30 maggio, 2007

 

Il secondo errore dei Radicali. (Il primo? sostituire il Segretario Capezzone)

Davvero i Padri della Patria laica e libertaria, i mostri sacri dei diritti civili, invecchiano come casalinghe ottuse e livorose? A leggere lo strano dossier, quasi la grottesca caricatura d’un fascicolo "alla Putin radicale", che Marco Pannella ha diramato alla mailing list degli amici dei Radicali Italiani su Daniele Capezzone, con tutti i suoi "capi d’imputazione", i mutamenti dei giudizi, le mancanze, compreso il numero delle volte che il reprobo ha marinato le votazioni alla Camera, non si sa se rabbrividire o sorridere. Preferiamo la seconda.
No, caro Marco, così non va. Abbiamo sempre difeso Pannella, il politico italiano più originale e creativo, di fronte agli attacchi del Sistema. Nonostante le sue incomprensioni e i suoi errori (e ancor più quelli di certi suoi luogotenenti), sperimentati direttamente tanti anni fa. Ma nelle persone intelligenti - ci siamo detti - la personalità deve sempre prevalere sul carattere, sulle meschinità personali.
Perciò, ci è sempre risultato odioso e insopportabile che la conventio ad excludendum della Partitocrazia lo emarginasse - lui e i Radicali - e lo indicasse come diavolo laicista, anzi peggio, rompiscatole incorruttibile, insomma il nemico da ignorare più che combattere. Lui che rappresentava il Nuovo, la gente comune, le donne, i giovani.
Per questo, ora non può, non deve essere lui, né il suo entourage, a trattare Daniele Capezzone proprio come il Sistema un tempo trattava Pannella. Non può, non deve essere lui, il Grande Vecchio del laicismo liberale, della tolleranza e della non-violenza, a rappresentare il Vecchio.
A parte la forma infelice, che ricorda un’informativa grezza come quelle delle questure d’un tempo (lo so, non c’è proprio nessuno nel Partito che osi rivedere i suoi testi, così controproducenti), a rileggere con calma il dossier inviato da Pannella sembra che tutti i capi d’accusa contro Capezzone siano capi d’accusa contro se stesso.
E’ infatti un non senso autolesionistico incolparlo di essersi allontanato e di viaggiare ormai in modo indipendente, quando proprio Pannella e la dirigenza radicale, sorta di soviet casalingo che non ha mai amato gli individualisti, lo ha emarginato e di fatto cacciato, al culmine della sua brillante Segreteria. Questo è stato il primo grave errore dei Radicali.
Dicono bene due famosi ex-radicali, Teodori e Mellini. Pannella fa tutto da solo. Segue sempre lo stesso copione. Pur di azzoppare i bravi, gli emergenti, gli individualisti che lui stesso si alleva (perché l’ Homo radicalis o Liberalis che altro può essere se non individualista?), ma che crescendo fanno di testa propria, ad un certo punto gli taglia le gambe.
Ma così si dà la zappa sui piedi. E azzoppa se stesso e il movimento radicale. E perciò ricomincia sempre da zero. I tavolini, i megafoni, gli scioperi della fame, le casalinghe "pasionarie", i volontari eroici di provincia. Così il Partito non crescerà mai, non porrà mai radici. Insomma, è Marco, prima ancora del Sistema, il maggior nemico di se stesso. Come un giardiniere impazzito: pota gli arbusti troppo presto.
Ho avuto un padre autoritario ed egocentrico, che non si rendeva conto che gli altri potessero avere delle reazioni emotive, una propria indipendente vita interiore. La psicologia per lui era solo la propria. Per analogia posso immaginare che la comprensione psicologica degli altri radicali non sia mai stata la migliore freccia nella faretra di Marco.
Eppure, perfino lui dovrebbe capire che un giovane molto intelligente, se viene emarginato, tanto più ingiustamente, tende a vedere come insopportabile l’ingiustizia subìta. E quella patita da Capezzone è certamente un’ingiustizia: il merito non premiato, ma anzi punito. Perciò, caro Marco - lo avrebbero previsto anche i bambini - Daniele non cercherà di riavvicinarsi e tornare all’ovile, ma piuttosto di allontanarsi ancora di più dal padre padrone che lo ha cacciato e umiliato in pubblico. E che sta coprendo un Governo debole e caotico.
