31 luglio, 2006

 

Da Mussolini a Craxi. Un rinnovo del Concordato che si doveva evitare: molto meglio l’abrogazione.

STATO CHIESA

IL CONCORDATO DIMEZZATO

A cinquantacinque anni dai Patti Lateranensi, dopo 16 anni di ripensamenti, con fretta improvvisa e un po' sospetta il nostro Governo vuole consegnarsi alla Storia come firmatario di un nuovo patto tra Stato e Chiesa. Ma si tratta ancora di un vero Concordato?

NICO VALERIO, L’Astrolabio, 26 febbraio 1984

Al grecista Ruggiero Bonghi, ca­vourriano moderato e relatore nel 1871 della «legge delle guarentigie», la formula laica e pluralista con cui all'atto dell'iscrizione all'anno scola­stico 1984-1985 i direttori didattici e i presidi si rivolgeranno a genitori e alunni, parrebbe di certo indovinata. « Nell'anno in corso, desidera avvaler­si o no dell'insegnamento delle religio­ni? ». Niente più oblique gesuitiche esenzioni, ma un'opzione dignitosa, una facoltà a cui ricorrere o rinunciare liberamente, in modo chiaro e aperto, senza discriminazioni. Anche quel toc­co di ritualità – perché no? – può servire a sanzionare la scelta « di co­scienza », dando corpo al primo dei di­ritti assoluti, quello della libertà di pensiero e di educazione. Purché – ha aggiunto più d'uno – non si sche­dino gli alunni, in base a tale scelta: la Costituzione non lo consente. Ma come si potrà evitarlo?

E' anche certo che delle altre clau­sole del secondo Concordato tra Sta­to e Chiesa, che il governo Craxi ha messo a punto un po' frettolosamen­te, dopo 55 anni dal primo e sedici di ripensamenti e riunioni di commis­sioni, ben poche piacerebbero al Bon­ghi. Figuriamoci, poi, quanto poco contenti sarebbero quei descamisados dei liberali di sinistra, e il Zanardelli, buonanima, e i vecchi radicali alla Ca­vallotti, e il partito d'Azione. Perfino le guarentigie, dopotutto, erano frut­to d'una mediazione all'italiana, vena­ta d'un realismo un po' cinico caro al Segretario fiorentino. Al Papa, al « caro nemico », è riconosciuta l'invio­labilità ma non la sovranità, la pote­stà diplomatica ma anche il diritto allo stipendio statale. E tutto ciò con una legge interna, si, ma insieme co­stituzionale e internazionale. Un ca­polavoro di confusione giuridica che, ferendo i clericali, eludeva il giusnatu­ralismo degli anticlericali e degli al­lievi di Giannone.

Non è facile mettere d'accordo Sta­to e Chiesa, a quanto pare. Da quan­do, innovando all'agnosticismo laico delle grandi democrazie europee (il non expedit era stato accantonato già nel 1913 e poi abrogato nel 1919), Mussolini volle rafforzare il proprio potere dando valore pattizio e parita­rio agli accordi con la S. Sede del 1929, numerosi sono stati i punti d'attrito e i contrasti interpretativi su singole norme del Concordato e del Trattato. E' recente, tra i tanti episodi, la sen­tenza della Cassazione con cui è stata dichiarata inappellabile la condanna del Vicario – il dramma di Hochhu­th in cui Pio XII è accusato di correi­tà in antisemitismo – vietato dopo essere stato presentato a Roma, città definita « sacra » in un comma dei Patti che ora, però, non è più inseri­to nel Concordato-bis.

Certe norme pattizie firmate dal cav. Mussolini e dal card. Gasparri stride­vano anche alle orecchie, poco sensibi­li ai temi dell'uguaglianza delle fedi e dell'indipendenza dello Stato, di alcu­ni cattolici integralisti. Anche le co­siddette « comunità di base », ecco la novità, avevano fatto sapere che non solo le singole norme, ma lo stesso si­stema concordatario, erano ormai su­perati. «Il Concordato – ha detto Ciro Castaldo – mortifica lo Stato nella sua laicità e impedisce alla Chie­sa di annunciare nella società, libera­mente e profeticamente, il messaggio evangelico, che per sua natura non ri­chiede strutture di potere o strumen­ti garantiti ». Insomma, sembrava qua­si di ascoltare, se non Pasquale S. Man­cini o Ernesto Rossi, almeno uno dei rari cattolici liberali dell'800.

L'evoluzione culturale degli italiani ha fatto il resto. L'istituto del divor­zio, la non punibilità dell'aborto (un doppio vulnus mai più rimarginato, in un sistema che definiva quella cattolica « la religione dello Stato »), la civiliz­zazione in massa del matrimonio, la necessità di delibazione delle senten­ze di annullamento della Sacra Rota (sentenza n. 16 e 18, 1982, della Cor­te Costituzionale, ex art. 796 e seg. c.p.c.) come quelle di qualsiasi giudi­ce straniero, insomma la progressiva laicizzazione della società italiana, con zone diffuse di rigetto della spiritua­lità cattolica, rischiavano di rendere del tutto inoperante, quasi mero flatus vocis, il dettato dei Patti, col rischio di riportare paradossalmente i rappor­ti Stato-Chiesa alla situazione prece­dente al 1929. Al di qua del Tevere, intanto, il centro-sinistra prima, e poi l'avanzata dei partiti laici e progressi­sti, e ora la presenza contemporanea di due socialisti alla testa della Repub­blica, rendevano improcrastinabile l'adeguamento, almeno formale, delle clausole privilegiatarie del '29 alle norme costituzionali di libertà, plura­lismo e uguaglianza.

Che fare? Come mettere d'accordo i princìpi e gli interessi di due orga­nismi sovrani così diversi – uno ge­rarchico e totalitario, l'altro democra­tico e pluralista – senza eliminare quello strumento concordatario così caro alla Chiesa, se non altro per aver dato vita alla sua proiezione terrena riconosciuta dal diritto internazionale, lo Stato della Città del Vatícano? Ec­co perché, tra la delusione dei laici e delle sinistre, non si è voluto abbandonare il vecchio strumento limitan­dosi ad intese o accordi, come è acca­duto nel 1978-79 nella pur cattolicissi­ma Spagna. Si è preferito ricorrere, in­vece, all'inconsueto binario del Con­cordato-cornice, da una parte, e dall'altra ad accordi particolari monotematici, di là da venire, per togliere ri­gidità al sistema e garantire il rapi­do adeguamento alle future trasformazioni sociali. Così facendo, però, il mezzo concordatario tende a decade­re, e già oggi, se non abbiamo anco­ra la liberalizzazione assoluta o la to­tale deregulation, siamo almeno in presenza d'un concordato «dimezzato».

