30 marzo, 2010

 

La Bonino? Quasi più forte di Dio. Solo un rosario di massa l’ha battuta e di poco

Ora si spiega. Ci siamo chiesti ieri come sia potuto accadere che la candidata più intelligente, moderna, esperta, efficientista e perfino bipartisan delle elezioni regionali italiane, Emma Bonino, fosse battuta, sia pure per pochissimo, da una scialba e insignificante Polverini, in politica una mulier o foemina nova (eh, bisognerà pur trovare il corrispettivo femminile di homines novi…), tanto virilmente risoluta quanto – mi scuserà – vaga nei programmi, e dal linguaggio e dai concetti politici, come dire, un po’ terra terra.
Tutti avranno pensato allo zampino protettore del solito Berlusconi, che un po' Cavaliere azzurro della reclame dei detersivi e un po' Mago Zurlì trasforma con un colpo di bacchetta magica una zucca in principessa bella e intelligente. In effetti, in Italia si è visto ciò che in nessuna democrazia liberale d'Occidente si potrebbe mai vedere, se non a prezzo delle dimissioni: il Capo di Governo in persona che dà indicazioni precise agli elettori, in tv, e più volte, su come e perché votare un simbolo (quello rosso della Polverini, che mai casalinghe e pensionati avrebbero riconosciuto), visto che quello col nome "Berlusconi" non era stato presentato in tempo.
Ma ora scopriamo che c’è dell’altro, ben altro, e viene da molto, molto più in alto.
Un evento straordinario, scaturito direttamente dalle superne Stanze del Paradiso (o degli Inferi, non siamo così esperti di geografia del Potere Divino), ha trasformato di colpo in vittoriosa una sfigatissima candidata battuta, ancor prima di presentarsi davanti agli elettori, ben otto volte da tutte le magistrature di ogni ordine e grado. Insomma, non vale, prodigio fu, mizzica. Adesso le elezioni vanno rifatte, per la evidente parzialitò dell'Arbitro.
La preghiera, se non "arma di distruzione di massa", almeno "guerra simbolica" o "continuazione della politica con altri mezzi". Ma allora, scusate, aveva ragione Cavour quando ripeteva che con i preti (e assimilati) non si può fare politica, perché per un nonnulla ricorrono subito a Dio.
Noi scherziamo, ma a confessare l'uso "polemico" e strumentale del rosario è un serio comunicato di Fabio Bernabei, presidente del gruppo di cattolici del Centro culturale ultra-tradizionalista Lepanto, che ha per simbolo un crociato con tanto di lungo e affilato spadone, e che si affida non ad un Cristo dolente e uimiliato sulla Croce, ma ad un Cristo Re e immaginiamo anche un po’ guerriero. Ma lasciamo la parola ai nostalgici della battaglia di Lepanto:
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"La prima dichiarazione a caldo della candidata del centrodestra Polverini - inizia il comunicato - è stata: "La mia vittoria? Un miracolo" (Corriere della Sera, 29 marzo 2010, ediz. online) appena i dati dello spoglio elettorale hanno sancito la sua vittoria dopo un lungo testa a testa con la radicale Emma Bonino considerata fino ad allora sicura vincitrice delle elezioni regionali nel Lazio.
"Un miracolo è in effetti – continua Bernabei – quello che tutti i partecipanti alla Crociata del Rosario indetta dal Centro Culturale Lepanto hanno chiesto alla Madre di Dio pregandoLa affinché la Città di Roma, e con essa la Santa Sede, venisse risparmiata dal cadere sotto il governo di uno dei maggiori esponenti dell’anticlericalismo radicale.
"Tanti amici e simpatizzanti di Lepanto hanno risposto al nostro precedente appello con la recita di rosari con questa intenzione in ogni angolo d’Italia.
"I dirigenti di Lepanto si sono riuniti a Roma per una preghiera comune e lo hanno fatto nella Basilica di sant’Andrea delle Fratte, proprio davanti all’altare della Madonna del Miracolo.
"Ecco la cronaca dell’evento come la riporta l’edizione nazionale de Il Messaggero in un articolo sul ruolo avuto dai cattolici in questa delicata elezione:
"Nella chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, davanti alla Madonna del Miracolo, proprio dove Maria Vergine apparve ad Alfonso Ratisbonne nel 1842, convertendolo, un gruppo di ultrà cattolici si sono raccolti per recitare un rosario elettorale.
"Pregavano per chiedere la disfatta di Emma Bonino, l’antiabortista tanto temuta dalle gerarchie ecclesiastiche che sta facendo dormire male persino il cardinale Bagnasco.
"La convocazione via email del Gruppo Lepanto parlava chiaro: "Uniamoci per recitare un rosario con l’intenzione di evitare che la città di Roma, sede della Cattedra di San Pietro, cada sotto un governo regionale controllato dalla esponente anticlericale più radicale in Italia, Emma Bonino, oltre che per la sua conversione".
"Così i dirigenti di Lepanto, - continua il reportage della nota vaticanista Franca Giansoldati - il quarto venerdì di Quaresima, si sono trovati davanti all’icona miracolosa nel tentativo di frenare, con la forza della preghiera, la vittoria di quella che definiscono la "campionessa del relativismo".
"A urne chiuse, coi risultati definitivi in mano, ormai è chiaro che la massiccia mobilitazione di una larga fetta del mondo cattolico, quello più strutturato, ha dimostrato di funzionare ancora una volta gli ultra’ del Centro Lepanto che hanno convocato il rosario anti-Bonino saranno sicuramente soddisfatti. Ora possono sperare in una conversione". (Messaggero, 30 marzo 2010).
"Dopo questa ulteriore grande grazia, infatti – conclude il comunicato del Centro Lepanto – dobbiamo continuare a sperare e pregare perchè antiproibizionisti e anticlericali di tutto il mondo si convertano e possano finalmente conoscere ed amare il Cristo Risorto di cui la Chiesa é Corpo Mistico ed il Sommo Pontefice il Vicario sulla terra".