Di che si meraviglia, dunque? Pannella, che è un Genio, è anche la causa di tutto, nel bene e nel male.
E’ la levatrice e il necroforo. Lui li fa, i tanti geni radicali, ma quando sono al culmine della loro parabola li distrugge.
Ebbene, ora ce n’è uno, capatosta come l’abruzzese Marco ("capezzone", nomen omen), che ha deciso di non farsi distruggere. E per far questo, è ovvio, deve sùbito sganciarsi dall’influenza pannelliana e radicale, se no per lui sarebbe la fine. Ciò che non seppero fare in tempo i Teodori, i Mellini, gli Zeno, i Giovanni Negri e gli altri "rami potati", vecchi e giovani.
Ora lo sconcerto nella nuova base radicale, che non afferra quanto sia ciclico questo meccanismo d’azione, è forte. E sono molti, i più giovani, quelli che si erano avvicinati ai Radicali ai tempi dei dioscuri liberisti-liberali Capezzone e Della Vedova, che non hanno ancora digerito la sostituzione di Daniele da segretario politico, il più grave errore strategico dei Radicali negli ultimi 20 anni.
L’anno scorso, prima dell’ingresso nel Governo, ci fu un soprassalto di dignità da parte di Pannelle e Bonino. Sul Salon Voltaire uscì un consuntivo sfaccettato ma tutto sommato positivo dell’opera dei Radicali dalla fondazione.
Poi, però, con l’entrata al Governo e l’emarginazione di Capezzone che criticava la doppia inazione, di Prodi e dei compagni radicali, capimmo che gli amici di via Torre Argentina non sarebbero più stati quelli d’un tempo. Qualcosa in loro sembrava essersi rotto. Non li avevamo mai visti così "ministeriali". Con la scusa di difendere a tutti i costi Prodi come gli "ultimi giapponesi", obbedienti perinde ac cadaver, si stavano pericolosamente abituando a reprimere la propria radicalità, la propria visione del mondo. E con l’economia italiana in pezzi, la povertà crescente, i privilegi pubblici da abbattere, le riforme e le nuove leggi liberali e radicali che non si fanno, il silenzio dei Radicali è apparso strano. Un tempo erano i comunisti ad accusarli di non occuparsi abbastanza di economia, ora sono i liberali. E se non ci fosse stato Capezzone?
Non bastano il digiuno per la messa al bando della pena capitale nel mondo, il comizio di piazza Navona o le proteste per il Gay pride a Mosca. Non si tratta di ridurre gli amici Radicali, consapevoli di rappresentare un movimento d’opinione molto più vasto della loro rappresentanza numerica in Parlamento, ad un partitino come gli altri. Ma si tratta di convincerli a sporcarsi le mani con la politica e l’amministrazione, cioè con i fatti concreti. Ad essere un partito vero, non solo l’eterno movimento delle petizioni di principio.
Prima con il tavolo trasversale dei "Volonterosi", oggi con le nuova legge capezzoniana che elimina molti impedimenti all’attività economica e aumenta la sfera di libertà del cittadino, l’ex segretario radicale ha mostrato idee chiare e determinazione. Suona da solista? Non è colpa sua se il resto dell’orchestra radicale non gli sta dietro, anzi perde tempo, con tutti i problemi che ci sono in Italia, a criticarlo e metterlo alla berlina. La replica di Capezzone a Pannella è stata nobile, acuminata ma anche moderata: resta nella politica, mentre gli altri stanno alla denigrazione personale.
C'è oggi una dissaffezione totale verso questa Destra e questa Sinistra, poco o nulla liberali, che i Radicali non sembrano poter o voler più rappresentare. Noi che nel 2004, attraverso il quindicinale di Salon Voltaire, che intendeva riunire tutti gli intellettuali e i club liberali, delle più diverse aree e tendenze, vedemmo tra i primi nel geniale Capezzone il possibile alfiere carismatico d’un liberalismo finalmente combattivo e vincente, siamo contenti della sua tenacia e dei suoi futuri progetti liberali. A nome di tutti i Liberali e anche di tanti Radicali lo ringraziamo.

