoso spiegamento di forza pubblica, lo persegue.
Intanto, dovrebbero cessare le distinzioni tra commercio ufficiale riconosciuto e commercio libero (definito "abusivo" dalle corporazioni), come anche vessazioni, eccesso di regole e sospetti preconcetti sul commercio in genere. Chiunque dovrebbe poter vendere col minimo delle formalità. Sulla sua responsabilità personale, s'intende.
Ma sul tema del cosiddetto "abusivismo", la potente lobby dei commercianti o dei produttori, che in barba alla democrazia fa in Italia il bello e il cattivo tempo (mancano solo ristoratori, albergatori e armatori, e saremmo in Grecia), si permette di dare ordini alle forze di polizia, che distoglie dal perseguimento di interessi generali e reati gravi, e sembra quasi considerare al proprio particolare servizio, quasi dovesse risolverle i suoi problemi di marketing. E dire che per un nonnulla in altri campi si parla subito di interessi privati in atti d'ufficio.
E' una grande mistificazione anche nel nome. "Caccia all’abusivismo"? Quello vero, che fa danni gravi al cittadino e all'ambiente, cioè quello edilizio, in Italia non viene perseguito né dalla Sinistra né dalla Destra. Ma le vendite spontanee su strada fanno solo bene.
Eppure, ora il ventre molle da infilzare è il cosiddetto "abusivismo commerciale". Vigili urbani, polizia, carabinieri e finanza, che non riescono a fronteggiare la vera delinquenza, con azioni concertate degne di miglior causa, su "mandato" dei commercianti, che ormai sono le uniche autorità cittadine in Italia, stanno usando la mano pesante contro i venditori africani: li inseguono a piedi e in "gazzelle", li fanno sloggiare, li arrestano, li denunciano, gli sequestrano borse Vuitton e portafogli Valentino contraffati. Ci sono stati vigili e vigilesse accusati a loro volta di essersi impossessati delle borse "firmate" sequestrate come corpi di reato.
Ma tutta questa campagna è un grosso errore, e lo dimostriamo da liberali.
Innanzitutto l'ordine pubblico non è turbato. Gli africani hanno una compostezza che molti italiani non hanno. E in tempi di grande criminalità e terrorismo, la polizia, che non deve farsi esecutrice passiva dei voleri di una corporazione, ancor meno deve curarne i problemi economici, non può sprecare uomini e tempo in cose del genere. Quindi primo errore di Questure e Ministero dell’Interno.
Sul piano del diritto, poi, hanno stabilito tribunali e Cassazione, una borsa che imita una marca famosa, proprio perché costa molto meno e si vende per strada, mette sull'avviso chiunque, anche il più sprovveduto provinciale. Giuridicamente, perciò, è un bene molto diverso dall'originale. Anche se è ugualmente robusta e ben fatta: in casi limite è fabbricata dalle stesse ditte locali che lavorano per la grande marca.
Ma l'acquirente queste cose le sa, e vuole appunto comprare un'imitazione, non l'originale. Mai entrerebbe in un negozio. Dov'è dunque il danno commerciale ed economico per proprietari del marchio, produttori e commercianti? Dov'è la truffa? Tanto più, poi, che spesso il logo (disegno del marchio) è un po' diverso da quello originale.
Gli imitatori non fanno ricorso, ma quando lo hanno fatto sono stati spesso assolti. Giustamente. Il diritto al marchio (l'unica ragione valida), è un diritto minore, non è eterno e assoluto come, per esempio, la proprietà. Ma perfino nelle vertenze di confine o tra condomini non interviene la forza pubblica, ma si esperisce una causa civile. Le ditte hanno tutto il diritto di perseguire civilmente presso i Tribunali chi imita i loro prodotti. Ma che c'entra l'ordine pubblico e le retate di polizia con le beghe private tra la Vuitton o la famiglia Fendi, per esempio, e i "vu cumprà" del Senegal?
Sul piano economico e sociale, è da ottusi togliere una fonte di reddito onesto (senza virgolette) agli intelligenti immigrati africani, che così producono ricchezza, sono sottratti alla criminalità, tassabili, controllabili e censibili sul territorio. E che animano strade di solito vuote e squallide per la ben nota incapacità di parecchi commercianti italiani (numero eccessivo, scarsa concorrenza, articoli che non vanno, vetrine malfatte, alti prezzi, commesse maleducate ecc).