16 marzo, 2010

 

Il cristologo Cascioli: Gesù? Mai esistito. La sua vita copiata dal rivoltoso Giovanni di Gamala.

«Historia docuit quantum nos iuvasse illa de Christo fabula», la Storia ha insegnato quanto ci abbia giovato quella favola su Cristo,
scriveva Leone X dei Medici, papa dal 1513 al 1521, in una lettera al Cardinale Bembo, grande umanista. Una frase drammaticamente cinica e rivelatrice, ma ben fondata a quanto risulta dagli studi [Arch.Vaticani, Corr. Leone X, vol. 3°, scaff. 41]. E non basta: almeno altri due Papi, uno dei quali grandissimo, andarono molto oltre.
      Il Vangelo insegna più menzogne che verità, era solito dire, due secoli prima, papa Bonifacio VIII (1235-1303): il parto di una vergine è assurdo; l’incarnazione del figlio di Dio è ridicola; il dogma della transustanziazione è una pazzia. Le quantità di denaro che la favola di Cristo ha apportato ai preti è incalcolabile [lo storico Giovanni Villani nella sua famosa "Cronaca" scritta durante il Giubileo a Roma nel 1300].
      Ed ecco che cosa scriveva l’ambasciatore spagnolo in Vaticano, Mendoza, su Paolo III, papa dal 1534 al 1549: «Spingeva la sua irriverenza [il Pontefice] fino al punto di affermare che Cristo non era altri che il sole, adorato dalla setta Mitraica, e Giove Ammone rappresentato nel paganesimo sotto la forma di montone e di agnello. Spiegava le allegorie della sua incarnazione e della sua resurrezione mettendo in parallelo Cristo e Mitra. Diceva ancora che l'adorazione dei Magi non era altro che la cerimonia nella quale i preti di Zaratustra offrivano al loro dio oro, incenso e mirra, le tre cose attribuite all'astro della luce. Egli sosteneva che la costellazione della Vergine, o meglio ancora d'Iside, che corrisponde al solstizio in cui avvenne la nascita di Mitra, erano state prese come allegorie per determinare la nascita di Cristo, per cui Mitra e Gesù erano lo stesso dio. Egli osava dire che non esiste nessun documento valido per dimostrare l'esistenza di Cristo, e che, per lui, la sua convinzione era che non è mai esistito».
      Che cosa c’è dietro queste gravissime, quasi incredibili, ammissioni fatte in segreto da due altissimi esponenti della Chiesa, probabilmente risapute e date per scontate da secoli tra gli altissimi “addetti ai lavori” del Cristianesimo e del Cattolicesimo in particolare, ma sempre nascoste al popolo credulone, dell’assoluta mancanza di prove storiche della reale esistenza in vita di Gesù?
      Ebbene, un “cristologo”davvero fuori del comune (1) si è messo in testa di capire e di analizzare le Sacre Scritture solo in base all'indagine dei documenti storici, alla logica, alla ragione, all'intelligenza. Aveva studiato per decenni sulla scorta di tutti i documenti possibili e di una stringente razionalità quanto fosse vera quella cinica frase papale. E scoprì un vaso di Pandora: manomissioni di testi, sostituzioni di personaggi storici, pure e semplici invenzioni, e ogni altro genere di imbrogli che stanno dietro alla “creazione” del personaggio storico “Gesù di Nazareth”.
      Quest’uomo era Luigi Cascioli (nato a Bagnoregio, 1934), bella figura di uomo onesto, indipendente, idealista, laico, coltissimo, originale libero pensatore e anticlericale, nonostante che in gioventù avesse studiato da seminarista, scomparso a Roccalvecce di Viterbo nel 2010 all’età di 76 anni. 
      L'avvincente saggio di Cascioli, "La favola di Cristo", è un bel dono che l'erudito viterbese ci lascia in eredità (e da questo abbiamo tratto le sconcertanti testimonianze dei due Papi), l’unico che dimostra effettivamente, con centinaia di documenti, compresi i manoscritti di Kimberth Qumran o "del Mar Morto" (1947), che tale personaggio semplicemente non è mai esistito, non tanto come nome, perché un Joshua era comunissimo, ma "quel Joshua", cioè come insieme costruito a posteriori di brandelli di episodi "storici" e d'una intera impalcatura fantasiosa di attribuzioni spirituali o addirittura "divine". Si dimostra anche che il famoso passaggio su Gesù dello storico ebreo Giuseppe Flavio fu chiaramente interpolato (infatti è in evidente contrasto con altri passi) dai Cristiani successivamente, come anche gli Atti degli Apostoli, quando ormai i Cristiani erano il potere assoluto ed erano regolarmente dediti alla censura, alla mistificazione e alla falsificazione delle fonti. Del resto, perfino due Papi lo hanno ammesso in conversazioni private o lettere ad amici. 