Trattando ormai solo dei principi, molti dei quali già contenuti nella Car­ta costituzionale o nelle sentenze della Corte, e servendo da contentino for­male per l'Oltre-Tevere, il mini-concordato bis può ben consistere in soli quattordici articoli, in luogo dei 45 dei patti mussoliniani. Entro sei me­si, una commissione mista italo-vati­cana deciderà su vari temi, il primo dei quali riguarda la definizione e il trattamento giuridico-fiscale di quel vasto e confuso arcipelago che va sot­to il nome di « enti ecclesiastici ». La scottante vicenda dell'Istituto per le Opere di Religione, la banca vaticana implicata nello scandalo del Banco Am­brosiano di Calvi e debitrice verso lo Stato italiano di 2.000 miliardi di li­re – per ammissione dell'allora mini­stro del Tesoro, il Dc Andreatta – dimostra quanto possa rivelarsi peri­colosa dal punto di vista finanziario e sociale la condotta di molti enti fi­nora definiti « ecclesiastici » e perciò esenti da controlli e imposizioni.

A parte i rinvii ad ulteriori intese (festività, enti, assistenza alle forze armate, titoli accademici, patrimonio artistico), dopo le quali soltanto potrà esserci la ratifica da parte del Par­lamento, quali sono i princìpi gene­rali del « piccolo Concordato »? In­nanzitutto l'aconfessionalismo. Cade il fantasma della « religione di Stato » (art. 1) e si proclama l'uguaglianza as­soluta tra tutte le religioni per il di­ritto pubblico (art. 2), innovando, sul­la carta, alla logica del privilegio. Ma i privilegi sostanziali di status ed eco­nomici a favore della Chiesa cattolica, restano, e sono tali da far agitare sul­la sedia più d'un giudice costituzionale. Si pensi solo ai 300 miliardi di lire versati come « supplemento di con­grua » ai 35 mila ecclesiastici e alla manutenzione a carico dello Stato dei beni artistici di «proprietà » dei reli­giosi (« danno emergente »), e alle migliaia di miliardi di lire di esen­zioni fiscali concesse (« lucro cessan­te »). Due categorie di « indebito ar­ricchimento » che conosce bene ogni studente di diritto.

Anche sul piano istituzionale, nel « Concordato dimezzato » la religione cattolica, attraverso i suoi organismi (parrocchie, vescovati, Conferenza e­piscopale italiana, codice di diritto ca­nonico ecc.) è nettamente favorita ri­spetto, per esempio, a quelle prote­stanti e a quella ebraica. «A che val­gono i princìpi di uguaglianza – si chiedeva il buon Rodelli, dell'Associa­zione per la libertà religiosa in Italia – se poi prevale il criterio del nu­mero, della quantità di aderenti? ». E le probabili nuove intese con le re­ligioni minoritarie, per quanto ad es­se favorevoli, non varranno certo a neutralizzare i residui privilegi medio­evali che i nuovi Patti di Craxi con­servano alla Chiesa d'Oltre-Tevere.

In sede di rinvio alle intese parti­colari, tra le poche novità che verran­no in evidenza, spicca il nuovo ruolo di interlocutore con lo Stato che la CEI – l'assise dei vescovi italiani – è destinata ad assumere. Come inter­pretare tale concessione? E' un rico­noscimento puro e semplice alle isti­tuzioni « di governo » esistenti nella Chiesa, oppure è un'abile mossa dello Stato italiano per procurarsi all'oc­correnza una controparte più elastica e sensibile alle sollecitazioni della clas­se politica e della cultura laica? Sta­remo a vedere.

Per ora il « piccolo Concordato » preoccupa soprattutto i responsabili delle Antichità e Belle Arti, gli storici dell'arte, gli archeologi e gli amanti del bello artistico in genere. In un con­vegno tenuto a Reggio Emilia, « Italia Nostra » ha denunciato la pericolosità e la sconsideratezza della norma (art. 12) che impegna lo Stato a concorda­re con la Chiesa la disciplina dei be­ni culturali di interesse religioso – formula vaga, che si presta a comprendere quasi tutto il patrimonio artisti­co italiano – di proprietà degli en­ti ecclesiastici.

Il concordato di Mussolini non ar­rivava a tanto e faceva scattare per le opere d'arte in mano alla Chiesa la legge di tutela del 1939. Grazie a que­sto nuovo codicillo, invece, i parroci di campagna, di cui è ben nota la competenza artistica, potrebbero alie­nare, come già fanno, o restaurare in modo errato, e financo distruggere i più bei capolavori dell'arte italiana pre­senti in chiese, oratori, conventi e cap­pelle. Molti uomini di cultura hanno inviato appelli a Craxi perché riveda, in sede di accordi, questa dannosa delega che « ci fa tornare indietro di due secoli », come ha detto il prof. Gianni Romano, sovraintendente ag­giunto ai Beni culturali del Piemon­te. Vero è, come lamentava il filosofo di Pescasseroli, che ci sono uomini per cui « Parigi val bene una messa »; ma è proprio convinto il Presidente del Consiglio che Roma, anzi l'Oltre-Tevere, valga i due terzi del patrimo­nio artistico italiano?

N. V.

AGGIORNATO IL 18 MARZO 2015


14 luglio, 2006

 

Quando il sindaco vuol far l'americano: come Veltroni stravolge il Centro storico di Roma.

Sembra proprio la barzelletta del ricco petroliere del Texas che, sigaro tra i denti, decide di "fare business con tutte quelle inutili rovine antiche"... Già, a che servono la Storia, l'Arte, le testimonianze d'una cultura millenaria che gli altri Paesi ci invidiano e si sognano? Basta con tutto questo vecchiume. "So' o nun so' Er Sindaco Progressista Clintoniano?", deve essersi detto Veltroni guardandosi allo specchio appannato dopo una doccia. E non avendo avuto purtroppo un crollo delle Twin Towers, cerca l'equivalente con le costruzioni antiche. New York va imitata, no? Così, nella stanza da bagno, tra i vapori e le nuvole di borotalco, deve essergli apparsa l'incerta figura d'un imperatore con la corona d'alloro. Di plastica, naturalmente, come si usa nei film..

Ma sù, si svegli, caro Veltroni. E' un brutto film. Già visto, e già bocciato dalla critica, come ha fatto notare allarmatissima la benemerita Italia Nostra. Il progetto è folle. "Mettiamo un fast food qui, un parcheggio là, una rampa auto là sotto, una stazione della metro tra i templi romani". "Risistemeremo" piazza Augusto Imperatore "alla Meier". E' una promessa o una minaccia? La seconda, temiamo. E infatti un brivido corse per la schiena dei cronisti, visto l'esempio cinematografico dell'Ara Pacis nel più puro stile "carton-gesso" Hollywood. Però, vuoi mettere, con dimensioni raddoppiate, se no in platea "non si vede bene", come disse al regista una comparsa vestita da centurione, con l'orologio al polso.

