18 novembre, 2005
18. Newsletter del 20 dicembre 2004
Salon Voltaire
IL GIORNALE PARLATO LIBERALE
LETTERA DEL SALOTTO VOLTAIRE
QUINDICINALE LIBERALE DI ATTUALITÀ, POLITICA, SCIENZA, CULTURA E COSTUME
Lettera n.18 - 20 dicembre 2004
SPECIALE FESTIVITA’ - ANTOLOGIA
"Stress, ipertensione, colesterolo alto? Partecipa a un salotto liberale.
L’unico in cui il sedentarismo fa bene e stimola il cuore"
CARDIOLOGO ANONIMO
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Sommario:
GESU' PRIMO MILITANTE DI HAMAS. Più asinello che bue
LETTOMATICA. Computer rosa è tutta un'altra cosa
NE AMMAZZA PIU' IL SORRISO. Voltaire contro i fanatici
ZIO BUSH AIUTACI TU. Esportare la democrazia ad Acerra
POLITICA ITALIANA. Idee? No, meglio screditare il nemico
SUPERSTIZIONI. Donne nude tra padre Pio e Croce (Benedetto)
SE C'E' DI MEZZO UN PASCIA'. Che partito liberale d'Egitto
SOFRI, SILENZIO IMPROVVISO. Libero, mezzo libero, così così
LIBERALI A META'. Ma cattolici interi. Anzi, "neo-con"
ANEDDOTI. Quando Bassolino si laureò al Quirinale
CAPITALISMO ALL'ITALIANA. Né leoni, né lupi. Solo Agnelli
CONTRADDIZIONI APPARENTI. Caccia no, cuccia no, cacca sì
TURCHIA E CAVILLI DI TROIA. Se i politici giocano a risiko
AL QAEDA E LE COMPAGNE. Ma che bel rapimento
VITA DA RE AFRICANI. La sfilata delle ragazze in topless
NUOVE MODE IN TEMPI DI CRISI. Eccoci all'anno III d.T.
SCIENZA INSOLITA. Morire dal ridere o vivere piangendo?
BIGNAMI DI STORIA. Vera cronologia di Israele e Palestina
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GESÙ, PRIMO MILITANTE DI HAMAS
Un piccolo palestinese tra bue e asinello (più asinello che bue)
Come molti ignorano, Israele era lì dov’è adesso già alcune migliaia di anni fa, e il termine amministrativo Palestina fu una invenzione dei Romani al tempo della loro dominazione. Naturale che a qualche intellettuale la voluta confusione dei termini da parte dei tanti antisionisti e antisemiti bruci non poco, com’è successo al grande matematico Giorgio Israel dell’Università "La Sapienza" di Roma. Nei giorni di Natale, ha lamentato lo scienziato, in un articolo dal titolo "Un forestiero per le strade", c’è stato chi si è chiesto che cosa abbia a che fare Babbo Natale "con la nascita di un bambino palestinese, nato in una stalla di pastori. Che a qualcuno dia fastidio scrivere che quel bambino era ebreo (e non palestinese, ammesso che quella terminologia abbia senso per quell’epoca) è evidente, perché poche righe dopo parla di "neonato meridionale". Qualsiasi aggettivo, insomma, anche il più anacronistico e ridicolo, pur di non dire la verità, cioè che Gesù era un bambino di Israele, ebreo. Sarebbe interessante – concludeva Giorgio Israel - esplorare attraverso quali meccanismi una persona intelligente può arrivare a calpestare la verità e a sfidare a tal punto il senso del ridicolo. (Sara Veroli, commessa da Tagliacozzo)
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NE AMMAZZA PIU’ IL SORRISO DELL’INVETTIVA
Contro i fanatici l’arma del divertimento
Islamismo terrorista, politica settaria, intolleranza, scienza boicottata, fanatismo, attacchi al liberalismo da parte delle chiese, crisi economica? Come si fa a sorridere di questi tempi? A tirare elegantemente di fioretto, anziché calare giù pesanti fendenti di spadone? Come "Salon Voltaire" ci proveremo. Ma se dovessimo sembrarvi qualche volta troppo duri o acidi, o qualche volta troppo futili, cercate di capire: non è tutta colpa nostra. "E’ che i tempi si sono fatti difficili, sciura Maria".
Cari amici, non potrete negare che un refolo del fondamentalismo che si respira nel mondo è arrivato pure da noi. Inutile appellarci alla geografia. Siamo lontani dalle pazzie del mondo arabo e orientale, eppure la "guerra dei vigliacchi", il terrorismo, ci tocca da vicino. E poi del tutto savi gli Italiani non sono. Ogni due famiglie, in media, si conta un disturbo mentale (dati Istituto Superiore della Sanità, 2003). E le idee, è notorio, più sono balorde più viaggiano veloci, basta vedere le sciocchezze metropolitane dei siti e news group di Internet. E poi siamo purtroppo vicini, troppo vicini, al colle Vaticano, da cui sono partiti negli ultimi tempi molti piccioni viaggiatori diretti al Parlamento con un messaggio preciso: con la scusa dell’identità cristiana attaccata dall’Islam, eliminare dalla legislazione quelle due o tre cosette un po’ liberali ancora esistenti.
Insomma, tutti noi liberali, dai credenti agli atei, cominciamo sul serio a temere di dover convivere vita natural durante con due generi di agitatori anti-liberali in tonaca. Da una parte un migliaio di terroristi islamici che viaggiano per il mondo, a cui i libri offerti dall’Unione Europea hanno insegnato che Israele e Stati Uniti sono il diavolo e che gli Europei sono dei deboli da sopraffare facilmente, perché – poveri scemi – fanno entrare chiunque e usano liberalismo e democrazia. Dall’altra, un migliaio di preti che contano, che anziché pigliarsela coi terroristi islamici (ché tanto, si sa, tra cani non si mordono), se la prendono coi liberali. E già hanno fatto prigionieri illustri, tra i laici. Facendo notare giustamente che "laico" è un termine della Chiesa, mentre "laicista" è dei giacobini, degli illuministi cattivi e mangia-preti.
Per questo è nato il "Salon Voltaire". Perché sappiamo che chi è severo ride più di chi non lo è (vedi Catone e G.B.Shaw), e perché riteniamo che la libertà, la razionalità, la tolleranza (che non è neutralità, anzi), e le conseguenti concrete scelte liberali, siano valori per tutti, non solo per i liberali per antonomasia. E sono valori troppo alti per la civiltà perché li si possa perdere senza combattere duramente. Con tutti i mezzi, anche con un po' d'humour. (François-Marie Arouet)
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LETTOMATICA
Computer rosa è tutta un’altra cosa
Le donne italiane, risulta da un’indagine europea, sono le più lontane dal mondo dei computer e della tecnologia informatica. Un sondaggio le dà ultime in classifica nell’uso di internet in Europa. Le liberali italiane, poi, dimenticando che il liberalismo è sempre stato all’avanguardia tecnologica, sono ancora più refrattarie. Dagli abbellimenti inventati per il suo schermo dalla mia amica Barbara, farmacista in Toscana, ritengo che siano maturi ormai i tempi per mettere vezzose tendine anche ai monitor dei computer, come si faceva negli anni 50 con i televisori, a quanto testimoniano vecchie foto. C’è qualche ditta del Varesotto che vuole raccogliere la dritta? Suggerisco un "kit per la segretaria up-to-date", comprendente una tendina a scorrimento, molto carina, a fiori. Con il suo disco di installazione, of course. In effetti, lo schermo è così antiestetico, quando è spento. E poi tutte quelle parole astruse, e per di più in inglese. E’ normale, perciò, che un termine venga interpretato in modo fantasioso da qualche procace fanciulla. Una conferma l’ho avuta una settimana fa, e non in un villaggio sperduto ma in piena Milano: la cassiera del discount di Lambrate con cui sono uscito una sera mi ha proposto di fare del "sesso hardware". (L’attendente di Vittorio Emanuele II ).