      «Molti studiosi - scriveva Voltaire - si mostrano sorpresi per il fatto di non trovare nello storico Giuseppe Flavio alcun cenno di Gesù Cristo; tutti gli specialisti infatti sono d’accordo oggi che il breve passaggio in cui se ne fa cenno nella sua Storia è interpolato. Eppure il padre di Giuseppe Flavio avrebbe dovuto essere uno dei testimoni di tutti i miracoli di Gesù. Giuseppe era di schiatta sacerdotale, parente della regina Marianna, moglie d’Erode…Flavio si diffonde in particolare sulle azioni di questo principe Erode, tuttavia non dice una parola né della vita né della morte di Gesù; questo storico che non nasconde alcuna delle crudeltà d’Erode, non parla affatto del massacro di tutti i fanciulli, da lui ordinato, quando apprese che era nato un re dei giudei… Non parla affatto della nuova stella che sarebbe comparsa in Oriente dopo la nascita del Salvatore; fenomeno meraviglioso, che non sarebbe dovuto sfuggire a uno storico così illuminato com’era Giuseppe. Non una parola, inoltre, sulle tenebre che avrebbero coperto tutta la terra in pieno mezzogiorno e per tre ore alla morte del Salvatore; sulla gran quantità di tombe che si sarebbero scoperchiate in quell’istante e sui giusti che sarebbero risuscitati» (Voltaire, Dizionario Filosofico, pp.664-665).
      Insomma, gli studi condotti in modo critico e neutrale portano inevitabilmente a ritenere che a questo fittizio personaggio sia stato dato il nome di Gesù, insieme a tutta una serie di "eventi memorabili" creati per l'occasione attingendo alle più diverse leggende e biografie, solo nel II secolo "dopo Cristo" dai Padri di una Chiesa ormai dominante che non aveva più motivo per essere insieme rivoluzionaria e spiritualista, ma aveva bisogno di un mito più “terreno”, di un personaggio in carne ed ossa da dare in pasto ai fedeli, e anche d’un eroe “buonista” e non-violento da venerare.
      Secondo la stringente critica filologica, semantica e storica di Cascioli (che inizia dall’origine, cioè dalla Bibbia, di cui dimostra l’assoluta infondatezza) si dovette, perciò, creare dal nulla un “Dio in Terra”, confezionando su misura una nascita miracolosa, troppo simile a quelle di tanti altri Dei quasi-uomini dell'epoca – efficace pendant al “Dio nel cielo” che ormai aveva avuto successo. Pare infatti che prima di questa “creazione” biografica, Gesù fosse stato proposto come “disceso dal cielo all’età di 30 anni”. I sapienti cristiani provvidero, perciò a creare dal nulla, ma anche ad adattare, interpolare e falsificare documenti preesistenti.
Nell’affascinante e rigorosa ricostruzione di Luigi Cascioli si scopre così che la figura del Gesù (Jeshua o Joshua) “inventato” a posteriori, insieme coi Vangeli (questi ultimi ricavati dai materiali più diversi e rimaneggiati più volte), molti decenni dopo la data stabilita per la sua nascita (poi, guarda caso, fatta coincidere per assicurarsi il successo popolare con le festività dei Saturnalia e del Sole Invitto alla fine di dicembre, come il dio Mitra e tanti altri) coincide in modo impressionante con quella di un certo Giovanni di Gamala (villaggio della regione del Golan), figlio di Giuda il Galileo e nipote del rabbino Ezechia, a sua volta discendente della stirpe degli Asmonei fondata da Simone, figlio di Mattia il Maccabeo.
      Quello che scandalizza fin dall’inizio è la mistificazione e l'uso cinico dei nomi che ha fatto la Chiesa nascente. Il presunto Gesù non è un Nazareno nel senso di abitante di Nazareth (villaggio a quei tempi non esistente), come vorrebbe la Chiesa e come tutti oggi intendono, ma di un “nazireo” o nazoreo, nel significato proprio del termine nazir, un consacrato fanatico, un monaco radicale ebreo, uno zelota (appartenente alla setta estremista degli Esseni). Dunque, un settario non certo non-violento. I discepoli cercarono in seguito di far derivare l’appellativo da Nazareth – è l'accusa – per confondere le acque. Nei Vangeli si dice che Nazareth è in cima a un monte e vicina al Lago di Tiberiade, ma la vera Nazareth è in collina e dista quaranta chilometri dal lago. Possibile che tanti Padri della Chiesa, tanti intellettuali cristiani, non se ne siano accorti? La città di Gamala, invece, corrisponde perfettamente alla descrizione evangelica, stranamente sfuggita alla censura lessicale e alla omologazione dei Vangeli ufficiali.