Ma tanto, per Veltroni la Storia è tutta cinematografia. L'unica scuola che ha fatto. La Galleria Colonna? Ora è Galleria Alberto Sordi. Il teatro Quirino? Dedicato a Gassman. Ma che vi credete? Solo perché ha fatto anche del cinema... Piazza Cola di Rienzo? E' mancato poco che, grazie ad un'assurda statua del bravo attore napoletano (che a Napoli non c'è), diventasse "Piazza Totò". Insomma, Roma ieri era la Mecca del cinema, oggi è come la Mecca (a vedere il degrado), in futuro sarà una serie di quinte per spettacoli: il cinema della Mecca. Con tanti fondali di cartapesta, le colonne finte, i tavolini e le odiose sedie di plastica da bar per prendere il gelato tra gli archi e i capitelli. Mentre l'orchestra suona il rock. Questo è il gusto: una cultura da borgata.

"Giù le mani da Roma antica", è il grido d'allarme prontamente lanciato da Italia Nostra. L'associazione, più combattiva di prima dopo che ha risolto i suoi problemi economici, si prepara ad uno scontro frontale con chi vuole stravolgere il Centro Storico di Roma, un unicuum non solo monumentale ma anche ambientale, un patrimonio dilapidato per sempre. E solo per il vantaggio di pochi spiccioli.
Il presidente di Italia Nostra, Ripa di Meana, protesta per la clamorosa esclusione degli architetti italiani dal concorso di idee per Piazza Augusto Imperatore. Così viene "buttato fuori un pezzo di storia dell’architettura italiana”

“Ieri gli Uffici del Campidoglio, nel mezzo della ‘grande estate’, secondo una tecnica ben nota, contando sulla canicola, le vacanze e la generale distrazione, hanno alzato la mazza e vibrato il colpo", denuncia il comunicato di Italia Nostra. "Si è saputo in poche ore che dai Progetti presentati per il Concorso per la risistemazione del Mausoleo di Augusto è stato estromesso il Progetto Aymonino, Benevolo, Marconi, Portoghesi che aveva al centro della sua proposta il recupero dell’antico Porto di Ripetta (obiettivo che Italia Nostra condivide senza riserve). Si è saputo che il sottopasso verrà scavato ai piedi dello scatolone di Meyer distruggendo l’antico Porto per sempre.

"Si annunciano ‘riqualificazioni’ del centro storico con ristoranti e roof-garden e la sistemazione del Tridente (via di Ripetta, via del Corso, via del Babuino) e di via Condotti. Si è informato il ‘popolo’ che il Pincio sarà scavato per far posto ad un grande parcheggio automobilistico di sette piani con ingresso dall’antica rampa di Piazza del Popolo; che la stazione della Metro C si ergerà nell’area sacra di Piazza Argentina e che per farle posto, i ‘genieri ’ del Campidoglio hanno previsto di ‘risistemare tutta l’area rimontando il travertino su un piano elevato lasciando vedere lo strato stratigrafico della vecchia pavimentazione di tufo con i semplici resti dell’altare. Insomma ridisegneremo l’area sacra, rendendola accessibile dalla fermata della nuova linea del Metro C dove potremmo aprire una sorta di antiquarium’. Ora basta.

"Italia Nostra, è nata nel 1955 sfidando i progetti deliranti previsti, anche all’ora per il Tridente, dall’Amministrazione e dagli Uffici Tecnici di quel tempo. Dalla Piazza Augusto Imperatore si era previsto di sventrare via Vittoria, di demolire via Alibert e creare una nuova piazza da cui partiva uno sventramento fino alla scalinata di Piazza di Spagna. I progetti vennero battuti e si vinse con l’appoggio anche dell’opinione pubblica internazionale. Quella battaglia fu la battaglia costitutiva di Italia Nostra.

"L’Associazione che oggi ha risolto i suoi problemi economici e operativi informa il colto e l’inclito che si prepara ad un’azione fino in fondo (per chi vive di anglismi all the way), per salvare Roma da questo nuovo Sacco di cui lo sciagurato scatolone di Meyer è stato il preannuncio.

"Italia Nostra si impegnerà anche sul fronte legale in tutte le sue articolazioni civili amministrative, penali, nelle Corti italiane, europee ed internazionali. Quanto prima, il Consiglio Direttivo Nazionale di Italia Nostra pubblicherà un Appello”. Così conclude il comunicato del presidente di Italia Nostra, Carlo Ripa di Meana.

AGGIORNATO IL 15 LUGLIO 2006

12 luglio, 2006

 

Mazziotti: "Ma che ci facevi, Valerio, con quei tromboni della Costituente?"