24 maggio, 2007

 

Costi della politica. E perché, i costi della società italiana sono meno pesanti?

Borbottare è il vizio dei deboli. Sì, ma dei deboli un po’ cinici, a quanto pare. Tutti in Italia parlano male dei politici. Molto più che nei Paesi protestanti, e più o meno come in Sud America e nel sud del Mondo, cattolico o no: "Sono corrotti, inefficienti, costano troppo, pensano solo al proprio potere, si oppongono alle riforme". E così via.
Vero, naturalmente. Ma nessuno accenna mai ai "costi della società" in Italia, ben più salati di quelli della politica. Ricordare i dati della sociologia e, peggio, dell’antropologia, non è mai considerato politicamente corretto. Sembra quasi che uno voglia dire: "Che volete farci? E’ la società". Immutabile. Insomma, per non fare nulla. Per bloccare le riforme.
No, al contrario, la lettura è un'altra. I mali non sono soltanto politici in Italia, ma sociali, psicologici e antropologici, insomma radicati nella mentalità e negli usi del popolo. E le necessarissime riforme liberali devono perciò essere fatte in profondità, devono prendere le mosse dall’educazione, cioè dalle radici. Per questo devono essere radicali.
E invece il malcontento può essere addirittura una spia negativa. Vi ricordate i sonetti romaneschi del poeta satirico Trilussa?
Questo lamento continuo del popolo italiano nei caffè, nei salotti, in autobus, su internet, perfino in spiaggia, che nei Paesi anglosassoni avrebbe connotazioni nobilmente etiche, in casa nostra nasconde qualcosa di vile, di ipocrita, di losco. Per almeno due motivi.
Intanto, molti Italiani contraddicono quanto vanno lamentando e fanno a gara - specialmente nelle aree più depresse - per essere eletti deputati, senatori, consiglieri di regioni, province, circoscrizione, comunità montane, Asl ecc. La politica la vedono, cioè, più come una "sistemazione", un impiego di lusso, che come dedizione alla causa comune, come servizio sia pure ben pagato alla comunità. Cioè vogliono far parte proprio della classe dei privilegiati che condannano. Bella coerenza morale. Al paese mio la chiamano "invidia".
Ma il secondo motivo è ancora meno nobile, se possibile. E’ che il grande lamento serve da scusa per l'accidia, la pigrizia, la mancanza di coraggio, insomma il "non fare". L’italiano medio "parla" male della politica anche perché questo lo esime dal "fare" qualcosa di concreto. Come dire: "Che altro debbo fare? Ne sto parlando da sempre!"
Gli Italiani sono coerenti, invece, quando preferiscono in massa i comodi impieghi pubblici (e non più solo al Sud, ormai: l’Italia si è del tutto meridionalizzata, ecco perché si è aggravata la sua decadenza), dove qualunque sia il tuo stipendio, modesto o ricco, dall’uscere al giudice, nessuno ti licenzia, o controlla se lavori o no, quanto produci, in quanto tempo smaltisci una pratica, se risolvi i problemi o no.
Sarà lontano, certo, da quelli dei politici, ma l’impiego pubblico nel suo piccolo è un privilegio del tutto analogo.
Tutti conosciamo professionisti, commercianti e prestatori d’opera che si rifiutano di rilasciare ricevute o evadono le tasse. Ma insospettisce lo strano moralismo sulla classe politica da parte di dirigenti e funzionari dello Stato, professionisti, bottegai, artigiani e industriali, anche perché o non conoscono o non rispettano la concorrenza, e così lucrano in regime di quasi monopolio o rendita di posizione. La conseguenza è che comunque, sia pure in ambiti così disparati, non si permette al cittadino-consumatore di punire il demerito e premiare il merito con le proprie scelte.
Nel loro piccolo, neanche gli Italiani meno fortunati scherzano in quanto a disonestà quotidiana. Non la politica in particolare, dunque, ma l’intera società italiana è così conservatrice, così attenta a tutelare i propri privilegi, che non sembra possibile riformare la prima senza prima purificare e rieducare in profondità la seconda. E avevano visto giusto i liberali della prima Italia unita, e il più illuminato sindaco di Roma, Nathan, a vedere nella scuola il primo motore del rinnovamento morale e civile degli Italiani. Ma oggi la scuola è una struttura che ha perso dignità e scopi primari, e conserva se stessa, cioè i propri impiegati.
Con quale faccia tosta, perciò, l’Homo italicus si permette di criticare le spese di Regioni e Asl, o i costi del Parlamento, quando egli stesso si ritiene uno che "sa vivere", che "sa stare in società", cioè un "furbo", perché abituato ad aggirare divieti, ad infrangere leggi, a raccomandare e a farsi raccomandare in barba al merito? Davvero la moralità in Italia deve tuttora riguardare solo gli altri, magari i nemici, ma mai se stessi, il proprio Partito, la propria famiglia, i parenti, gli amici?
Amici? Molti scrittori anglosassoni e Goethe, teorico dell’amicizia in base alle intellettive e spirituali "affinità elettive", escludono che l’italiano, nonostante che abbia sempre in bocca la parola "amico", sia davvero portato all’amicizia più che all’interesse, cioè a uno scambio di favori.
Si può discutere se tutto questo sia avvenuto per colpa dei levantini della Magna Grecia (la città di Neapolis, Napoli, dove si parlò greco fino all'800 dC, così corrotta che già la Repubblica Romana vi inviò i consoli per moralizzarne la vita pubblica e dirimere le controversie. Altro che "colpe" dei piemontesi, dei Savoia o di Garibaldi, come vanno cianciando i meridionali...), oppure se all'origine ci siano i rais musulmani o i corrotti viceré spagnoli. Ma non per caso l’unica istituzione salda e sicura del sud Italia, la Mafia, aveva come prima denominazione "Società degli Amici".
"Amico" è, anzi deve essere considerata, un brutta parola in Italia. Disprezzate coloro che dicono, parlando di terzi: "E' un amico".