E in un'Italia in crisi, con milioni di cittadini impoveriti, il commercio parallelo o cinese (bancarelle) è un calmiere perfetto che compensa anni di trucchi con cui molti commercianti hanno abusivamente raddoppiato i prezzi (1000 lire = 1 euro) e dà respiro alle fasce deboli: donne, anziani, studenti, extracomunitari. E "fa bene" al commercio ufficiale, sì, perché lo pone finalmente di fronte a una vera concorrenza catartica. Non sleale, ma economica. Anche i commercianti potrebbero diversificarsi o ricaricare molto meno. E se non lo fanno è perché non lo sanno fare: o sono troppi o in zone sbagliate. E nel mercato, chi non ce la fa, deve fallire. E' un loro problema economico, non di ordine pubblico. Inutile chiamare la polizia. E il fatto stesso che la gente non voglia più entrare nei loro negozi e affolli supermercati e discount senza marche, la dice lunga sul bluff delle marche famose, i cui prodotti sono del tutto analoghi agli altri.
Andando di questo passo, con questo odioso precedente, dovremmo temere che Motta e Tre Marie, tanto per dire, denuncino i tanti anonimi panettoni, ottimi e spesso superiori per contenuto a quelli più costosi, addirittura con burro e uvetta titolati (cioè con le percentuali indicate in etichetta), che i supermercati discount vendono a poco più d'un euro? Anche i panettoni sono nati come "imitazione". Tanto è vero che in origine la ricetta era segreta. Che questo serva da lezione ai produttori e commercianti incapaci, non ai quasi incolpevoli "vu cumprà".
Infine, di che si lamentano i Grandi Marchi? Per loro è tutta pubblicità gratuita, altro che perdite. L'acquirente che indossa o espone in pubblico il berretto, la maglietta, la cintura, la borsa "di imitazione" in realtà fa un grosso favore alla marca famosa, perché svolge gratis il lavoro di donna o uomo-sandwich a tempo pieno. In pratica, l'esibizione d'un marchio troppo vistoso fa di ogni acquirente, legale o no, un vero testimonial vivente. Altro che "abusivo": chi acquista la finta borsa di marca anziché multato secondo una legge scandalosa dovrebbe essere pagato dalla marca famosa per l'enorme pubblicità che gli fa, per anni e anni. Le ditte, quindi, ci guadagnano anche sui "falsi". E anzi, forse anche questa insensata "campagna d'Italia" degna d'un Napoleone che ha bevuto troppo, è tutta un poderoso piano pubblicitario. E Comuni, Parlamento e Ministero dell'Interno ci sono cascati.
E poi, che faccia tosta: proprio noi italiani, per decenni imitatori dei prodotti stranieri, ci mettono ora - e pure con dubbia legalità e contro i principi del diritto e dell'economia - a sequestrare le imitazioni? Oltretutto spingendo alla disperazione, cioè al crimine, tanti intelligenti immigrati africani finora volonterosi, pieni di iniziativa e desiderosi di integrazione? Davvero non si capisce dove la stupidità degli Italiani possa arrivare.

18 dicembre, 2007

 

Regno di Sardegna contro Italia. Quant’era liberale e laicista la Destra Storica

Nel Museo del Risorgimento al Vittoriano è ospitata una bella mostra dedicata ai 200 anni di Giuseppe Garibaldi, il vero eroe dell’Unità d’Italia. Papa Pio IX, senza neanche sapere che l’Eroe dei due Mondi aveva scritto una singolare "preghiera dell’ateo", lo considerava comunque alla stregua d’un bandito.
Si è appena celebrato il grande sindaco Nathan, esempio di rettitudine e di iniziativa liberale, che smentisce chi ritiene che il liberalismo debba essere sempre e solo "laissez faire". Il suo bel Centenario (1907) si situa proprio a metà tra Garibaldi (1807) e noi. Ma mentre l’attivismo dei due grandi libertari, così diversi e incomparabili tra loro, ricorda l’Europa e la modernità, la passività, il comportamento vile dei Governi italiani di oggi riporta ai "secoli bui" della nostra storia.
Ebbene – come cambia il mondo – appena cinque generazioni più tardi dalla presa di Porta Pia ad opera del generale Cadorna, ultracattolico ma liberale, i rapporti tra Stato e Chiesa in Italia, e solo in Italia nel continente europeo, si sono capovolti. Ora la gerarchia tra i Poteri potrebbe essere efficacemente rappresentata da un "santino" poco edificante dipinto con spreco di rosso porpora e nero (il Potere reale), e tutti i toni del grigio (il Potere formale, destinato a soccombere). Una Nemesi reazionaria e neo-temporalista che ricorda una piccola Canossa.