L'intellettuale napoletano Gerardo Mazziotti, i cui scritti di critica di costume e politica apprezzo molto, stavolta mi tira le orecchie. E fa benissimo, sia chiaro. E ce ne fossero di più persone insieme intelligenti, versatili e oneste come lui, mi riferiscono amici di Napoli. Solo che per fortuna mia le cose non stanno proprio come appaiono da un freddo e burocratico comunicato stampa.
.
Caro Valerio, leggo sul Corriere delle Sera di oggi 4 luglio che domani vi riunirete presso l’Unioncamere di Roma gli aderenti alla " Cura ri-costituente per l’Italia" patrocinata da Enrico Cisnetto. A suo tempo mi pare di averti inviato una sintesi del mio libro " L’assalto alla diligenza", ediz. DenaroLibri, sui costi scandalosi della politica italiana. E mi chiedo cosa può avere in comune uno spirito libero come te con Giulio Andreotti, Gerardo Bianco, Massimo Cacciari, Lorenzo Cesa, Gianni De Michelis, Domenico Fisichella (pur di restare in Parlamento non ha esitato a lasciare AN ), Piero Fassino, Publio Fiori, Marco Follini, Altero Matteoli, Antonio Meccanico, Ermete Realacci, Bruno Tabacchi, Tiziano Treu, Michele Vietti, Luciano Violante (come presidente della Camera ha goduto di un appartamento lussuoso nel palazzo di Montecitorio con tanto di servitù, maggiordomi in livrea e tre chef e come ex presidente ha un ufficio a palazzo Giustinani con tanto di segreteria, telefoni e servizi postali e una macchina blindata con scorta vita natural durante e non ha mai mosso un dito per eliminare questi scandalosi privilegi) e infine Valerio Zanone (toh, chi si rivede), tutta gente da mandare a casa senza se e senza ma...
GERARDO MAZZIOTTI, Napoli
.
Caro Mazziotti, ho soltanto aderito all'idea dell'intelligente Cisnetto di una nuova Costituente. E mentre firmavo non potevo sapere chi sarebbero stati gli altri firmatari. Né me ne sono preoccupato: una certa ingenuità bisogna metterla nell'agire sociale, se non altro per uscire dal machiavellismo patologico che vige in Italia. Perfino alle feste private, oggi le ragazze italiane chiedono non che si farà, ma chi ci sarà. E se anche una sola persona non gli sta bene, non vengono. Io invece, da anglosassone mancato, mi vanto di non conoscere che cos'è l'antipatia e la simpatia, due viziacci che devastano la vita italiana, specie al sud e in Toscana. Così, ho chiesto solo quale sarebbe stata la scelta di fondo, che cosa avrebbe chiesto o votato l'assemblea. E poiché apprezzo molto Cisnetto, il suo coraggio, il suo anticonformismo, ho voluto dargli una mano.
Sul resto, si sa com'è la vita: anche a Hitler piacevano i dolci. Dobbiamo evitarli solo per questo? E li, poi, nonostante la firma, non si sono visti né Andreotti, né De Michelis, né Fassino, né Violante, né Matteoli. Il dibattito è stato di ottimo livello giuridico e costituzionale. E, ti sembrerà strano, non pochi degli oratori hanno preso le distanze dall'ipotesi di una vera e propria Costituente, perché a loro dire molte delle riforme si potrebbero più speditamente realizzare con semplici leggi ordinarie, oltre a ben mirate modifiche della Costituzione attuale e della legge elettorale. E' stato un bel convegno quello di Società Aperta, che magari non porterà alla cura ri-costituente, ma in compenso ha attirato l'attenzione di intelligenti studiosi della politica e del diritto (bello e appassionato l'intervento del giurista Guarino sui limiti imposti dall'Europa alle potestà decisionali del Governo, di qualsiasi Governo) sulle più urgenti delle riforme: quelle delle "regole del gioco". Del resto, è sotto gli occhi di tutti che il nostro sistema politico è bloccato da un bipolarismo fittizio e sterile che impedisce sia a Destra che a Sinistra l'emergere di forze autenticamente liberali. Poi, è chiaro che, dovendo riciclarsi, ad ogni novità cerchino di aderire anche i soliti professionisti a vita della politica, i soliti tromboni buoni per ogni orchestra. Che però sono molto più intelligenti e preparati, lo ammetterai, di certi provinciali, arroganti e ignoranti esponenti della cosiddetta "società civile" arrivati al potere negli ultimi anni sull'onda d'un finto "rinnovamento", (tra cui noti dentisti, ingegneri, avvocati e magistrati). Ma questo è un altro discorso.
NICO VALERIO

10 luglio, 2006

 

Cari onorevoli lib-lib-lib, ora, vedo, cominciate a ragionare...

Cari politici liberali, ovunque voi siate, fate un piccolo sforzo: siate ottimisti. Conosciamo già il vostro pessimismo tra Leopardi, Kierkegaard e la "smorfia" napoletana (Martino, addirittura, crede alla jella...). Negatività che è uno dei motivi del fallimento politico dei liberali. Vi preghiamo, perciò, di non ricordarcelo. Vogliamo partire, anzi, dalle vostre parole più positive: le più recenti.
Sul Riformista, il repubblicano Giorgio La Malfa ha scritto "Per un’agenda liberale serve un partito liberale". Di fronte alla prospettiva che in Italia si costituiscano un grande partito nel Centro-destra collegato al partito popolare europeo, ed un altro, nel Centro-sinistra collegato al partito socialista europeo, dovrà sorgere, al centro, un terzo partito, collegato al partito liberale europeo.
Il liberale Stefano de Luca, sull'Opinione, si è detto d'accordo con La Malfa. Ed ha aggiunto: "Ma che fare per dare vita, come suggerisce La Malfa ed io concordo, ad una costituente o ad una federazione che riunisca le varie famiglie della tradizione liberale (da quella storica del Pli, ai repubblicani, agli azionisti, ad una parte dei radicali ed alla componente liberal-cristiana) ed i tanti liberi pensatori, liberali per istinto o per cultura senza appartenenza? Innanzitutto, prendere al più presto un’iniziativa che metta tutti insieme. In secondo luogo, avere il coraggio di rinunciare a privilegiare la logica di coalizione rispetto a quella della identità, correndone tutti i rischi conseguenti".
Belle parole, le stesse che, nel nostro piccolo, stiamo dicendo da mesi noi del Coordinamento.
Cari onorevoli (o ex) lib-lib, vedo che cominciate a ragionare. Manca solo Zanone. Del resto, sapete bene che il panorama italiano è destinato a cambiare nel breve periodo. E che la richiesta d'un nuovo soggetto liberale e laico unitario si porrà prima o poi come necessità primaria della politica, perché troppi voti sono stati dati di malavoglia, troppi cittadini non sono o non si sentono rappresentati.
Per evitare che i soliti furbi all'italiana fondino qualche nuovo soggetto pseudo-liberale (e le avvisaglie già ci sono...) entrate nel Coordinamento appena costituito dei Liberali Italiani. Trasformandolo, se volete. E' una struttura "preventiva" e cautelativa che serve a costituire un'àncora di salvezza, un punto saldo da cui partire nel caso che domani serva - e noi siamo sicuri che servirà - dar vita ad un soggetto liberale autentico, grande e autonomo.
"Grande"? ironizzerete voi. Ma sì. Tenete conto della scomposizione e ricomposizione che ci sarà. Con o senza la nuova Costituente proposta dall'intelligente Cisnetto di Società Aperta.
I liberali in Italia non sono lo 0,2 per cento, come certi politici pratici dicono, ma sociologicamente almeno 100 volte di più. Numerose indagini demoscopiche - senza mai riportare i termini "liberale" e "partito", hanno interrogato gli italiani con centinaia di domande su temi come mercato, laicità, cittadino-Stato, libertà di scienza ecc. Ebbene, è risultato che i liberali, che magari non sanno di esserlo, in Italia sono almeno il 30 per cento. E non potrebbe essere altrimenti, dopo la caduta del comunismo, nel Paese delle partite Iva, che è ancora dopotutto la 7 o 8.a potenza dell'Occidente. E invece, masochisticamente, certi politici liberali si comportano come se rappresentassero lo 0,2 per cento e usano come comodo alibi l'essere un'estrema minoranza...
Questo è il punto da cui partire. Basta con i reduci e i nostalgici. Torniamo alle idee liberali: chi le sottoscrive è liberale.
E dunque potremmo essere in tanti. Se i politici non si mettono di traverso creando pseudo-partiti che non hanno nulla a che fare con le opzioni vere in gioco: conservatori-clericali, liberali, socialisti (per tacere delle estreme).
Cari amici liberali, il 4 luglio, festa dell'indipendenza degli Stati Uniti, primo Stato liberale al mondo, il Coordinamento dei Liberali Italiani, fondato il 10 giugno scorso (dopo mesi di preparazione e dopo due anni che il Salon Voltaire lo andava invocando), ha concluso il paziente lavoro di redazione del Manifesto programmatico, che mettendo faticosamente d'accordo e amalgamando le più diverse esigenze delle varie correnti liberali, segna l'ambito ideale, politico e culturale, insomma i confini, del Coordinamento per l'unificazione dei Liberali Italiani in un movimento unitario che potrebbe sfociare nelli Stati generali. Nel Manifesto tutte le posizioni liberali sono rappresentate, ma non a scapito dell'unità d'intenti e delle scelte precise, né della determinazione, che - vi assicuriamo - è molto forte. Una bella data, un bel risultato. Un Manifesto molto più bello e impegnativo di quello che sarebbe bastato. Meglio così: potrà servire in futuro.
Abbiamo, dunque, già fatto il lavoro duro di delineare i confini ideali. Siamo persone mature, conosciute, liberali da molti anni, ma non legate direttamente a nessun partito o schieramento. Disgustate, però, tutte, da come certi partiti hanno utilizzato in modo cinico il termine "liberale".
E ora questa struttura bella e pulita la offriamo a voi, a tutti, purché veniate con spirito di servizio, senza prosopopea, senza meschine strumentalizzazioni di partito. Il Gruppo vuole essere - per ora - un gruppo di collegamento, un pre-partito, quindi adatto oltreché ovviamente ai liberali terzisti anche a politici che militano su sponde opposte, purché autenticamente liberali.
Partecipare non costa nulla politicamente. Male che vada - ma deve andare bene - sarà un piccolo Parlamento liberale, una lobby liberale. E la vostra autonomia operativa è garantita. Ma al liberalismo serve la vostra grande esperienza politica, oltre alle vostre relazioni, determinanti per l'eventuale futuro soggetto liberale unitario.
Il Coordinamento, poichè vuole unificare i movimenti liberali in vista degli Stati Generali, ammette per ora solo i Gruppi. Ma per i grandi esponenti e i parlamentari si può fare un'eccezione: come organizzatori. E poi qualcuno dei vostri amici lo porterete certamente.
Ora la primissima "cosa" liberale è definita, le pareti della "casa comune" terminate. Si tratta adesso di riempirla, di abitarla. Tocca a noi, a voi, ai singoli gruppi, far conoscere all'esterno la novità, e soprattutto aderire e far aderire al Coordinamento i tanti altri Gruppi liberali italiani (club, movimenti, associazioni, partiti, fondazioni ecc).
Non siamo quinte colonne di nessuno, ma liberali puri (anche se non ingenui e di una certa esperienza) e sappiamo che sono almeno un centinaio i club, i movimenti, perfino interi piccoli partiti (liberali e repubblicani) che potrebbero aderire. In modo da avere una rappresentanza fedele e imponente dei liberali organizzati, e poter dar vita, quando sarà il momento, agli Stati generali. Sulla cui organizzazione pratica abbiamo messo a punto un sistema informatico e telematico originale e geniale.
.
Firma il Manifesto per entrare nel Coordinamento dei Liberali
http://liberali-italiani.blogspot.com/2006/07/firma-il-manifesto-per-entrare-nel_04.html

