08 novembre, 2005

 

8. Newsletter del 28 maggio 2004

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Salon Voltaire
IL "GIORNALE PARLATO" LIBERALE
LETTERA QUINDICINALE DEL SALOTTO VOLTAIRE
GIORNALE LIBERALE DI ATTUALITÀ, SCIENZA, CULTURA, POLITICA E COSTUME
Lettera N. 8 - 28 maggio 2004
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"Stress, ipertensione, colesterolo alto? Partecipa a un salotto liberale.
L’unico in cui il sedentarismo fa bene e stimola il cuore"
CARDIOLOGO ANONIMO
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Questo numero contiene:
MASCHI SENZA PALLE: SCONTRO DI CIVILTA’
ANCHE RAGAZZI NEOZELANDESI MORTI PER L’ITALIA
L’OCCIDENTE PERDE SE LA CHIESA HA IL "PENSIERO DEBOLE"
UN MARTINI ROSSO CON GHIACCIO: CROCI DAPPERTUTTO
QUI TEHERAN. SE SONO MALATI TE LI PRENDI LO STESSO
A CAGLIARI LA NAVE GEMELLA DI "EXODUS"
DAGLI OGM AL LIBERAL-SOCIALISMO
ECOLOGISTI POLITICI COL MITRA "MOD. STALIN"
QUEI PROGRESSISTI TUTTI PARROCCHIA E BORBONE
RISORGIMENTO PACIFISTA, VE LO IMMAGINATE?
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GUERRE IN FAMIGLIA TRA STADIO E IRAQ
Maschi senza palle e lo scontro di civiltà
Uno juventino obiettivo e non tifoso come gli juventini della vecchia guardia, unici in Italia a coltivare quest’arte aristocratrica, richiesto di esemplificare i tipici italiani di oggi, molli, delicatini, femminucce senza palle, rispose sicuro: "La nazionale di calcio". E’ lo specchio degli italiani. Calciatori che spadroneggiano su un allenatore all’acqua di rose, troppo pagati, viziati, poco professionali, svogliati, sindacalizzati, straparlano come donnette, cadono come fuscelli, piagnucolano al minimo scontro fisico. Ma si rialzano rassettandosi la divisa e riavviandosi i capelli. Eleganza italiana. Per un Del Piero, insomma, va benissimo l’orecchino e la pubblicità dell’uccellino.
Non solo la maschiaccia Fallaci accusa gli uomini occidentali di essere senza palle. Ma anche endocrinologi, antropologi e psicologi. E dunque la sindrome comincia a farsi grave. La discussione è ormai matura per uscire dai bar, dove aveva costituito per anni uno degli argomenti risolutivi degli avventori di destra, per adagiarsi sul lettino consolatorio degli psicoanalisti mondani, quasi tutti di sinistra. Ma ora lambisce la turris eburnea del giornalismo culturale, che aveva sempre storto il naso solo a sentire accennare al tema, e perfino i grandi argomenti della politica: lo scontro di civiltà, la guerra di religioni, il terrorismo. Come, che c’entra? Con la psico-sessuologia politica si può disegnare un diagramma della contrapposizione Oriente-Occidente, Islam-Cristianità, perfino liberalismo-dispotismo, tale da farci capire meglio d’un chilometrico articolo di Scalfari i perché della pazzia di massa degli islamici.
E’ un fenomento, quello della svirilizzazione del maschio, che si espande ormai nell’intera società occidentale. Li avete visti, no, i soldati americani di oggi, tutta tecnologia e visori notturni, ma poi gli manca la visione diurna, quella psicologica. Non hanno anima. Vi sembrano come quelli che vennero a liberare l’Italia sessant’anni fa? E’ dal Vietnam che sono diversi. Non parliamo poi dell’Europa e in particolare dell’Italia. Del resto è da tempo che gli italiani, pur pelosi e con barbe, si sono femminilizzati in modo imbarazzante. Anzi, dove i maschi sono più pelosi, cioè al sud, è più marcata la femminilizzazione dei costumi (pigrizia, ozio, amore delle comodità, tendenza al parlar troppo, permalosità, lamentazioni continue, sedentarismo, scarsa sopportazione del dolore, minima propensione al rischio e all’atto di coraggio ecc), e delle idee (non-violenza, privacy, tolleranza ecc).
E in Oriente? Fin troppo facile osservare nella guerra in Iraq un finto conflitto tra complessati uguali e contrari. Nel mondo arabo sessualmente represso, in cui la donna è merce rara o assente o negata, il maschio in armi o terrorista riafferma il primato del fallo in modo compensativo attraverso il kalasnikov e la granata, raggiungendo il mito dell’erezione permanente col tipico lanciarazzi individuale dall’ogiva allusiva. Tale è la coda di paglia degli arabi che a Nassirya, quando l’altoparlante delle camionette Usa gracchiava insinuazioni pesanti sulla virilità dei cecchini musulmani in tuta nera, questi come donne da cortile napoletano uscivano allo scoperto pazzi di rabbia a vendicare l’onore in pubblico. E venivano falciati. Da chi? Da altri repressi, depressi e maniaci sessuali, numerosissimi in un esercito Usa di sbandati sociali ed elementi vagamente psicotici, come s’è visto dagli episodi di sadismo nel carcere. In cui le donne, virilizzate nel ruolo e nell’uniforme, assumevano per essere accettate tutti i tic di compensazione maniacale dei maschi. Quanto più piccoline e insignificanti erano. Vecchia storia.
Non si lamentino, però, le donne se "i maschi non sono più quelli d’una volta". Perché anche loro non la contano giusta. Se no, non vedremmo in giro quasi soltanto donne truccate e vestite da maschi (capelli corti, giacche e pantaloni), con la scusa rivelatrice della "praticità". Bisogna essere già maschi dentro per trovare più "comodi" e "pratici" scarpe basse, pantaloni e capelli corti, e troppo "appariscenti", "scomodi", "imbarazzanti" gonne corte, tacchi alti e capelli lunghi. Lo sappiamo tutti, ormai, non solo gli etologi come Morris, che cancellato senza rimpianti l’odore ascellare, persa la prospettiva del sedere come promessa di godimento, generazione e sentimenti (more pecudum, da cui rovesciando si ottiene quello strano e innaturale cuore tutto curve dell’iconografia), quei tre modesti trucchi erano ormai gli ultimi richiami sessuali a disposizione delle femmine dell’uomo civilizzato.