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NAPOLI E IL SUD D’ITALIA: L’IRAQ IN CASA
Esportare la democrazia. Dove? Ad Acerra
Zio Bush, aiutaci tu. Per caso ti avanzano delle bombe "intelligenti"? Anche arrugginite vanno bene. Tanto, sai, là ad Acerra (near Naples, do you know?), come dice il sindaco, tutto è degradato. Se anche gliele mandi nuove, nel viaggio tra Caserta e Salerno si ossidano. Come le devi armare? Be’, non metterci i soliti esplosivi, ché tanto i napoletani sono maestri, già usano i loro. Mettici invece un software intelligente. Ma guarda che sono "capatosta" e cavillosi. Ogni tre contadini hanno un avvocato. Per convincerli, le bombe devono essere molto intelligenti. Per esempio devono spiegare che tutte le città civili hanno i depuratori, e che questi inquinano meno delle loro automobili (sapessi, zio Bush, quante grosse auto hanno i napoletani, sembrano i vostri pick-up, do you know?). Ah, dimenticavo: nelle bombe mettici anche un software di psicologia da Terzo Mondo, perché se no molti da quelle parti pensano che più producono rifiuti e gettano immondizie per strada, più vuol dire che sono diventati ricchi ed "evoluti". Grazie di tutto, come sempre, zio Bush. (La badante russa di Cossiga)
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LOTTA POLITICA ALL’ITALIANA
Idee? Macché, meglio screditare l’avversario
Da liberali, di destra o di sinistra che si possa essere, ma che sempre facciamo cultura e politica con le idee, proprio non possiamo digerire questo barbaro modo di fare che oggi vige nella lotta politica in Italia: sputtanare l’odiato avversario, ridicolizzarlo, metterne in luce la goffaggine, i punti deboli del carattere e anche le "papere". Se poi è basso (Berlusconi) o magro e allampanato (Fassino), o quasi belloccio (Rutelli, bè lo era…), o ha i baffetti a spazzola da barbiere meridionale (D’Alema), lo si dice subito chiaramente, ad inizio articolo, come se fosse un insulto. Figuriamoci poi se ha un italiano contorto (Di Pietro, ha proposito, che fine ha fatto? non doveva essere Presidente del Consiglio?), o porta la parrucca, ha i denti finti ecc. E allora, mi chiedo, che avremmo dovuto fare nella Prima Repubblica col povero Lupis, buttarlo giù dalla Rupe Tarpea? Sabina Guzzanti - ricordate? - in piena diretta televisiva su La 7 bollò l’odiato Ferrara con un "grassone". Epiteto che fece aumentare di colpo il bravo direttore del Foglio di altri 20 chili. (Camillo Benso di Latour)
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SUPERSTIZIONI VECCHIE E NUOVE
Donne nude addio, le batte Padre Pio
E chi li trova più i camionisti d’una volta, grandi raccontatori di barzellette sconce e "galleristi" di foto di donne nude. Tempi andati. Oggi perfino loro, viaggiatori internazionali, bon vivants e conoscitori del mondo autostradale, appendono sempre più spesso in cabina immagini religiose e votive (primo con distacco: Padre Pio), come gli automobilisti di provincia più superstiziosi. Roba da far cadere le braccia. Eppure lo ha accertato un’inchiesta demoscopica dell’Istituto "Donne e qualità della vita" coordinato dalla psicologa Serenella Salomoni e condotto su un campione di 1.000 sui 3.317.600 autotrasportatori italiani. Dalla ricerca emerge che i simboli religiosi (adesivi, spille, rosari) sono usati dal 76% degli intervistati, mentre solo il 35% ammette di appendere in cabina calendari erotici o pornografici. Ma il 38% appare più raffinato e preferisce attaccare foto di donne eleganti e "di classe" che si presentano belle e altere. Pochissimi (18 %) espongono la foto della moglie o dei figli.
Una volta chiesi a un camionista se non "si stufava" a vedere sempre la stessa donna nuda. Domanda da adolescente, ma ineccepibile dal punto di vista antropologico, essendo stata provata dai ricercatori come "innata" la tendenza del maschio a cambiare spesso partner, in questo caso "virtuale". Mi rispose così: "E chi le guarda… Sono lì come scaccia-guai". Scoprii allora una cosa che non avevo mai immaginato, che tutte le foto "da cabina", da quelle sportive a quelle turistiche ("Saluti da Gabicce mare"), foto porno, erotiche e religiose, sono accomunate da una singolare funzione segreta: sono dei portafortuna, difendono dal "malocchio", proteggono dagli incidenti stradali, evitano le disavventure amorose. Proprio come le famose statuette maschili "itifalliche" (cioè dai membri esagerati), le "Veneri steatopigie" (dai glutei enormi) o le Grandi Madri dalle mammelle giganti e dalle vulve promettenti fertilità, che per i nostri progenitori avevano - dicono gli antopologi - un valore apotropaico e beneaugurante.
Se, perciò, vediamo dondolare in un’auto un dolente Padre Pio o un bellissimo Gesù Cristo biondo con fattezze da hippy svedese degli anni ’70 anche se doveva essere – ammesso e non concesso che sia mai esistito – un medio-orientale bruno, bassino e dalla pelle olivastra, dobbiamo pensare ad un caso di superstizione popolare. Lo avevano già capito i primi Riformatori, che proprio sull’eccesso di immaginette sacre fino al "feticismo pagano", e alle relative indulgenze della Chiesa di Roma, fondarono il primo scontro con i papi da cui nacquero le chiese protestanti. Nientemeno.
Piuttosto, saremmo incalliti razionalisti, ma non si capisce quale sia la portata utile "scientificamente" rilevabile di questi oggetti taumaturgici. A meno di un metro (p. es. sul monitor del computer, sul cruscotto)?, entro tre metri (parete di fronte, soffitto, finestrino)? Non si sa. Si sa solo che "devono essere "vicine"), come asseriscono anziani esperti napoletani dei vicoli dietro via Roma, "cultori della materia" perfino per i tribunali, diplomati a furor di popolo in "anti-jella". Se invece, aggiungono, l’immagine resta nell’edicola di giornali all’angolo o peggio nella più lontana chiesa, non fa effetto.
Se è così, sapete che vi dico? Come Benedetto Croce, che vergognandosi con i suoi allievi, da razionalista e non credente, del secondo dei suoi peccati (il primo era che fumava) pronunciò la celebre battuta con cui tentava di giustificare la propria incongruente superstizione: "Non è vero, ma ci credo". A questo punto, forte del sostegno dei nostri maitres à penser, riattacco subito al monitor del pc la foto di Letitia Casta senza costume che all’inizio dell’articolo, per coerenza, avevo staccato. Meglio della Ferilli è sicuramente. A scopo apotropaico, tie’. (Il barista di via di Porta Vigentina)
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LA NIPOTE D’UN PASCIA’
Ma che partito liberale d’Egitto…
Solo un "mona" - ripete sempre l’amico Franzin, un padovano che fa il barista a Porta Vigentina - potrebbe pretendere la libertà in un paese arabo. Ma lui è un noto pessimista e anti-Islam. Noi invece siamo ottimisti, almeno sulla volontà (perché poi la ragione…), e quindi vediamo con curiosità e favore il coraggioso tentativo di Mona Makram-Ebeid, un’intelligente signora nipote d’un pascià, deputata e professore di scienze politiche all’American University del Cairo, che - ci consenta un po’ di goliardia - col suo nome sta facendo avverare la profezia popolaresca di quel pirla di Franzin. Sta per presiedere infatti il neonato "Partito del domani" (Hizb al Ghad), un vero partito liberale, che ha già 2.000 iscritti. Libero mercato, democrazia, maggior potere alle donne, libertà d’espressione, armonia religiosa, diritti umani e Stato di diritto, ecco il programma, direi da manuale liberale. Non è che il blitz di quella virago della Bonino, che ha casa al Cairo e parlicchia l’arabo, a forza di rompere le scatole agli egiziani, è riuscito a dare coraggio a qualche loro esponente femminile? Vedremo se ne verrà fuori davvero un "partito liberale d’Egitto". (Sir Lawrence Da Rabbia)
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GRAZIA A SOFRI. ECCO PERCHE’ NON SE NE PARLA PIU’
Libero, mezzo libero o così così?