06 luglio, 2006

 

Firma il Manifesto per entrare nel Coordinamento dei Liberali Italiani

La newsletter indipendente del Salon Voltaire, che uscì la prima volta nel gennaio 2004, ha avuto sempre una particolare attenzione al problema della riunificazione liberale in Italia. Nella scorsa primavera, perciò, dopo due anni di preparazione del terreno, in piena crisi politica del Centro-destra e del Centro-sinistra, il Salon Voltaire ha proposto un Coordinamento inter-gruppi che studiasse una piattaforma culturale e politica comune per tutti i liberali italiani.
La riunione ristretta del Comitato dei gruppi per la Dichiarazione comune ci fu il 10 giugno scorso a Roma. In pratica si ebbe la costituzione del Coordinamento. Che, conoscendo i liberali italiani, fu già una vittoria non da poco. Da allora il Comitato ha lavorato per la piattaforma comune.
Finché, neanche a farlo apposta, il 4 luglio, festa dell'indipendenza degli Stati Uniti, primo Stato liberale al mondo, il Coordinamento ha concluso il paziente lavoro di redazione della Dichiarazione, che è diventata un vero e proprio Manifesto programmatico, che mettendo faticosamente d'accordo e amalgamando le più diverse esigenze delle varie correnti liberali, segna l'ambito ideale, politico e culturale, insomma i confini, del Coordinamento per l'unificazione dei futuri Liberali Italiani in un movimento unitario.
Nel Manifesto tutte le posizioni liberali sono rappresentate, ma non a scapito dell'unità d'intenti e delle scelte precise, né della determinazione, che - vi assicuriamo - è molto forte.
Una bella data, un bel risultato.
Un Manifesto molto più bello e impegnativo di quello che sarebbe bastato.
Ora la "cosa" liberale è definita, le pareti della "casa comune" terminate. Si tratta adesso di riempirla, di abitarla. Tocca a noi, a voi, ai singoli gruppi, far conoscere all'esterno la cosa, e soprattutto aderire e far aderire al Coordinamento i tanti altri Gruppi liberali italiani (club, movimenti, associazioni, partiti, fondazioni ecc).
A settembre proporremo un Convegno dedicato a tutti i Club liberali italiani sul ruolo e le prospettive del Liberalismo (e d'un movimento liberale) in Italia, nelle sale del Campidoglio, a Roma.
Buon lavoro.
Per il Coordinamento dei Liberali Italiani
Nico Valerio (Salon Voltaire)
.
Si veda il Manifesto da firmare su http://liberali-italiani.blogspot.com/

05 luglio, 2006

 