 

Basta con le critiche: diamo soluzioni pratiche. E se comnciassimo a sfoltire?

Ricevo da Gerardo Mazziotti, versatile intellettuale e commentatore del Roma di Napoli, il seguente intervento, pubblicato su quel giornale il 22 maggio scorso. Sono assolutamente d’accordo con le sensatissime proposte pratiche dell’architetto napoletano. Però ritengo che i mali dell’Italia siano molto più profondi di quanto la sua classe amministrativa e politica, per quanto corrotta, lasci immaginare, come scriverò nell’articolo successivo. Ma intanto gustiamoci la proposta di Mazziotti. Come dice quel famoso detto giornalistico sull’uomo che morde il cane? Ammetterete che, con tutti gli sprechi delle Regioni del Sud, dalla Campania alla Sicilia, trovare finalmente un partenopeo che voglia risparmiare non è cosa di tutti i giorni. Perciò teniamocelo stretto.
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"La direzione nazionale dei DS si riunì nel luglio 2005 per censurare i comportamenti di alcune regioni rosse che si erano date a spese pazze con la moltiplicazione delle commissioni, gli aumenti degli stipendi, l’apertura di sedi all’estero e con tanti altri sperperi. Giorgio Napolitano parlò di "questione morale" e Piero Fassino pronunciò una frase lapidaria "non dobbiamo mai dimenticare che il fiume della politica deve scorrere nel letto della morale".
Ma tutto si risolse con la decisione di ridurre del 10 per cento gli stipendi dei politici. Un niente nel mare magnum degli sciali parlamentari, che vanno dai viaggi in treni, navi e aerei agli ingressi in teatri, cinema e stadi, dalla percorrenza delle autostrade all’assistenza sanitaria, e così via.
E per due anni non si parlò più degli scandalosi costi e dei faraonici privilegi della politica italiana.
Fino all’altro ieri, quando i ministri Padoa-Schioppa, Amato e Santagata si sono impegnati a "fare qualcosa" sull’onda emozionale suscitata da un libro di due giornalisti del maggior quotidiano italiano ["La Casta", di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, NdR], che, grazie a una pubblicità che nemmeno a un Premio Nobel e, addirittura, a un articolo di fondo del Corriere della Sera del 20 maggio scorso di Sergio Romano che lo addita come " il ritratto delle anomalie, dei vizi, degli sprechi e della malefatte della politica italiana", sembra essere l’unico libro scritto sui costi della politica italiana.
E così non è. Nel settembre 2005, cioè venti mesi fa, è andato nelle edicole e nelle librerie napoletane (e di qualche altra città) il mio pamphlet "L’assalto alla diligenza", che documenta questi costi scandalosi e li attribuisce a precise disposizioni della nostra Costituzione. Infatti, ha previsto un Parlamento di 630 deputati, 315 senatori, 5 senatori a vita (non esistono in nessun altro paese al mondo), più gli ex Presidenti della Repubblica che, in altri paesi, tornano ad essere cittadini comuni, fuori da ogni responsabilità politica.
A fronte degli USA, 300 milioni di abitanti, che hanno 435 deputati e 100 senatori, della Russia, 150 milioni, che ha 400 deputati alla Duma e 178 componenti il Consiglio Federale, dell’Unione Europea, 27 Stati e 457 milioni di abitanti, che ha un europarlamento di 732 deputati, e a fronte della Cina, un pianeta di 1 miliardo e 300 milioni di abitanti, venti volte l’Italia, che ha un’Assemblea popolare di 2.800 rappresentanti del popolo.
Ma [la Costituzione, NdR] non ha precisato il numero dei ministri, talchè abbiamo avuto i Governi più numerosi del mondo, fino a questo dell’Unione composto da 29 ministri e 74 tra sottosegretari e viceministri, a fronte dei 15 ministri dei governi americano, tedesco e francese. E ha previsto 20 regioni (prima erano 16), 8102 comuni e 103 province, che, a loro volta, hanno partorito 105 municipalità, 365 comunità montane e centinaia di Iacp, Asl, provveditorati, consorzi, autorità di bacino e, sopra tutto, diecine di migliaia di società partecipate.
Un esercito di circa 800mila professionisti della politica e loro clientes che ci costano qualcosa come 50 mld di euro l’anno. Una Finanziaria di lacrime e sangue.
Ed ecco le proposte: Avremmo un paese molto meno costoso e più efficiente, più competitivo e più giusto riducendo a 200 il numero dei parlamentari e a 30 quello dei ministri e sottosegretari, istituendo tre macroregioni, Nord, Centro e Sud (Piemonte e Liguria hanno deciso di unificarsi), abolendo il Cnel, le province, le comunità montane, le municipalità e gli altri enti inutili e, sopra tutto, le società miste. Infine, sottoponendo a una forte cura dimagrante il personale addetto al Quirinale, a palazzo Chigi, al CSM, alla Consulta e alla Corte dei Conti. Il signor D’Alema (all’estero lo chiamano così) ha lanciato un grido d’allarme: "Rischiamo di essere travolti come la Prima Repubblica ". E senza un radicale cambiamento del sistema-Paese lo farà un nuovo Masaniello alla testa di un popolo esasperato e indignato".
GERARDO MAZZIOTTI
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Benissimo, anche se io abolirei anche le Regioni, il peggior male dell’Italia contemporanea. Non mi è piaciuto quell’inquietante accenno a Masaniello. Anche perché si sa, poi, che fine fanno i Masaniello.
Ora ci manca di trovare un siciliano che scriva contro le spese pazze della Regione Sicilia, e anzi contro l’assurdo e immorale privilegio delle "regioni a statuto speciale", e avremo trovato due persone che mordono due cani. Veramente, il secondo cane c’è già, è anche grosso e costoso: manca solo il volontario che lo morda. Temiamo che sarà difficile da trovare…
A proposito, proprio su questo punto, sulla crisi non più solo politica e amministrativa dell’Italia, ma sui "costi" ormai insopportabili della stessa società italiana, si legga il prossimo articolo.