Grazia sì, grazia no? Graziosi "graziani" contro punitivi sgraziati. Cattolici "perdonisti generalisti", contro comunisti "perdonisti specializzati" o di parte (solo carcerati di sinistra, per esempio, meglio se biondo e con gli occhi azzurri). Vecchi marpioni dalla coda di paglia contro idealisti ingenui, ex lanciatori di molotov marxisti accanto a ex bombaroli di estrema destra, cigli umidi contro cigli asciutti. Ma su tutti domina, stendendo il mantello della sua ironica intelligenza e tolleranza "liberal", la potente lobby di amici, ex soci ed ex giornalisti di Lotta Continua. Purtroppo noi a quei tempi eravamo già liberali. Che sfiga. Me lo rammenta sempre mia madre, che occasione che abbiamo perso. Sarà, ma me lo ricordo bene Lotta Continua: era un giornale mal scritto e mal stampato, troppo inchiostrato. Mi querelano se dico che sporcava le mani? Anche per questo, come potevo scrivervi? Eppure oggi anche mia zia se ne esce con un "Ma come scrivono bene quei Mughini e Lerner lì" "Peccato che siano così brutti" ha aggiunto mia madre dopo cena. La poveretta non sa quante donne strafighe ci hanno quei bruttoni lì. Beati loro. Insomma ‘sta fama dei brutti-intelligenti sta aiutando parecchio il povero Sofri. Che, ammettiamolo, se fosse stato di Ordine Nuovo starebbe ancora nel braccio della morte, altro che commentatore, editorialista e commentatore ben pagato. E io che non avevo capito niente nel 68 e nel 77, e stavo dall’altra parte a scribacchiare di Einaudi e Gobetti, di ombundsman e di prestito d’onore. Che pirla.
E, a proposito, dorme ancora in carcere, ufficialmente, anche l’ex ministro Di Lorenzo, che non ha ucciso né spinto ad uccidere nessuno. Gode del regime di "semi-libertà" e si occupa da medico di tossicodipendenti. "Prendi esempio: anche lui s’è dovuto buttà sur sociale", ha commentato un’amica dei famigerati Centri Sociali romani, con cui esco quando voglio ascoltare jazz e discutere al calor rosso di, diciamo così, politica. Ma chi se ne frega di Di Lorenzo, tanto è liberale.
Sulla forma, certo, solo Pannella è coerente. Lui e i radicali si occupano dei carcerati da decenni. Come un sindacato. E per loro tutti i carcerati sono uguali. E sembra quasi che Pannella la grazia la chieda…per Ciampi, non per Sofri. Giusto dare alla vicenda un taglio istituzionale: se la grazia è prerogativa del capo dello Stato, che sia lui a darla. In fondo è un residuo dell’epoca monarchica.
Sul merito, se cioè concederla o no a Sofri, i liberali possono avere (e infatti hanno) idee contrapposte. Da una parte la certezza della pena e del diritto, che in Italia è una richiesta liberale da decenni, compresa l’uguaglianza di trattamento tra casi analoghi. Quanti sono i carcerati messi dentro per motivi ancor più evanescenti di Sofri, mafiosi compresi? Dall’altra parte, il fine di rieducazione della pena, che sembra largamente ottenuto come prova la strabiliante maturazione di Sofri come uomo. Senza contare, poi, la sentenza. Che cioè pene così severe si danno solo a chi è coinvolto materialmente e con prove certe, non ad una specie di "mandante morale" o ideologico. I cattivi maestri, per quanto cattivi e ottusi siano stati, sono solo maestri e istigatori. E se Sofri è stato un vero mandante materiale – cosa che alcuni di noi ritengono ricordando la violenza stupida di quegli anni - allora si tirino fuori le prove. Senza prove, niente pena, please. (La figlia cleptomane di Beccaria)
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LIBERALI A META’. MA CATTOLICI INTERI
Buttiglione. Mezzo vuoto e mezzo pieno
"Ti dico che gli occhi erano ancora aperti. Ti sbagli, erano chiusi". Le terribili tricoteuses continuano a sferruzzare alzando ogni tanto lo sguardo avido sullo spettacolo cruento della mannaia di monsieur de Guillotin. Solo che stavolta il palco delle esecuzioni sta una settimana a Bruxelles e un’altra a Roma. E fra le vittime, alla fine, c’è anche il carnefice. Perfino un Catone, ma non è il Censore, sale il patibolo. Sangue? Poca roba, qualche stilla appena. Forse salsa di pomodoro. Tra le molte teste rotolate nel paniere, quelle ben lisciate dai coiffeur alla moda di qualche "neo-conv" (neo-convertito). Poco male: erano solo liberali opportunisti, all’acqua di rose. "Caduto nella trappola mediatica", si leggerà all’indomani nel necrologio. Manco fosse il Vietnam o l’Amba Alagi. Qualche intossicato lieve, piuttosto, si è avuto tra i molti "neo-con" (ma nel senso di "nuovi coglioni", in francese) che per sbaglio avevano bevuto l’acqua santa. Pensando all’anima - kantiana o no - credevano che fosse "per uso interno", si sono giustificati al pronto soccorso. Prima di bere, leggere bene l’etichetta. E poi, si sa, ogni Buttiglione dà l’acqua che ha.
Avrà pure filosofia, il prof. di Gallipoli, ma non ha avuto psicologia (Buttiglione "mezzo vuoto"). Oppure ne ha troppa (Buttiglione "mezzo pieno"). Sempre grave per un politico. Avete gustato, tricoteuses del "Salon Voltaire", la metafora subliminale, maliziosissima dopo la gaffe di Bruxelles, che si è inventato al convegno di St.Vincent? Ci sarà pure stata la "campagna di odio" nei suoi confronti dei "giacobini liberal-socialisti", per cui qualunque cosa dicesse "veniva interpretata in maniera sbagliata", ma il filosofo di Gallipoli non sa, non vuole, comunicare normalmente, e ha fatto di tutto per cercarsele, le grane, in un pubblicitario cupio dissolvi a reti e testate unificate. Il Buttiglione mezzo vuoto fa l’angioletto che cade dalle nuvole, il semplicione di provincia. "Io parlo di Venere e Marte, di Europa e Usa, e dicono che ho attaccato le madri sole, senza un uomo accanto". Ma il suo braccio destro Catone è stato sotto inchiesta perfino a Montecarlo. Possibile che non sapesse? Nel liberalismo contano sia i diritti che il credito pubblico.
A Saint Vincent ha detto che "i bambini che hanno una sola madre sono figli di una madre non molto buona, mentre i bambini che hanno solo un padre non sono bambini..." (Buttiglione mezzo pieno). Chi, io? "Parlavo di politica estera e mi riferivo ad un libro di Robert Kagan, ex consigliere di Reagan, nel quale si legge che l’Europa è figlia di Venere e l’America figlia di Marte. Dicevo che per partorire una buona politica estera occorre che Venere e Marte si sposino, unendo quelli che Colin Powell chiama soft powers, la cultura, l’arte, la mediazione tipiche del Vecchio Continente e gli hard powers, la forza, la potenza, la decisione, caratteristiche degli Stati Uniti. Così ho coniato l’esempio della madre sola o del padre solo, che non possono funzionare... ". Va be’. Un vecchio e collaudato topos: l’attore furbissimo e finto-scemo che si prende gioco del pubblico. Buttiglione insieme mezzo vuoto e mezzo pieno.
