15 novembre, 2005

 

15. Newsletter del 5 novembre 2004

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Salon Voltaire
IL "GIORNALE PARLATO" LIBERALE
LETTERA QUINDICINALE DEL SALOTTO VOLTAIRE
GIORNALE LIBERALE DI ATTUALITÀ, SCIENZA, CULTURA, POLITICA E COSTUME
Lettera n.15 (2 ed) - 5 novembre 2004
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"Stress, ipertensione, colesterolo alto? Partecipa a un salotto liberale.
L’unico in cui il sedentarismo fa bene e stimola il cuore"
CARDIOLOGO ANONIMO

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Questo numero contiene:
POLITICA E RELIGIONE. Ayatollah a S. Pietro
LIBERALI. Tutti a Roma per il "Liberal Pride"
BLOCCATI DAL SERVER. Parlavamo male di Arafat
YASSER IL BUGIARDO. Nobel per la pace e attentati
INTEGRALISMO. La caffeina dei popoli
ARABI USA SMENTITI. Fare sesso nell’aldilà
TRIESTE ALL’ITALIA. Poi il tradimento di Osimo
OGM E POLITICA. Se vi piacciono i "pachino"
ELEZIONI USA. Vince l’uomo casa-e-chiesa
VIDEO GAMES PICCANTI. "Manifesto" al kerry
X COMANDAMENTI. De Gasperi non l’avrebbe detto
OLANDA. Dove c’è mollezza l’Islam uccide
CONGRESSO RADICALE. Il futuro è dei Dioscuri
CARTA D’EUROPA. Eravamo tre ragionieri al bar
CHI LO RATIFICA? Ma che bel trattato, madama dorè
GAFFE ALL’ERGIFE. La "casa liberale"? E’ la nostra
MEDIAZIONI. E noi che faremmo al governo?
CORPO E LIBERTA’ Sì o no alle impronte digitali?
LA SCUSA DELL'EOLICO. Sicilia deturpata dalle torri
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ESTREMISMO RELIGIOSO E LIBERALISMO
Ayatollah a San Pietro
Terroristi islamici insanguinano il mondo con il mitra in una mano e il Corano nell'altra. Ayatollah iraniani predicano la religione-diritto e la moschea-Stato, e mandano a morte o in prigione sulla base dei testi sacri. Nelle madrasse (scuola coraniche) si insegna che Europa, Israele e Stati Uniti sono il diavolo, la donna un essere inferiore. Perfino in Europa, imam islamici, con Allah sulla bocca, incitano gli immigrati alla rivolta contro la società libera e fanno uccidere chi come Fortuin e van Gogh vi si oppone. Palestinesi e ceceni, per il loro diritto ad avere uno Stato indipendente, compiono attentati col pretesto della religione.
L'Europa liberale e democratica, insomma, è sotto attacco militare, culturale, psicologico, da parte degli estremisti religiosi. E come risponde l'Italia? Aumentando il grado di liberalismo, di laicismo, che da soli basterebbero a isolare e ricacciare il fondamentalismo religioso? No. All'opposto, contro ogni logica, politici e opinion leaders italiani inventano un fondamentalismo religioso cristiano, mai esistito nell'Europa moderna, famosa per separare nettamente Dio e Stato, religione e politica. Perfino qualche "liberale" agnostico o ateo, ha fatto propria per cinismo e realismo politico (in questi casi l'essere stati comunisti aiuta), la causa delle "origini cristiane dell'Europa", una sciocchezza storica smentita perfino dal Bignami. Anche i bambini sanno che l'Europa nasce pagana, con la cultura greca e l'impero romano. E che la distruzione dei templi antichi, l'Inquisizione, le stragi degli Ugonotti, i ghetti e la cacciata degli ebrei, la Controriforma, il rogo di Giordano Bruno, il processo a Galileo, il Sillabo di Pio IX, la Vandea, i sanfedisti, le "madonne piangenti", sono vergogne piuttosto che tradizioni dell'Europa.
Ognuno con un suo secondo fine (chi per arruffianarsi il Vaticano, e diventare presidente della repubblica, chi per avere i voti dei cattolici alle regionali e alle politiche, chi per scimmiottare l'America di Bush illudendosi di avere la stessa società e la stessa fortuna), questi "cattolici liberali", "socialisti liberali" e "atei devoti" sembrano giocare cinicamente con le idee e con la libertà di tutti per il gusto snob di stupire il volgo, épater les bourgeois. Ma dell'avvenire del liberalismo e della civiltà dell'Europa sembrano non interessarsi.
Molti saranno ottusi, certo, compresi alcuni professori. Ma altri lo fanno per calcolo politico. Imbrogliare tra sfera privata e pubblica, cioè politica, come ha fatto Buttiglione all'esame di Bruxelles, è da furbi non da politici intelligenti. Ma anche gli altri sbagliano. Non si combatte un fondamentalismo con un altro fondamentalismo. Altro che stupida crociata contro il "permissivismo". Consentire che qualcuno possa usare della libertà non si chiama permissivismo, ma liberalismo. La libertà, infatti, ha questo di bello, che chi non la vuole usare non la usa. Al contrario, la mancanza di libertà costringe tutti. Dovrebbe bastare il diploma di scuola elementare per capire questo concettino. Eppure molti professori, politici e giornalisti non lo capiscono. O meglio, fanno i finti tonti. Per qualche secondo fine recondito. Così facendo non si accorgono di far vincere quel fondamentalismo islamico che a parole dicono di combattere.
Torniamo, perciò, all'Italia e all'Europa liberali. Solo così si sconfigge il fanatismo islamico. Il liberalismo è fondato sulla distinzione netta tra religione e società. Per i liberali, Dio o non Dio è affare privato, che non entra nella cosa pubblica. Per questo non abbiamo un ayatollah, ma un papa, a San Pietro. Rimettere la religione in politica, da dove gli stessi cattolici molti decenni fa l'avevano allontanata, sarebbe tornare indietro in modo ignominioso nella storia della cultura e della civiltà. E soprattutto significherebbe dargliela vinta a Oshama e Khamenei, confermando quello che vanno predicando, appunto, gli estremisti dell'Islam. (François Marie Arouet)
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CONGRESSO DEI LIBERALI A ROMA (3-4 DICEMBRE)
Tutti a Roma, per il "liberal pride"
Non sarà, nel manifesto, la grande riunificazione di tutti i club liberali vagheggiata da anni, ma neanche la esclude. Il Congresso indetto a Roma il 3 e 4 dicembre dal piccolo e quasi inesistente Partito liberale, proprio per il carattere simbolico e virtuale della sua sigla è di fatto più libero e aperto alle novità d'un vero partito strutturato. Chi vuole contribuire a un primo passo verso la riunificazione di tutti i liberali non si aspetti l'invito. Non ceda al gioco delle antipatie incrociate, tipiche dei liberali e di tutta la politica italiana. Non ha che da parteciparvi, in modo pragmatico e anglosassone, "occupando" con le sue proposte, anche le più innovative, purché liberali, il Congresso. E un congresso delibera a maggioranza, quindi più siete più potrete contare per cambiare le cose. Ci è stato assicurato che chiunque potrà, eccezionalmente, iscriversi anche il giorno stesso.
Si calcola che i liberali siano oggi in Italia svariati milioni. Se confluissero per miracolo su un'unica lista, i liberali d'ogni sfumatura sarebbero sicuramente almeno il terzo partito. Per fortuna, non siamo più agli anni Settanta. Oggi ci sono perfino migliaia di ex comunisti diventati liberali. Moltissimi sono giovani. E non pochi di loro, vi assicuro, sono più liberali di certi "liberali" che conosciamo, in realtà solo moderati o conservatori. Molti liberali, vecchi e nuovi, votano per questa o quella lista malvolentieri, altri si astengono, tutti brontolano e sono scontenti. Ebbene, ecco per tutti una prima piccola occasione per incontrarci, scambiarci telefoni e indirizzi email, e confrontarci con le idee della politica. E' anche un bel gioco, che ringiovanisce, quello di fare mozioni, discutere di obiettivi e priorità, confrontarsi, alzare la voce, contarsi, vincere e perdere. Come ai vecchi tempi. Ma niente nostalgia: oggi ci sono un sacco di problemi nuovi e urgenti che attendono proposte liberali.
E se, in quanto liberali all'antica, siete un po' snob e non vi piace nessuno, neanche gli organizzatori, poco male, parteciperete con una molletta al naso. Ma parteciperete. Il liberalismo vuole un po' di sacrifici. Vorrà dire che con la vostra, la nostra presenza, renderemo l'ambiente "migliore". O siamo diventati troppo molli, senza spina dorsale, gente da salotto che vorrebbe un comodo liberalismo da pensionati della politica, elargito dall'alto, dallo Stato, come dice quella vipera (ma alle volte ci imbrocca) della Fallaci? Spero di no, cari amici, il liberalismo va conquistato. E' lotta, diceva Gobetti. Figuriamoci gli altri. Che sia "moderato" ce ne ricordiamo, seppure, solo al momento di stilare le mozioni politiche finali. Ma per il resto è bello perché vuole idee forti, sanguigne, coraggio ed entusiasmo dai suoi sostenitori. Perché noi liberali, a differenza di comunisti, fascisti, socialisti e cattolici, siamo gli unici che non hanno nulla da farsi perdonare. E perché il liberalismo ha da dire la sua su tutto. E oggi in Italia e in Europa la libertà, che a noi neanche bastava, comincia ad essere minacciata.