19 maggio, 2007

 

Il socialismo è morto? Bene, lo facciamo rivivere dentro la Rosa nel Pugno.

Sentite questo "ragionamento" e ditemi se vi sembra non solo laico, ma loico, come uno s’immagina che debbano essere i discorsi dei Radicali:
"Caro Boselli, hai visto a piazza S. Giovanni e sulla stampa quanto sono potenti i clericali, e che nessuna risposta laica può venire da Destra e Sinistra, neanche dal futuro Partito Democratico. Ma hai visto anche che bel successo "di nicchia" ha avuto il logo "Rosa nel Pugno" a piazzetta Navona-sud? In quell’occasione eravamo uniti e pubblicitariamente ben visibili, almeno dai turisti che passavano di lì. Dunque, perché non unifichi i socialisti dentro la Rosa nel Pugno? In fondo, quel simbolo - sì, proprio il marchio - è nato nell'area del socialismo europeo, grazie a Mitterrand, e noi oggi invochiamo la Trinità Blair-Fortuna-Zapatero. Tutto torna, no?"
L’estensore dell’appello, apparso sul Riformista di ieri, quel Bandinelli che scrive sul Foglio di argomenti spirituali, talvolta biblici, in cui non si capisce mai quel che voglia dire (e per questo piacciono molto al narcisista snob Ferrara e alla clerico-femminista Tiliacos), ma sì, quello che una volta fu capace di elogiare l’intensa religiosità di Pannella erede del cattolico-nonviolento-vegetariano Capitini, non rende davvero un buon servizio agli amici Radicali.
Primo, perché non sta bene svelare, così, su due piedi, che quello che interessa in fondo è solo che il "marchio" di fabbrica vada in giro. E chi se ne frega delle idee, delle ideologie. Ah, già, il Nostro si esercitò di recente anche nell’esercizio di dimostrare che ormai i Radicali sono finiti: c’è solo il sol dell’avvenire, il Socialismo unificato. Da chi? Dai Radicali, of course. Sempre in mezzo. Purché se ne parli.
Secondo, è da poco intelligenti non capire che il Socialismo è morto e sepolto insieme al Comunismo. Resta per l’ordinaria amministrazione solo il simbolo, la parola, ma soltanto per i gonzi che ci credono ancora.
Ma allora, il buon Boselli, il bravo Blair, il coraggioso Zapatero? Liberali, liberali puri, al massimo liberali di sinistra. Dicono e fanno tutti cose che potrebbe approvare un Segretario o un consigliere nazionale del PLI. Dunque non sono socialisti.
Quindi, è inutile, anzi retrò, continuare a prospettare, sotto il "logo" commerciale RnP, come fa l’ineffabile Bandinelli, il vecchissimo, anzi morto e sputtanato nome socialista, nel solito grande calderone del tutto e niente, la solita cantilena degli ossimori: radicale, socialista, liberale, liberista, libertario… Anche cattolico. A proposito, tra i Radicali - ai tempi dell'onorevole suor Marisa Galli zeppi di cattolici di sinistra - è vietato sparlare dei Cattolici: lo abbiamo fatto noi alla Radio Radicale nei primi anni 80: ci hanno spento il microfono in diretta. E perché, poi, non anche fascista e comunista? Anzi, il Grande Marco lo ripete sempre: grazie a quei fascisti che disobbedendo ad Almirante votarono "no" all’abrogazione del divorzio ritrovandosi poi a piazza Navona coi Radicali. E grazie ai comunisti che, contro le ambiguità del PCI, stile Carettoni, votarono in massa "no" e riempirono le strade il 14 maggio 1974. Chiaro, no?
