26 giugno, 2007

 

Capezzone o la fantasia al potere: come ti cambio l’Italia col trans-partito web

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"Sicuri che siamo i primi? Forse sì.
Non ce l’hanno Zapatero o Sarkozy".
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Il nostro copywriter si diverte, tanto è lui il padrone dell’agenzia. Eravamo sicuri che il geniale Daniele Capezzone non sarebbe caduto nel vecchiume primo Novecento, lui che conosce a menadito la bellezza e la rapidità della rete web. Perché, d’accordo, assomiglierà pure a Piero Gobetti, ma i tempi tecnologici sono un po’ diversi. E a noi piacciono molto i liberali veloci.
Ieri unica "promessa", oggi vera novità della politica italiana, il presidente della Commissione Attività Produttive pensa troppo moderno per le cariatidi italiche che sopravvivono nelle polverose stanze del Potere respirando polvere di acari e muffa.
Meno male che è uno dei pochi dotato di senso dell’humour, così parafrasando due tipacci burberi come Benedetto Croce e Marco Pannella, potremmo finalmente fargli i migliori complimenti, quelli scherzosi per il suo leggero e bellissimo "trans-partito web liberale" (definizione e virgolette sono nostre) che ieri sul Corriere nell’intervista della De Caro ha cominciato a presentare.
Cominciato? Sì, perché si capisce subito che il programma è ampio, dinamico, pervasivo e ambizioso. Il progetto a più strati basato sui princìpi liberali della competizione e del merito decollerà il 4 luglio. Una bella duplice coincidenza: è la data dell’indipendenza degli Stati Uniti da cui abbiamo fatto partire l’anno scorso l’avventura dei Liberali Italiani, il comitato per la riunificazione che finora ha riunito 10 gruppi "né di Destra, né di Sinistra", ma solo liberali. E in Italia riunire i liberali, che tendono a dividersi, è la tredicesima fatica d’Ercole.
Aspetteremo il 4 luglio con una certa ansia. Da titolisti, speriamo che gli mettano un buon nome, breve, sintetico, fantasioso ma non troppo.
E in che cosa consisterà esattamente? Per ora è lecito sapere solo che dovrebbe assomigliare ad una rete informatica a più livelli, che oltre a lavorare sul territorio sarà divisa in diversi temi.
Speriamo che tra questi ci siano anche l’informazione. Lo scandalo dei giornali finti, finanziati dallo Stato, non letti da nessuno e scritti da "servi della tastiera", proletari della penna a titolo gratuito, per arricchire un direttore furbetto e parassita che vuole cambiare condizione e classe sociale, deve finire subito.
E magari ci fosse anche l’ecologia. E’ incredibile quanti liberali, oltre a quelli che la scoprirono per primi, siano amanti dell’ambiente e del paesaggio. Ma "ecologia come scienza, diritti di libertà, e tipici limiti liberali delle libertà" (vedi il Manifesto della nostra Ecologia liberale), contro la vulgata imposta dai mistificatori del finto ambientalismo come altro mezzo, sleale, di lotta politica. Come i clericali cercano di barare sostenendo che Dio sta con loro, così i verdi-rossi bluffano facendo credere che parlano "secondo scienza". Ma non sempre è così. I liberali, invece, partono sempre e solo dalla scienza. E dai diritti di libertà, con i loro limiti.
Sarà un network. La partecipazione alle scelte politiche ed economiche, per la prima volta, utilizzerà massicciamente una rete informatica. Non vediamo l'ora. Proviamo ad immaginare. Sarà il ritorno alla vera piazza, all’antica agorà greca, in chiave telematica. In tempo reale come in fondo è ogni piazza di villaggio. Proposte, discussioni, valutazione di progetti e decisioni, perfino assemblee "a computer collegati"?
Un programma geniale, leggerissimo - immaginiamo - nelle strutture, ma forte nelle conseguenze. Non per caso Capezzone parla di una vera Opa lanciata sul Palazzo e sulla Società. E chi vuole sottoscriverla non avrà che da valutare e condividere i dieci punti base del Manifesto.
Altro che pesanti partiti in muratura, o il non meno pesante meta-partito o pre-partito dei filosofi. Quello di Capezzone - vedremo meglio dopo il 4 luglio - si preannuncia come l’evento politico più originale dell’anno, questo sì, reale in confronto al virtuale Partito Democratico, capace forse di influire sulla nuova e già declinante legislatura.
E chissà che, per quanto si preannunci provocatoriamente leggera come una farfalla, non sia proprio questa iniziativa a condizionare temi e tempi della politica futura. Un battito d’ali che, secondo la teoria di Turing ("Macchine calcolatrici ed intelligenza", 1950), potrebbe innescare se non un ciclone almeno tante modificazioni successive, a cascata.
Forza Daniele!