Non è l'assemblea costituente che aspettavamo? Per il momento è pur sempre l'unica cosa liberale, anche se piccola, che offre il mercato. Un primo passo che va nella direzione da noi preferita, quella di un'assemblea di rifondazione da zero e dal basso di tutti i Liberali italiani. Gli Stati generali, per dirla con l'amico Vivona. E anzi, visto che la sigla PL (Partito liberale) è solo virtuale, una "empty box", come ha lamentato lo stesso Stefano De Luca che organizza il Congresso, ecco che i tanti liberali d'ogni tendenza sparsi per l'Italia si troveranno di fronte un'assemblea di fatto costituente. Se lo vorranno. Se avranno - è il gatto che si deve mordere la coda - la furbizia di parteciparvi.
Quindi esortiamo, da indipendenti e neutrali, i tanti lettori di Salon Voltaire, come singoli o come dirigenti di club liberali di cultura e di politica, a partecipare. Se non altro per mandare un messaggio al mondo politico italiano - di destra e di sinistra - che sembra ignorare le istanze liberali. Sarebbe una manifestazione di "Liberal pride" o orgoglio liberale. Basta partecipare, all’americana. E’ sufficiente preannunciare la propria partecipazione, specificando il numero delle persone. Lo si può fare rapidamente cliccando in risposta alla email del "Salon Voltaire". Una volta collazionati e sommati i partecipanti, gli indirizzi email e i nominativi saranno consegnati agli organizzatori del Congresso. Altrimenti comunicare le adesioni e le eventuali iscrizioni e quote sociali raccolte localmente alla segreteria del Partito liberale (via del Corso 117, 00187 Roma, tel. 06.69549041-2, fax. 06.69549043), aperta dal lunedi al venerdi dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19.
Il Congresso si tiene a Roma (dalle ore 10 del 3 dicembre alla serata del 4), all'Hotel Universo, Via Principe Amedeo, 5/b (pochi passi dalla Stazione Termini). I lavori avranno inizio venerdì 3 dicembre alle ore 10 e si concluderanno nella serata di sabato 4 dicembre. Le prenotazioni presso lo stesso albergo, per chi fosse interessato al pernottamento, si ricevono al tel. 06/476811 e fax 06/4745125. (Camillo Benso di Latour)
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SMENTITA UNA SMENTITA DEGLI ARABI AMERICANI
La verità: fare sesso nell’aldilà
Chi ha parlato di pace dei sensi, una volta giunti nel buio "regno dei più"? Non era certo un cultore di Maometto. Al contrario, conoscendo i vizi umani, la religione islamica saggiamente lascia balenare la possibilità di continuare in cielo, se sulla terra ci si è comportati bene, anzi eroicamente, le attività erotiche più piacevoli della nostra vita. Leggende? Vediamo.
Durante il talk-show "60 Minutes" l’esperto arabo Muhammad Abu Wardeh intervistato da Bob Simon lo ha confermato, come riporta Naomi Ragen: "Dio ricompenserà il martire che sacrifica la vita per la sua patria. Se diventi un martire, Dio ti darà settanta vergini, settanta mogli ed una beatitudine perpetua." Ma dagli arabi americani sono piovute telefonate e smentite indignate: "E’ oltraggioso", "Una notizia del tutto falsa", "Colpa della cattiva traduzione". Maher Hathout, del Centro Islamico della California del Sud, ha scritto al quotidiano "Constitution" di Atlanta: "Nel Corano o nell'insegnamento islamico non vi è nulla sulle settanta vergini, o sul sesso in paradiso. Pretendere una cosa del genere è ridicolo, ed i veri musulmani lo sanno."
Ma il coltissimo Sheikh Abdul Hadi Palazzi, guida dell'Istituto Culturale della Comunità Islamica Italiana, conferma e porta le prove. Chi smentisce non è un vero ‘sapiente islamico’ - ha detto in sostanza - perché non ha studiato il Commentario di Ibn Kathir, e la raccolta 'Sunan' di Abu Dawud, essenziali nella propedeutica dello studio delle scienze dell'Islam. Ed ha aggiunto una stilettata politica: "Spiace che l'attribuzione di cattedre e qualifiche a docenti privi dei requisiti basilari seguiti ad essere la regola nei centri islamici americani controllati dal network fondamentalista dei 'Fratelli Musulmani’". "Secondo l'Islam - prosegue Palazzi - vi sono settantadue mogli per ciascun credente che è ammesso in Paradiso. La prova è nel hadith trasmesso da at-Tirmidhi nella raccolta 'Sunan' (Vol. IV, capitoli "Le caratteristiche del Paradiso così come descritte dall'Inviato di Allah" e "La ricompensa minima degli abitanti del Paradiso", hadith n. 2687). "La medesima tradizione è citata da Ibn Kathir nel suo Tafsir (Commentario coranico) a Surah ar-Rahman (55), ayah 72, ed il suo significato è: "Ha riferito Daraj Ibn Abi Hatim che Abu al-Haytham Abdullah Ibn Wahb ha narrato da Abu Sa'id al-Khudhri, che ha sentito il Profeta Muhammad (su di lui la benedizione di Allah e la pace) dire: 'La minima ricompensa per gli abitanti del Paradiso è una dimora con ottantamila servi e settantadue mogli, coperta da una cupola ornata di perle, acquamarina e rubino, ed ampia quanto la distanza da al-Jabiyyah a San'a'." Ibn Kathir spiega in 'al-Bidayah wa an-Nihayah' che al-Jabiyyah è il nome d'un sobborgo di Damasco.
Ma proprio vergini? vi chiederete voi diffidenti. "Che le settantadue mogli siano vergini è provato dal ayah 74 della stessa Surah, il cui senso è, 'Né uomo, né jinn le ha mai toccate prima'." [...] Vabbè, pregustiamo già le 72 vergini tutte per noi. Ma una sola cosa ci turba. Da rozzi maschilisti gelosi ci chiediamo fin d’ora, allarmati, chi mai troveranno in paradiso le nostre mogli o fidanzate. (Il massaggiatore della Moratti)
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TELECOM BLOCCA IL SALON VOLTAIRE?
Vietato parlar male di Arafat
E' possibile in Italia intitolare un articolo "Yasser il gran bugiardo", almeno perché (e ci sarebbe ben altro...) andava dicendo di esser nato a Gerusalemme, mentre era egiziano nato al Cairo? Si può mettere nell'occhiello "Un Nobel per la pace che organizzava attentati", o è troppo forte perché OLP, Hamas e Al Aqsa erano club di beneficienza per dame di S.Vincenzo? Bene, vaglielo a dire al server Tin.it (Telecom) che ha bloccato la trasmissione ai lettori di questa news-letter nella notte dell'8 novembre, alle 2 circa, a causa dell'articolo su Arafat, che si può leggere di seguito.
Paranoia, vittimismo? Macché, si è provato subito a togliere l'articolo ceirico su "Arraffat" e si è visto, come per miracolo, che la newsletter veniva trasmessa. Siamo, quindi, alla censura in piena regola? Pensarlo era pazzesco. Ma era vero. Per far passare la newsletter un amico buontempone ha suggerito di attribuire i difetti, i vizi e gli attentati, anziché a Yasser, a Sharon o a Berlusconi. A a suo dire i computer perbenisti e filopalestinesi l'avrebbero fatta passare senza un bit di esitazione. Ma non era quello il machiavello, abbiamo scoperto. Comunque, non potevamo sottostare alla censura.
Non ci siamo dati per vinti e in un primo momento, con molte difficoltà, abbiamo inviato il quindicinale integrale a soli cento indirizzi di club liberali e giornalisti, per mezzo di Hotmail. Quasi un samidzat. Nel frattempo abbiamo prima ipotizzato virus e tracce di dati spuri, poi abbiamo fatto decine di esperimenti per capire a quali frasi era stato messo il filtro. Abbiamo anche pensato di aver usato parole "vietate" da un'ipocrita velina da Minculpop (la chiamano "netiquette") dei server Tin.it. Divertitevi a fare supposizioni. Siamo arrivati al punto di eliminare per prova tutte le parole forti, ad addolcire addirittura lo stile, eppure in cinque giorni di esperimenti non siamo riusciti a fare accettare il Salon Voltaire dal server. Segno, pensavamo, che qualcuno si era divertito a bloccare non singole parole ma l'intero testo dell'articolo su Arafat. Poi, eliminando con pazienza una frase dopo l'altra, la scoperta. La frasetta tabù che non è piaciuta all'hacker "politicamente corrotto" celato dietro Telecom (diciamo così solo per carità di patria telematica), in soldoni, accusava Arafat di aver incamerato le offerte indirizzate ai palestinesi. Dovrete idealmente aggiungerla al terzo capoverso, in una frase in cui c'erano anche la moglie, conti in banca favolosi e una valigia di titoli sotto il letto. In effetti era il fatto più grave e odioso. E' o non è, perciò, una censura "intelligente"? Sapevamo già, in tempi di finto liberalismo illiberale, di non essere politicamente corretti. Ma siamo più faziosi noi, o è più servile il server?