      Dunque questo capo-banda carismatico, insieme capo militare, politico e religioso, Giovanni di Gamala, alias Jeshua il nazireo, alias Gesù di Nazareth – secondo la stringente ricostruzione di Cascioli – era un fanatico rivoluzionario degli Zeloti, vicini agli Esseni (quelli dei rotoli di Qumram), setta minoritaria di rivoluzionari ebrei armati che si opponevano al governo di Roma con ogni mezzo, compivano atti di terrore uccidendo senza pietà anche donne e bambini. Oggi li definiremmo fanatici religiosi terroristi. E infatti erano banditi per i Romani, che in fatto di religione erano molto tolleranti e liberali, e mai avrebbero crocifisso qualcuno per le sue credenze religiose; ma reprimevano duramente rivolte e atti di violenza. I cosiddetti apostoli o discepoli di Gesù erano in realtà i capi banda di tale movimento politico-militare. 
      Lo scopo era evidentemente quello di cacciare i Romani e di instaurare un Regno di Israele con a capo un re del partito zelota, cioè il Giovanni di Gamala-Gesù. Gli ebrei Esseni (che in massa aderirono al cristianesimo) attendevano non uno ma due Messia, il secondo dei quali doveva essere un politico, un capo militare che avrebbe dovuto sconfiggere i Romani e instaurare l’ordine a Gerusalemme. Così affibbiarono a un personaggio realmente esistente, il brigatista Giovanni-Gesù, il ruolo di Messia politico, come ricostruisce oggi lo studioso ebreo Giovanni Della Teva in una bella pagina. Il Gesù artefatto dei Vangeli, quindi, non per ironia o irrisione era definito dai soldati romani nella famosa targhetta sulla croce (INRI) “Rex Judeorum”. In realtà, più correttamente, era stato accusato dai Romani proprio di voler fare il re degli Giudei, come aveva tentato suo padre, Giuda il Galileo. Fu così immediatamente crocifisso, con i suoi accoliti armati, che verranno catturati e uccisi negli anni successivi, come riporta lo storico Giuseppe Flavio.
      Nonostante le censure di un passato rivoluzionario e armato così imbarazzante, altre tracce eloquenti sono restate per errore nei Vangeli. Come l’episodio dei “discepoli” armati di spade all’Orto dei Getsemani, così non-violenti che uno di loro taglia di netto un orecchio ad un soldato. Questi fanatici della setta estremista, naturalmente, erano duramente osteggiati anche dagli Ebrei. Praticavano il battesimo (Giovanni Battista), la comunione dei beni e vivevano secondo riti monastici sotto la guida dei Nazir o Nazirei o Nazareni. Siamo nel periodo delle Guerre Giudaiche.
      D’altra parte, tutto torna storicamente: il padre di Giovanni da Gamala-Gesù era Giuda il Galileo, personaggio realmente esistito citato dallo storico ebreo Giuseppe Flavio, fondatore del movimento ribellistico zelota, ucciso durante una rivolta antiromana. E Giovanni-Gesù aveva, guarda caso, tre fratelli chiamati Giacomo, Simone e Kefas (ossia Pietro), come i principali apostoli. Giovanni di Gamala costituì con essi una banda armata in rivolta contro l'occupazione romana. Gli apostoli sarebbero stati in realtà dei guerriglieri, accoliti del movimento zelota e chiamati banda dei Boanerghes. Come se non bastasse, Giuda Iscariota deriverebbe il suo appellativo da sicario, mentre Simone zelota denuncerebbe l'appartenenza alla setta zelota. I soldati Romani davano loro la caccia, ma quelli affrontavano con gioia il patibolo o la croce nella certezza di avere come ricompensa dopo la morte una vita eterna di beatitudine, un po' come oggi i terroristi dell’Islam. Finché quel Giovanni-Gesù fu catturato nell'orto del Getsemani e crocifisso.
      Lo storico ebreo Giuseppe Flavio ci ha dato nella “Guerra giudaica” una preziosa informazione sull’esistenza di un rivoluzionario carismatico la cui figura si attaglia perfettamente a quella di Gesù. Peccato che questo personaggio non fosse Gesù. E due vicende simili in così poco spazio di tempo sarebbero impossibili. Dunque, per Giuseppe Flavio si trattava d’un "falso profeta egiziano". «Arrivò infatti nel paese un ciarlatano che, guadagnatasi la fama di profeta, raccolse una turba di circa trentamila individui che s’erano lasciati abbindolare da lui, li guidò dal deserto al monte detto degli ulivi e di lì si preparava a piombare in forze su Gerusalemme, a battere la guarnigione romana e a farsi signore del popolo con l’aiuto dei suoi seguaci in armi. Felice prevenne il suo attacco affrontandolo con i soldati romani, e tutto il popolo collaborò alla difesa, sì che, avvenuto lo scontro, l’egizio riuscì a scampare con alcuni pochi, la maggior parte dei suoi seguaci furono catturati o uccisi mentre tutti gli altri si dispersero rintanandosi ognuno nel suo paese» (II, 13, 5).
