24 aprile, 2009

 

Resistenza come secondo Risorgimento. Perfino i suoi capi erano liberali

Nella redazione dell’Astrolabio, rivista che era stata fondata da Ferruccio Parri, c’era una scrivania sotto un bel ritratto di Cavour, alla quale sedevo volentieri per correggere i miei articoli. Al caporedattore Dino Pellegrino, comunista siciliano "trinariciuto", persona onestissima, burbero dal cuore d’oro, morto povero (ah, averceli ancora quei "buoni" comunisti d’una volta, incapaci di sporcarsi le mani con le "mazzette"), chiesi come mai i tanti redattori comunisti non avessero tolto di mezzo il ritratto di Cavour. E lui rispose: "Scherzi? Quel quadro ce l’ha messo Parri in persona, e guai a chi lo tocca". Questo mi commosse. Naturalmente feci di quella scrivania "liberale" la mia scrivania. Quando scrivevo qualcosa di "troppo liberale" per una redazione che ormai non teneva più conto di Parri, alzavo gli occhi al quadro di Camillo Benso, come a dire: "Proteggimi tu, che sei raccomandato da Parri, e perciò sei rispettato perfino qui dentro".
Capo incontrastato della Resistenza, disinteressato, idealista, uomo semplice e sobrio (da Presidente del Consiglio si era fatto sistemare accanto allo studio una stanzetta con un lettino per dormire senza gravare con ulteriori spese sullo Stato), grande ammiratore del Risorgimento, a lungo collaboratore del Corriere della Sera, Parri era un vero liberale, al massimo oggi lo si direbbe un liberale di centro-sinistra, dalla vena umanitaria e un po' utopistica, tra Mazzini e Nathan, dotato di quel rigore etico tipico di Giustizia e Libertà, formazione di élite di cui fu tra i massimi esponenti, accanto a Valiani, La Malfa e Lussu.
Non fu dunque un comunista il leader dei partigiani italiani. Eppure la vulgata, alimentata sia dall’estrema Sinistra che dall’estrema Destra, che la Resistenza fu una "cosa comunista", ha dominato a lungo, e resiste ancora.
Non solo, ma anche il capo militare dei partigiani era un liberale, il generale Cadorna (Raffaele junior), nipote del protagonista di Porta Pia. Il capo del CLN dell’Alta Italia, quello in prima linea, era il liberale Pizzoni. E presidente del comitato economico del CLN era il liberale Cesare Merzagora.
Tra i capi del CNL dell’Alta Italia c’era anche il liberale Giustino Arpesani, del Pli. Inutile cercare il suo nome nel Dizionario della Resistenza (ed. Einaudi): è assente. Come mai? Perché liberale, ha scritto Tommaso Piffer, studioso della Resistenza, in un saggio su I liberali italiani dall' antifascismo alla Repubblica (ed. Rubbettino), curato da Fabio Grassi Orsini e Gerardo Nicolosi.
Ha commentato Antonio Carioti sul Corriere della Sera che la storiografia dominante della Resistenza, per lo più di scuola comunista, divise a lungo i partigiani in "progressisti" o rivoluzionari, e perciò degni di essere ricordati (i comunisti), e "conservatori" (liberali, azionisti, repubblicani, monarchici, democristiani, socialdemocratici, insomma chiunque non fosse comunista), e dunque da censurare in quanto sospettati di voler frenare il corso del Progresso, se non addirittura di essere reazionari.
E invece la Resistenza ebbe diverse anime, spesso una contro l'altra armate. Inevitabile, che i contrasti ideologici e tattici tra le tante componenti ideologiche sfociassero in vero e proprio odio verso i "fazzoletti azzurri" (i partigiani liberali), l’azzurro essendo il colore dei Savoia, e i "fazzoletti verdi" (partigiani cattolici) da parte dei comunisti. Ci furono agguati, esecuzioni, episodi vergognosi come l’orribile strage di Porzus, vicino Udine, di alcuni membri della Brigata Osoppo da parte dei "fazzoletti rossi" della Brigata Garibaldi, partigiani comunisti italiani a cui si erano uniti gli sloveni, comandati dal famigerato Toffanin.