Il blocco che per cinque giorni ci ha inquietato molto, tanto appare ed è incredibile, preoccupa perché dà proprio l'idea di qualcuno che guarda nella tua corrispondenza e segna con la matita blu, a sua discrezione, quello che non gli piace. E che sia stato il computer del server o un impiegato "hacker politico", non attenua la gravità del fatto. Altro che la futile "privacy" tirata in ballo a sproposito. Pensiamo ai milioni di italiani che parlano tra loro da lontano, urlano al telefonino, dicono indirizzo, età e malattie allo sportello della Asl, lasciano la posta visibile e incustodita, ma poi sbraitano di attentato alla privacy solo quando gli arriva una email in più. Ma l'episodio diverte anche, perché ci mette insieme allo scrittore Garcia Marquez, il cui ufficio stampa si è visto bloccare le email solo perché riportavano il titolo del suo ultimo romanzo "Memorias de mis putas tristes", ovvero "Memoria delle mie tristi puttane". La parola "putas" non è stata accettata dal Signor Server, il nuovo Leviatano. Pregasi il famoso scrittore di cambiare titolo al romanzo. E, se proprio vuole redimersi, anche modo di scrivere e di pensare. (Sara Veroli, commessa di via Ottaviano)
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IL NOBEL PER LA PACE CHE ORGANIZZAVA ATTENTATI
Yasser il gran bugiardo
Per giorni e giorni tv e quotidiani ci hanno propinato false biografie di Arafat, "coccodrilli" tirati fuori dai cassetti di redazione da redattori coccodrilli. Che piagnistei ipocriti. Che pena le grossolane falsificazioni della verità. Una per tutte, sotterranea e subliminale, e non degli estremisti, ma dei filo-Arafat moderati: che i diritti alla libertà di israeliani e palestinesi debbano essere per forza in conflitto, cosicché il terrorismo (la "lotta di liberazione"…) deve essere se non giustificato, almeno "capito". Ma, da liberali, chi ha detto che la mia libertà si debba risolvere nella schiavitù o nella morte altrui? Questa è la barbara e illiberale concezione di vita del mondo arabo. Altro che civiltà.
E gli scrittori di "santini", gli agiografi, hanno dato il peggio di sé. Non c’è bisogno di andare a leggere i fogli antisionisti e antisemiti. A costruire un monumento ipocrita di frasi commoventi perfino Porta a Porta, La Repubblica, La Stampa (con l’ineffabile Igor Man). Nell’utilissimo sito
che sfata con pignolesca documentazione tutte le faziosità e le volute deformazioni di notizie (tv, stampa, radio, internet) contro Israele, Angelo Pezzana ha rivelato in un articolo ("Il mito di Yasser costruito su bugie e crudeltà"), tutte le menzogne di Arafat. La sua stessa biografia ufficiale è falsa: non è vero che nacque a Gerusalemme (da cui il desiderio provocatorio di esservi seppellito, per sfregio a Israele), ma al Cairo. Egiziano, dunque, non palestinese. Arrivò in Palestina a 19 anni, e a Gaza solo a 65 anni, nel 1994.
Quelli che ora lo celebrano come il "grande leader della liberazione del popolo palestinese", non dicono che era dittatoriale e accentratore fino alla mania, e che nonostante la sua vita privata semplice e morigerata era tra i politici più avidi di denaro, come in privato lamentavano anche gli esponenti palestinesi (Elie Wiesel sul Corriere della Sera).
E i coccodrilli di redazione neanche ricordano le tante vittime innocenti degli attentati terroristici compiuti dalle sue organizzazioni, come l’intera squadra di atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco massacrata nel 1972, o i tanti ebrei francesi. "Arafat aveva i mezzi e le informazioni per fermare il terrore di Hamas, della Jihad e delle Brigate Al Aqsa – ha accusato Wiesel - ma ha scelto di non farlo. Mentre li condannava a parole, sottobanco dava loro luce verde per continuare le stragi. Che portano tutte il suo marchio". A lui si deve anche la nobile invenzione dell’arma dei martiri suicidi, che immolandosi portano la morte in mezzo alla popolazione civile. E dopo ogni attentato, che faceva morti e feriti tra gli israeliani, perfino dopo Taba, dichiarava: sono stati quelli del Mossad (il servizio segreto israeliano). Era la sua artigianale disinformazione. Così, quello che per l’insipienza di burocrati svedesi è stato insieme Nobel per la pace e capo dei terroristi, resterà la figura più torbida e inquietante della storia del Vicino Oriente. Tanto che la stessa istituzione del premio Nobel, da allora, ne è rimasta screditata.
Altro che uomo di Stato, piuttosto un avventuriero senza scrupoli, campione di ogni bugia e ogni doppiezza, il vero ostacolo alla pace tra Israele e palestinesi, come riconobbe anche il re di Giordania che lo conosceva bene e lo aveva cacciato dal suo Stato. "Israele sta trattando con la persona peggiore possibile", aveva detto a Rabin nel 1993 Hussein, che aveva avuto la sfortuna di sperimentare personalmente quanti lutti e stragi si portasse dietro Arafat. Capace di rimangiarsi la parola data e di dire no alla pace proposta a Camp David da Clinton e già accettata dal presidente israeliano Barak (stato palestinese sul 98 per cento dei territori e divisione di Gerusalemme), quando da furbo capì che solo cronicizzando il problema palestinese, solo rimandandone all’infinito ogni possibile soluzione pacifica e democratica, un tipo come lui poteva restare in sella, essere riverito, osannato come uomo-simbolo, ricevuto con tutti gli onori dall’Onu, dal papa e dai capi di governo d’Europa, e guadagnare miliardi. "Anche subito dopo aver firmato gli accordi Oslo e mentre gli veniva conferito il premio Nobel per la pace, Arafat e l’OLP preparavano il terreno per l’intifada delle moschee che avrebbe portato con sé l’ondata del nuovo terrorismo suicida", ha detto Fiamma Nirenstein, autrice de "Gli antisemiti progressisti". La sua cinica furbizia lo portò nel 1990 a schierarsi con Saddam Hussein, dopo l’invasione irachena del Kuwait, nella speranza che il dittatore di Bagdad rimettesse in discussione l’esistenza dello Stato israeliano. Naturale che i kuwaitiani lo considerassero un traditore. Insomma, un po’ Penelope, un po’ capo dei Proci.
Senza Arafat, il problema palestinese si sarebbe risolto da tempo, sostengono in Israele e in alcuni paesi arabi. Il che lascia ben sperare per il futuro, ora che la sua parabola si è conclusa. Eppure, fin dagli anni Settanta un personaggio così inaffidabile e ambiguo è stato creduto da tanti politici, da Craxi ad Andreotti, dai cattolici all’intera sinistra, all’estrema destra ultras. Solo liberali, repubblicani e radicali, per oltre trent’anni gli unici amici di Israele, non hanno mai voluto aver niente a che fare con lui. (Sir Lawrence da Rabbia)
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50 ANNI FA TRIESTE TORNAVA ALL’ITALIA
Poi venne il tradimento di Osimo
Per Trieste il 1954 fu un anno di festa: finalmente ricongiunta all’Italia, dopo tanti dolori e lutti, causati soprattutto dalle violenze dei soldati di Tito. Dalla vicina "Zona B" arrivavano messaggi disperati: "Triestini, ricordate i vostri quaranta giorni sotto i titini? Noi li stiamo ancora vivendo. Aiutateci!". Ma non furono aiutati. La "Zona B", che secondo il Trattato di Pace avrebbe dovuto essere equamente divisa con accordi diretti fra Roma e Belgrado, fu inserita di prepotenza nel territorio jugoslavo. E sorprendentemente, il sopruso fu accettato dall’Italia con il vergognoso accordo italo-jugoslavo firmato a Osimo nel 1975. Del quale la classe politica democristiana, assolutamente priva di senso della nazione, e pure con qualche conto in sospeso con la Patria cara al Risorgimento liberale, porta tutta la colpa storica. (Giolitti, il gelataio di Campo Marzio)
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OGM. MA GLI SCIENZIATI SE LA SONO VOLUTA
Se vi piacciono i "pachino" e il radicchio
Vi ricordate i pomodori di San Marzano, dalla forma allungata, quasi vuoti dentro, dalla buccia fina, che marcivano subito? Spariti dal mercato, sono diventati "di nicchia". Sostituiti da pomodori tondi e pieni dalla buccia più spessa, che resistono a temperatura ambiente fino a una settimana e oltre. Questa maggior resistenza alle muffe e ai parassiti significa che vengono irrorati con meno pesticidi (i San Marzano erano bombe di veleni) e che si riducono gli sprechi economici. Ecco due vantaggi dell’ingegneria genetica applicata alle piante alimentari. Lo stesso si dica per il grano della pasta e del pane, per le altre verdure e i frutti che compaiono sulla nostra tavola. Perciò il "naturale", da questo punto di vista, quasi non esiste: ai nostri climi riguarda tutt’al più le fragole di bosco, le more di rovo e alcune erbette da insalata, nei pochi giorni all’anno in cui sono presenti, ben mature o tenere. Già al tempo di Etruschi e Romani l’intervento dell’uomo per modificare o creare varietà più redditizie e abbondanti che permettessero di sfamare la popolazione era massiccio.