Non sappiamo se davvero in Europa le "lobbies laiciste" e radical-chic vogliano mettere al bando i cristiani tradizionalisti dalle cariche pubbliche comunitarie, in base al nuovo conformismo del laicismo di Stato e alla nuova filosofia salottiera del "politicamente corretto". Ma certo farebbero bene a guardarsi da certi attori, insieme candidi e furbacchioni, come certe ragazze finto-ingenue che gridano allo stupro se solo gli rivolgete la parola.
Pur difendendo le sue riprovevoli idee personali da chiunque, in quanto alle scelte pubbliche - che invece devono essere liberali - ci aspettiamo che rinunci o venga sostituito. Ma il fondamentalista di Gallipoli è pur sempre un politico all’italiana, che ama "sentirsi recitare". E così lancia il sasso nascondendo il braccio. Su internet li chiamano "troll". Noi italiani che di troll della politica ne abbiamo tanti, purtroppo, ci permettiamo di dare un consiglio ai liberali europei: li lascino parlare, parlare e parlare. In genere i politici fanno solo quello. Perché a loro vetero-cristiani, pre-conciliari, post-tridentini, ante-riformatori, quasi-lefebvriani, sillabanti e neo-catecumeni, straparlare piace. E parlandosi addosso se la fanno sui piedi. (Don Minzione)
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IL "POVERO" GIFUNI NON SAPEVA CHE PESCI PRENDERE
E Bassolino si laureò al Quirinale
I nostri politici, motu proprio, si sono nominati pubblicamente "onorevoli", ma privatamente sono sempre, per principio, "dottori". Ultimamente, però, va molto il "professore". Alcuni, pochi, sono coltissimi, perfino bibliofili. Infatti non restituiscono i libri rari presi in prestito alle biblioteche di Camera e Senato. Buon segno, vuol dire che leggono. Ma altri sono ignoranti come cocuzze, fino al punto di non conoscere la data della rivoluzione francese.
In realtà non pochi di loro dottori non sono, anche tra i più famosi e di buona famiglia. Facciamo nomi? D’Alema, Veltroni e Rutelli, e molti altri a destra e sinistra. Semplici diplomati. Veltroni all’istituto di cinematografia. Non avere una laurea non significa assolutamente nulla. Conosciamo decine di laureati ignoranti. In passato geni della cultura e delle scienze del calibro di Marconi, Eiffel, Croce, per tacere di molti poeti e scrittori, come Moravia, non avevano frequentato l’università. Ma allora era sottinteso che si studiasse molto, anche troppo e per tutta la vita, nella biblioteca di casa. Come Montaigne o Leopardi. In questo caso, però, tornando ai politici italiani, non si è né tra geni né tra studiosi autodidatti. Semplicemente tra persone normalmente intelligenti e di cultura media che scelsero a suo tempo di "sposare" la politica, magari diventando funzionari di partito, come D’Alema e Veltroni.
Però l’obbligo "sociale" di essere almeno dottori gioca alle volte degli scherzi ai funzionari delle istituzioni, imbarazzati più dei diretti interessati quando il titolo, un titolo qualsiasi, non c’è. Un aneddoto divertente riguarda il segretario della Presidenza della Repubblica, Gifuni, alle prese con la presentazione dei nuovi ministri del governo D’Alema. Alle 11 del 21 ottobre 1998, per il giuramento dei ministri del primo governo D’Alema – riferisce Gerardo Mazziotti – presentò burocraticamente, ciascuno col suo bravo titolo, il prof. Sergio Mattarella, l’on. Oliviero Diliberto, il sen. Giovanni Berlinguer, e così via. Ma quando arrivò il turno dell’allora sindaco di Napoli e attuale governatore della Campania, Bassolino, né dottore né parlamentare, ma soltanto diplomato al liceo di Afragola – precisa il perfido Mazziotti - vennero i sudori freddi al "povero" dottor Gifuni.
Be’, intendiamoci su quel "povero". Proprio povero non era, e ancor meno lo sarà oggi. Secondo il magazine del Corriere della sera "Sette" (12 gennaio 1997), il potentissimo Gifuni aveva - all’epoca - uno stipendio mensile di ben 54 milioni di lire, l’uso d’un appartamento di 500 mq al Quirinale e d’una villa nella tenuta di Castelporziano, tre auto blindate con scorta e una lunghissima serie di benefits.
Giunto al nome di Bassolino, il "povero" Gifuni si accorse con terrore che nel foglietto mancava ogni titolo. Né "dott.", né "on. né "sen.", né "prof.". E neanche "cav." o "grand uff.". Che fare? Scartata come ipotesi impossibile chiamarlo semplicemente "signore" come si fa in tutti i paesi del mondo, cominciò a sudare freddo. In pochi microsecondi il cervello di Gifuni, non abituato a simili emergenze protocollari, le pensò tutte. D’altra parte non poteva protrarre ancora di mezzo secondo quell’incertezza senza causare aperto imbarazzo. Finalmente gli venne un’idea geniale. Il signor Bassolino Antonio, ministro della Repubblica, veniva dal Segretario generale del Quirinale laureato sul campo, per meriti speciali, ovviamente politici. E allora chiamò, con voce alta e forte: "Dottor Antonio Bassolino, Ministro del lavoro". Tutti respirarono. E la Repubblica fu salva. (La badante russa di Cossiga)
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CAPITALISMO ALL’ITALIANA: STACCARE CEDOLE
Né leoni, né lupi. Solo Agnelli
Noi liberali ripetiamo da sempre che in Italia è mancata una vera rivoluzione liberale e perciò una vera borghesia diffusa. Dei doveri oltre che dei diritti. Un ceto così, non ottuso percettore di redditi, ma investitore lungimirante e volto al progresso (proprio, e quindi della nazione), innovativo e aperto all’up-to-date, amante del rischio, in grado di competere con le concorrenti borghesie straniere, capace anche di dire con energia la sua parola per una politica liberale, di proporre obiettivi culturali e sociali per la nazione, di favorire la ricerca scientifica, magari di essere intelligente mecenate, noi ce la siamo sempre sognato fin dai tempi di Cavour. Abbiamo avuto, sì, quattro o cinque "grandi borghesi" così, ma non un intero ceto, come invece hanno in Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Germania e Olanda.
Anche oggi, con tutto che un certo grado di liberalismo spicciolo si è diffuso in economia grazie all’Europa, basta poco per mettere in ginocchio i nostri borghesi, sia imprenditori che professionisti, intellettuali o manager. Le antiche corporazioni resistono e pure quelle nuove (giornalisti, giornalai, tassisti). Chi l’ha detto che i giornali si debbano vendere in appositi chioschi a numero chiuso, disseminati col contagocce come le farmacie, uno per zona? E l’irrazionale piccolo commercio? Per tacere dell’industria, quanti studi professionali sono stati colonizzati negli ultimi anni, con la scusa delle "partecipazioni" e dei "nuovi soci", da operatori stranieri? L’artigianato poi sta addirittura sparendo: alti prezzi e bassa qualità. Si direbbe che la nostra industria non sia neanche capace di reagire in modo aggressivo alla concorrenza non solo dell’Oriente, ma perfino dei paesi dell’Unione Europea.