Perché il vero obiettivo dei Radicali sarebbe un metapartito, un non-partito, un partito trasversale? E’ qui l’errore: poteva andar bene negli anni Settanta, ma oggi, in un’Italia trasformista, tutti i partiti sono ormai trasversali. Perciò i Radicali nessuno li nota, non fanno più notizia.
All’opposto, i Radicali devono imparare a diventare davvero Liberali, addirittura il vero PLI, e porsi alla testa di tutti i Liberali italiani. Certo, ci vorrebbe - come dire - un certo turn-over del personale politico interno, allevato a pane e fanatismo, un cambio di marcia, una maggiore coerenza ideale, meno pubblicità per la pubblicità, meno dipendenza da giornali e tv, meno categorie protette di nicchia e "minoranze sindacalizzate" (un tempo anche divorzisti, abortisti e femministe, oggi carcerati, tossicodipendenti, gay, fecondati, perfino esperantisti) e più diritti di tutti, meno digiuni e più sostanza, meno scelte avventate, più raffinatezza nelle analisi (per esempio, l’economia e l’ecologia spesso confliggono: occorre vedere le cose da entrambi i punti di vista), e così via.
Ma certo, in questa ricerca di nuovi diritti e nuove libertà, è il Liberalismo la stella polare dei Radicali, non certo il Socialismo, anche se dovrebbe essere carismaticamente unificato - secondo Bandinelli - dalla leadership pubblicitaria del Marco, anzi del "marchio" di via Torre Argentina. Che sarebbe come chiedere, nella consueta megalomania, che i Socialisti, sia pure defunti, si riunifichino dentro i Radicali, che sono vivi. Due cose vere, sia chiaro.
Lo sappiamo, Pannella non ama le idee e le ideologie, e in cuor suo - possiamo capirlo - disprezza i Liberali italiani, famosi per la mollezza e l’inattività. Ma non li capisce neanche: per lui e per i Radicali il Liberalismo è solo il Liberismo e il Mercato. Ma il "sociale", la "giustizia", i "diritti civili" stanno da un’altra parte. Insomma, il grosso del Liberalismo - i diritti, le libertà - secondo questa vulgata dura a morire, sarebbe appannaggio dei Radicali.
E invece no, non è assolutamente vero. Pannella non guardi a certi finti-liberali, in realtà conservatori, nascosti nella Casa delle libertà. Il Liberalismo sa essere, è sempre stato, progressista, attento alle novità, difensore e propugnatore soprattutto dei diritti, delle libertà vecchie e nuove. Altro che solo mercato.
E’ questo un altro motivo per cui il disegno neo-socialista, ora che il socialismo è morto e sepolto, ma i suoi eredi si ostinano a conservarne il nome anziché iscriversi in massa - per dire - al PLI, appare oggi una politica grottescamente ottocentesca, una sciocchezza.
Che lo capiscano o no i tanti Grandi Vecchi radicali.
Grandi vecchi? Non sappiamo se l’autore dell’appello che abbiamo sintetizzato sia davvero un Grande Vecchio radicale. Grande non di certo, radicale non sappiamo, vecchio sicuramente.