Però, attenti a non focalizzare troppo la vostra attenzione, secondo i generi, su "Elvis, the Pelvis" o sui sederi delle haitiane, che com’è noto vengono subito dopo quelli delle brasiliane e prima di quelli delle torinesi. Perché le società primitive a "dimorfismo" sessuale pronunciato, come quelle favoleggiate da certi tour operators ad uso di clienti di provincia col miraggio dell’avventura esotica, pongono problemi quotidiani d’ogni tipo, primo tra tutti un alto grado di competizione, anche tra i corpi, e una aggressività comportamentale diffusa, che le moderne società avanzate, che hanno imparato a sublimare con eleganza e ipocrisia le pulsioni sessuali quotidiane, dopo secoli di bellum omnium contra omnes o struggle for life per la conquista della vagina, non sarebbero più disposte a sopportare. La vita di ogni giorno, insomma, anziché la commedia che sappiamo sarebbe una tragedia. Avventurosa e mozzafiato come un film, certo. Ma se voi vi presentaste per fare gli attori - per carità, non per offendere - tutt’al più finireste tra gli spettatori.
(La Bella Rosina, dal casino di caccia di Vittorio Emanuele )
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MARTINI "ON ICE": LA CROCE IN TUTTI I LUOGHI PUBBLICI
Simbolo della nazione: bandiera o crocifisso?
Sarà perché il Martini rosso ormai non va più nei cocktail, fatto sta che nei bar d’Italia, dove si hanno a cuore davvero calcio e sorti della Nazione, pochi commentatori hanno dato peso all’esortazione del cardinale di Milano a esporre ovunque nei luoghi pubblici il crocifisso. Più di quanto sia già esposto. Nonostante, ha detto, "le diverse sensibilità e suscettibilità che possono essere toccate da questo simbolo ciascuno deve imparare a conoscere e a rispettare i simboli del Paese in cui vive".
"Simboli"? Quell’islamico ultrà di Adel Smith, che obbliga il suo bambino a fare il sandwich-boy andando in giro con i versetti del Corano dipinti sullo zaino, ci aveva provato a creare un caso, cercando di far vietare l’esposizione del "cadaverino sulla croce", come lo chiama lui tanto per offendere, nella scuola del figlio. Peccato che a chiedere la cosa giusta fosse la persona sbagliata, lui sostenitore dell’islamismo radicale che impone i suoi simboli con la forza, e i simboli altrui li cancella.
E il crocifisso è un "simbolo" dell’Italia? Sembra una barzelletta - i collezionisti apprezzeranno -del Marc’Aurelio o del giornale anticlericale Don Basilio. La Corte Costituzionale - replica Felice Costabile, direttore del Dipartimento di Scienze Storiche e Giuridiche dell’Università di Reggio Calabria - ha affermato con sentenze 440/1995, 329/1997 e 508/2000 che "il principio di laicità o non confessionalità dello Stato comporta equidistanza e imparzialità della legislazione rispetto a tutte le confessioni religiose" indipendentemente dal numero degli aderenti. Ed è ovvio che una legge del 1923, che imponeva l’esposizione del crocifisso quando quella cattolica era religione di Stato e il governo era quello fascista, è in contrasto con la Costituzione repubblicana. E poi – conclude - vorrei osservare che il simbolo dell’Italia non è il crocifisso, come crede il cardinal Martini, bensì il tricolore, tutt’al più con l’aggiunta del ritratto del presidente della Repubblica. E nel crocifisso non sono certo solo gli islamici a non riconoscersi. Lo sono anche molti appartenenti ad altre confessioni e molti laici. Senza contare agnostici e atei.
Noi, perciò, abbiamo il diritto di chiedere - spiegando con pazienza alle vecchine e alle insegnanti di paese i termini del problema - che i crocifissi siano tolti dai locali pubblici. Diciamolo subito: è la prima cosa strana che notammo da adolescenti a scuola: un simbolo religioso in ogni aula, come in chiesa.
E poi, che gli ha preso al cardinale Martini? Prima c’era solo Cossiga a spararle grosse e a sembrare "bevuto". Ma ora chi può sembrare più bevuto d’un Martini? Ed è rosso, per giunta. Peccato che non piaccia più nei bar. E visto che dà alla testa, allora meglio un analcolico.
(François-Marie Arouet)
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TEHERAN. LEGGE SADICA E SPERANZA NEL REFERENDUM
Non più di tre, e se sono malati te li prendi lo stesso
Il filosofo politico pugliese Buttiglione non farebbe male a una mosca, ma la nuova crudele legge sulla fecondazione artificiale che il deputato cattolico ha difeso a "Otto e mezzo" (La 7) nel confronto che lo opponeva alla Bonino, alle donne fa male, altroché: è inutilmente vessatoria, umiliante e potrebbe perfino danneggiare la salute. Esagerazioni? Nient’affatto. Si è visto con la sentenza del giudice Lima, a Catania, che ha stabilito che "gli ovuli fecondati vanno impiantati, anche se c’è il rischio che possano essere portatori di malattie genetiche" ed ha quindi respinto la richiesta di una coppia di portatori sani di talassemia che richiedeva l’esame del Dna dell’ovulo prima di impiantarlo. Naturalmente, non è colpa del giudice: è la legge che è sbagliata. Ed è condita di una crudeltà cretina, da "piccola Inquisizione" da Asl di quartiere. Così come meschino è il neo-clericalismo spicciolo dei cattolici nella CdL che una legge del genere hanno voluto, probabilmente come un segnale di discontinuità.