18 giugno, 2007

 

Il “Polo-Ulivo”. L’intrigo super partes per spartirsi potere, soldi e consensi

"Guai all’anti-politica". Subito dopo l’ultimo scandalo, ecco puntuale l’ultimo slogan inventato in quattro e quattr’otto dagli uffici stampa del Potere, gli stessi che se l’anti-politica dovesse prendere il sopravvento perderebbero il posto e lo stipendio conquistati senza merito. Ed è già diventata una giaculatoria, un’invocazione retorica, di quelle che i tanti, troppi, avvocati della politica italiana sono soliti recitare senza convinzione quando in tribunale devono difendere un imputato indifendibile: "Attenti alle generalizzazioni, ai teoremi, al qualunquismo, al populismo". Senti chi parla. Senti che pirla.
E intanto i famigerati politicanti all’italiana, che irritano gli editorialisti ma mandano in solluchero i comici anglosassoni, continuano come se niente fosse a farsi gli affari propri, incuranti degli interessi di tutti, di quelli che loro considerano gli utili idioti, la gente, i votanti, sì, insomma, il gregge. Perché loro, si sa, da gregari di provincia che erano (la politica, il Potere, attraggono molto i provinciali), una volta eletti, anzi cooptati nell’elite, si sentono fuori dal gregge, egregi.
Poveri illusi. Come se non si sapesse, visto il bassissimo livello culturale, intellettuale e morale - e le cronache di Radio Radicale in questo senso sono impietose – che peones e leaders, da Margherita a Udc, da Forza Italia ai Ds, da An ai Verdi, per essere stati ammessi a godere di privilegi immeritati hanno dovuto superare una vera e propria selezione al contrario, una singolare gara in cui ha vinto chi è arrivato ultimo.
I libri di denuncia di Salvi e Villone, prima, e di Stella e Rizzo, poi, sono usciti proprio quando l’esasperazione degli Italiani contro abusi, complicità e lentezze del Potere politico-amministrativo era già al limite. Naturale che le due pubblicazioni siano divenute, oltre le aspettative degli stessi autori, le bandiere, i testi di riferimento di una sorta di rivolta morale.
E certe permanenze al potere, per tutte quella di Bassolino che per lo scandalo dei rifiuti in Campania avrebbe dovuto dimettersi da oltre un anno, oggi sono viste dalla popolazione come una provocazione.
Ma ora, scandalo nello scandalo, c’è la difesa a riccio della classe politica intera.
La mistificazione è tale che l’elite al potere dei professionisti del Parlamento e dei poteri collegati, senza distinzione di colore, vuole furbescamente dare ad intendere, nientemeno, che la vera, la "nobile" Politica, mai vista in Italia (dopo la Destra storica di Cavour, concediamo), sarebbe stata - poverina - attaccata da un complotto di "poteri forti": la stampa, la magistratura, l’industria ecc.
Ma quale complotto? D'Alema ha sbagliato. E ha sbagliato anche Berlusconi. Un bell’articolo di Giuseppe D’Avanzo sulla Repubblica di oggi costruisce un mosaico eloquente che lascia senza fiato. Altro che "vittima": la classe politica è la vera colpevole del degrado istituzionale, economico e morale dell'Italia. E finta Sinistra e finta Destra, entrambe poco o nulla liberali, sono sostanzialmente d’accordo. Insomma, se intrigo c'è stato, sono stati proprio i politici italiani ad averlo ordito. Sono gli stessi politici ad alimentare l’anti-politica. Altro che stampa, altro che magistrati. (Nico Valerio)
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LA SINDROME DEL TRASFORMISMO
di Giuseppe D'Avanzo
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Ritualmente il ceto politico elabora, nelle difficoltà, una cosmesi esorcistica dei fatti. La "teoria del complotto" è il metodo più collaudato, facile all'uso, buono in tutte le stagioni. Da destra (Fini, Berlusconi) fino alla sinistra radicale (Giordano) - appena alle spalle di Walter Veltroni - è un coro: c'è una manovra in corso contro la politica per screditarla e i verbali di Stefano Ricucci, pubblicati con due anni di ritardo, ne sono la "prova regina". L'argomento imbarazza per la sua fragilità e offende l'intelligenza di chi cede alla tentazione di adoperarlo.
È utile ripetersi. Due anni fa - per una convergenza di interessi diversi e opposti che trovano conveniente agire in concerto con accordi sotto banco che danneggiano i mercati e i risparmiatori e pregiudicano una corretta informazione dell'opinione pubblica - nasce un intrigo che vuole ridisegnare la geografia del potere politico, finanziario, mediatico del Paese. Sono in palio due grandi banche (Antonveneta, Bnl); la conquista del Corriere della Sera e dei giornali del Gruppo Riffeser (Resto del Carlino, Nazione, Giorno).