I pomodorini di Pachino e il radicchio rosso di Treviso piacciono a tutti. Eppure non esistono in natura. Se dipendesse solo dalla natura, solo pochissimi uomini si sfamerebbero sulla Terra. E a patto di vagabondare in continuazione alla ricerca di cibi selvatici per centinaia di chilometri. Gran parte degli alimenti vegetali che ci nutrono da 12 mila anni, da quando esiste l’agricoltura, sono creazioni dell’ingegneria genetica. Il cavolo in natura è una pianticina dal fusto legnoso e foglioline piccolissime e immangiabili. Il cavolo broccolo è invece carnoso, di buon sapore, e si mangia quasi tutto. Ma è stato creato pazientemente dagli Etruschi. I pachino, invece, sono un’invenzione italiana di pochi anni fa.
Eppure questi concetti elementari non entrano in testa alla gente, perfino a quella laureata. Certo, oggi l’intervento genetico è diverso e più tecnologico rispetto a quello degli Etruschi. E allora? Tutto si è evoluto. Chi contesta gli Ogm forse va a scuola o in ufficio su un carro di legno trainato da buoi, o comunica inviando messaggeri a cavallo? Se facesse questo, avrebbe il diritto di essere contro gli Ogm, senza farsi ridere dietro. Davvero, sembra di stare ancora nel Seicento: superstizioni e le fobie popolari contro la scienza. E i politici opportunisti che per paura di non essere confermati dagli elettori ignoranti li assecondano in tutto.
La ricerca sulle biotecnologie agro-alimentari, che ha permesso all’uomo di sfamarsi e alimentarsi sempre meglio, viene ottusamente demonizzata e vietata da ministri e politici, oltreché dalle lobbies dei Verdi, legati al business dell’inutile "biologico", e dei coltivatori diretti, contro ogni evidenza degli studi, solo sulla base di timori irrazionali e di una generica sfiducia verso la cultura scientifica. I club liberali, per fortuna, sono stati i primi ad intervenire a difesa della scienza. L’Istituto Bruno Leoni, con la Fondazione Einaudi, ha stilato un appello alla Presidenza del consiglio contro il bando del ministro Alemanno (An) che vorrebbe vietare la sperimentazione genetica sulle piante alimentari, in questo degno erede della posizione reazionaria di Pecoraro Scanio (Verdi). Tra i tanti firmatari, Umberto Veronesi, Dario Antiseri, Tullio Regge, Edoardo Boncinelli, Luciano Caglioti, Gilberto Corbellini. Chiunque può firmare sul sito IBL.

Dicono che l’opinione pubblica è contraria. Certo, dopo tutte le falsità che sugli Ogm sono state raccontate in giro, lo saremmo anche noi se fossimo ignoranti. E poi, ammettiamolo, non per sminuire le loro colpe gravi, ma un po’ gli oscurantisti vanno scusati. Perché i primi scienziati e giornalisti scientifici che trattarono la materia creando l’acronimo Gmo in inglese e in italiano Ogm (organismi geneticamente modificati), se la sono davvero cercata. Anzi, a livello subliminale non ce la raccontano giusta. Possibile che la loro intelligenza si fermi di fronte alla psicologia della comunicazione? Tra le tante possibili hanno usato tre parole inquietanti per la gente: "organismi", "geneticamente", "modificati". E si tratta di cibi. Roba da pazzi. Chi scrive, oggi sarebbe contrarissimo agli Ogm, se non avesse un minimo di conoscenza di botanica e storia dell’agricoltura come scrittore scientifico, se non si fosse dato la pena, da solo, di informarsi, leggersi gli studi ecc. E, quello che è più grave, in tanti anni non abbiamo mai sentire fare questa obiezione da nessuno dei tanti scienziati e giornalisti che si battono per la libertà della scienza. Tutte le scienze, tranne una. La psicologia. Che invece, come si vede, è la prima.
Adesso si è appreso da Radio Radicale un altro bel neologismo del genere, freudianamente anfotero: qualcosa come "sperimentazione nucleare" (sul nucleo della cellula, NdR). Ecco, esiste solo un termine per commentare: imbecilli. Al sentirlo, la povera Mirella Parachini, che conduceva la rubrica, ha avuto uno sbandamento. Così cominciano le campagne reazionarie contro la scienza. Se abbiamo scienziati del genere e soprattutto traduttori di riviste scientifiche e addetti stampa che li consigliano così male, è davvero un disastro per il futuro della scienza. Nella società di massa, in tempi in cui le notizie scientifiche si diffondono immediatamente tra il largo pubblico creando entusiasmo o panico immotivati, nomi e concetti nuovi vanno ricreati ad arte, addolciti, resi plausibili, almeno per l’interfaccia "largo pubblico", e non pigramente tradotti dalla letteratura scientifica. (Sor Giovanni l'erborista di Bassano)
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STATI UNITI. LA GARA TRA I DUE LIBERALI
Ha vinto la gente "casa e chiesa"
Beati loro, gli Stati Uniti hanno potuto scegliere tra un liberale di destra e un liberale di sinistra. Grazie ad entrambi, per aver dimostrato al mondo, e soprattutto ai paesi Arabi, pur in una gara insolitamente combattiva, quanto può essere popolare, avvincente, spettacolare, incerto fin sul "filo di lana", lo sport della democrazia liberale. Con tutte le sue regole di comportamento, la prima delle quali è il rispetto dell’avversario. Non come da noi. E anche questa volta ha vinto con Bush un liberalismo considerato dai commentatori tradizionalista e conservatore. Ma non in sé, perché il liberalismo non è mai conservatore. Ha tratto in inganno il pacchetto elettorale offerto dal presidente uscente, perché era "collegato" a certi valori psicologici e sociali, non politici, di tipo molto conservatore. Quello slogan "Dio, patria, famiglia" su cui noi ironizziamo, ma che nell’Italia post-risorgimentale è stato per decenni l’ideologia della piccola borghesia alla Bersezio ("Monsù Travet").
Certo, meraviglia questa mentalità perbenista di provincia in un paese che noi riteniamo a torto tutto cosmopolita, metropolitano, spersonalizzato, super-tecnologico e arci-moderno. E invece? Dalle elezioni viene fuori l’America country, semplice e alla buona, la provincia tradizionale un po’ vecchio stile, la gente normale e banale che da che mondo è mondo forma i popoli: donne, uomini e ragazzi (tanti ragazzi stavolta) che un tempo avremmo chiamato "maggioranza silenziosa". Non si fanno sentire, non parlano in pubblico, non sono politicizzati, leggono pochi giornali, il sabato vanno a ballare, la domenica partecipano alla riffa in piazza, vedono la tv. L’America non è solo Los Angeles e New York, che infatti sono andate a Kerry.
Non commettiamo, però, l’errore di considerare quell’elettorato "volgare" e "qualunquista". Lo avremmo detto forse da intellettualini adolescenti, l’età in cui i genitori ci sembrano sempre "troppo di destra". Non ora che sappiamo. Lo si potrà discutere, ma mai offendere, come fa una certa sinistra italiana insopportabilmente snob. Anzi, le mamme con la sporta della spesa, le nonne, i pensionati, i ragazzi tutti famiglia e college, le zie divise tra parrocchia e aste di beneficienza, hanno fatto scelte precise, oculate, perfino coraggiose dal loro punto di vista. Certo, noi che siamo solo liberali, senza ideologie accessorie di stampo fondamentalista religioso o etico, non condividiamo il no all’aborto e altre chiusure analoghe. Anche perché nessuna donna è obbligata ad abortire o a praticare la fecondazione artificiale. Ma rispettiamo profondamente un popolo che fa scelte del genere, forse per reazione a chissà quali eccessi, e che in compenso è più liberale di noi in molte altre cose.
D’accordo, non saranno politicizzati. Ma ricordiamoci che la politica non è tutto, è solo un piccolo e spesso deviante aspetto della vita sociale. E noi italiani, allora? Solo tifosi. Anche se molto tifo c’è stato quest’anno negli Stati Uniti. Gente ignorante quella che ha votato Bush? Ma perché, gli italiani sono colti, col minor numero di libri letti in Europa? E comunque per votare non occorre sapere che cosa sono un ordine del giorno, il paradiclorobenzolo, il metodo Dont e l’endiadi. La vita, perfino la vita sociale, è fatta soprattutto di cose elementari, naturali, semplici, alla portata di chiunque. Se no, come avrebbero fatto gli antichi Greci e Romani, che inventarono le elezioni, a decidere tutto in assemblee pubbliche? Anzi, c’è perfino chi insinua che la vita, una vita dignitosa e libera, sia possibile più tra persone semplici e ignoranti, che tra i colti sempre insoddisfatti. E poi impariamo a rispettare finalmente la gente comune. Che si accorge di quello che non va prima dei sociologi, dei sondaggisti e dei politici. E se non capisce il nostro "messaggio" - ha dimostrato la psicologia - è solo perché noi non siamo così intelligenti da farglielo capire. Una lezione di umanità e umiltà liberale per tutti noi. (Genarale Lafayette)
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GIORNALISMO PICCANTE, AL KERRY
"Bush cacciato, con 100 voti in meno"
Blob, il "Male", il giornaletto del liceo e Striscia la notizia insieme. Kerry avrà sicuramente toccato ferro, troppo tardi però, accasciandosi subito dopo su una poltrona sopraffatto dall’emozione, quando il fattorino gli avrà portato la copia del "Manifesto" che annunciava trionfante in prima pagina il suo successo. Un sorriso contratto diventato subito una smorfia di dolore. Perché si sa, Kerry come ogni buon cattolico è un po’ superstizioso.