La politica dell'anti-politica rivela il conservatore finto-liberale

Che ci facciamo con le idee liberali? Solo filosofia, perché tutto resti come prima, o anche politica? Ma se questa per certa gente è una parolaccia, come facciamo a cambiare le cose?
Ecco, rappresentato in questo semplice dilemma, il perché di tante piccole battaglie perdute d'una dottrina politica che in teoria e sul piano generale ha già vinto la guerra. Soprattutto nell'Italia idealistica e letteraria della provincia, specie al Sud, molti liberali veri o finti non fanno nulla per migliorare la società, pur continuando a dire parole bellissime. Ma se, poi, si scoprisse che alcuni di loro liberali non sono?
Alcuni luoghi comuni, purtroppo frequenti in una certa Destra conservatrice e perfino tra i cosiddetti liberal-conservatori (l'ossimoro più citato del demi-monde "culturale" italiano), hanno stimolato la nostra risposta in una recente polemica indirizzata da Sampiero a Gennaio. Ho trascritto in corsivo le frasi che giudico più pericolose ed eloquenti di una certa mentalità (Nico Valerio)
.
"Caro Giuliano Gennaio - scrive Sampiero su Legno Storto - ho ascoltato l'intervento in qualità di direttore di Liberal café sull'attività dei blogger di Tocque-Ville, La città dei liberi, tenutosi recentemente a Sestri Levante e devo dirle, in tutta franchezza, che non lo condivido minimamente.
Molto succintamente, obietto. Lei continua a parlare dell' ottocentesca distinzione tra progressisti e conservatori, come se fossero categorie reali, quando già Ortega y Gasset, a metà del novecento le definiva semiparalisi mentali. Che senso ha contrapporre il liberalismo, di cui nessuno, dico nessuno, è tenutario, alla conservazione e al progresso? Non le basta affermare il primato della libertà sopra a tutto il resto, senza inutili e pericolose specificazioni ideologiche?
Lei, nella stesso incontro ligure, ha anche postulato, con forte determinazione, la necessità di fare politica per i blogger di area. Ma non si accorge che la gente è stufa di fare politica nei modi tradizionali e desueti, che lei vorrebbe applicare al mondo variegato e vivo del web-log? L'obiettivo che si propone è di riesumare una certa militanza politica o partitica, attraverso internet, in vista delle prossime europee. Perché? Le interessa qualche scranno da giovane aspirante deputato, ambizioso ed intelligente? Se tiene veramente a diffondere i principi liberali, rifletta bene sulla lezione di Gramsci, a proposito della conquista della società civile attraverso la cultura? Beninteso, mediti sulla strategia, non sull' eventualità di manipolare le coscienze, alla maniera marxiana.
Oggi, la gente vuole idee non politica, vuole risposte ai problemi del momento grandi e piccoli, ampie vedute e prospettive, grandi spazi e aria pulita. Compito dell'intellettuale non è quello di essere organico alla politica, ma di stimolarla, rinnovandola dall'esterno, evitando la trahison des clercs, caro Gennaio, e non di creare yes men al servizio del potere di qualsiasi colore sia, se vuole effettivamente servire la libertà ed il rispetto della persona umana. Lasci ai partitanti di professione, ai candidati burocrati, ai farneticanti portaborsa la bassa cucina della politica politicantee si dedichi al think-tanks, a cui seguirà una nuova organizzazione sociale, moderna e rivoluzionaria.
PIERO SAMPIERO
.
Il povero Giuliano Gennaio, segretario dei Giovani Liberali, che è già fin troppo pragmatico (lo abbiamo riproverato per questo) e così poco ideologico, viene ingiustamente colpevolizzato. Segno ulteriore che il Sampiero non ha capito né il liberalismo, né l'amico Gennaio. Naturalmente, partendo dalle eloquenti affermazioni messe in corsivo, e ignorando la questione dei blog su internet, ho replicato così:
.
LA POLITICA DELL'ANTI-POLITICA, VERO VOLTO DEL CONSERVATORE
di Nico Valerio
.
Analizziamo le frasi topiche del Sampiero, degne d'una antologia dei luoghi comuni:
1. "Ottocentesca distinzione tra progressisti e conservatori"
2. "Liberalismo, di cui nessuno è tenutario"
3. "La gente vuole idee non politica"
4. "Pericolosa specificazione ideologica"
5. "Militanza politica o partitica"
.
Esiste un "liberalismo" da salotto o da bar? Sì, ed è quello fatto di frasi fatte e luoghi comuni sbagliati, come quelli riportati. Il Sampiero, banalmente, li fa tutti suoi in un sol boccone. Tipico, innanzitutto, il terzo luogo comune: "Oggi la gente vuole idee, non politica".
Non si dice che quel tale politico non ha idee. Neanche, attenzione, si dice quali sono le proprie idee. Ecco, la retorica dell’anti-politica generica (nascosta dalla polemica contro i partiti) è un vecchio tormentone molto italiano e molto provinciale. Ma è anche uno dei motivi, per inciso, per cui i conservatori e i tradizionalisti, pur avendo dalla loro casalinghe e pensionati che non leggono i giornali, restano impantanati ai margini della vita pubblica, senza riuscire mai ad emergere dalle sabbie mobili della sottocultura di destra. Ma della destra peggiore. quella che si vergogna di definirsi di destra. E magari s'inventa una etichetta liberale. Quanti ne conosciamo! Il web è pieno. E anzi i tipi così sono attivi, attivissimi, inutilmente e narcisisticamente esibizionisti.
Ecco che cosa mi hanno fatto pensare le tre frasi della lettera di Sampiero contro il liberale Gennaio, colpevole di aver molto moderatamente e pragmaticamente ritagliato il ruolo dell’idea liberale oggi, stretta com’è tra nemici di Destra e di Sinistra, cioè tra conservatori (se non reazionari) e socialisti (se non neo-marxisti). Che sono i nemici veri del liberalismo.
No, questo non si può dire. Come non si può dire nulla in nome del liberalismo ("di cui nessuno è tenutario", dice l'ineffabile). E perché? Ma perché il classico conservatore, che da qualche parte magari - chissà - si definirà pure "liberale", vergognandosi della parola (perché quasi tutti i conservatori se ne vergognano, e ce ne sarà pure un motivo…), vuole esser lui a sostituirsi al liberale. Per questo tipo umano esistono solo conservatori e ultra-progressisti, magari comunisti, che lo confermino nel suo ruolo.
E la libertà è solo una bella parola generica. Ma guai a farne non dico politica, ma perfino ideologia. Perché? Ma perché nella loro ignoranza liberale, nella loro profonda sottocultura da bar (o da salotto), i conservatori credono che cultura, ideologia e politica siano di per sé "cose di sinistra". E quindi, implicitamente, che l'ignoranza sia di destra. Vera, almeno, la seconda parte del sillogismo.
E' l'anti-politica più banale. Che, però, attenzione, è una vera politica, altroché. Ed è la politica conservatrice e anti-liberale per eccellenza: il qualunquismo. Fiumi di saggi sono stati scritti, per provare che non è un’anti-politica, ma una politica vera e propria. Il volto nuovo della destra che si camuffa da "movimento del buonsenso", della "gente". Molto più pericolosa per le libertà di quanto non sia il tradizionalismo conclamato o il marxismo. Perché, sotto le mentite spoglie del "parere dell’uomo comune", "semplice cittadino", "uomo della strada" o "casalinga di Voghera", mira ad annullare gli anticorpi, le difese naturali dei liberali, che invece il marzismo stimola.
Ecco perché bisogna subito intervenire di fronte a frasi insinuanti, diseduicative e sbagliate come queste, per far capire che i liberali dicono l'esatto contrario, stanno da un'altra parte. E che i veri liberali, anzi, sono combattivi, si rivelano chiaramente e con coraggio. E a differenza degli ambigui conservatori sanno subito individuare i loro avversari. Chiamandoli col loro nome.
Però, più ci penso e più me ne convinco, e se il conservatorismo italiano fosse esso stesso una foglia di fico del tradizionalismo?
NICO VALERIO