Perciò è stato davvero un triste spettacolo vedere il sindaco della Capitale d’Italia, segretario del Partito Democratico e potenziale futuro Capo di Governo, genuflesso davanti al Segretario di Stato del Vaticano che lo aveva chiamato a rapporto per un futile motivo: sventare un progetto di riconoscimento, peraltro solo amministrativo, alle Unioni Civili. E se la Chiesa si muove con tale sicurezza anche sulle questioni marginali, un significato ci deve essere.
Stato e Chiesa in Italia, un confronto antico ma ancora attualissimo. Come coniugare il rispetto delle idee religiose, che nessuno contesta e ha mai contestato, dalla Destra estrema all’estrema Sinistra, con la tutela dei diritti di libertà, vecchi e nuovi, e con l’indipendenza dello Stato dalle filosofie o alle fedi, due fondamenti dello Stato liberale? E ci sono anche i diritti dei non credenti, che devono avere pari dignità dei credenti.
Questo, ora che il liberalismo economico – a parole – è fatto proprio anche dagli ultra-conservatori e dai post-comunisti, è il problema del Liberalismo oggi nella Penisola: coniugare i diritti civili, tutelare la pari dignità di ogni idea filosofica, politica e religiosa. Che non vuol dire, beninteso, che per un liberale tutte le idee siano uguali, ma solo che hanno tutte diritto ad un uguale rispetto formale.
In mancanza, non dovremo chiederci "come" ma addirittura "se" lo Stato italiano possa essere liberale. Un problema arretrato che è già una vergogna di fronte all’Europa, perché è lo stesso che fu già risolto dai nostri Padri Fondatori nell’Ottocento. Ed è ormai, nella disattenzione dei Governi, un problema di cultura e sensibilità popolare, più che di leggi o di alleanze politiche.
Il liberalismo non è solo mercato. Un’economia più o meno libera, ma senza il terreno fecondo di idee di libertà, senza garanzie, può esistere perfino nella Cina comunista o nel Cile fascista. Ma l’uguaglianza nei diritti di libertà, no: può esistere solo in uno Stato davvero liberale. Siamo "crociani anziché einaudiani"? No, siamo orgogliosamente "crociani e einaudiani", anzi, per far arrabbiare gli stupidi, diremo addirittura "cavourriani con un pizzico di pepe pannelliano", come tutti i veri liberali. Perché anche il conte di Cavour ebbe Garibaldi, il "generale in blue jeans", come lo abbiamo definito. E che dignità, che coraggio, la "Destra storica" liberale. Ben altra cosa, addirittura agli antipodi, la Destra italiana d’oggi, che è in sostanza anti-liberale.
E allora, guardiamo alla Storia meno nota. Per i tanti conservatori travestiti da "liberali" o "liberisti"; per i molti liberali senza coraggio (una contraddizione in termini, visto che i Padri del Liberalismo ripetono che la libertà non è conquistata una volta per tutte, ma va difesa ogni giorno); per chi, visto quanto sopra, parla male di tutti i liberali, quelli di ieri e di oggi; per i soliti revisionisti reazionari e clerico-borbonici che stanno coi briganti e i Sanfedisti contro il Risorgimento, contro la "Italietta", la Grande piccola Italia dell’Ottocento e del primo Novecento, contro il "provinciale" Regno di Sardegna, contro i Savoia dell’altroieri, per la ineffabile on.Bertolini, sempre zelante con la Chiesa e sempre contro le vecchie e nuove libertà, pur vantando nella biografia di essere stata addirittura nella Gioventù Liberale, ecco qualche ricordo illuminante. Ripassare i "bigini" di scuola della storia della Patria - scusate la maiuscola - farà bene a tutti.
Le Leggi Siccardi non furono opera di quel mangiapreti di Felice Cavallotti (liberal-radicale) o dei socialisti rivoluzionari del biennio rosso, ma un testo legislativo approvato nel 1850 a Torino nell'allora quieto e moderatissimo Regno di Sardegna. Con l'appoggio di Vittorio Emanuele II, il governo del benpensante Massimo D'Azeglio (oggi lo definiremmo "liberale di destra"), cattolico e ultra-legalitario, nemico di carbonari, mazziniani e liberali accesi, attuò un programma di riforme con il proposito di liberare il Regno di Sardegna dallo stampo feudale ancora presente negli istituti giuridici, e per concretizzare le innovazioni promesse e proclamate nel 1848. E i deputati piemontesi premevano, anzi erano più decisi di D’Azeglio. Si trattavano di modernizzare, europeizzare il Piemonte, portarlo fuori dal Medioevo, farne uno Stato moderno che potesse presentarsi alla pari con gli altri Stati liberali, prima tra tutti l’Inghilterra.