Ora gli era tutto chiaro. Ecco perché aveva perso: colpa dell’abbraccio mortale di tale Frank "Clinton" Rutelli, detto Ciccio, from Rome; Walt "Kennedy" Veltroni, from Capitolium ("Real one, not imitation"), e ora anche dell’annuncio porta-sfiga del "Manifesto", sempre from Rome. E dopo le sue infelici battute sull’esercito italiano in Iraq, pensate che considerazione avrà ora dei romani, con o senza armi, anche riformati alla visita di leva…
Ma il Manifesto l’avete visto, prima che fosse ritirato? Titolone da grandi eventi, con foto di Kerry sorridente (per trovarne una così avranno dovuto scartabellare tra diecimila foto…) "Good morning America". Sommario: "Con una valanga di voti gli americani cacciano Bush dalla Casa Bianca. Venti milioni di elettori in più rispetto al 2000 portano Kerry alla presidenza. Nella notte gli exit poll decretano la sconfitta dell'uomo della guerra preventiva: 311 voti elettorali a Kerry, solo 213 a Bush".
Le copie sono andate a ruba. Roba da collezionisti. Sì, di figuracce. E’ la solita sinistra italiana, provinciale e dilettantesca, che si illude, e va dietro ai propri desideri come le fanciulle dell’800. Che poi, si può essere più scemi?, anche quelli erano sbagliati. Kerry sarebbe stato più "guerrafondaio" e "militarista" di Bush, e anzi avrebbe preteso truppe anche da Francia, Germania, e da un eventuale governo italiano di sinistra. Fatto sta che al mercatino di Porta Portese ce ne hanno offerta una copia a 10 euro. No, grazie, abbiamo detto, chiunque, anche senza essere giornalista, potrebbe fare roba così. Basta riportare i primi exit poll favorevoli, scrivere gli articoli nel pomeriggio e poi andare a letto tranquilli. Chi se ne frega della professionalità del giornalista e di quello che succederà durante la notte, avranno pensato al Manifesto: siamo un "giornale comunista", non dobbiamo mica preoccuparci della concorrenza. Però, noi che amiamo la cucina indiana, abbiamo apprezzato questo giornalismo piccante e auto-ironico, al kerry. (Salvatore, quello che scopa in redazione)
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CROCIATE SUI DIECI COMANDAMENTI
"Peccato? De Gasperi non l’avrebbe detto"
Vedete che noi liberali "duri e puri" avevamo ragione? E che i neo-con (neo-convertiti, ma anche "nuovi coglioni", i liberali all’acqua di rose) hanno avuto torto nella contorta vicenda Buttiglione? Chi lo dice, Pannella? No, l’ultimo dei democristiani doc, quel Bruno Tabacci che mostra di saperne più d’una volpe su come un cattolico possa sopravvivere, anzi vivere benissimo, in politica sotto tutte le latitudini. "Mi dispiace, Buttiglione, ma lo spirito da crociata non funziona. Mai. I vecchi dc non avrebbero mai utilizzato la tua storia in chiave ideologica", ha risposto alle domande di Zuccolini del Corriere. D’accordo, lo avranno pure messo in mezzo, ma certo – ha continuato - anche lui di errori ne ha commessi, come il riferimento al "peccato". Doveva evitarlo.. "Statisti come De Gasperi e Moro hanno vissuto climi certamente più pregiudizievoli nei confronti dei cristiani, ma la loro
ità è sempre stata fuori di ogni discussione". Buttiglione però insiste, dice che si tratta di valori. "Stiamo attenti: trovo sconveniente che si vada ad uno scontro con chissà chi in chiave ideologica, quasi da crociata: è lo stesso atteggiamento, speculare, di chi lo ha attaccato". (Don Minzione)
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CONGRESSO RADICALE DALLE MOLTE FACCE
Il futuro è dei Dioscuri
Evviva, è da tempo che gli amici radicali non tenevano un congresso così sfaccettato e pieno di fermenti, insieme contraddittorio e vivace, come il III Congresso. Buon segno. Pannella si è arrabbiato e ha, come sempre, rampognato duramente i suoi giovani allievi. Be’, scusate, dov’è la notizia? Sapeste quante ce ne diceva a noi tanti anni fa. Però è anche vero che noi eravamo pessimi allievi, molto più discoli. Pannella può sbagliare (e sbaglia) nel non "fare politica" ma solo eterno "movimento", perché così fa bene ai radicali, li tiene uniti e coesi nelle battaglie improvvise, come eterno piccolo gruppo eroico, ma fa male all’Italia laica facendo mancare nel computo delle idee e dei voti che contano in Parlamento la componente radicale. E poi, dopo aver proposto per primo il bipolarismo anglosassone, se ne tira fuori. Ma vediamola anche in positivo: questo vuol dire che è ancora giovane. Testardo, ma giovane. Anche questo è un buon segno. E’ quando non sbaglierà più che ci preoccuperemo.
Piuttosto, una piccola critica: era troppo lunga e infarcita la mozione conclusiva. C’era di tutto: sembrava una di quelle dei Congressi del Pcus. Dai radicali noi ci aspettiamo pochi propositi e molto concreti. Sul breve accenno alla "casa laica e liberale", si veda l’articolo a parte.
Ma tra gli aspetti positivi, qualunque sia la sfumatura politica, è sempre un piacere gustarsi l’intelligenza e lo spirito del segretario, ora riconfermato, Capezzone. Grazie e molti auguri. E grazie e auguri anche a Benedetto Della Vedova, che chissà perché, contro ogni evidenza di mozioni, dialettica e piccolo cabotaggio interno, continuiamo a vedere come il secondo dei Dioscuri di genio liberale emersi dal vivaio dei radicali. La rivelazione della sua cena nella villa di Macherio col Presidente del consiglio ha azzittito il solito brusio della platea. Sì, certo, era semmai un po’ tardiva, la cena voglio dire, ora che Silvio ha più poco da promettere, visti gli errori e il pesante condizionamento dei finti alleati clericali. Ma non più impegnativa d’un colloquio sui divani di Montecitorio, dove tutti, anche gli ex deputati, anche Pannella, incontrano e vedono tutti. Con tutto ciò, un quarto dei voti andato alla lista Della Vedova, senza neanche una mozione, testimonia una sfaccettatura interessante nella base attiva radicale, che è un piccolo fatto nuovo anche nell’antropologia del movimento. Non mettetelo, perciò, in croce Della Vedova, cari amici radicali. Di gente così non ne avete molta.
Anzi, noi che possiamo fare confronti, vi assicuriamo che se tipi come Capezzone e Della Vedova li avessimo avuti al Partito Radicale negli anni 70 e 80, quando invece c’erano personaggi più fantasiosi e piazzaioli, sì, ma anti-liberisti e anche poco liberali, be’, avremmo continuato per tutto il tempo a darvi una mano. Da liberali. (Il fornaio di via di Torre Argentina)
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RELIGIONI E FANATISMO NEL MONDO
Integralismo, caffeina dei popoli
Ma Dio, scusate, non era già dappertutto? Che bisogno c’era che si ributtasse in politica? Era dai tempi delle Crociate che non veniva invocato e tirato per la tunica così spesso e da tutte le parti. Sono tutti eccitati e un po’ fuori di testa. Dopo l’11 settembre lo citano tutti, dal mullah Omar ai terroristi palestinesi, da Bush a Buttiglione. Ora perfino l’ateo devoto Ferrara. E tutti, in nome di Dio, si fanno gli affari loro.
In nome di Dio, che poi è lo stesso dei suoi nemici, il liberal-conservatore George W. Bush (auguri, Presidente), dirigerà ancora per un quadriennio gli Stati Uniti e il Mondo con un suo curioso cocktail fatto di mercato libero, invocazioni alla divinità, deficit di bilancio pubblico, morale bacchettona, appelli alla guerra santa contro il diavolo o - a scelta - contro Bin Laden, promozione all’estero delle ditte Usa, citazioni dal Libro, spese enormi per gli interventi militari, riduzione delle tasse, no all’aborto, restrizioni etiche alla ricerca scientifica statale.
Certi suoi comizi, dicono, sembrano sermoni d’un pastore. Faceva così nell’antica Roma anche il re-pontefice massimo, primo costruttore di ponti, oggi diremmo un cappellano del genio pontieri. "Dio degli eserciti", tutti, compresi i terroristi. La politica, chiamiamola così, è tornata a vestire i panni della religione. Tempi duri per i liberali, che pur nella tolleranza di ogni credo, compreso quello di chi non crede, separano nettamente religione e politica.