02 luglio, 2006

 

La vergogna dei finti "liberali" della CdL. Peggio degli ex Pci

E ora, sotto quale mattone si nasconderanno, se hanno un residuo di pudore, i tanti finti "liberali" del Centro-destra, abusivamente autodenominatosi a puro scopo elettorale (per casalinghe e pensionati che non leggono i giornali) nientemeno "Casa delle libertà"?
Più delle elezioni politiche, più delle amministrative, molto più del referendum, questa è la loro vera e insanabile sconfitta. Quella del disonore. Un 3-0 implacabile, visto che siamo nei giorni del mondiale di calcio.
Con tutta la diffidenza che da liberali doc abbiamo per certa gente del Governo Prodi, a cominciare proprio dal suo ineffabile leader, dobbiamo però ammettere con la tipica obiettività liberale che i provvedimenti di liberalizzazione e di tutela del cittadino consumatore varati da Bersani sono liberali al 100 per cento. E che, come sempre gli amici Radicali - Capezzone in testa - avevano visto giusto.
Un Governo con dentro anche statalisti, corporativi, clericali e comunisti (ma anche la Rosa nel pugno, se è per questo) fa proposte più liberali d’un Governo con dentro anche statalisti, corporativi, clericali e post-fascisti? Così è, purtroppo o per fortuna.
Ma lasciamo per un attimo l'aspetto economico e sociale. E' dal punto di vista politico che questi provvedimenti sono uno schiaffo epocale contro un Centro-destra che i suoi furbi o ottusi apologeti si sforzavano fino a ieri di dipingere come il luogo platonico degli unici, veri "liberali". Tanto da boicottare come il demonio ogni lista o, peggio, unificazione liberale. Tanto da non riconoscere la novità liberale di Capezzone, Pannella, Cappato e Bonino uniti ai liberal-socialisti. "Quali liberali? Ma, scherziamo? Ci siamo già noi…" pensavano e dicevano deputati e dirigenti di FI, mostrando una coda di paglia lunga un chilometro: quella dei neo-convertiti "liberali" per finta. Addirittura, sull’Opinione un collaboratore ha definito di recente Berlusconi "il più grande liberale dei nostri tempi". Boom…
Che dite, sta male ricordare ora "ve lo avevamo detto", "avevamo ragione"? Fa tanto La Malfa senior (ce ne fossero, però, a Destra e a Sinistra…), ma resta il fatto indiscutibile che avevamo ragione: in questo bipolarismo falso basato su slogan vuoti, il Centro-destra non è più liberale del Centro-sinistra. Anzi, lo è stato di meno, molto di meno. Per cinque anni ha avuto una maggioranza di 100 deputati, un’occasione unica, irripetibile, e non ha fatto nulla sulle liberalizzazioni e contro i privilegi corporativi. E ben poco di liberale.
Paura di perdere la base elettorale? Ma questa non è una scusa: è un’aggravante. Chi poteva aver deciso (Berlusconi in persona, i suoi consiglieri ex-Dc, tutta An, gli Udc, o tutti insieme?) che proprio gli interessi corporativi peggiori erano la base elettorale della CdL, se non un populista, un corporativo, insomma un vero anti-liberale?
Così, queste iniziali misure liberalizzatrici, prima ancora di avvantaggiare i cittadini, colpiscono al cuore il Centro-destra finto-liberale. Sono la prova che avevamo visto giusto: che cioè nessuna riforma, tantomeno nessun Coordinamento liberale, nessuna Unificazione liberale può nascere da uno schieramento così falso, così ambiguo, così profondamente illiberale. Ma non stiamo esagerando? No, è illiberale, proprio perché maliziosamente usa e abusa dell’aggettivo "liberale" a scopo truffaldino. L’etica, la moralià laica, l’onestà dialettica e politica, la trasparenza delle idee e il rispetto del metodo, sono parti essenziali del liberalismo.
Non significa nulla obiettare che "bisogna vedere quanto Bersani e il Governo sapranno resistere alle pressioni delle lobbies". E’ vero, sarà tutto da vedere. Ma questo si sarebbe potuto dire anche dopo un’analoga proposta del Centro-destra. Che non c’è mai stata. Per noi liberali veri, già è un atto di coraggio l’averla presentata. Cosa che il Centro-destra non ha fatto.
Insomma, non c'e bisogno di aspettare Debenedetti o Turci. Nel suo piccolo anche Bersani, (auguri, sappiamo che ti faranno la pelle), insomma un ex Pci, ma insieme a lui tutta l'ala riformatrice - radicali in testa - che invoca l'agenda Giavazzi, ci sta dando a posteriori, crudelmente, la prova provata che la classe di governo precedente (ex Dc, ex Msi, ex Pli, ex Psi) non era liberale. E che perfino - ci dispiace dirlo - i suoi esponenti "liberali doc", cioè ex Pli, a partire da Biondi, Martino & C., di cui ricorderemo sempre l’imbarazzante silenzio quinquennale, più di don Abbondio hanno rivelato una disgustosa vigliaccheria, quella politica: preferire la carriera personale alla realizzazione delle idee liberali e al bene del Paese. Prendendo in giro cinicamente i loro elettori. Danneggiando, quindi, non gli avversari, ma i propri sostenitori. Un vero e proprio tradimento. E, perciò, l’ira delle persone oneste che avevano creduto in loro è ovviamente senza freni. E li sommergerà. La loro carriera politica è finita.
Lasciamo stare le farneticazioni social-corporative di Storace (ormai sempre più refuso tipografico di Starace), che per noi liberali è peggio di Caruso. Ma lo stesso Biondi, avvocato, che evidentemente con la vecchiaia perde i freni inibitori rivelandosi, adesso che davvero dovrebbe tacere, parla. Proprio ieri, ha avuto la faccia di lamentare che il "Governo di sinistra" se la sia presa con gli avvocati. Davvero indecoroso, politicamente e umanamente.
Ecco, dopo queste prove collettive e individuali, i finti liberali o i liberali in pectore alla Don Abbondio sono considerati persi per sempre. Diamo loro un consiglio: non si facciano vedere a nessuna Costituente. I liberali veri non li perdoneranno mai. Sapevamo che la qualità personale dei politici liberali è bassa, perché, si sa, tra i liberali non ci sono filtri, non si usa la macchina della verità, e con la scusa della "differenza delle opinioni" chiunque vi si può infilare, ma non immaginavamo che fosse così bassa.
Amici Della Vedova, Taradash & C., adesso tocca a voi fare la voce grossa e puntare i piedi. Che paroloni, viene un po’ da ridere: la vostra voce, puntuale, è sempre così esile e moderata. Siete già in "zona gialla" (pericolo). Ricordatevi che mai, almeno in tempi e luoghi in cui il liberalismo non è realizzato, la voce liberale è o è stata moderata per principio. Perciò, diteglielo a quegli imbroglioni senza idee del Centro-destra che un "Partito dei Moderati" (non si azzardino a parlare di "Partito della Libertà", perché Cavour, Croce e Einaudi si rivolterebbero nella tomba) non può che essere illiberale. Ricordatevi per analogia della Breccia di Porta Pia e delle leggi Siccardi ordinate da ministri cattolici liberali, non della Sinistra ma della Destra storica. Quella che sempre richiamava provocatoriamente Pannella. Saprete, non diciamo fare (le vostre forze sono quelle che sono) ma almeno dire altrettanto in economia? Vi monitoriamo attentamente. Dopo questi disgustosi precedenti, siete avvertiti. La vostra poltrona scotta. Con qualche contorsione guardatevi allo specchio: dovreste avere già i glutei arrossati.