      Molte rivolte e azioni violente i primi Cristiani le organizzarono anche a Roma, dove a detta degli storici romani erano considerati come terroristi e banditi rivoluzionari. Però, come capita a tutti i rivoluzionari, decenni dopo, una volta al potere, furono gli stessi capi della Chiesa che cancellarono ogni riferimento alle imbarazzanti origini rivoluzionarie e violente del loro movimento.
      "Dopo le prove fornite dalla “Favola di Cristo” sulla non esistenza di Gesù, come si può ancora credere che i racconti riportati sui Vangeli, pieni di contraddizioni e grossolanità, siano la biografia di un personaggio storico? Seguendo una fede cieca molti cristiani preferiscono mettere l'accento sul “simbolismo” contenuto nei testi. [E forse lo stesso papa Leone X sopra citato era tra questi. NdR]. Quindi, in teoria è possibilissimo – deduciamo noi – che siano esistiti addirittura papi e cardinali che sapevano della non esistenza storica di Gesù, ma hanno taciuto o per paura dello scandalo indicile (e del rischio di essere deposti come pazzi), o rifugiandosi del carattere analogico, simbolico delle Sacre Scritture. Come per le “verità scientifiche” dell’Antico Testamento (la Bibbia). Ma se tutto è simbolico – conclude Johannès Robyn, presidente dell'Unione degli Atei di Francia – che cosa resta del personaggio?" Di un personaggio-Dio, aggiungiamo, dal cui nome deriva la parola e la fortuna del Cristianesimo.
      In quanto al libro “La favola di Cristo”, si può aggiungere che è molto avvincente, strutturato come un "giallo" storico "scientifico", e si rivela una miniera di impressionanti notizie concatenate tra loro. Impossibile non proseguirne la lettura, una volta che lo si è iniziato a leggere. Un vero puzzle nel quale i vari tasselli vanno a incastrarsi in modo apparentemente perfetto. Se ne consiglia la lettura. Può essere acquistato presso la famiglia dell’autore, alla quale deve andare tutta la nostra fattiva riconoscenza per la collaborazione offerta ai tanti appassionati e anche in memoria del congiunto studioso.
      Complemento efficace al lavoro di Cascioli è la minuziosa e filologica ricostruzione storica di Marco Guido Corsini, secondo il quale sarebbe fondata l'origine egiziana del capopopolo sedicente Messia. Il suo sito offre per certi punti una ricostruzione di Gesù come rivoluzionario ebreo “egiziano”. Gli indizi e le concordanze coi documenti storici sono affascinanti, così come inquietanti i tentativi della prima Chiesa di cancellarli, a partire dai Vangeli.
      La Chiesa cattolica, in risposta, appare molto più sensata e meno scandalizzata di quanto noi laici potremmo immaginare. Un tempo avrebbe mandato a morte l’incredulo. Oggi semplicemente obietta con sospetto understatement realista di fronte alla assenza totale di notizie sul personaggio Gesù, che “neanche su Giovanni di Gamala, ci sono sicure fonti storiche”, e che quindi contrapposta alla "favola di Cristo" c'è solo la "favola di Cascioli". Come a dire che è ben poca cosa.
      Il giorno dopo la scomparsa di Luigi Cascioli, la cui opera di ricostruzione della verità storica e di decostruzione del mito del presunto personaggio “Gesù di Nazareth assunto in Cielo come Dio" è ricordata anche su Wikipedia, riteniamo che questo ricordo possa essere l’omaggio più giusto a lui dovuto. 
      Fu comunque un sincero e onesto uomo, cosa che si può dire in genere di tutti gli eruditi, che hanno solo le "fonti" storiche o letterarie, non le dicerie, e le superstizioni, come personale faro di libertà intellettuale. Grazie alla sua tenacia, al rigore razionale, e all’erudizione di questo studioso insieme coraggioso e ingenuo, profondo conoscitore dei testi dei Vangeli e della Bibbia, che ha dimostrato - in buona compagnia - essere stata scritta in tempi molto più recenti di quanto racconta la leggenda. A lui va il nostro ricordo e la nostra ammirazione.
      Naturalmente, molti altri ricercatori sono giunti ad analoghe conclusioni. Molto ben documentato, strutturato come una tesi universitaria e ben scritto il saggio "Gesù Cristo non è mai esistito", scritto da Emilio Bossi nel 1976, riprodotto su internet. Lo storico americano Michael Paulkovich si dice coinvinto che il personaggio Gesù non è mai esistito, non essendo stato in grado di trovare alcuna menzione verificabile di Cristo analizzando i testi storici di ben 126 scrittori vissuti durante il tempo di Gesù, dal I al III secolo. Anche lo scrittore ateista californiano David Fitzgerald afferma in un suo libro di prossima uscita che non c’è alcuna evidenza dell’esistrnza reale di Gesù. Invece, deve essersi trattato di un’allegoria creata combinando antiche storie e rituali ebraici e di sette rivali.