E invece, sembra vincente la formula dell’imprenditore che "ne ha fatte di cotte e di crude", perfino il cantante sulle navi da crociera, come Berlusconi, ma che oggi è baciapile per opportunismo politico. E quando va male tira fuori dal cilindro una zia suora. Eccoci, poi, alla parabola edificante del figliol prodigo Bush petroliere ex-alcolista e drogato per depressione, oggi astemio e virtuoso, perfino troppo pantofolaio e tv-dipendente. Sai che noia per la moglie, che veramente s’era innamorata del primo George, non del secondo. E come tutti i neofiti convertiti strafà, e oggi dà ad intendere di frequentare solo beghine da parrocchia con in mano il libro dei Salmi. Del resto, scusate, se si è convertito - politicamente s’intende - perfino il furbissimo Giuliano Ferrara, il cui Foglio "neo-conv" è per noi, senza ironia, quasi una Bibbia... Ho detto Bibbia? Ecco lo slogan vincente: "Bibbia e mercato". Ma i mercanti non erano stati cacciati dal tempio? Un incidente. Una provocazione no-global e di sinistra del Nuovo Testamento. La Bibbia vera è quell’altra. E poi, perché scandalizzarci, noi liberali dovremmo conoscerlo a menadito il grande Max Weber che ha dimostrato i rapporti tra capitalismo e cristianesimo protestante.
Per il resto, niente da dire su Bush. Non è peggio di altri politici, checché ne dicano le teste pensanti della sinistra, cioè Serena Dandini e la banda comica dell’Ambra Jovinelli. Un brav’uomo, in fondo. Certo, che volete, una persona non eccelsa, assolutamente mediocre e comune, per certi versi anche ignorante. Ma non più degli altri politici in tutto il mondo. Non lo sapete che c’è una selezione naturale? Verso i 18-20 anni, quando ci si apre alla vita sociale e ci si chiede "che farò da grande", gli intelligenti vanno da una parte, i futuri politici dall’altra. Perciò Platone, con la sua repubblica dei saggi, aveva torto marcio.
E noi liberali, delusi, ce la prendiamo con Berlusconi che ha venduto il suo programma economico e riformatore del ‘94 per un piatto di lenticchie cucinato in Vaticano? Ma, via, il primo a capirlo è stato l’intelligentissimo don Gianni Baget Bozzo, l’unico politico che ne sa una più del diavolo. Gli hanno fatto un baffo a sospenderlo "a divinis". Come tutti i "religionari" (per dirla con Bertrand Russell), non guarda in alto, ma in basso, su questa terra, alla politica. Del resto, la religione sta condizionando tutti gli aspetti della vita moderna. E, non per offendere, ma sembra di essere davvero nel Medioevo. E Machiavelli gongola, perché la fede viene usata sempre più come cinico pretesto per il potere. Altro che rinuncia al mondo: influenzare gli altri, comandare, è meglio che fottere, pardon, volevo dire andare in Paradiso. Che ci siano o no le 72 fanciulle vergini a testa promesse da Maometto (ma su questo si veda l’articolo a parte). E la tavolozza è ampia: c’è la vera e la finta religione (che poi non fa differenza), l’intimista e quella ostentata per i fotografi, la sincera e quella politica, quella da chiostro e quella da battaglia, Formigoni e Adel Smith, la comunione di Andreotti nella chiesa dei Fiorentini e l’invocazione dei terroristi al Dio dell’Islam. E i nuovi religionari, come gli antichi, non comminano l’inferno un lontano domani, ma le pene e la morte qui e ora, su questa terra. Segno che non ci credono neanche loro. Più materialisti di così. Non dicono che ci stiamo giocando l’Eden, no, vietano a tutti, fanno leggi restrittive anche per i non credenti, emarginano, tolgono libertà, denunciano, mandano la polizia, feriscono, uccidono. E tutto con la scusa della religione. Non sarà l’oppio dei popoli, la religione, ma la caffeina sì. Il regista van Gogh ammazzato, la bambina Zhila (13 anni) lapidata perché stuprata dal fratello, il divieto di clonazione terapeutica, il no alla libertà della scienza e le conseguenti morti per malattia, la figuraccia di Buttiglione e dell’Italia a Bruxelles, gli arabi e gli islamici contro gli ebrei, Giovanardi e Rosy Bindi contro Bonino e Capezzone. Tutto per la religione. Che poi, lo ha detto anche il Papa, il Dio è sempre lo stesso. Buono a sapersi. Anche Bush e Kerry, in campagna elettorale sono stati di volta in volta protestanti e cattolici, ebrei e musulmani, buddisti e induisti. Ma ogni volta un po’ integralisti. Ha ben centrato il target pubblicitario il titolo del Los Angeles Times: "Lettori che andate in chiesa, andate a votare". Il Dio delle urne.
Tutto questo non ci piace, è vero, ma lascia in noi una strana, inquietante, soddisfazione. Perché è stata proprio questa rinascita su scala mondiale dell’integralismo, del fanatismo, dell’irrazionalità, anche quella minore e più bonacciona, la molla che ha fatto scattare l’idea, un anno fa, del "Salon Voltaire". Che cosa avremmo scritto se tutti improvvisamente, a dare ascolto a quello che andavano dicendo, fossero diventati davvero razionali, laici, liberali? (Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach)
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OLANDA "POLITICAMENTE CORRETTA"
Dove c’è mollezza l’Islam uccide
Che sta succedendo nella liberale Olanda? Aveva ragione, allora, Oriana Fallaci a lanciare all’Europa l’invettiva di "Eurabia"? Speriamo proprio di no. Eppure un altro intellettuale che aveva criticato con durezza l’Islam anti-liberale è stato ucciso da un islamico. C’è ancora qualcuno così "buonista" e rinunciatario da non credere che sia proprio il primo diritto del liberalismo politico, la libertà di parola, il primo obiettivo dei fanatici dell’Islam? Dopo l’omicidio del liberale e omosessuale Pym Fortuin (2002), ad opera di un esaltato islamico, per di più veganiano (non mangiava alcun cibo animale, "per evitare sofferenze agli altri esseri viventi"), ora è stato assassinato a colpi di pistola e barbaramente finito a coltellate il regista Theo van Gogh, lontano discendente del pittore, un liberale che si era battuto per la libertà di espressione, aveva denunciato il diffondersi in Olanda del radicalismo islamico, aveva proiettato uno scandaloso film sulle violenze commesse contro le donne in nome dell’Islam e stava preparando un film sulla figura di Fortuin ("08-05") che sarebbe dovuto uscire sugli schermi nel dicembre prossimo.
Ormai siamo alla caccia all’uomo, e dell’uomo liberale. Dalle moschee e dalle macellerie di rito islamico d’Olanda, nel lassismo d’una società opulenta che non trova il coraggio e la dignità per reagire, partono gli ordini ai sicari col Corano in una tasca e un’arma nell’altra. Basta pensare che tempo addietro dalla moschea olandese di Al Taweed l’imam aveva più volte esortato i fedeli islamici a fustigare le donne disobbedienti e ad uccidere i gay. "Gettateli dall’alto di una rupe", aveva detto il religioso, evidentemente digiuno di geografia. Monti e dirupi sono rarissimi nei Paesi Bassi.
Ci sembra inutile che il primo ministro olandese Balkenende e gli altri esponenti democratici dell'Aia abbiano definito "inaccettabile" questo nuovo delitto politico. Di inaccettabile per i veri liberali c’è solo l’atteggiamento molle e supino della società olandese. Che, senza rinnegare il diritto liberale alla libertà di parola (anche la più aberrante), deve imparare a isolare gli estremisti islamici e a prevenire i loro crimini, anziché commemorare ipocritamente le loro vittime. C’è qualcosa di marcio in Olanda.
La lezione che ci viene è che forse quel modello di liberalismo pseudo-progressista e conformista è sbagliato. Andava bene per la società di vent’anni fa, non per quella di oggi. Non solo in Olanda, ma in tutta Europa molti hanno confuso per troppo tempo il liberalismo col conservatorismo e il moderatismo sociale e psicologico, con la passiva acquiescenza di fronte alla prepotenza e alla violenza, con la scusa del multiculturalismo. Ma una cosa è la musica etnica, un’altra la clitoridectomia e l’intolleranza islamica per le idee liberali. Del resto, se guardiamo alla storia, il liberalismo pratico, realizzato, non è mai stato un vivere da spettatori neutrali o da conservatori: ha sempre richiesto coraggio, scelte energiche e difficili, spesso dure e impopolari. Cose che conoscevano bene i mercanti e i governanti di Ostenda e di Utrecht alcuni secoli fa, quando la moderna società liberale si affacciò nel Nord Europa. Se oggi i nuovi fascisti dell’Islam hanno dichiarato guerra ai diritti e alla società liberale, noi dobbiamo rispondere e stroncare. Senza violenze inutili e indiscriminate, che sarebbero antieconomiche, ma dobbiamo vincere. Il rischio, altrimenti, è che si crei per colpa nostra una reazione razzista generalizzata. (Peppino de Condorcet)
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COSTITUZIONE D’EUROPA TRA MITO E IPOCRISIA
Eravamo tre ragionieri al bar
Tutto iniziò con uno stupro, nella Grecia improbabile del Mito, tra i gialli asfodeli dei morti e le bianche caprette dei vivi. Giove nascosto dentro un corpo di toro inguaiò la fanciulla Europa, fessacchiotta già allora. Ecco la prima ipocrisia: "Vuoi essere mia?" bofonchiò tra i muggiti il cornuto bestione-dio prima di rapirla e portarla "in viaggio di nozze" (così la mise il primo ufficio stampa Ue) verso lontani lidi. Non meravigliatevi, quindi, se i due elementi primigeni, il Mito e la Finzione, abbiano sempre caratterizzato la storia del continente europeo.