Intanto, l’impianto sulla donna è avvenuto, ma l’ovulo non ha attecchito e ora la coppia ha rinunciato alla fecondazione assistita. Come volevano, in sostanza, i cattolici. Chissà, forse la coppia si rivolgerà all’estero, seguendo la nuova moda del "turismo riproduttivo", una vergogna per l’Italia liberale e moderna. Qual era il pericolo della libertà di fecondazione artificiale? "Minare la famiglia", far partorire le sessantenni col dottor Antinori, sottostare ai capricci delle coppie che vorrebbero un figlio biondo e con gli occhi azzurri? Questi rischi c’erano, ammettiamolo, ma erano modesti, nell’ordine di tutte le cose. Non tali da giustificare una legge così ottusa, che danneggia anche la ricerca scientifica. E, semmai, bastavano nuove norme di autoregolazione deontologica dei medici. Quello che è grave è che con tutte le libertà e i riguardi che ci sono oggi, alcuni perfino eccessivi e futili come la "privacy", non è ancora riconosciuto l’importante diritto di avere un figlio ricorrendo alla scienza, quando ci sono malattie o infertilità. Il mite Buttiglione, patrono della famiglia, preferisce che le coppie vadano a comprare i bambini per corrispondenza in Romania o in Albania ? Non è più grave dal punto di vista psicologico e sociale?
Insomma, ‘sti cattolici italiani sono così scemi, così impolitici, così poco psicologi, che stanno costringendo, ancora una volta, a firmare il referendum per l’abrogazione della legge sulla fecondazione medica perfino chi dei referendum non ne può più. Arrivederci al più vicino tavolo dei radicali.
(La lattaia di via Torre Argentina)
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MIGLIAIA DI RAGAZZI NEOZELANDESI MORTI PER L’ITALIA
Chi andrebbe a difendere la Nuova Zelanda?
Dei ragazzi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna (anzi, del Regno Unito, perché c’erano anche gli irlandesi) già si sa. Vennero a centinaia di migliaia in Italia, perdendo la vita a migliaia, per liberarci dai nazisti. Nello sbarco di Anzio gli americani subirono una carneficina. In totale, i giovani Usa morti per la nostra libertà furono ben 24 mila. Per fortuna furono bravi e tenaci. Perché se avessimo dovuto aspettare i successi militari della Resistenza, efficiente solo negli attentati (via Rasella), staremmo ancora sotto Hitler. Perciò, dobbiamo essere grati all’America per sempre.
Ma degli neozelandesi nessuno si ricorda in questo turbolento sessantennale di celebrazioni per la Liberazione da parte degli alleati occidentali. Pochi giornali hanno ricordato che migliaia di ragazzi della lontanissima Nuova Zelanda, più pacifici, più colti e più agiati dei loro coetanei italiani e fascisti, si arruolarono insieme con altri concittadini del Commonwealth per dare il loro contributo alla liberazione dell'Europa dalla dittatura. Lo avrebbero fatto i ragazzi italiani? Temiamo di no. Del resto, solo poche centinaia di garibaldini - e fu già un gesto eccezionale, giustamente ricordato - corsero a difendere le libertà altrui, dalla Grecia al Sud America. Fatto sta che i ragazzi della Seconda divisione neozelandese combatterono eroicamente e morirono a centinaia nella durissima battaglia di Monte Cassino. A sessant’anni di distanza, due donne, che quasi sicuramente non hanno mai imbracciato un fucile in vita loro, si sono incontrate sui luoghi dell’evento per commemorare il sacrificio dei ragazzi neozelandesi: la presidente del consiglio della Nuova Zelanda, Helen Clark, e il sottosegretario agli esteri Margherita Boniver. Tutta la nostra gratitudine al generoso popolo della Nuova Zelanda.
(Il pronipote di Nino Bixio)
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NEL ’47 PORTO’ MOLTI EBREI DA CAGLIARI AD CAIFA
In Sardegna la nave gemella della "Exodus"
La vecchia nave arrugginita, quasi sicuramente gemella della famosa "Exodus", è ormai poco più d’un relitto. Galleggia alla meglio nel porto di Cagliari, ma le autorità portuali prima di mandarla allo sfascio per fare spazio nelle banchine aspettano qualche settimana. Per rispetto d’un passato e d’una storia drammatica, sperando in un recupero all'ultimo minuto, magari su iniziativa del governo d’Israele o della comunità ebraica internazionale. Perché la betta "K3", ha spiegato Giorgio Salis all’Unione Sarda (11 maggio), è molto probabilmente una delle imbarcazioni usate dagli ebrei nel primo dopoguerra per raggiungere Israele nell'ultima fase dell'Aliyah Bet, la corsa degli scampati all'Olocausto verso la Palestina governata dagli inglesi. La Compagnia Vele Mediterranee, società proprietaria del relitto, aveva avviato un progetto di restauro, poi annullato dal tempo, dai vandali e dalla salsedine. L'idea era di restaurarla, metterla in condizione di navigare anche a vela e usarla almeno per portare i turisti lungo le coste sarde. Sarebbe stato un modo laico e pratico per ricordare il glorioso passato. Ma ci volevano troppi soldi, circa un milione e mezzo, e non se n’è fatto più nulla.
Ada Sereni, una delle protagoniste italiane della Aliyah Bet, nel suo "I clandestini del mare", scrive che nel '46 a Cagliari, un ebreo acquistò due motozattere ex alleate, di 450 tonnellate, dal fondo piatto che permetteva loro di navigare in acque basse, dove le navi da guerra non avrebbero potuto inseguirle. Voleva tentare uno sbarco sulla costa palestinese. Le due imbarcazioni partirono nel 1947 da Porto Venere per la Palestina, ma vicino allo stretto di Messina, la tempesta le gettò sulla spiaggia calabra. Dopo il naufragio una delle due imbarcazioni fu riparata e riuscì a portare a termine il viaggio. Ora è a Caifa ed è diventata una nave museo. L'altra, dice Salis, è quella del porto di Cagliari: "Le caratteristiche combaciano, e ispezionando lo scafo ho trovato anelli e assi che dovevano sostenere delle cuccette". Una modifica che avrebbe poco senso su una betta usata per il trasporto di ghiaia e sabbia, ma ne avrebbe molto se la si volesse usare per far viaggiare un gruppo di passeggeri abbastanza disperati da trascurare qualunque comfort. La licenza della capitaneria di Genova dice che la K3 - che adesso si chiama "Elvira Durando" - è stata costruita nel '33 nei cantieri inglesi Bolnes. Per ora l'ambasciata israeliana non ha ancora fornito la documentazione richiesta da Cagliari per decidere se in città c'è davvero una sorellina della Exodus.