01 luglio, 2006

 

Superstizione e affari. Dalle ciotole del Calvario ai guanti da stimmate

Centinaia di pullman si preparano a raggiungere Roma da ogni parte d’Italia e d’Europa. I devoti di Padre Pio si mobilitano perché dal 12 al 23 luglio saranno esposti in una gigantesca mostra un migliaio di oggetti appartenuti al frate proclamato santo da papa Wojtyla nel 2002.

Sarà visibile il guanto di lana con il sangue delle prime stimmate comparse sulle mani del frate di Pietrelcina. E ci sarà anche una strana lettera dal contenuto un po’ misterioso. La scrisse di suo pugno Padre Pio in data 20 marzo 1968, cinque mesi prima di morire. Era indirizzata a un suo confratello al quale diceva: «Dio sta per chiamarmi, lascio tre oggetti, la ciotola che bagnò il labbro di Gesù sul Calvario, la lucerna che illuminò i cristiani al Colosseo e il vaso in cui bevve l’apostolo Pietro». I tre oggetti sono stati ritrovati e vengono custoditi nel caveau di una banca.

Addirittura c’è chi si è spinto a immaginare che la ciotola, grande quanto un normale bicchiere, corrisponda al Sacro Graal di cui favoleggiano i Templari. Gran parte del materiale è rimasto ad ammuffire per anni in una cassapanca, dove l’aveva conservato Giorgio Festa, il medico inviato dal Sant’Uffizio nel 1919 a San Giovanni Rotondo per verificare se le stimmate erano autentiche oppure quel frate era un impostore.

Festa rimase vicino a Padre Pio 21 anni, cambiava le bende sulle stimmate e due volte lo sottopose a intervento chirurgico senza anestesia. Metteva da parte tutto, bende, guanti e i regali ottenuti da Padre Pio, il più notevole dei quali è il crocefisso che segnò nel 1903 la vestizione del frate. Il pronipote del dottor Festa, Alessandro, ha ritrovato questo autentico tesoro, fra cui le medagliette con la Madonna delle Grazie fatte coniare dal frate. Alessandro Festa ne ha parlato con Rino Fiumara, un impresario musicale titolare di un enorme spazio espositivo al Parco Le Rughe, sulla via Cassia, 25 chilometri dal centro di Roma.

Ed è nata l’idea di una grande mostra. Titolo «La grande luce, Padre Pio tra scienza e fede». Mancano ancora due settimane all’apertura dell’esposizione ma la voce si è diffusa e da mezzo mondo stanno arrivando richieste di poter ospitare in futuro la mostra. Si è fatto sentire un banchiere svizzero e perfino un principe saudita.

Ma per ora le uniche trattative sono state avviate con il Centro Rockefeller di New York. Attorno ad alcuni oggetti, come la ciotola che il frate accosta al calvario di Gesù e il guanto con le stimmate, si è scatenata un’oscura guerra. Il nipote del dottor Festa riceve continue minacce di morte da parte di misteriosi personaggi che, a quanto pare, vorrebbero impossessarsi delle reliquie. Perciò la mostra sarà presidiata da guardie armate. E la sera gli oggetti più importanti verranno portati via e rimessi a posto il giorno dopo.

MARCO NESE, Corriere della Sera, 2 luglio

 

Lotta ai privilegi. E l'elettore di centro-destra disse sì al governo Prodi

Attacco alle lobby. Finalmente, come un fulmine a ciel sereno, è giunto il provvedimento del governo che colpisce le numerose consorterie che affossano il paese con i loro medioevali privilegi, togliendo lavoro ai disoccupati e frenando l’economia.
La decisione era inaspettata, stancamente leggevamo delle penose diatribe parlamentari sulla spedizione in Afganistan o le intercettazioni delle aspiranti ballerine, più abili con la bocca che con le gambe, rimaste coinvolte dal polverone giudiziario sul nobile puttaniere, quando i telegiornali della sera annunciano che si fa sul serio.
Cominciano a tremare farmacisti e notai, tassisti e banchieri, evasori fiscali cronici e speculatori di ogni genere, fino ad ieri arroccati sulle loro rendite di posizione, incuranti di milioni di giovani fuori dal mercato del lavoro e di un paese in agonia.
Il governo di sinistra miete successo con una politica liberale di grande coraggio e speriamo sappia resistere a minacce e ritorsioni. L’idea più esaltante è che le parcelle si debbano obbligatoriamente pagare con assegni e la stessa procedura debbono rispettare le ditte che abbiano appalti.
I farmacisti ai quali tanto è a cuore la nostra salute ci spieghino perchè qualsiasi laureato non possa aprire un suo esercizio, i notai che vigilano sulla trasparenza degli atti ci dicano perchè il loro numero non possa aumentare, i tassisti perchè in tante città l’attesa debba essere interminabile ed infine i professionisti comincino anche loro a pagare le tasse.
Continuate così, bravi da uno che ha sempre votato per il centro destra.
ACHILLE DELLA RAGIONE - Napoli

This page is powered by Blogger. Isn't yours?