(1) Cristologo è lo studioso specializzato in "cristologia", branca della teologia cristiana incentrata sugli studi attorno alla figura storica e simbolica di Gesù.

Sui rapporti tra Maria di Magdala e Giovanni, il capo-banda zelota (oggi diremmo fondamentalista e rivoluzionario ebreo, seguace della più stretta legge mosaica) su cui la Chiesa modellò secoli dopo la vita del personaggio inventato Jeoshua, alias Gesù, Salon Voltaire ha ospitato un interessante articolo di Luigi Cascioli. 

Ora la parola a un amico di Cascioli, l’intellettuale olandese Joan Peter Boom, scomparso a Bagnaia nel 2011:.


Appendice

IN MEMORIA DI LUIGI CASCIOLI
di Peter Boom

Luigi Cascioli, nato il 16 febbraio 1934 a Bagnoregio (VT) è deceduto ieri [15 marzo 2010, NdR] nella sua casa di Roccalvecce (VT), e con lui abbiamo perso un appassionato ed erudito storico, specializzato soprattutto nel primo periodo cristiano.
Aveva scritto e pubblicato tre libri "La favola di Cristo" (inconfutabile dimostrazione della non esistenza di Gesù), "La morte di Cristo" e "La statua nel viale", dei quali sono stati stampati versioni in diverse lingue.Attraverso approfonditi studi aveva dimostrato che Cristo non era mai esistito ed aveva a proposito denunciato la Chiesa Cattolica, nella persona di Don Enrico Righi, parroco-rettore della ex.Diocesi di Bagnoregio per abuso della credulità popolare (Art. 661 C.P.) e per sostituzione di persona (Art. 494 C.P.).
      Ateo convinto, Luigi Cascioli (http://www.luigicascioli.eu) aveva voluto attaccare il cristianesimo con questa denuncia contro la Chiesa Cattolica, sostenitrice di un'impostura costruita su falsi documenti, quali la Bibbia ed i Vangeli, che aveva imposto con la violenza dell'inquisizione e con il plagio ottenuto con l'esorcismo, il satanismo ed altre superstizioni. Ultimamente Luigi Cascioli stava preparando un nuovo libro riguardante Fatima, da lui denominato altro grande imbroglio superstizioso-finanziario.
Luigi Cascioli, un uomo coraggioso, fino all'ultimo sulla breccia per divulgare le Sue idee, le Sue tesi storiche, delle quali si parlerà ancora a lungo.
      Il Libero Pensiero vola ben oltre la morte terrena e questa consapevolezza ci dà la forza di esporre sempre con grande apertura mentale e la massima onestà le nostre idee. Non abbiamo dogmi e sappiamo tutti di poter sbagliare, ma siamo ben convinti che non si possa imbrigliare il nostro pensiero. Di questo fu grande testimone il filosofo Giordano Bruno, immolato dopo atroci torture sul rogo dall'Inquisizione cattolica. Oggi il rogo o la pena di morte, almeno nei paesi di civiltà occidentale non esiste quasi più, ma altri metodi perniciosi per bloccare il Libero Pensiero persistono, bloccando l'informazione su certe idee, frutto di lunghi studi, come quella di Luigi Cascioli sulla non esistenza di Gesù.