(Sarah, commessa in via Ottaviano)
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IL LIBERALE PERA CRITICA LA CHIESA SUL SUO TERRENO. PERO’…
L’Occidente perde se la Chiesa ha il "pensiero debole"
Lì per lì sembrerebbe che il liberale Pera, studioso di Popper e di Kant, non si faccia gli affari suoi. "Affari propri", cioè l’interesse diffuso alla libertà, che sono, in tutti i sensi, il vero spirito del liberalismo. "Ma come, - sbotterà qualche monsignore di provincia - un super-laicista, un liberale dalle gonadi quadrangolari, un mezzo mangiapreti, vuole insegnare a noi come si fa a fare i cristiani? Ma ci faccia il piacere…" Poi, però, se glielo spiegate con calma, capisce. Pera non è così duro nel suo laicismo. In fondo, anche intromettendosi in questioni interne alla Chiesa e alla religione, il liberale e laico Pera ha fatto i "propri interessi", quelli di un uomo libero e razionale preoccupato del divario di forze e di consapevolezza tra un Islam fanatico che attacca, e un Occidente smidollato e in crisi di identità che per ora si difende, e anche malamente.
Nel citatissimo discorso all’Università Lateranense (Il Foglio gli ha dedicato un’intera pagina) il presidente del Senato ha voluto dire, in soldoni, ai tanti vescovi e cardinali, così bravi a spaccare bizantinianamente il capello in quattro: ricordatevi che non rappresentate una piccola e irresponsabile setta orientale, non siete dei giainisti, ma avete delle grandi responsabilità e fate parte dell’Occidente. E nell’Occidente siete establishment, struttura di potere, organismo politico, bene o male centro di tradizioni culturali. E l’Occidente oggi è sotto tiro dell’Islam più estremista. Anzi, proprio voi cristiani siete le prime vittime (vedi stragi in Estremo Oriente). Ormai è in atto una vera guerra di religione, altroché. Ma l’ipocrisia degli europei non lo vuole riconoscere. E, peggio ancora, è una guerra a senso unico, visto che la prima replica (l’attacco all’Iraq) sta scadendo nella farsa a causa dei troppi errori commessi. Perciò, amici cattolici, tutte le vostre idee aperturiste, relativiste, ireniste, culturalmente agnostiche, che forse andavano bene in passato per denotare il vostro modernismo, la capacità di adeguarvi ai nuovi tempi, oggi sono controproducenti, possono indebolire psicologicamente e culturalmente non solo i vostri fedeli, ma l’intero mondo occidentale, Europa soprattutto. Che ha bisogno, per vincere il terrorismo ed opporsi all’islamismo estremista, di essere agguerrito, o almeno caricato psicologicamente.
E invece, che accade? ha voluto dire Pera. Che il relativismo post-illuministico, il pensiero post-moderno, il pensiero debole, il relativismo religioso e culturale (non esistono civiltà superiori, tutte le culture e le religioni sono equivalenti e ugualmente degne di rispetto) sta minando la fiducia dell’Euuropa e, in minor misura, dell’America, nelle proprie istituzioni. Il pensiero prevalente è che queste non abbiano più un valore universale e non siano né peggiori né migliori di altre. Prendiamo l’Islam: le due civiltà non sono equivalenti, ma messo di fronte al modello islamico l’Occidente non ritiene che liberalismo, democrazia e diritti possano essere definiti migliori della teocrazia, della sharia e della fatwa. E invece, no, ha detto Pera, ci sono ragioni valide per giudicare se certe istituzioni sono migliori di altre. Ma da tale giudizio non deve nascere necessariamente uno scontro. Però se ad una offerta di confronto si risponde con lo scontro, lo scontro deve essere accettato.
Ma vescovi e cardinali avranno sentito staffilate sulle natiche ascoltando la seconda parte del discorso, quella in cui il presidente del Senato entrava in casa loro. I colpevoli? si è chiesto Pera. Sono gli esponenti di tutta una cultura filosofica diffusa, e non da oggi, a cominciare dal nichilismo di Nietzsche, fino a Wittgenstein e Derrida. Ma hanno le loro colpe anche la Chiesa cattolica e un Cristianesimo "timido, sconcertato, angosciato", che mette ormai in secondo piano l’evangelizzazione. E ci sono teologi che hanno modificato la fede. Secondo Paul Knitter e John Hick, tutte le religioni sono o possono essere ugualmente valide. Il cristiano debole, come il pensatore debole, alla fine diventa un cristiano arrendevole, mette in guardia il presidente del Senato.
Che Pera sia un "cattolico liberale"? Secondo noi, liberali e agnostici, quest’ultima invasione di campo teologica di Pera potrebbe risultare imbarazzante più per noi che per la Chiesa, se non venisse interpretata così. Signori cristiani e cattolici, abbiamo notato che voi, perfino quando siete attaccati dal fanatismo islamico, non vi difendete adeguatamente. Le stragi di cristiani, non di atei, in Asia e in Africa lo dimostrano. Siete forse diventati buddisti contemplativi? O prendete alla lettera il "porgere l’altra guancia" del vangelo? Vi serve il martirio per poter andare in Paradiso? Strano per chi a suo tempo ha fatto le Crociate e l’Inquisizione. Benissimo, ma in ogni caso non possiamo seguirvi. Non coinvolgete la civiltà occidentale in questo vostro masochismo psico-patologico. Noi al paradiso non ci crediamo. Se voi non avete la forza morale e intellettuale per difendervi in modo proporzionale alle minacce, l’islamismo penserà che tutti gli occidentali, che tutta la civiltà liberale è così imbelle e debole come i cristiani, e si sentirà autorizzato - visto che rispetta solo la forza - a tentare colpi più atroci. Possibile che non vi rendiate conto che così facendo rafforzate oggettivamente il terrorismo e danneggiate l’Occidente? Perciò, o imparate a diventare forti o dovremo intervenire noi. Ma la cosa ha un costo: il distacco definitivo tra liberalismo e Chiesa cristiana.