Per forza, da noi si "diventa" borghesi per eredità, non per merito, conquiste di mercato e guadagni. Una via dinastica e familista, con poca o nulla selezione, smidollata dalla sudditanza allo Stato, alle provvidenze a fondo perduto, alle Casse del mezzogiorno, alle integrazioni guadagni, alle "rottamazioni" di comodo. Altro che concorrenza e coraggio. Salotti, banche e poca fabbrica. Anche qui, a più alto livello, il "reddito sicuro": la cedola. Pochi lupi, insomma, e molti Agnelli.
E, a proposito di Agnelli, Renato Tubere riporta che secondo uno studio sui bilanci dell’azienda dal 1970 al 2003, condotto da Piergiorgio Tiboni, segretario del CUB, uno dei sindacati minori più agguerriti all’interno dell’azienda, il Lingotto avrebbe accumulato debiti per 35 miliardi di euro, ridistribuendone nello stesso periodo agli Agnelli oltre 15 miliardi. "Vuol dire - insinua Tiboni - che in questi anni non ha fatto investimenti nell'azienda…" Insomma, c’è il sospetto che mentre la casa automobilistica torinese si dibatteva nella lunga crisi, i vergognosi aiuti ricevuti in passato dallo Stato venissero semplicemente ridistribuiti all’interno della famiglia Agnelli. "Mentre accumulavano debiti, gli Agnelli distribuivano lauti dividendi agli azionisti" dichiara Tiboni. "Non siamo lontani dal vero dicendo che circa metà dei debiti è rappresentato dalle cedole che sono state staccate nel corso degli anni. Senza considerare le azioni conferite in premio ai dirigenti, con buonuscite d'oro per i manager".
Evviva, se questi dati sono veri o verosimili, e non dettati dal consueto odio anti-Fiat che ha caratterizzato la lotta sindacale in Italia, un liberale non ha di che stare allegro. Gli Agnelli avevano tutto il diritto di incamerare e distribuirsi in famiglia gli utili. Ma non gli incentivi di Stato. E poi cercavano di dare di sé un’immagine liberal-progressista, lontano dal vecchio cliché del padrone che incamera e non reinveste. Che cos’era, paura delle previsioni negative? Insomma non erano leoni, e neanche lupi. Solo Agnelli. (La serva di Adamo Smith)
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TUTELA DEGLI ANIMALI E CONTRADDIZIONI
Caccia no, cuccia no, cacca sì
Permettemi, prima di licenziare a pedate il titolista, di chiedermi come mai sempre più liberali manifestino simpatie animaliste. Un tempo si diceva "zoofile", ma poi gli ignoranti verdi scoprirono che era una deviazione sessuale. Secondo me, è perché fa parte dell’universo dei diritti liberali tutelare anche il diritto (dell'uomo) a non essere colpito nella propria umana sensibilità dalla visione delle sofferenze gratuite date ad altri esseri viventi, tanto più se vicini a noi nella scala evolutiva e nelle vicende della storia. Il politicamente corretto in materia ha anche qualche perla. Per esempio il Circo Orfei può tenere spettacoli a Milano ma non a Roma, eppure non mi sembra che tratti gli animali peggio dei proprietari romani di cani e gatti, reclusi tra quattro mura fino ad ammalarsi (e se siete gastro-enterologi ne avrete conferma dalle numerosissime e patologiche cacche che allietano, a puro scopo scientifico-coprologico, sostiene l'Ufficio stampa di Veltroni, i marciapiedi di quella che ormai sempre più abusivamente è chiamata la "Capitale" d'Italia. O del Libano.
Fu proprio chi scrive, da giovane, a contestare per primo gli zoo e a proporre il primo referendum contro la caccia. Della prima azione mi sono un po’ pentito, per la funzione informativa e pedagogica insostituibile che – scoprii dopo – gli zoo conservano. Ma sulla caccia non ho cambiato idea. Nata per necessità solo alimentari, oggi offende la ragione, e andrebbe sostituita semmai da giochi virtuali (anche questi discutibili), o meglio dalla fotografia naturalistica. E davvero non si capisce con che coerenza la gente manifesti indignazione per la ristrettezza di gabbie di allevamento e cuccie, per i giochi dei circhi, i maltrattamenti (ora per fortuna c’è anche un’apposita legge) e la vivisezione, mentre è indifferente alla caccia e tollera (o favorisce) gli escrementi canini. Insomma, vi sembra razionale "caccia no, cuccia no, cacca sì"? (Thoreau, il guardiano della capanna)
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GEOPOLITICA DEGLI SCEMI: IL CAVILLO DI TROIA
Turchia: i politici giocano a risiko
Al bar della Nilde, a Ferrara, l’Ubaldo entra col passo lento e cadenzato del politico arrivato, con la giacca grigia anche ad agosto, come i professori che scrivono sui giornali, che lui vede in tv. E’ un maestro elementare in pensione, ma anziché costruire la torre Eiffel con gli stecchini o ritagliare articoli su Padre Pio, come tutti, ha l’hobby delle strategie mondiali. Lui pensa in grande, mica come gli altri clienti, che al massimo fanno "scendere in campo" qualche giocatore della Juve o del Bologna. No, tra un’oliva e un Martini, lui sposta interi popoli, infiltra spie, fa scontrare eserciti, blocca esodi di massa, affronta guerriglie e kamikaze, si può dire a mani nude. Infatti fa tutto spostando il dito sull’atlante. Dice che questa è la "geopolitica", una politica internazionale che si spiega con la geografia. Grazie tante: è vecchia quanto il cucco.
Proprio in questi giorni, un film, in Italia pudicamente lasciato col titolo inglese "Troy", perché al distributore romanesco "troia" sembrava brutto (e poi tutte le spettatrici avrebbero subito pensato ad Elena), ripropone le vicende romanzate d’una epica guerra svoltasi più di 3000 anni fa nell’attuale Turchia. Corsi e ricorsi storici. I Turchi moderni sono "figli di Troy" e vogliono la rivincita, e quel cavallo di legno che li beffò una volta stavolta lo vogliono costruire loro, fargli fare dietro-front e regalarlo all’Europa. Chissà che non abbocchi. Così stanno promettendo, nientemeno, di aggiornare leggi e regolamenti, eliminando un po’ di pugnali qua, un caftano là. Poiché, come tutti gli orientali credono che gli europei siano un po’ scemi (se no, non gli chiederebbero condizioni così facili), i turchi hanno sùbito finto di eliminare il reato di adulterio, quando è noto che l’adulterio in Turchia è tuttora vendicato dai parenti maschi e dal marito in un modo solo: con un po’ di coltellate date alla donna. Perciò, se i Greci inventori del cavallo di Troia hanno oggi falsificato i bilanci per mostrare a Bruxelles una "economia a posto", i Turchi per godere dei milioni di euro dell’Unione Europea stanno seguendo un’altra strada, quella del cavillo. Il cavillo di Troia.
E poi a noi non piace il gioco della geopolitica dei politici dilettanti, d’Europa e d’America, un cinico risiko sullo scacchiere mondiale con i popoli in carne e ossa ("una zona a te, una a me"), senza curarsi delle conseguenze future, psicologiche, economiche, sociali e culturali, delle loro proposte balzane. Quasi sempre privi di buon senso e senso comune - due virtù diverse ma utili entrambe - i politicanti giocano con i destini degli uomini, e solo così provano il proprio "potere". Ora hanno deciso che la Turchia, non Israele o la Nuova Zelanda o l’Australia, deve entrare in Europa. Per motivi di Storia? No. Per la Geografia, neanche. Per la Cultura? Figuriamoci. Ma, udite udite, per la "geopolitica".