Ma è vero che, sia pure fenomeno di élite, come del resto lo era stato il Risorgimento, la Resistenza italiana al nazismo e al fascismo, con la sua variegata partecipazione democratica (comunisti, azionisti, liberali, cattolici, socialisti, monarchici), costituì il nucleo della classe politica della nuova Italia. E infatti i partiti animatori della Resistenza, riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale, avrebbero più tardi costituito insieme i primi Governi democratici del dopoguerra.
Il CLN fu fondato il 9 settembre 1943 da Bonomi (indipendente), De Gasperi (Dc), Alessandro Casati (Pli), Ugo La Malfa (PdA), Nenni (Psi) e Scoccimarro (Pci). Come si vede, quattro dei sei esponenti politici erano di area liberal-democratica.
E anche l'Assemblea costituente fu in massima parte composta da esponenti dei partiti che avevano dato vita al CLN, tra i quali i liberali (Croce e Einaudi, tra i primi), i democratici e gli azionisti erano in primo piano. Questi scrissero la Costituzione fondandola sulla sintesi tra le rispettive tradizioni politiche e ispirandola ai princìpi della Democrazia liberale e dell'Antifascismo.
Ma in precedenza c’era stato il "Risorgimento liberale", giornale clandestino fondato da Mario Pannunzio nel 1943, che condusse un’epica battaglia liberale, liberale di sinistra, moderna e anticonformista, che dette molto fastidio al Pci che allora puntava sulla retorica della "Resistenza, cosa comunista". "Il partito liberale non è un partito di destra. Non difende interessi costituiti" scriveva Pannunzio il 1° agosto 1944. Eh, vaglielo a dire a quelli che oggi, perché è di moda e fa snob, straparlano di Pannunzio, e poi - solita furba incoerenza italica - stanno con la Destra, spesso neanche liberale.
Ma della Resistenza fecero parte anche molti liberali moderati o monarchici, si direbbe oggi, come la famosa Brigata Franchi comandata dal coraggioso Edgardo Sogno, consigliere del re Umberto II e medaglia d' oro al valor militare, che da vecchio, quando ormai aveva dato tutto quello che doveva dare, fece qualche piccolo errore (fu perfino accusato di aver ideato un "golpe bianco", ma poi prosciolto), ma resta comunque uno dei più fulgidi esempi di "azionismo liberale" dopo il Risorgimento.
Un altro grande partigiano liberale, lo studioso e saggista Massimo Salvadori, scrisse un bel libro, "Resistenza e azione. Ricordi di un liberale", in cui delinea con ricchezza di testimonianze dirette il rapporto tra liberali e azionismo resistenziale. Anche Ercole Camurani, attivo nel Pli negli anni Sessanta, ne scrisse in una storia dei liberali moderni.
Niente monopoli della Resistenza, quindi. Il 25 aprile, nel commemorare la Liberazione, i liberali, i laici, i repubblicani, i radicali, e tutti gli uomini liberi, hanno il diritto di ricordare senza complessi di inferiorità la propria Resistenza - spesso la più dura ed eroica - quella di chi si batteva contro nazismo e comunismo in nome della Libertà, essendo infinitamente più credibile degli altri, che da totalitari contrastavano un altro totalitarismo.
Ma la Resistenza, purtroppo, non fu capace da sola di vincere la guerra. Bisogna ricordare con infinita gratitudine, perciò, i gloriosi eserciti alleati, soprattutto di Stati Uniti e Gran Bretagna, che a prezzo di centinaia di migliaia di morti furono determinanti per la sconfitta della dittatura nazi-fascista in Italia e in Europa. E oltre agli eserciti americano e inglese, anche quelli canadese, australiano e polacco. Non è un caso che ogni anno, il 25 aprile, una delegazione di esponenti liberali, repubblicani e radicali si reca al Cimitero di guerra anglo-americano di Trenno a rendere omaggio ai due volte gloriosi che caddero per la libertà degli altri..

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