12 maggio, 2007

 

Coraggio Laico. Il 12 maggio dei tanti Renzo, Fra’ Cristoforo e don Abbondio

Il Risorgimento italiano fu fatto quasi integralmente da valorosi cattolici liberali. Il cattolicissimo generale Cadorna, scelto apposta perché era un mezzo clericale e avrebbe garantito rispetto al Papa e prevenuto ogni eccesso, prima di bombardare le mura di Roma a Porta Pia, sentì messa al Quartier generale. E questo lo rende ancora più nobile ai nostri occhi, perché capace nonostante le proprie idee di distinguere tra sfera privata e pubblica. Così sono (anzi, erano) i veri liberali.
E non parliamo dei capi dei cattolici italiani. Non sono più quelli dignitosi ed eroici d'un tempo. Ora fanno concorrenza all’Islam in fanatismo, prepotenza e integralismo. Vogliono imporre agli altri il loro credo, sotto forma di divieti e di leggi. Il patto "Libera Chiesa in libero Stato" per loro non esiste, non deve esistere. Sono ritornati al Sillabo. Da liberali a conservatori, ed ora da conservatori a reazionari.
Attraverso vescovi e parroci, quasi per una rivincita da esercito della Santa Fede, la Chiesa ha indetto proprio il 12 maggio, storica ricorrenza del divorzio (12 maggio 1974), una polemica grande adunata revanchista del Family Day, nella piazza romana di S. Giovanni. Dove i sindacati il I maggio sono soliti radunare per un banale concertone dagli oscuri risvolti commerciali quasi un milione di persone. E infatti, guarda caso, a coordinare il Family Day, oltre alla ex-radicale e femminista Eugenia Roccella, diventata l’ideologa d’un "familismo" di destra tutto ideologico e politico (il padre Franco, fondatore del Partito Radicale, si rivolta nella tomba), è stato il sindacalista Pezzotta.
Visto che i sedicenti "laicisti", nonostante gli schiaffi ricevuti, non si muovevano, una risposta di dignità e di orgoglio è stata quella di Emma Bonino, poco più d’un mese fa: celebrare in risposta al clericalismo e all’integralismo cattolico ormai dominanti in Italia il 33.o anniversario della vittoria nel referendum del divorzio
Perciò, non sono stati i Radicali a iniziare le "ostilità", lo ripetiamo ad uso dei non pochi "laicisti" incerti e pusillanimi, ma la Chiesa cattolica, e in modo provocatorio.
''Mi auguro - aveva detto la Bonino riferendosi a piazza Navona - che a questa giornata partecipino tutti coloro che non si rassegnano a vedersi scippato il 12 maggio''. ''Non c'e' alcuna ragione - sottolinea Pannella - perche' molti degli sconfitti di allora abbiano scelto quel giorno. Se non per celebrare la rivincita''.
Quel che è certo, sintetizziamo, è che due piazze si fronteggiano: una invoca la Controriforma, l’altra le Riforme. Perciò non capiamo quei "liberali" che si astengono. Che siano davvero meno intelligenti degli altri?
Ora, però, quasi per contrapporlo allo slogan populistico e piccolo-borghese della "famiglia" (e quale "famiglia", visto che è in crisi da decenni, che non si fanno più figli, e che la convivenza è diventata il matrimonio normale?), il rischio è che per contrapporsi alle intenzioni reazionarie - la realtà per fortuna sarà più soft - di piazza S. Giovanni, si appiattisca il raduno di piazza Navona alla mera proposta di legge, molto mediocre, sul riconoscimento delle famiglie "alternative", le 500mila coppie di fatto, e i "Dico". Come se la famiglia "normale" fosse a S. Giovanni, la famiglia "diversa" a piazza Navona. Ce n'è per tutti i gusti: questo parrebbe offrire il super-market.
No, vorrebbe dire rendere meschina, piccola, effimera, la contrapposizione. Sarebbe un errore metodologico e politico. I generosi amici Radicali non hanno tenuto conto delle semplificazioni della stampa, e anche dell’impeto ingenuo dei militanti delle associazioni collaterali, che rischiano di ridurre l’area di attenzione dal grande tema dello Stato laico al piccolo cabotaggio d’una mediocre leggina, che lascia il tempo che trova.
Guai se li colpevolizzassi, i Radicali, sia chiaro, loro che eroicamente sono gli unici a muoversi a nome di tutti i liberali, alcuni dei quali così infingardi e ambigui che don Abbondio al confronto era un campione di coraggio e risolutezza. Ma, insomma, la ricorrenza era nata per motivi più nobili, generali ed eterni, non per promuovere una piccola e caduca iniziativa d’attualità parlamentare. Era nata - e come tale avrebbe potuto attirare quasi tutti - per dichiarare alta e forte la laicità dello Stato in tutti i campi, in qualunque modo affermata. Certo, i vecchi e nuovi diritti di libertà, compresi i diritti delle 500mila coppie di fatto, beninteso, ma anche il problema del Concordato, l’Otto per mille, l’insegnamento religioso, l’ingerenza della Chiesa sui Partiti, e cento altri temi. E conoscendo i Radicali, quello "alto" resta il loro vero intendimento. Solo che è mancata la comunicazione. Gli uffici stampa di gruppi, giornali e tv interessati a distorcere o a "fare notizia", hanno sbagliato, e così è passato soprattutto il colorito particolare dei "Dico". Il gusto dell'élite, della minoranza illuminata.