IMMAGINE. Il cristologo Luigi Cascioli in una conferenza a Venezia nel 2009.


AGGIORNATO IL 24 DICEMBRE 2021

08 marzo, 2010

 

L’intelligenza di Pannunzio, liberale coraggioso, creatore di idee e grandi giornali

Chi crede che un liberale non debba essere coraggioso e anticonformista, e che anzi la razionalità, cioè senso critico ed equilibrio, si risolva alla fin fine in una moderazione dell'intelligenza – come accade ai troppi conservatori che per vergogna oggi si definiscono "liberali" – non ha capito nulla del Liberalismo, e neanche di Cavour e Pannunzio.
Li accostiamo a ragion veduta, e non solo perché Pannunzio teneva dietro la scrivania tra i lari protettori il ritratto di Cavour, come del resto anche Parri. Ma perché ebbero molto in comune, compresi una vita intensa e breve che li abbandonò poco dopo i 50 anni, il coraggio e la fantasia senza limiti, la versatilità e il pragmatismo, e soprattutto il Liberalismo come ragione di vita, nutrito non di egoismo, interessi personali o visioni grette e meschine della società e dell’economia, ma di alti e severi ideali etici, apertura verso tutti i nuovi diritti di libertà, riformismo concreto, altruismo sociale, rispetto pignolo per le "regole".
Ed entrambi, Cavour e Pannunzio, pur essendo ufficialmente dei moderati, con intelligenza arrischiata e spregiudicata, nient’affatto moderata, crearono e diffusero idee nuove, originali formule ideologiche e politiche, programmi, scenari, e giornali innovativi. E per questo entrambi piacquero a tanti, tantissimi, i più intelligenti e aperti, ma dispiacquero con la propria modernità e il pensiero di tipo "europeo", assai poco italiano, ai molti provinciali di casa nostra, ancorché sedicenti "liberali", affetti da quella ben nota ottusità municipale che ci portiamo dietro dal Medioevo.
Ed entrambi nacquero a 100 anni esatti di distanza, Cavour nel 1810, Pannunzio nel 1910. E in fondo, a ben vedere, sono stati il primo e l’ultimo esponente del Risorgimento.
Cosicché appare felice l’intuizione del Centro Pannunzio di Torino di celebrarli insieme, in un anno che oltre al centenario della nascita di Pannunzio (nato il 5 marzo) vede anche il bicentenario di Cavour (10 agosto), vero e unico geniale Padre della Patria che fece 150 anni fa, quasi da solo, per la Nuova Italia quello che ancora o perfino oggi - scusate il paradosso - non sarebbe possibile fare.
Due modelli esemplari, Pannunzio e Cavour, del vero essere, pensare e soprattutto "fare" liberale, che domani, martedì 9 marzo, alle ore 17,30 nell’Aula Magna dell’Università di Torino saranno al centro d’un importante convegno organizzato dal Centro Pannunzio (istituto di cultura fondato da Arrigo Olivetti e Mario Soldati nel 1968) sul tema "Pannunzio, il Risorgimento, Cavour", con l’alto patronato del Presidente della Repubblica.
Con l’occasione, le Poste italiane hanno stampato un francobollo commemorativo di Mario Pannunzio (vedi immagine), con uno speciale annullo negli uffici postali di Torino e Lucca, sua città natale.
In attesa di adeguate celebrazioni per Cavour e per i 150 anni dell’Unità d’Italia, la figura di Mario Pannunzio, ingiustamente considerato da alcuni solo "un grande direttore di giornali", meritava questo ricordo.
Grande direttore di giornali, certo, ma soprattutto politico originale (tra l'altro fu tra i fondatori del Partito liberale italiano e poi del Partito Radicale), uomo di cultura grande e di grande versatilità, dotato di un non comune senso etico ed estetico, Pannunzio dimostrò che essere liberali (e liberali veri, non conservatori mediocri, come molti oggi in realtà sono) vuol dire anche essere pieni di creatività, intuizione ed eleganza, cioè di intelligenza. Un modello per tutti noi.
Un uomo, poi, di personalità complessa e di molteplici interessi. Non come alcuni che non sapendo far nulla nella vita si buttano in politica o nel giornalismo, perché in questi due campi in Italia non ci sono filtri di merito se hai le raccomandazioni adeguate. Insieme italiano e anti-italiano, pigro amante delle comodità, ma al bisogno febbrilmente attivo e senza risparmio, bon-vivant, frequentatore di caffè ed esteta, ma non come il solito italiano parolaio, inconcludente e pronto a tutto – Franza o Spagna, purché se magna – bensì come un anglosassone severo, perfezionista, idealista e attivista, amante certo dei piaceri ma dotato di altissimo rigore morale, insomma semmai della pasta dei Salvemini, degli Einaudi, degli Ernesto Rossi, dei Cavour. Dopodiché, diamogli pure l’etichetta del versatile dilettante di genio, ma non con l’ironia sbagliata che vi mettono certi Italiani.