Noi siamo contrarissimi all’ingresso della Turchia in Europa. E siamo sicuri che, se gli imbonitori da fiera dei mass-media non imbroglieranno i lettori, sarà contraria anche la maggioranza del popolo europeo. Sarebbe troppo un altro ingresso in Europa d'un paese ancora più illiberale e arretrato di quelli ex-sovietici che già sono entrati, con storia e tradizioni incompatibili con la nostra cultura illuminista, tollerante e fondata sul diritto romano, del tutto analoghe a quelle di curdi, irakeni e siriani. Folle di turchi, portandosi appresso la loro visione islamica, anti-liberale e reazionaria del mondo, si riverserebbe in massa nel nostro continente, sconvolgendone i già delicati equilibri psicologici, demografici, economici e sociali, orientalizzando in modo inaccettabile la nostra vita quotidiana, facendo scomparire quel po’ di liberalismo e tolleranza che siamo riusciti a difendere nei secoli, e facendo dell’Islam - la più pericolosa delle fedi - la prima e più agguerrita religione europea. Scatenando per reazione un razzismo aperto e combattivo. E’ questo che si vuole? (Giannino Sobieski, quello dell’arma bianca)
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MA CHE BEL RAPIMENTO
Se il terrorismo colpisce le compagne
"Le nostre amiche, le nostre compagne, sono state sequestrate a Baghdad, insieme a due dei loro compagni iracheni. Ci siamo sentiti smarriti: pensavamo che azioni e parole di pace fossero una salvaguardia: non lo sono" Così si tradisce, evviva la faccia, la newsletter "Carta" n.33 sul rapimento delle operatrici ultra-pacifiste, eroiche, volontarie, politicamente corrette e di sinistra Simona Pari e Simona Torretta, che lavoravano in Iraq per conto della "Ong" (organizzazione non governativa) "Un ponte per" (sì, ma perché non completare la frase?).
Altro che quei buttafuori, mercenari, qualunquisti o fascistoni che sono morti in precedenza. Uno di loro (errore madornale) aveva anche profferito in tono spavaldo: "Ora vi faccio vedere come muore un italiano". Peggio per lui: se l’era voluta. Non un corteo si mosse per quell’occasione, anzi critiche, sottili distinguo e pelose prese di distanza vennero da tutte la parti, compresi certi cattolici "bene" e con la erre moscia della Comunità di S.Eccidio.
No, qui si respira per fortuna tutta un’altra aria. Sembra di stare a una "prima" o a un "vernissage". Ma sì, insomma, c’è più classe. Non in senso sociologico, per carità. Quella non c’è mai stata davvero a sinistra. Lorsignori sono ormai inguaribilmente snob: trovano "volgare" tutto e tutti. Una mia amica importatrice di legnami esotici dalle foreste del Mato Grosso, che così contribuisce a distruggere mutando perfino il clima sulla Terra, trovava terribilmente "kitsch" Berlusconi, magari perché più ricco di lei, o forse perché fece i primi miliardi nell’edilizia, dove le impalcature sono in rozzo legno di abete, anziché di elegante palissandro.
No, riconosciamolo, c’è più eleganza quando per sbaglio viene rapito un "progressista", uno che si sa già che "è un compagno" e che infatti comprende le "ragioni" dei rapitori. E la famiglia, avete notato, non piange e urla davanti alla tv come fanno invece le paesane e teatrali famiglie di destra, che sembrano appena uscite da un "basso" napoletano. Un po’ come succede ai bambini: se sono poveri, ignoranti e di destra piangono, se invece sono educati, ricchi e di sinistra tacciono, molto saggiamente, come ometti già fatti. Tenendosi dentro quelle nevrosi che poi faranno pagare agli altri da grandi. Ma sì, qualunque sia l’esito della triste vicenda, c’è stata più "dignità", "decoro", come rileva lo scrittore Valerio Magrelli sulle pagine romane del Corriere della Sera, sempre attente a questi particolari che distinguono dalla massa becera le poche persone perbene.
E la scenografia? Quante candele, fiaccole, luminarie ai balconi, quante processioni. Sembra quasi una festa quando rapiscono uno di sinistra. Perfino quei pigri snob di Bertinotti e Violante si scomodano per andare a palazzo Chigi. Insomma, davvero un bel rapimento. Comm’il faut. Perfino i rapitori, vuoi mettere, erano rasati di fresco - riferiscono le cronache - parlavano un arabo della high class, e alcuni vestivano in abito blu. Particolari non indifferenti per certe nostre amiche snob dei cortei. E avevano armi gentilmente crudeli (o crudelmente gentili), come il manganello elettrico che stordisce ma non uccide. Un’arma bertinottiana: neo-nonviolenta e post-pacifista. Stalin più il bandito Giuliano, ma con qualcosina di Gandhi. L’hanno usata con la terza "ragazza di 29 anni" del gruppo, l’irachena. Altro che puzzolenti banditi, che magari - ohibò - non si cambiano di camicia per tre giorni di fila, e che - giustamente, peggio per lui - rapirono e uccisero il rozzo vigilante "italiano vero" Quattrocchi. E poi l’ordine. Quando il solito tonto ha fatto cadere il mitra, come in certi film comici, si è subito scusato col capo, un intellettuale "di potere" in giacca e cravatta. "Una citazione", avrebbe bisbigliato il cinefilo Ghezzi alla tv, in uno dei suoi famosi primi piani odontotecnici. Davvero un bel rapimento, ne siamo rapiti anche noi.
Però, ci permettiamo di obiettare, non solo i carabinieri morti a Nassiria e gli italiani body guards uccisi dai terroristi erano lì per lavorare. Anche il Baldoni "giornalista umanitario" (perché gli altri, si sa, sono iene assetate di sangue), anche le povere "Simona e Simona" col chador erano in Iraq per lavoro. E facevano soldi, com’è giusto, oltreché il loro dovere. "Volontarie"? Tutti lavoriamo in modo volontario, dall’usciere all’amministratore delegato di Telecom. E le nostre "Ong", organizzazioni non governative oggi di moda (sarà per quel "non governativo"?), sono associazioni ben finanziate da privati, chiese, Stato italiano e Unione Europea. Da tutti fuorché dagli Stati Uniti, che loro odiano. E a loro volta retribuiscono, com’è giusto, il personale che va all’estero. Personale che si sacrifica, fa una vita da cani, né più né meno di carabinieri e guardie del corpo private, ma che è ben consapevole dei rischi mortali che corre. E, anzi, và lì proprio per questi rischi, come hanno fatto notare gli inglesi, che sono sinceri e bruschi, e non amano i piagnucolii femminei dei paesi del Mediterraneo. E grazie a questi alti rischi guadagnano, a seconda dei casi, in soldi, carriera, decorazioni, propaganda politica, auto-gratificazione ecc. E allora?
Tutta questa retorica o ipocrisia dei "buoni sentimenti" non ci incanta. Siamo fuori dal coro. Per noi non cambia niente se rapiti e uccisi sono lì per lavoro o no, se sono pagati moltissimo (beati loro) o molto (poverini), se in Iraq ci stanno per tenere alto il nome dell’Italia o per sputtanarla, in odio a Bush o ad Al Quaeda, per inseguire successi o provare "sul campo" le proprie teorie sballate, se sono militari, militaristi o civili antimilitaristi, se sono di destra, di sinistra o qualunquisti, se hanno il velo nero come le due Simone o vestono all’occidentale come la governatrice Barbara Contini.