No, il divorzio vinse perché l'élite si era fatta maggioranza nel Paese.
Con la conseguenza che piazza Navona appare un’alternativa minoritaria ed esistenziale (da maggioritaria che è) a piazza S. Giovanni, e da adunata largamente condivisa nel Paese, come dimostrano le decine di indagini demoscopiche anche tra i cattolici di base, può diventare - e lo si è visto già dal tipo di adesioni - sembra solo una "piazza libertaria" in stile vintage Anni Settanta, con i gruppuscoli radicali, molti socialisti, liberali e repubblicani (da Carla Martino a Nucara), e un po’ di frange ultra-sinistre fuori della Storia, che ora si riabilitano con un obiettivo giusto.
Mancano i due inquietanti corpaccioni della politica italiana, i Ds e FI, vistosamente assenti nonostante 1 (un) abusivo rappresentante ciascuno, peraltro in odore di eresia (Grillini e Rivolta).
Troppo poco. Ma nulla si può imputare alla brava segretaria dei radicali, Rita Bernardini, che si è dannata l'anima perché ci fossero tutti. E’ andata così. Dignitosamente ma senza i consensi plebiscitari di 33 anni fa. D'altra parte, non si può cavare succo d’ananas dalle rape, non si può fare dei liberali di base, che pure dovrebbero essere oltre il 30 per cento della popolazione elettorale, un’armata coraggiosa e politicamente impegnata. E’ il dannato "voto d’opinione" che ammazza il liberalismo in Italia. E il dividere il capello in quattro, il passatempo masturbatorio preferito da certi liberali, è solo un alibi per il non fare.
Resta, come manifesto vero della manifestazione del Coraggio laico, il principio fondamentale dei liberali, come ebbe a ripetere Malagodi a piazza del Popolo alla vigilia del referendum sul divorzio, 33 anni fa: "Lo Stato italiano deve mantenersi integro e autonomo, libero da ogni integralismo e totalitarismo, e deve riaffermare il principio di Cavour: Stato e Chiesa sono indipendenti e sovrani ciascuno nel suo ordine". In caso contrario, rincalzò La Malfa, "l'Italia rimane l'eterno Paese della Controriforma, del Sillabo di Pio IX, la pecora nera fra le stesse nazioni cattoliche. E si allontana dall’Europa".
Mai come il 12 maggio, glorioso anniversario della più bella vittoria laica della Repubblica italiana, la contrapposizione tra due piazze reali, una con la Controriforma e l’altra con la Riforma, mette in luce una terza piazza virtuale, quella dei molti che non partecipano né all’una né all’altra continuando ad esercitarsi nel deprecabile vizio solitario della "tricotesserotomia", l’arte cinese di dividere un capello in quattro. Tra di essi molti cattolici, ma anche molti sedicenti "laici e liberali". E certo, tra di loro non ci sono statisticamente i migliori, né moralmente né politicamente. A Porta Pia, per dire, si sarebbero ritirati. D’altra parte, la Storia la fanno gli attori, non gli spettatori.
E così, lo spettacolo che va in scena è quello che è. Vi si possono riconoscere alcuni impetuosi Renzo Tramaglino, d'animo nobile e coraggioso, incuranti del rischio (gli amici Radicali), che non hanno calcolato che restringere il tema della laicità dello Stato riducendolo ad una piccola battaglia d’attualità porta a ridurre la base laica comune. Ci sono poi molti ambigui Don Abbondio, ovvero i finto-liberali e falsi "laici" di Destra e Sinistra (Ds, FI ecc). E vediamo anche le brutte copie di Frà Cristoforo (che nel fervore missionario hanno radunato a migliaia coi pullman delle Diocesi, vitto compreso, la gente qualunque, il popolo della provincia), convinte di essere i Possessori Unici della Verità, ma che a differenza del pietoso monaco manzoniano, fanno di tutto per misconoscere la verità degli altri. E attraverso di loro, la Chiesa chiede libertà per sé, ma la nega agli altri; parla, anzi straparla, ma non fa parlare gli altri. E chi parla, come ai tempi di Pio IX, è un "masnadiero", un "terrorista".
Manca solo l'Innominato. O no?
No, c'è anche quello.

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