A chi sa vedere, basta non leggere ma guardare le vecchie copie del Mondo per dimostrare che Pannunzio era anglosassone. Quel carattere tipografico con le "grazie" quadrate larghissimo e nero, che poi passò quasi per il tipico carattere "razionale" e quindi "liberale", al centro della testata un disegno grafico inusitato in Italia, l’uso degli spazi bianchi e delle grandi foto, non sempre collegate all’articolo, ma spesso esse stesse articoli di contrappunto, e infine l’accostamento pragmatico di autori diversi e tesi diverse in un continuo confronto dialettico, pur nei confini dell’idea liberale. Il più bel settimanale che l’Italia abbia mai avuto, così come il Risorgimento liberale era stato a detta di tutti, perfino degli avversari, il più bel quotidiano politico.
Il kalos kai agathos, il bello è buono, erano connaturati alla sua personalità. Del resto faceva tranquillamente il regista quando la caduta del Fascismo lo colse - guarda caso, al posto giusto - nella redazione di un giornale. Fu lui a stilare nell’Italia appena risvegliatasi dopo la caduta del fascismo il primo comunicato del Messaggero "libero", un comunicato del resto stupendamente crociano, al tempo in cui anche i liberali che non erano Croce sapevano scrivere almeno i comunicati stampa. Così cambiò la sua vita: lasciò la manovella della macchina da presa e creò il più bel quotifiano di partito mai visto in Italia.
Poi sarebbe venuto il Mondo (1949), il settimanale o piuttosto il "centro-studi" di una vera, nuova, Nuova Italia erede del Risorgimento, fondata sulla laicità, sulle riforme liberali, sulla dignità, sull'Europa, sulla scienza, sull'estensione dei diritti e delle libertà anche ai nuovi ceti emergenti, sul superamento dei falsi steccati politici che giustificavano già allora un bipolarismo illiberale: da una parte i democristiani (in realtà spesso clerico-fascisti), dall'altra i comunisti infiltrati dall'Unione Sovietica. Con liberali, repubblicani, socialdemocratici, post-azionisti e radicali, ottusamente divisi da posizioni sbagliate (si pensi all'alleanza del PLI con l'Uomo qualunque), rissosi, intimiditi, frazionisti, l'uno contro l'altro armati, anziché fare fronte comune.
Più di qualsiasi altro partito, il "partito" del Mondo colpì a Destra e a Sinistra, sul corporativismo della mefitica "società all'italiana", sulle speculazioni dei "palazzinari", la corruzione del boom economico, la distruzione dell'ambiente (Cederna), l'equivoco sottoculturale e provinciale del "conservatorismo" verniciato di finto iberalismo, sulla Sinistra estrema spacciata per "progresso" e "libertà", sulla sintesi tra le varie anime della tradizione liberale, da Croce a Einaudi, l'azionismo e il radicalismo democratico, da Rossi a Salvemini.
Una sintesi che riuscì solo a Pannunzio, non solo sul piano giornalistico ma anche ideologico e culturale, prova che il Mondo e il suo direttore non erano scatole vuote, empty boxes, come i giornali fatui, buonisti perché opportunisti di oggi, pronti a cambiare articolo e tesi per volere del pubblicitario o del politico di turno, ma avevano idee forti, orizzonti aperti, vasta cultura, poderosa intelligenza, e i mezzi della psicologia della comunicazione che solitamente difettano nell'Italia della Controriforma, ancorché sedicente "liberale".
Ma fu l'apertura al costume, alle idee e alla migliore cultura europea e americana, comprese la musica e il cinema, come testimoniano le grandi firme di collaboratori stranieri e italiani (anche Ennio Flaiano, nato lo stesso giorno e lo stesso anno di Pannunzio, e a lui molto simile per alcuni tratti), le rubriche e le corrispondenze degli inviati, oltre ai famosi "Convegni del Mondo", a fare del Mondo il giornale italiano più aggiornato e di maggior prestigio, anche se non certo il più diffuso.
E perciò, oggi appaiono patetici, anzi provocatori, i tentativi da Destra e Sinistra, e perfino da qualche conservatore clericale che ai tempi del Mondo avrebbe letto certi suoi editoriali e commenti con aperto fastidio, di accaparrarsi le spoglie imbalsamate dell'unico uomo geniale che ha espresso l'editoria politica in Italia.
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IMMAGINI. 1. Il primo numero del settimanale Il Mondo. 2. Il francobollo commemorativo di Pannunzio.

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