Eh, sarebbe bello che Pera avesse parlato più o meno così. Ma non ha potuto, e forse - più credibile - non ha voluto. (Turiddu D’Alembert)
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SCIENZA E TECNOLOGIA. NO A TUTTO, E POI SI LAMENTANO
Quei "progressisti" tutti parrocchia e Borbone
L’Italia "perde punti" (sindrome da campionato di calcio), "non ha più competitività" (azienda veneta che produce in nero in Romania), ha "perso credito" (bancario addetto ai prestiti), ha il "complesso del perdente" (psicoanalista Asl, ma con studio privato clandestino), o addirittura "ha perso il treno della tecnologia" (pendolare ferroviario sulla tratta di Voghera), e così via. Le sentite le nenie, le lamentazioni, le giaculatorie dei reazionari travestiti da progressisti per gabbare le vecchine e gli studentelli ignoranti, tutti tv, calcio e video-giochi?
Certo, l’Italia va male. E’ arretrata. Sta perdendo tutti gli appuntamenti della ricerca scientifica. Ma di che si lamentano prèfiche e flagellanti? Sono stati loro a volerlo, dicendo di no a tutte le modernizzazioni, le ricerche e le innovazioni scientifiche, dagli Ogm alla clonazione terapeutica, confondendo come i vecchi incartapecoriti parroci di montagna la tutela dell’ambiente con la conservazione delle vecchie e costose tecnologie. Sapete come direbbero a Viterbo di gente così ottusa? "Goji" (coglioni).
Solo coglioni? No, anche ipocriti, perché a suo tempo, per salvarsi la coscienza da fatue "anime belle", ci fecero dire no al nucleare (molti di noi di cascarono) perché allora sembrava o era pericoloso e ricordava maledettamente la bomba atomica. Non battono ciglio, però, quando l’Italia acquista quasi ogni giorno energia elettrica prodotta in Francia dalle centrali nucleari. Mai sentito un verde protestare per questo. Che ipocrisia. Che spreco di soldi. Che idiozia. Dato che in caso di incidente, oggi improbabile ma sempre possibile in teoria, l’Italia del Nord non si salverebbe. E che schiaffo alla ricerca e tecnologia italiana, fino a vent’anni fa tra le migliori al mondo. Non sa darsi pace Giuseppe Basini, già grintoso senatore ("sono un liberale di destra, stile Reagan e Tathcher") e ora tornato ricercatore all’Istituto Nazionale di fisica nucleare di Frascati. Ripete che quel lontano "No nuke", no al nucleare, è stato un madornale errore con cui l’Italia si è condannata per decenni alla povertà energetica e a bilanci elettrici sempre in rosso. Sarà, caro Basini, ma non è meglio l’idrogeno?
Oggi si chiama "principio di precauzione" lo scudo dell’Italietta fifona e immobilista. Un principio scemo, adatto ad un Europa svirilizzata e viziata, che se attuato in passato avrebbe impedito tutto, dalla fondazione di Roma alla scoperta dell’America, dalla costruzione del Colosseo alla vendita del latte. La civiltà è rischio. Ma la nuova generazione d’Europa rifiuta il rischio. Pensate: l’acqua di stupende sorgenti di acqua purissima viene inquinata per legge con l’ipoclorito (candeggina) per timore che qualche mamma apprensiva all’italiana possa denunciare gli amministratore se il suo bambino ha il mal di pancia. Ridicolo. Ora poi stiamo perdendo, con il clericalismo che invade i laboratori di biologia, anche l’occasione delle terapie con le cellule staminali. Insomma, un’atmosfera di paura da dame della San Vincenzo, con in più quell’ottusità che si doveva respirare nell’Albania medioeval-comunista di Hoxa o nel Portogallo medioeval-fascista di Salazar. E, curiosamente, a parte le terapie con gli embrioni, in cui i reazionari sono della destra cattolica, tutti gli altri no vengono dai reazionari di sinistra, cattolici, verdi e marxisti.
(La lavandaia di Alessandro Volta)
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ECOLOGISTI DI SINISTRA, FONDAMENTALISTI E NATURISTI
Finti ecologisti politici col mitra "mod. Stalin"
Molte previsioni catastrofiste di certi ecologisti, sia scienziati che politici, sono state per fortuna regolarmente smentite dai fatti. Il dibattito che ne è seguito, però, ha visto contributi di esperti e lettori che confondevano due correnti diversissime dell’estremismo catastrofista: gli ecologisti di sinistra e i fondamentalisti. Diciamo subito che non sono la stessa cosa, come invece credono molti giornalisti, e anche molti politici.
Chi come noi ha il vantaggio di essere stato un severo ecologista della prima ora (la Lega Naturista, nata in casa liberal-radicale nel 1975, fu il primo club ecologista in Italia), è portato dalle idee liberali a dare credito solo alla scienza, non alla politica "contro" spacciata per verde. Il ridicolo, perciò, è caduto sulle previsioni sbagliate o strumentali di certi politici o studiosi "ex" rossi che sul catastrofismo hanno costruito carriere universitarie, giornalistiche, politiche, e ottenuto lauti guadagni. Mascherate da "scientifiche", mai false ma semmai incomplete e parziali, certe affermazioni (una per tutte: i residui di pesticidi artificiali negli alimenti vegetali), oggi non sono più tipiche di Legambiente, nata dall’Arci, associazione culturale del Pci, ma perfino di club un tempo moderati come il Wwf. Non dicono - per restare all’esempio - che quei residui di pesticidi sono meno cancerogeni di certe sostanze naturali contenute negli alimenti stessi. Insomma, una informazione "di tendenza", orientata, fatta per sollevare l’indignazione. E non è politica?