Che aspettarsi, dunque, da questa Costituzione d’Europa? Deve rispondere al Mito, appunto. Con una serie di bugie politiche complesse, intricate e burocratiche. Altro che consesso di saggi, metà ideologi e metà filosofi, dal socialista dal volto umano Amato, "dottor sottile", all’algido liberale Giscard d’Estaing, riuniti nell’arengo a fare la Storia con pochi alti princìpi. Dalle tante minuzie, alcune terra terra, dalle molte furbizie un po’ meschine, dai do ut des politichesi, si direbbe piuttosto il frutto d’una riunione frettolosa e snervante di tre cavillosi avvocati e tre pignoli ragionieri al bar. Io ti concedo questo, ma tu mi permetti quest’altro.
E’ la Politica, bellezza. Bei tempi, quando eravamo giovani liberali, tutti sfegatati europeisti e federalisti. Bei tempi, quando l’Europa non esisteva, cosicché potevamo davvero amarla e desiderarla. Ma ora che c’è, che schifo. E quando il nostro Gaetano Martino firmava a Roma nel 1957 il primo trattato, allora sì che ci si poteva illudere. Ma subito gli europeisti e federalisti come Altiero Spinelli e Jean Monnet masticarono amaro: era un’Europa piccola piccola, così così. Roba da ufficio pesi e misure, da burocrati aridi e senza ideali. Altro che grandi disegni e colpi d’ala. E infatti si è visto a che cosa ha portato quello spirito meschino: niente unità politica, niente federalismo, ma controlli su curvatura e lunghezza della banane. Cos’è, una pesante allusione alle poco nobili origini? Non li riteniamo così eruditi, ma se così fosse, gli gnomi di Bruxelles, con tutta la loro mitica mediocrità e assenza d’umorismo, non potrebbero che reprimere in modo inflessibile la non rispondenza della Monta atavica, tanto più che sacra, alle attuali norme comunitarie. Il toro era visibilmente fuori misura. Europea, s’intende. E così, privato del bollino Ue da applicare in loco, portò la fanciulla in America. (La cuoca di Pareto)
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LA CARTA. ORA CHE C’E’ NESSUNO LA VUOLE
Ma che bel trattato, madama Dorè
Hanno dovuto divincolarsi prima tra Dio e Cesare, poi tra libertà e autorità. E hanno scelto Cesare e l’autorità. Per far questo hanno dovuto mediare tra commissari inadeguati e proposte eccentriche, evitare trabocchetti e secondi fini, tener conto delle idee politicamente corrette, ma anche dei rapporti di forza tra Stati. Altro che nuovo corso liberale. E molti membri italiani, poi, con tutto quello che c’era da chiedere, si sono incaponiti sulle "radici cristiane". Anche qui con ipocrisia, solo per fare un piacere politico al Vaticano. Eppure, sarebbe bastato un Bignami per provare che furono semmai quei pagani dei Romani a unificare il continente già 2000 anni fa con la lingua latina, il diritto, l’architettura, le grandi strade, le opere idrauliche, le terme, le biblioteche, i grandi templi (che i cristiani avrebbero smontato per fare chiese o calce viva), i diritti politici concessi a tutti ("civis romanus sum"), e il miglior status possibile dell’antichità - tutto è relativo - per le donne e i "famuli", i servi di famiglia, che i cittadini facilmente affrancavano e con cui spesso facevano figli. E che si intende per "radici cristiane", anche i ghetti per gli ebrei, la Vandea, le stragi degli Ugonotti, l’Inquisizione?
E poi basta con le Costituzioni. Non è più il momento. E semmai le devono fare i popoli, non i governanti. Quelle di questi ultimi un tempo si chiamavano "octroyées", cioè benevolmente concesse. Come quella di Carlo Alberto. Oggi hanno un sapore, se va bene, settecentesco, se va male prescrittivo sovietico. Pensate alla nostra, "fondata sul lavoro". E se il lavoro manca perché il mercato è in crisi? In base alla nostra "bellissima" costituzione, un maestro senza lavoro che fa, si presenta nella più vicina scuola lo stesso? Viva la Gran Bretagna, che non ha una costituzione. Pochi hanno notato che quella europea è prolissa e inutilmente minuziosa, proprio come la sua classe politica e burocratica: ben 450 articoli. Quella degli Stati Uniti ne ha solo 7, più 27 emendamenti. E anche se contiamo come articoli tutti suoi commi, sono appena 52 le norme di base del più grande stato liberal-democratico al mondo, un ottimo esempio di "stato minimo". Ma anche l’utilità pratica sembra mancare nella Carta europea. Tanti paroloni, tanti bei princìpi, ormai acquisiti da tempo, solo per servire il falso mito d’una classe politica "prima della classe", progressista e politicamente corretta, in realtà anche corrotta. Ma poi, pochi strumenti pratici, e quei pochi impediti tra tanta doppiezza e ipocrisia. Basti ricordare che la Costituzione non prevarrà sui diritti di veto degli Stati nazionali in politica estera, tasse, giustizia, sicurezza, politica sociale e proprietà intellettuale. I primi tre sono temi fondamentali, sui quali in passato si fecero guerre e rivolte, e nacquero gli Stati Uniti. Senza l’unità su questi temi, la Carta resta un "trattato internazionale" come gli altri – lo ha ricordato anche Antonio Martino - cioè un normale contratto tra stati sovrani, non quell’atto fondativo esclusivo che noi liberali speravamo sancisse la nascita d’un nuovo soggetto, una nuova grande confederazione, come gli Stati Uniti d’America.
Ha ragione il presidente del Senato Pera a dire che non ha personalità un'Europa a cui manca una politica estera comune, che non ha neanche un seggio unico all'Onu, non ha una posizione unica sugli Usa, l’Iraq e il vicino Oriente, che non riesce a mettere d’accordo sviluppo dell’economia e assistenza sociale. Ora l’Europa ha un ministro degli esteri, ma senza politica e mezzi. Alla prossima crisi internazionale, dovrà mediare tra le diverse cancellerie nazionali, come prima. Con l’aggravante che ora anche la Slovenia o Malta potranno impuntarsi.
E la buffonata della ratifica? Sono già previsti 12 referendum popolari, 6 approvazioni parlamentari e 7 prese d’atto indifferenti, cioè quelle degli stati che non hanno neanche deciso che cosa fare. Diciamo che non gliene può fregare di meno. Ma, secondo noi, c’è una bella differenza tra l’accettazione d’un parlamento e quella di tutto un popolo. Anzi, questa per noi liberali è una delle rare occasioni in cui il referendum s’impone. Ha detto bene Giordano Bruno Guerri: al silenzio delle strade durante la cerimonia di Roma fa seguito il vuoto delle urne: non concedere il referendum è un grave errore del Governo. Sabino Cassese dice che, a parte l’ostacolo della Costituzione italiana, nessun referendum fu indetto per il primo trattato del 1957. E’ una argomentazione? Resta la fretta sospetta. Che cosa c’è dietro? Quali patti non detti? Un’Europa che nasce male, lontano dalla gente, come oggetto di scambi obliqui, rischia di servire solo a tecnocrati bolsi e politici frustrati, tutti però con alti stipendi.
E poi gli gnomi di Bruxelles e Strasburgo, gli stessi che organizzano ogni settimana gli spostamenti di pratiche, scartoffie e aggeggi vari tra le due città, avanti e indré, con decine di Tir (evviva l’economia), si lamentano che sono in aumento gli euroscettici, perfino tra i liberali. Entrerà in vigore non prima del 2009. Nel frattempo tutto può cambiare. Questa lunga trafila dell’approvazione farà crescere le forze politiche apertamente ostili all'Europa. E sarà un guaio. E poi, non per gufare, ma che accadrà se Cipro non ratifica? Non lo dice nessuno. Si cancella la Costituzione, Cipro o l'Unione, o tutt’e tre? E se non accadrà nulla, com’è probabile, perché tutta questa messinscena retorica?