Del resto, col loro terribile egualitarismo alla Hitler, ci hanno pensato già i terroristi islamici a cancellare ogni differenza di trattamento. Il nazismo dell’Islam, come la morte, è un grande livellatore. E non è sensato per noi distinguere con due pesi e due misure tra le vittime della più atroce e ingiusta guerra dell’umanità, quella dichiarata dall’Islam al liberalismo. Come fanno, invece, certi ambienti della sinistra chic per un antico riflesso condizionato. Non è importante chi, perché e per chi lotta sul ponte di turno, il ponte sul fiume Kway, come i lagunari del Col Moschin che sul ponte sull’Eufrate dettero l’anima e vinsero senza perdite la più dura battaglia italiana dopo la seconda Guerra Mondiale, o le due ragazze super-pacifiste e anti-americane che invece da "Un ponte per" sono andate verso l’ignoto. (Il generale Lafayette)
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ANCHE A NOI UN PO’ DEI PRIVILEGI DEI RE AFRICANI
Se in Europa le ragazze si potessero scegliere così…
Chi ha detto che la democrazia liberale è perfetta? Ha un sacco di difetti: per esempio lega le mani ai governanti, ne limita gravemente la libertà. Pensate, non possono neanche godere dell’antico diritto noto come jus primae noctis, cioè il "collaudo" in anteprima della ragazza, che da che mondo è mondo è un tradizionale codicillo del potere. Utile anche al marito prudente, nel caso il sovrano dovesse scoprire difetti fisici o malattie nella di lui giovane moglie. Non so se vi rendete conto del "mancato piacere" che un’ideologia così spartana infligge ai governanti d’Europa e d’America.
Il sovrano assoluto dello Swaziland (Africa) Mswati III, riferisce Massimo Alberizzi, è solito esercitare con regolarità il suo atavico diritto alla prima notte con la vergine di turno, prima che un compiacente suddito – ringraziando per l’onore – la sposi. Ma ha anche escogitato un sistema ricco e scenografico per scegliere le nuove giovani mogli: fa sfilare a seno nudo e con i fianchi coperti dal tradizionale gonnellino di giunco tutte e ventimila le vergini in età da marito del Paese in un’allegra e canora processione. Il sovrano filma il corteo e si rivede poi con calma i particolari più interessanti, usando spesso – c’è da immaginarlo – il "fermo immagine". In tal modo sceglie la ragazza più adatta a diventare sua sposa. La prescelta, una ragazza di sedici anni piuttosto moderna ed emancipata, è già stata accolta in un apposito cottage: sarà ben presto la sua tredicesima moglie.
Solo un’obiezione, da "colleghi" in perfezionismo estetico, ci permettiamo di fare a Sua Maestà il video-re dello Swaziland. E’ sicuro di aver scelto bene e di aver utilizzato al meglio i suoi poteri? Non ne siamo del tutto sicuri. Perché quello strano e illogico limite del gonnellino? Perché restare bloccati dalle pastoie della tradizione? Davvero su questo punto il sovrano non si è dimostrato lungimirante. E se, poniamo il caso, la prescelta avesse – Dio non voglia – il sedere grosso o il ventre prominente? Giacché c’era, autoritarismo per autoritarismo, Corte dell’Aja per Corte dell’Aja, nude dovevano essere. Vabbè, caro re, sceglierai meglio l’anno prossimo. (Il fattore di Tocqueville)
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NOSTALGIA IN TEMPI DI CRISI
Nuove cronologie: anno III d.T. ("dopo le Torri")
Confessate, che cosa facevate la mattina dell’11 settembre del 2001? No, ormai è inutile il vostro presunto alibi per tirarvi fuori dai sospettati dell’attacco alle "Torri gemelle" di New York. E’ che una nuova, inusitata cronologia, ammettetelo, si va imponendo nei ricordi collettivi e perfino nelle storie personali di ognuno di noi. E non è la prima volta.
Prima dell’estate ho rivisto dopo tanti anni il vecchio "David", sempre con la stessa Harley-Davidson col manubrio alto, degna del film "Easy Riders". Sempre con i capelli lunghissimi, nonostante i 50 anni, orecchini etnici, gilet afgano, braccialetto tibetano, sandali persiani, pantaloni indiani rosso mattone alla Osho Rajnesh, buonanima. Sembrava il personaggio d’un vecchio film in costume sui "giovani alternativi" della California dei primi raduni per lo spinello libero, la caricatura del perfetto "figlio dei fiori" dei tempi andati (oh, yes, quanto liberale-liberista-libertario, senza che il giovinastro lo sospettasse all’epoca, lui che credeva di essere di estrema sinistra…). Mai saputo il suo vero nome, né la sua origine; ma potrebbe trattarsi anche d’un Giorgio Vascon ex-bancario di Conegliano Veneto o d’un Mirko Bernasconi ex-bidello di Carate Brianza. Fatto sta che il tempo per lui non è trascorso. Usa tutti verbi al passato, peggio di mio nonno in cariola. Va sulle ali della nostalgia a Poona, in India, dove Osho – ricercato dalla polizia americana quasi come oggi Bin Laden – aveva plagiato e segregato il meglio della ricca gioventù occidentale dei "freaks", con le cui donazioni il furbastro "Rasputin dei giovani" aveva messo sù conti in banca miliardari e un garage con decine di Rolls-Royce. Certo, si ricordava di Woodstock ("Ero piccolo, però"), ma il meglio per lui erano i "favolosi anni Settanta". Perché? Perché "si cuccava gratis e velocemente" come mai più sarebbe accaduto in seguito, ma soprattutto perché erano il mitico decennio "a.A" ("avanti Aids"), l’età dell’oro in cui "ragazze e ragazzi si incontravano e sùbito senza diffidenza decidevano di mettersi insieme, di fare l’amore, di partire insieme per una lunga avventura". Per David qualunque data non può che essere "a.A" o "d.A".
Oggi rischiamo di introdurre un’ulteriore neo-cronologia con un "prima" e un "dopo" altrettanto epocali, in cui il discrimine è l’attacco islamico alle Twin Towers. Che a noi interessa anche perché è l’atto iniziale della guerra guerreggiata dell’Islam al liberalismo. E si vide subito, mentre l’evento accadeva in diretta tv, che "nulla sarebbe stato più come prima". Appunto, proprio come si era detto agli inizi degli anni Ottanta, al sopraggiungere dei funesti anni del "d.A." (dopo Aids), per dirla con "David".
Accostamento futile? Ma no, perché entrambi gli eventi, in fondo, hanno influenzato radicalmente la vita privata di ciascuno di noi. In entrambi i casi, i nostalgici, come già fecero Esiodo o Lucrezio in poesia, rimpiangono la presunta estrema "libertà", la vita quotidiana "senza preoccupazioni", la "spontaneità", la "naturalità" dell’èra precedente, che sempre nei ricordi si colora di contorni favolistici, sia "a.A" o "a.T" ("avanti le Torri"). E anche i giornali Usa indulgono a questo genere di struggenti "amarcord": vi ricordate, scrivono i lettori, quando da noi la gente viveva una "vita beata", senza controlli, in cui era raro incontrare un poliziotto, in cui sembrava che "tutti potevano fare qualunque cosa". Davvero, l’immaginario collettivo è stato modificato dalla guerra dell’Islam al liberalismo. Anche perché, scusate la caduta prosaica, quando i fanatici islamici non ce l’avevano ancora con noi, noi eravamo molto, molto più giovani. E non è colpa nostra se la nostalgia ingigantisce le illusioni e falsa i ricordi, come dice qualcuno in un dramma di Shakespeare. (Ciccio, il giardiniere della Palombelli)
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RICERCHE SCIENTIFICHE INSOLITE
Morire dal ridere? Meglio che vivere piangendo
Dedicato ai numerosi praticanti della massima di vita, partenopea e parte italiana, "Chiagne e fotte" (in toscano potremmo tradurre: "Laméntati, per scaramzia, e intanto accumula soldi"). Un godibilissimo libro che si intitola "La donna che morì dal ridere" del medico V.S. Ramachandran riporta numerosi casi di soggetti che per una patologia cerebrale sono andati incontro a crisi di riso prolungate, con conseguenti difficoltà respiratorie. Non è chiaro se la morte sia sopravvenuta direttamente per questo motivo o per altre complicazioni. Fatto sta che il documentatissimo saggio riporta tra l'altro che nel corso di un intervento neurochirurgico su una paziente epilettica, è stato per caso trovata un'area che se stimolata rendeva buffo, funny, tutto ciò che il soggetto vedeva, mentre altri soggetti, per emorragie focali, andavano incontro a crisi di riso incontrollabili (perfino durante un funerale o, peggio, un matrimonio).