Questo è lo sfondo su cui si muove il guardasigilli Giuseppe Siccardi quando propone su mandato del Governo le leggi che da lui presero nome (1850), subito approvate a gran maggioranza dalla Camera, malgrado le resistenze dei conservatori più legati alla Chiesa cattolica. Resistenze dovute soprattutto all'abolizione di tre grandi privilegi che il clero godeva nel Regno. Tali privilegi erano il foro ecclesiastico, un tribunale che sottraeva alla giustizia laica gli uomini di Chiesa, il diritto di asilo, ovvero l'impunità giuridica di coloro che chiedevano rifugio nelle chiese, e la manomorta, l'inalienabilità dei possedimenti ecclesiastici.
La resistenza a queste leggi continuò anche a seguito della loro promulgazione e sfociò con l'arresto dell'arcivescovo di Torino, Luigi Fransoni, che venne processato e condannato ad un mese di carcere dopo aver invitato il clero a disobbedire a tali provvedimenti.
Inutile dire che oggi (2007, a 157 anni di distanza) tutto questo sarebbe impensabile. E se per ipotesi un magistrato facesse arrestare un religioso cattolico per uno dei tanti reati che cardinali, vescovi e preti commettono abitualmente, in Italia ci sarebbe una specie di rivoluzione. E oggi, a differenza di ieri, i politici italiani si dicono tutti o "di sinistra" o "liberali".
Le Leggi Siccardi segnano l'inizio di un lungo attrito tra il regno dei Savoia ed il Papato, attrito che si acuisce nel '52 con il progetto di legge sul matrimonio civile e, poi, con la cosiddetta Crisi Calabiana.
Nel 1855, il nuovo Presidente del Consiglio, Camillo Benso conte di Cavour, decise, in deroga al principio "Libera Chiesa in libero Stato" (come poi osservarono retrospettivamente alcuni suoi critici conservatori), di colpire, per motivi di interesse generale (economia e ordine pubblico), la struttura organizzativa della Chiesa Cattolica in Piemonte che ostacolava l’evoluzione in senso moderno ed europeo del Regno. Il progetto di legge prevedeva la soppressione dei soli ordini religiosi marginali, mendicanti e contemplativi, non caratterizzati, secondo la legge, da alcuna utilità sociale.
Si fece subito sentire la condanna del papa Pio IX. In Parlamento sabaudo la polemica fu capitanata da una singolare figura di vescovo-senatore, Luigi Nazari di Calabiana, capo della diocesi di Casale Monferrato, il quale, coinvolse, a sostegno delle tesi della destra conservatrice, attraverso la regina, lo stesso Vittorio Emanuele II, mettendo in grave imbarazzo Cavour e provocando la caduta del suo Governo (26 aprile 1855). Ma poiché furono inutili i tentativi per approvare soluzioni diverse in Parlamento, data la decisione mostrata dai deputati, il Sovrano dovette nuovamente rivolgersi a Cavour per riaffidargli l’incarico di Presidente del Consiglio.
Fu così che Cavour, battuta l’opposizione in Parlamento, varò la tanto osteggiata legge il 23 maggio, che portò alla soppressione di 334 conventi, che ospitavano più di 5000 frati. Ci furono proteste aizzate dal clero, e alcuni preti facinorosi, come si diceva allora, che avevano esortato dal pulpito i parrocchiani a disobbedire alle leggi furono arrestati. Ma in carcere trovarono i cappellani per i conforti religiosi. Sarà stato pure piccolo e provinciale, ma il Regno di Sardegna studiava da grande Stato e cominciava ad apprendere dal liberale Regno Unito a trattare allo stesso modo i cittadini, qualunque fosse il grado o il ceto. Iniziava così la politica dei piccoli passi che portò il piccolo, bilingue e transalpino Regno di Sardegna a diventare in poco più di dieci anni uno Stato moderno, e poi un grande Stato europeo.

This page is powered by Blogger. Isn't yours?