Figuriamoci se in futuro gli inglesi e gli irlandesi, che hanno tasse basse e non sono abituati alle pianificazioni burocratiche, entreranno volentieri in un sistema pianificato di tasse alte, come preannunciano Francia e Germania, ha obiettato saggiamente Piero Ostellino. E quella appena delineata è una costituzione programmatica, ottocentesca e burocratica, figlia del 900, il secolo del totalitarismo, che dà indirizzi e pone divieti, anziché limitarsi a scrivere le regole in cui la libertà dei singoli (stati, individui) si incontri e si realizzi nel modo più creativo. (La badante russa di Cossiga)
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CONGRESSO RADICALE E "CASA LIBERALE"
"La "casa"? C’è già: è la nostra"
Quando l’ha letto, Beppi Lamedica, di Veneto liberale, è andato su tutte le furie e ha usato toni decisi: "Ecco un esempio di settarismo radicale", gli è scappata, a lui che come molti di noi è mezzo radicale da sempre. Che è successo? Be’, certo, gli amici Radicali italiani l’hanno fatta un po’ grossa. Diciamo che sono scivolati su una buccia di banana senza il necessario sense of humour. Forse non sapevano che quell’argomentazione che loro seriamente e anzi con un intento polemico avevano inserito tra i primi punti della mozione conclusiva del al III Congresso del partito era in realtà una frequente battuta, un tormentone che noi liberali alla perenne ricerca dell’unità ripetiamo spesso tra di noi durante i convegni, sorridendone a denti stretti (perché ognuno, si sa, pensa che ad essere settario sia l’altro gruppo). Così adesso si ritrovano un’imbarazzante deliberazione da cui risulta, urbi et orbi (in questo caso nel popolare significato di non vedenti, poco perspicaci ecc) che quello di un’unica casa liberale e della riunificazione dei tanti gruppi liberali è un falso problema, forse un inutile e un po’ snob gioco di società. Perché una casa, anzi "la" casa liberale esiste già: è la loro, quella radicale. Prego salire le scale di via di Torre Argentina e iscriversi.
Ecco il testo del gustoso passaggio: "Il III Congresso dei Radicali italiani impegna gli organi dirigenti del Movimento a lavorare affinché - in Italia - si riproponga a cittadini, a parlamentari, a esponenti di forze politiche e sociali (in primo luogo, a quanti sono in cerca di una "casa laica e liberale") la realtà di una "casa" che esiste già, e attende di essere frequentata, arricchita, perfino "occupata": appunto la casa del Partito Radicale".
Per carità, conoscendo l’irruenza e l’impazienza dei simpatici amici Radicali italiani, con cui alcuni di noi hanno condiviso battaglie anche da radicali, e in tempi in cui erano molto meno liberali di oggi, la consideriamo solo una divertente gaffe. Come quella che ai nostri tempi puntualmente facevano alcuni celebri radicali ai congressi. Passi per il bravo Teodori che veniva proprio dal PLI, ma faceva specie che vi cadesse perfino Spadaccia, di origine socialdemocratica. Ebbene, per stanchezza o altro, c’era sempre un relatore che anziché esordire dal palco con un "noi radicali", parendogli freudianamente - chissà - troppo forte l’espressione, se ne usciva con un imprevedibile "noi liberali". In tempi, pensate, in cui il PR era un concorrente di Democrazia proletaria e rubava giovani perfino al Pci. E la platea, allora solo giovanile (bei tempi), a ridere con leggero imbarazzo. Ecco noi liberali oggi faremo lo stesso con i cari amici, non compagni, radicali. Noi sorridiamo, però stavolta l’imbarazzo è solo loro. (Bottino Ricasoli)
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I RISCHI DELLA MEDIAZIONE CONTINUA
E noi che faremmo se andassimo al governo?
Angelo Panebianco, politologo ed editorialista del Corriere della Sera, interpellato dal Foglio dopo le elezioni politiche suppletive. "Il risultato elettorale milanese parla da solo – nota Panebianco – e dice che per la gestione dell’esistente è più indicato il centrosinistra, erede della coalizione che ha già governato con l’appoggio dei comunisti, che gode della simpatia e dell’appoggio dei gruppi più importanti della società". Il centrodestra non innova e non seduce, si limita "a mediare nella difficile amministrazione dello status quo. Dunque perde".
Ci chiediamo, proiettandoci in un futuro con una grande partito liberale riunificato e necessariamente di centro (a seconda dei temi, di volta in volta di "destra" o di "sinistra", secondo la celebre formula Croce), che cosa farebbero i liberali al governo. Avrebbe il coraggio di fare scelte nette e precise, magari impopolari? O si perderebbe nella snervante mediazione continua tra le sue componenti liberiste, federaliste, radicali, di destra e di sinistra? Vista la varietà di posizioni che i liberali hanno mostrato nella vicenda Buttiglione (almeno tre), non vorremmo che lo stesso accadesse ad un ipotetico grande partito liberale riunificato che necessariamente raccogliesse tutti i liberali, dalla destra e dalla sinistra. Certo, l’analogia con le incertezze dell’attuale governo, come anche con quelle del precedente governo D’Alema, non è campata in aria. E’ auspicabile, quindi, che delle diverse opzioni possibili si discuta prima e non dopo una eventuale riunificazione. Dopo, sarebbe troppo tardi. (Goffredo di Bugliolo)
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IL CORPO E LA LIBERTA’
Ma le impronte digitali non sono illiberali
L’antropologa Ida Magli, che in collaborazione con lo storico Giordano Bruno Guerri cura il sito Italiani liberi, ha preso posizione più volte contro l’acquisizione delle impronte digitali per l’identificazione. Secondo la studiosa questo configurerebbe una "violazione del corpo", ovviamente primo bene dell’uomo. Non vi dico le cose gravi ed esagerate che riesce a dire sull’argomento. Ne riportiamo una sola per tutte: visto che il cittadino perderebbe il diritto alla inviolabilità del corpo, perderebbe tutto; mentre uno Stato che possedesse il corpo dei cittadini li avrebbe totalmente, come sudditi.
A noi questa argomentazione magniloquente sa molto di ridicolo, perché si può applicare a tutto. Pensiamo semplicemente a scrittori, impiegati, insegnanti, giornalisti che, altro che corpo, vendono nientedimeno che la psiche, il cervello, la propria cultura, la personalità. Si dia una calmata, cara prof.ssa Magli, con tutta la stima e la vicinanza che ci lega alla sua persona. Con le impronte digitali noi non ci impoveriamo di nulla: ci facciamo solo fotografare un dito. La scienza ha stabilito che solo le impronte digitali, la foto scandita della rètina, e pochissimi altri dati, ci possono distinguere seriamente e facilmente gli uni dagli altri in casi di emergenza. Lei sa, è vero, a quali emergenze ci riferiamo, visto che anche lei è stata durissima contro il pericolo del terrorismo. Le sembra giusto, le sembra "liberale", che qualunque donna possa prendere il suo posto e fingere di essere Ida Magli, magari per ritirare un assegno al posto suo, o salire su un aereo col suo nome? E se questo piccolo fastidio, per lei inquietante, potesse servire a scoraggiare qualche terrorista?
Di questo passo non dovremmo dare neanche le generalità, perché sono qualcosa di gelosamente privato (che c’è di più intimo del proprio nome?). E la carta d’identità, allora? Infatti i britannici non ce l’hanno. E il numero di codice fiscale? E’ contenta di essere un insieme alfanumerico? Ringrazi che non le hanno applicato un etichetta col codice a barre da strisciare sull’apposito scanner per fare qualunque cosa. Non è meglio un valore "biologico", "naturale", anziché odiosamente artificiale? D’altra parte, professoressa, i tempi sono quelli che sono. Lei non può far finta di vivere nelle pianure libere del Caucaso un milione di anni fa. Avrebbe ragione (parla un nudista) se lei andasse in giro nuda e si aggirasse per boschi alla ricerca di bacche. Non capisce che tutta la nostra vita è ormai artificiale e sottoposta al ricatto continuo della violenza, e che si tratta solo di ridurre i rischi e i danni? (Thoreau il guardiano delle capanne)
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CON LA SCUSA DEL DEFICIT DI ENERGIA
Inutili torri eoliche in Sicilia
"Ho letto l'articolo "1300 torri eoliche deturpano l'Italia" e sono assolutamente d'accordo con lei" ci scrive Mario Di Lorenzo. "In Sicilia di impianti eolici ne stanno sorgendo a decine deturpando la bellezza dei paesaggi e arrecando diversi fastidi. Ma noi oggi cosa possiamo fare per opporci? Gli interessi in gioco, mi sembra di aver capito, sono talmente grossi che non è facile fermare questo scempio. Inoltre in questi giorni stanno portando avanti dei lavori per una centrale da circa 35 turbine nella provincia di Palermo. C'è qualcuno che controlla e regolamenta questi mostri?"
Ma, vede, caro Di Lorenzo, le torri eoliche non è che ce le mette di prepotenza un industriale "cattivo" nottetempo, contro leggi, regolamenti e delibere comunali. Evidentemente qualche suo concittadino (sindaco, giunta regionale ecc), passando sopra le teste e le tasche dei cittadini avrà dato il permesso e avrà stipulato un vero e proprio contratto per questo. In base al quale l'ente elettrico o l'industria sgancia dei bei soldini al Comune. Si rivolga com'è suo diritto politico e amministrativo alle persone che lei ha votato alla Regione o al Comune. Oltretutto deve anche controllare quanti soldi arrivano per le torri eoliche e dove vanno a finire. Formi un comitato di concittadini e cominci a fare controinformazione nella sua città, spinga i consiglieri a presentare interpellanze in Comune e, se del caso, faccia denunce per danni al paesaggio. Poi si colleghi alle altre decine di comitati locali sorti in Italia contro la truffa dell'energia eolica, grazie al sito
del Comitato Nazionale per il Paesaggio. Come già detto su Salon Voltaire n.8 (1 giugno), questi impianti, costosissimi e deturpanti, non fanno risparmiare un centesimo di energia. Sono un vero scandalo. (Alessandro Volt-Ampere)


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