L’autore essendo indiano, di politici italiani conoscerà solo Sonia Gandhi: troppo poco per giudicare. Ma certo, bisognerà convenirne, piuttosto che vivere lamentandosi e piangendo, come fanno i nostri politici che vengono da una sottocultura popolare superstiziosa fondata sul detto partenopeo e parte italiano "Chiagne e fotte" (trad. edulcorata: "piangi miseria e intanto fai i soldi"), molto meglio morire dal ridere. Che, nella gerarchia dei piaceri sereni del saggio, sosteneva un filosofo indiano, viene subito dopo il "morire durante il coito con una donna dai lunghi capelli neri". Mah, protesto a nome delle bionde. (Sciura Egle di Porta Ticinese)
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IL "BIGNAMI" DEL VICINO ORIENTE
La vera storia di Israele e Palestina
Gli italiani non conoscono la storia di Israele e del vicino Oriente. Vari sondaggi rivelano che gli italiani (e molti in Europa) credono che uno "Stato palestinese" sia esistito addirittura "prima" di Israele, e che gli israeliani ne abbiano "invaso" il territorio; che la città di Gerusalemme, prima dell’invasione israeliana degli ultimi anni, fosse una città araba. E così via, di sciocchezza in sciocchezza. Un breve sommario storico servirà a orientarci meglio.
Intanto, Israele ha una superficie di circa 22.000 km quadrati, equivalente alla metà della Svizzera, e una popolazione di 6 milioni d'abitanti, dei quali 1 milione sono arabi. Dal 1312 a.C. al tempo dell'esodo dall'Egitto, Israele ha conseguito l'indipendenza nazionale, duemila anni prima dell'ascesa dell'Islam. Gli arabi nei territori palestinesi hanno iniziato a dichiararsi "popolo palestinese" soltanto dal 1967, due decenni dopo la fondazione del moderno stato d'Israele. Dalla conquista di Canaan (nel 1272 a.C.) gli ebrei hanno governato mille anni sul Paese. La loro presenza in Terra Santa negli ultimi 3300 anni è stata continua. A partire dalla conquista islamica nel 638 d.C. ci fu un periodo di dominio arabo fino al 1072.
Da più di 3000 anni Gerusalemme è la capitale ebraica. Gerusalemme non è mai stata capitale di un'altra nazione araba o islamica. Perfino quando la Giordania occupò dal 1948 al 1967 la parte orientale della città, non ne fece mai una capitale. Nemmeno i palestinesi la chiesero come tale. Nella Bibbia troviamo Gerusalemme menzionata più di 800 volte. Nel Corano non è menzionata neppure una volta. Re Davide conquistò Gerusalemme nel 1004 a.C. e ne fece la capitale d'Israele. Maometto non venne mai a Gerusalemme, seppure la leggenda dica che Maometto sia asceso al cielo dalla Città Santa.
Già nel 1880 Gerusalemme, Hebron, Haifa e Safed erano città in maggioranza assoluta ebraiche. Prima della nascita dello Stato di Israele, le terre acquisite dagli ebrei furono regolarmente acquistate, a carissimo prezzo (ai prezzi di mercato non valevano nulla perché aride, sassose e improduttive) dai grandi proprietari latifondisti arabi, che così si arricchirono. Si conservano gelosamente i relativi contratti di compravendita. Questa "colonizzazione" pacifica inizia intorno al 1882. Furono gli stessi latifondisti arabi che quando capirono che gli ebrei, oltre a bonificare le terre, portavano diritti sindacali anche per i loro braccianti, scoprirono la "perfidia sionista" e passarono alle azioni squadristiche. Fu così che i "coloni" ebrei smisero di delegare la difesa a truppe prezzolate arabe e si difesero in proprio.
Nel 1897 il giornalista ungherese Theodor Hertzl pubblica "Lo Stato ebraico", documento che segna la nascita del sionismo politico. Nel 1917 Balfour, primo ministro britannico, si dichiara a favore della costituzione di uno Stato ebraico in Palestina. In quegli anni la Palestina non era altro che un territorio amministrato dalla Gran Bretagna. Dal 1926 al 1936 si contarono varie rivolte dei palestinesi contro gli inglesi.
La fondazione dello Stato di Israele non è certo avvenuta con la forza, ma in seguito ad una precisa risoluzione dell’ONU nel 1947 (n.181), che divideva la regione in due stati sovrani e indipendenti: uno ebraico e l’altro arabo. Più una zona internazionale (Gerusalemme e Betlemme). Gli ebrei, da parte loro, per opera di Ben Gurion, dettero sùbito seguito alla risoluzione e fondarono lo Stato di Israele nel maggio 1948. Re Abdulla di Giordania (padre di Hussein) era favorevolissimo a fare di Gerusalemme una sorta di Vaticano gestito da un sinedrio di grandi vecchi delle tre religioni rivelate. Abdulla era amico di Golda Meyr e di Martin Buber, e aveva capito che benedizione sarebbe stata l'immigrazione ebraica vicino al suo regno. Fu assassinato mentre pregava dai nazisti arabi capeggiati dallo zio di Arafat.
Al contrario, i palestinesi non fondarono il loro stato, perché gli stati arabi circostanti – tutti monarchici e autoritari – si opposero alla creazione nella zona di un nuovo stato arabo indipendente, per di più sicuramente repubblicano. Gli stati arabi si opposero anche alla fondazione di uno stato ebraico. Per di più, quando nel ’48 gli israeliani furono attaccati dagli stati arabi, questi ultimi convinsero i palestinesi ad abbandonare le loro case e a fuggire, consentendo così agli israeliani di conquistare nuovi territori, e creando così i "profughi palestinesi". I tiranni arabi impedirono la nascita dello stato arabo di Palestina, anche occupando i territori su cui doveva nascere questo secondo stato arabo (uno già c'è ed è la Giordania, che occupa il 73% del territorio della Palestina storica). Israele ha liberato queste terre nel 1967 e le ha più volte offerte agli arabi che hanno sempre rifiutato.
I profughi palestinesi furono sempre sopportati o trattati male dagli arabi (Giordania, Egitto, Libano, Siria) a causa della loro indipendenza o meglio, della loro devastante attitudine a distruggere i paesi ospitanti. I campi profughi furono creati dagli arabi, che poi però si accorsero di avere una spina nel fianco e arrivarono addirittura ad eliminare gli abitanti dei campi (strage di Sabra e Chatila, il 14 settembre 1982, ad opera di miliziani cristiani libanesi e giordani).
Nel 1956 Israele partecipa alla guerra di Gran Bretagna e Francia contro l’Egitto (che aveva chiuso il canale di Suez agli stranieri) e conquista il Sinai e Gaza. L’ONU ordina il ritiro dai territori occupati. Il 6 giugno 1967 scoppia la "guerra dei sei giorni". Israele occupa la striscia di Gaza, il Sinai e le alture del Golan (da cui i cannoni arabi sparavano facilmente sui territori israeliani). L’ONU (risoluzione 242) chiede il ritiro dai territori occupati. Israele, anni dopo, si ritira solo dal Sinai. Nel 1973 il 6 ottobre Egitto e Siria attaccano Israele: è la guerra del Kippur.
Nel 1982 Israele lancia un’offensiva militare contro Libano e Olp. Infine l’inizio dell’intifada (all’inizio era un lancio di pietre) che è poi degenerata in terrorismo fino ai nostri giorni. (Calò, sulla via Aurelia)