Nell’ecologismo politico c’è poi la "prescrittività" tipica di tutte le organizzazioni autoritarie. Le previsioni catastrofiche si concludono sempre con un "che fare?" alquanto staliniano. Fateci caso: sono sempre gli altri, gli avversari, l’industria, i capitalisti, i nemici del popolo, gli scienziati, i chimici, i palazzinari, i governanti, la destra, i militari ecc., a dover pagare il fio, a dover fare qualcosa per ripristinare e risarcire la collettività per il male presunto. E spesso li si vorrebbe mandare in galera, come faceva Stalin utilizzando i giudici per realizzare più rapidamente il socialismo. Ecco la finta ecologia, o ecologia di sinistra, cioè pretestuosa, di classe, punitiva e autoritaria, spesso confusa a torto col fondamentalismo dei protezionisti, che è tutta un’altra cosa. La prima è solo lotta politica con altri mezzi, il secondo è radicalismo individuale che parte da un’idea giusta di tutela e protezione della natura e della salute.
C’è poi una terza via più saggia, che ci piace molto di più: il naturismo, che non è il nudismo come alcuni provinciali vogliono far credere, ma quella concezione globale della vita il più possibile "secondo natura" (secondo la natura umana, vuol dire) che pretende un minimo di "fare" o di "essere" ai suoi aderenti, cioè un minimo di coerenza personale e di scelte, ma tutte rigorosamente individuali. Esempio: l’ecologista di sinistra imporrà a tutti, inutilmente, di lasciare l’auto in garage un giorno a settimana. E su questo "farà politica", manifestazioni pubbliche che sporcano e inquinano col rumore, chiederà pubblicità su tv e stampa e voti ai cittadini. A scopo pubblicitario o punitivo. Tanto, lui salirà sull’auto blu anche il giorno del divieto. Il naturista, invece, praticherà, p.es., il suo vegetarismo, la sua alimentazione naturale o il suo nudismo, senza rompere le scatole a nessuno. Se ci fosse la regola naturista che chi protesta per la natura deve dare per primo l'esempio d'una vita con maggior risparmio, meno inquinante e più naturale, vi assicuro che il 999,9 per mille dei verdi e degli ecologi alla moda non esisterebbe, la gente sarebbe molto più educata, e la natura molto più protetta. Ve lo immaginate il politico verde rinunciare alla scena tv, all’auto di rappresentanza e alle sigarette, passare le domeniche col trekking in montagna, fare campeggio isolato in una foresta, camminare in città, frequentare i club nudisti?
(Il dottor Ippocrate)
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"FARSI I FATTI PROPRI", ECCO LA MENTALITA’ SBAGLIATA DEL SUD
Risorgimento pacifista: ve lo immaginate?
Chi ha detto che il liberalismo debba essere pacifista non conosce né la storia, né i liberali. Il vero liberale - che cioè vuole davvero la libertà propria e altrui - odia e combatte con tutte le sue forze i tiranni. Il suo destino, quindi, non è un moderatismo pigro e borghese, come molti finti-liberali "politicamente corretti" credono in Italia e in Europa, ma la "lotta continua" contro le prepotenze, le illibertà e le ingiustizie. Perché sa che a nulla vale l'enunciazione di un diritto, di una libertà, se non li si fa valere nella pratica, se si permette a chiunque di violarli impunemente. L'amore per le libertà, dunque, è intimamente connesso ad un alto grado di attivismo, intromissione e punizione. Se gli esempi recenti imbarazzano, pensiamo all'antica Roma repubblicana, che chiamava questo diritto-dovere "virtus", e al Risorgimento conquistato con l’entusiasmo popolare nel nord, ma esportato con la forza nel centro pontificio e nel sud Italia borbonico
(Camillo Benso di Latour)
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CON LA SCUSA DELLA "BIO-ETICA"
No, la pillola non te la dò: a "me" non piace
Che direste se in salumeria alla richiesta di due etti di gorgonzola, il commesso con una smorfia di disgusto replicasse: "No guardi, il gorgonzola non glielo posso dare: a me personalmente fa schifo"? E’ quello che si sta verificando con la cosiddetta "pllola del giorno dopo", molto richiesta dalle ragazze che temono di essere rimaste incinte, che in Europa quasi ovunque è in libera vendita. Ora, con la scusa della "bio-etica" (ormai tutto è "bio" in Italia) siamo arrivati a questo, che i medici cattolici si rifiutano di prescrivere la pillola del giorno dopo alle ragazze, perché la cosa - pensate un po’ - li disturba. Come se dovessero ingoiarla loro. E il Comitato per la bio-etica ha dato loro ragione.
In Italia per questa pillola, che in altri paesi civili è un farmaco "da banco", si sono inventati la ricetta medica, per permettere - ora è chiaro - il ricatto del medico cattolico, che in tal modo può impone la sua volontà, le sue idee filosofiche - che non c’entrano niente - su quelle della ragazza interessata. E’ tutto da stabilire, tra parentesi, qual è il quid, il valore aggiunto, di ‘sto famoso medico cattolico. Che farà, in caso di malattia? Suggerirà di raccomandarsi l’anima a Dio? E se no, perché si fa chiamare "medico cattolico"?
E non basta. Perfino alcuni farmacisti, invidiosi dello strapotere filosofico dei medici, vorrebbero "fare obiezione". Come se vendessero, appunto, gorgonzola. Ancora una volta la morale cattolica-integralista viene imposta con la forza a chi non ci crede. D’altra parte, gli piace così tanto ai cattolici non-violenti essere dolcemente autoritari con la gente semplice e mite. E’ una rivalsa. Mentre se la fanno sotto, i vigliacchi, con l’Islam, straparlando di relativismo culturale. E allora, bio-etici cattolici del menga: perché non fate quel vostro tipico molle relativismo, quel multi-culturalismo masochista per cui siete famosi, anche sulla pillola?