Con una coerente simmetria, in caso di successo i due poli avrebbero conquistato - la destra - una banca al Nord e un grande gruppo editoriale; la sinistra, una banca nella Capitale e quotidiani diffusi nelle sue maggiori aree di consenso (Toscana, Emilia-Romagna).
L'intrigo salta per la legge del market abuse, approvata nella più assoluta inconsapevolezza dal Parlamento nella primavera del 2005 perché consente - ma il Parlamento ne sottovaluta l'esplosività - investigazioni molto invasive e che la procura di Milano promuove. Un anno fa Stefano Ricucci è arrestato. Lo interrogano in sette occasioni. Venti giorni fa, con l'avviso di conclusione delle indagini, tutti gli atti dell'istruttoria sono stati messi a disposizione dei dieci e passa indagati e dei venti e passa avvocati. Venti giorni fa.
Veltroni, Berlusconi, Fini, Giordano dovrebbero rispondere a questa domanda: quando si doveva dar conto della minuziosa ricostruzione affidata dal "furbetto" ai pubblici ministeri, se non oggi quando quelle carte hanno perso il loro carattere segreto e sono entrate nel circuito processuale della discovery?
Suggerire una "tempistica" sospetta, ingrassare il fantasma della manovra storta, evocare il complotto di "poteri forti" e senza volto - rifiutandosi all'ostinazione dei fatti - è insipienza o malafede, ma quel che conta è altro. Il gergo sgrammaticato, scelto dalla politica, alleva confusione, nasconde un imbroglio.
Sembra che, quasi "a freddo", il ceto politico voglia resuscitare con passi da acrobata il conflitto tra il potere politico e l'ordine giudiziario, la contrapposizione tra ceto politico e informazione per aumentare il "rumore", sollevare polvere, star lontano dal nocciolo più autentico della questione. Che non interpella la magistratura o il rilievo penale dei comportamenti né la moralità o l'immoralità dei rapporti tra politica e affari.
L'intrigo, che vede protagonisti intorno allo stesso tavolo Berlusconi e Prodi, D'Alema e Gianni Letta con un poco nobile codazzo di banchieri, avventurieri della finanza, astuti nouveaux entrepreneurs racconta con efficacia balzacchiana la distanza tra i propositi dichiarati e i comportamenti effettivi, la disponibilità a lasciarsi catturare di ognuno; la divaricazione tra gli accordi in corridoio e i contrasti in pubblico.
L'intrigo rappresenta, si può dire allora, il ritorno sulla scena della politica italiana del trasformismo, di quella sindrome antica quanto lo Stato unitario e che - ci eravamo illusi - il bipolarismo avrebbe dovuto liquidare.
È questo il "caso" di cui si dovrebbe discutere, dunque - del ritorno del trasformismo e della sconfitta del bipolarismo. Non di bubbole complottistiche. Infatti, nei retroscena ricostruiti da Stefano Ricucci, la politica italiana si mostra con la sua faccia forse più autentica e appare prigioniera di quell'unico metodo di governo (consociativo, trasformistico) escogitato per tenere insieme il Paese e ricondurre a provvisoria solidarietà partiti maggiori e minori, nuovi o rinnovati, maggioranza e opposizione, lobby, ceti, corporazioni.
Le mosse di Berlusconi, D'Alema, Fassino, Letta, Prodi (che non hanno alcuna rilevanza penale e che sarebbe sciocco e inutile giudicare moralisticamente) mostrano un paesaggio indistinto e nebbioso, dove si assemblano interessi confliggenti in nome di una politica legata a una dimensione di esclusivo potere, praticata come puro esercizio di autorità, come appropriazione-distribuzione di risorse pubbliche, come manipolazione occulta di ogni trasparente meccanismo democratico.
È un paesaggio dove - conviene ripetersi - si fanno largo "affocamenti di piccole passioni, urti di piccoli interessi, barbagli di piccoli vantaggi" e nessuna idea. È una scena che svela come la politica italiana corra il pericolo di diventare indifferente al merito delle questioni e degradarsi ad apparenza e spettacolo. Importa poco qui sapere se questo eterno paradigma della nostra politica sia o non sia, come alcuni sostengono, un carattere nazionale, o addirittura un segno antropologico, o la secolare inclinazione a fare a meno di fedi e di ideologie in nome dell'adattamento e della sopravvivenza o una degenerazione fiorita per difetto di moralità. I retroscena dell'intrigo sembrano confermare che il trasformismo è l'unica arte di governo, il solo modello politico, la sola prospettiva che consente di sterilizzare, sotto il banco, i conflitti e le profonde fratture che attraversano il Paese e la storia nazionale"

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