(Peppino de Condorcet)
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DIFFERENZE DI TRATTAMENTO PER GLI SCONFITTI DAL LIBERALISMO
Neri condannati, rossi perdonati
I "due pesi per due misure" danno sempre fastidio ai liberali: l’ingiustizia è sempre la prima delle illibertà. E anche i perdenti della Storia, quei fascisti e comunisti che hanno fatto del XX secolo un’epoca tra le più vergognose della nostra era, vanno giudicati allo stesso modo: con severità implacabile, ma anche con giustizia. E invece, nonostante il revisionismo, come mai a nazisti e fascisti, giustamente, non si perdona nulla, mentre ai comunisti, meno giustamente, si perdona tutto? Forse perché, suggeriamo con malizia neanche eccessiva, molti giornalisti, politici, storici e perfino funzionari editoriali, che "fanno opinione", sono ex-comunisti troppo velocemente riciclati e mai davvero del tutto pentiti? Anche loro, come l’amico Pannella e gli arabi, non chiedono per principio mai perdono?
Molti lettori hanno scritto lettere ai giornali lamentando che alla fin fine, con tutti i revisionismi possibili, gli ex comunisti sono molto meglio trattati, giustificati, riveriti e quasi perdonati, rispetto agli ex nazi-fascisti. Anzi, molti di loro tengono ancora alta la cresta, come galli un po’ frastornati ma ancora impettiti dopo il combattimento. "Caro Mieli – ha obiettato il liberale Raffaello Morelli - è vero come lei scrive che lo "stato dell'arte" è lo sconto speciale che si applica al comunismo. Ma se non è cosa da scandalo, non è neppure una buona ragione per accettare la cosa fatalisticamente. Dal punto di vista della libertà, Pietro Ingrao ha naturalmente il diritto di continuare a fare politica comunista. Solo che tutti coloro che stanno all'esperienza storica e vogliono la libertà innanzitutto hanno il dovere di contestarlo punto per punto, senza sconti, facendo per prima cosa ricorso alla memoria e alla ragione. Memoria e ragione che la influentissima lobby mediatica di coloro che si battono contro gli anticomunisti si sforza di cancellare, appunto facendo sconti speciali al comunismo".
(Giolitti, il gelataio di Campo Marzio)
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DIRITTI UMANI IN MANO AGLI STATI AUTORITARI
Onu: volpi e faine "avvocate" del pollaio
"Onu, Onu" gridano le insegnanti sventolando i graziosi fazzolettini arcobaleno, mentre con forza, ma affettuosamente, costringono le scolaresche ignare ad andare ai cortei della pace. "Onu, Onu" salmodiano i frati del Grand Hotel "Third World", un buon quattro stelle di Assisi, i "laici" della Comunità S.Egidio che studiano da diplomatici, i boy scout persi in città, le casalinghe da Madame Bovary con pruriti da volontariato "social oriented", e tutto quel variegato popolo - non si sa se più ignorante o ipocrita, ma certo snob - che oggi segue la moda di nascondere, quasi vergognandosene, il rosso atavico sotto i sette colori dell’iride. Ma, poi, come si comportano nella realtà queste benedette e tanto invocate Nazioni Unite?
E’ di oggi l’approvazione della risoluzione proposta dal Vietnam comunista al Comitato delle Organizzazioni non governative dell’Onu di comminare tre anni di esclusione del Partito Radicale transnazionale, colpevole di aver dato la parola a Kok Ksaor, leader delle popolazioni cristiane autoctone dell’interno (i "montagnard") perseguitate dal governo comunista fino al genocidio. E così fior di Stati campioni di liberalismo come Cina, Cuba, Russia, Iran, Sudan, Pakistan, Costa d’Avorio, Zimbabwe, hanno prevalso su Stati Uniti, Germania, Francia e altri. Questa è l’Onu, ragazzi, dovrebbero insegnare maestre e professoresse a scuola.
Un altro esempio dei guasti di una pura "democrazia" formale non liberale ce lo offre Angelica Russomando, delegata radicale a Ginevra, sui lavori dell’ultima sessione della Commissione Onu per i Diritti umani (si fa per dire). Quei rompiscatole radicali avevano denunciato le violazioni dei diritti dell'uomo in Laos e Vietnam, ma anche in Cina (lavoratori migranti e Regione dello Xinjiang), hanno presentato la bozza di un Piano di Pace per la Cecenia e la richiesta della moratoria sulle esecuzioni capitali. Ma ad avere la maggioranza nella commissione "Diritti umani" erano gli stati africani e asiatici (15 e 12 paesi) che, insieme con Cuba e Russia, hanno un ruolo determinante nelle risoluzioni. Perciò la condanna non è passata. Insomma, proprio gli stati più corrotti, che meno garantiscono la libertà e la democrazia, che ignorano il diritto e le leggi internazionali, che incarcerano gli oppositori politici, e i cui capi rubano perfino i soldi degli aiuti internazionali, dovrebbero giudicare i reati contro la libertà e l’umanità.
(Generale Lafayette)
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SADDAM E BIN LADEN COME CECCO BEPPE E GUGLIELMO II
L’Orlando al feroce Saladino: "Sono neutralista"
Don Abbondio diceva che "il coraggio, se uno non ce l’ha, non se lo può dare". D’accordo. Però che avrebbero detto, non diciamo i crociati - parola oggi politicamente scorretta - ma gli stessi Mori, i nemici di sempre, se un combattente cristiano fosse fuggito davanti a loro? L’avrebbero trattato da eunuco e gli avrebbero donato leggiadre vesti femminili ornate di nastri e fiori. Ricordiamo un "Orlando furioso", perfino un "Orlando innamorato", ma non un "Orlando vigliacco" ("pusillanime" avrebbe detto il poeta) che si ritira e implora pace di fronte alla scimitarra del feroce Saladino.
Meno male che l’Orlando dei giorni nostri, il giornalista Federico, furioso lo è solo moderatamente, da buon ex liberale. Ma contro chi? Contro i terroristi che hanno dichiarato e iniziato la guerra all’Occidente? Giammai. Lui mica è "guerrafondaio". Lui la guerra la combatte solo contro altri liberali, meglio se riformatori, come il professore Panebianco, reo di aver scritto la verità, che cioè le speranze di una sinistra liberale e riformista sono ormai svanite dopo la risoluzione con cui l’Ulivo si appiattisce sulle posizioni piazzaiole ed estremiste di Agnoletto e Bertinotti.
Ricordavamo dagli anni dell’adolescenza gli articoli dell’allora liberal-conservatore Orlando sulla Tribuna, ma nonostante la curiosa svolta ai tempi della Voce di Montanelli non potevamo immaginare che un liberale finora ritenuto, evidentemente a torto, di "destra" osasse equiparare la Grande Guerra del 1915-18 a quella attuale al fanatismo organizzato e al terrorismo. Eppure è così. Dalle colonne dell’Europa, Orlando, "da vecchio giolittiano" risponde a Panebianco: sono riformista sì, ma non "guerrafondaio". Non fu proprio Giolitti a battersi per la neutralità dell’Italia rispetto ad un conflitto che invece i liberali alla Salandra (e alla Panebianco) vollero, regalandoci "morte e fascismo"?
Ora, a parte la storia fatta con i "se" (un’Italia neutrale, con la classe politica inetta che aveva, sarebbe stata davvero esente da dittature fasciste o bolsceviche?), è strano che, non diciamo un liberale, ma un giornalista, non veda la novità dell’attacco preordinato all’Occidente e alla civiltà liberale da parte di un terrorismo alimentato da finanzieri e paesi arabi, e paragoni questa guerra alla I Guerra Mondiale. Lasciamo stare l’irredentismo e il completamento del Risorgimento contro l’Austria, che "l’Orlando curioso" essendo diventato pacifista giudicherà fisime alla D’Annunzio. Ma allora, chi sarebbero stati i Bin Laden e i Saddam di quel tempo, forse gli imperatori Cecco Beppe e Guglielmo II? Suvvia, un parallelo del genere verrebbe bocciato anche in terza media da una prof. Precaria, in ruolo solo per il corporativismo lassista di Dc, Pci e sindacati della scuola negli anni ’80. E poi, ci dispiace per questo "Orlando curioso", chissà come saranno contenti gli italiani del Trentino Alto adige, Venezia Giulia, che la neutralità postuma del molisano Orlando condanna fuori dell’Italia. Ah, questi figli molli e viziati della società opulenta. Ve l’immaginate un Risorgimento fatto da gente così?
(Il pronipote di Nino Bixio)
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MA SE TOLLERA I PAZZI COME FINI, PUO’ SALVARSI
"Sudditi sotto un regime: la democrazia"
Quale liberale vero non ha parlato male della democrazia, pur usandola di malavoglia? Quasi tutti. E dunque quel matto scatenato di Massimo Fini, giornalista eccentrico e dai furori assolutamente imprevedibili, solo perché ha scritto un brillante saggio polemico sul carattere "dispotico" della democrazia ("Sudditi"), sarebbe un liberale? Diciamo intano che è un giornalista e scrittore libero, cosa non frequente in Italia. Libero dai condizionamenti degli interessi, delle idee correnti, perfino della "verità storica". Ma per quanto a tratti eccessive o paradossali, le sue critiche hanno sempre almeno un nucleo di fondamento e servono a noi liberali come memento intellettuale: ricòrdati che la democrazia da sola non basta, al contrario di quello che ripetono le folle ignoranti e vocianti che alzano cartelli.
(Sciura Egle, pantalonaia in via Broletto)
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RAZIONALITA’ LIBERALE, SCIENZA E FALSI MITI
Quell’arancione che fa tanto bene
Tale è stata nell’ultimo decennio la risonanza nel largo pubblico delle ricerche biologiche e terapeutiche sul beta-carotene, che ormai un pò tutti sanno che questo componente provitaminico (ha circa un sesto dell’attività della vitamina A o retinolo), di color giallo-arancio, largamente presente negli alimenti vegetali, è una delle speranze del futuro. Carotenoidi e beta-carotene sono, infatti, antiossidanti, cioè impediscono la formazione dei dannosi radicali liberi implicati nell’ossidazione dei lipidi, e il loro consumo attraverso gli alimenti crudi e cotti (sopportano discretamente le cotture leggere e non prolungate) è collegato in epidemiologia ad un minor rischio di malattie, soprattutto tumorali e cardiache. Ma il beta-carotene è ritenuto a livello popolare anche un abbronzante. Insomma, per entrambi i motivi, in farmacia, in erboristeria e nei supermercati oggi c’è il boom di richieste per questo integratore.
Ai consumatori, però, si deve ricordare che le vanterie della pubblicità sono solo una parte di una verità scientifica più complessa. Infatti, gli studi sul beta-carotene isolato dai vegetali sono risultati deludenti. In uno studio epidemiologico sul tumore al seno, si dovettero addirittura interrompere gli esperimenti quando ci si accorse che la somministrazione di beta-carotene aumentava la percentuale di tumori. Come mai? Negli alimenti il beta-carotene è solo uno delle migliaia di componenti naturali, che interagiscono tra loro in un complesso e non ben chiarito sistema sinergico. Quindi la tavola, vivaddio, prevale sulla farmacia. Alimenti sì, estratti e integratori no. Sull’effetto abbronzante, poi, il beta-carotene, anche alimentare, non c’entra nulla, anche se giova alla pelle prevenendone i fattori di ossidazione. Al contrario di quanto promettono le etichette e le commesse, il beta-carotene è efficace solo per via interna, cioè va ingerito sotto forma di cibo. Le creme per la pelle al betacarotene sono solo pubblicità. In caso di eccesso anormale e prolungato di alimenti ricchi di beta-carotene, questo colorante naturale può tutt’al più dare una leggera colorazione gialla-arancione (iper-carotenemia, visibile dai palmi delle mani), peraltro reversibile. Che è cosa ben diversa dal favorire la produzione di melanina tipica dell’abbronzatura. (Sor Giovanni er farmacista de Bassano)

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