26 maggio, 2009

 

Troppo furbi? Macché, sprovveduti. Tutto è cambiato, e loro insistono col sì-no

REFERENDUM. CHE COSA FARA' PIU’ MALE ALLO STRAPOTERE:
SI, NO O ASTENSIONE?
Sarebbe bello, lineare, elegante, nobile, votare "no" all'imminente referendum sulla legge elettorale, come hanno proposto gli amici Radicali, ultimi hidalgos della Politica, che raccolgono signorilmente le sfide, purché l'istituto del duello resti. Ma da liberale doc, e quindi da "radicale dissidente", non sono d'accordo. Perciò non ho fatto carriera tra i Radicali: sono "troppo liberale", e quindi non amo né i collettivi, né i leader, tantomeno la sublime contraddizione dei Collettivi pervasi dal karisma del Leader. Ho il viziaccio liberale di non farmi dare la "linea" da nessuno, fosse pure Einstein, insomma di pensare sempre con la mia testa, proponendo - se sono in grado - idee nuove. Non amo i partiti dove tutti pensano come il Capo, ma solo, guarda caso, dopo che il Capo li ha imbeccati in 48 ore di assemblea intensiva.
Votare "no", dopo che gli esperti ci hanno spiegato che cosa significherebbe, non si può. Coerenti, sì, ma fessi no, direbbe Totò. La legge è complessa, la situazione che ne scaturirebbe contorta. Il rischio sarebbe quello di lanciare un messaggio di conservazione alla classe politica. Vorrebbe dire "tutto come prima", e autorizzerebbe i politicanti del Parlamento a non occuparsi più della legge elettorale.
Ma, quello che è più grave, votare "no" vorrebbe dire comunque votare, cioè far scattare il quorum, e quindi avvantaggiare chi il referendum lo vincerà. Insomma, dare una mano ai "sì", sicuramente prevalenti dopo le scelte di PDL e PD. Altro che "no".
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OTTUSITA’
Questo referendum è stato organizzato con grande superficialità, sprovvedutezza, scarso senso pratico, ingenuità (dipinta come furbizia…). Del resto Segni non è il più perspicace dei politici: c’è chi lo considera un "eterno perdente" che non ne azzecca mai una. E questo prof. Guzzetta non è certo un docente noto. Qualcuno li ha accusati di avere "la testa in aria" e di andare comunque avanti "per principio", (leggi: con testardaggine e ottusità) anche se i tempi sono cambiati. Per questo, ritengo - d’accordo con Teodori e Sartori - che l’astensione, cioè non andare a votare, faccia più male al Potere, che vuole sempre maggior potere, del "no" che farebbe comunque scattare il quorum, cioè la quota minima dei votanti che esiste quasi soltanto in Italia.
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TEMPI MUTATI
Il panorama politico è del tutto cambiato. Oggi, infatti, non siamo più ai tempi dello spezzettato Governo Prodi e dei 20 partiti e partitini, quando Segni e Guzzetta chiesero il referendum. Ci sono ormai due soli partiti dominanti, non per caso entrambi in favore del "sì", di cui uno solo strapotente che si appresta a diventare quasi "partito unico". Altro che "maggiori poteri al Premier" e al primo partito: ora bisogna semmai salvaguardare un minimo di pluralismo liberale.
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MA QUAL E' IL RUOLO DEI REFERENDUM?
Questa consultazione popolare, coi suoi misteri e la sua ambiguità totale (non si sa dove condurrebbero il sì e il no), è un'ulteriore prova che l'istituto del Referendum deve riguardare solo temi semplici, dalle conseguenze evidenti, e capaci di emozionare anche nella sola enunciazione l’uomo della strada. Iinsomma, che siano alla portata d’una casalinga anziana e d’un meccanico indaffarato in officina.
Perché il Referendum è uno strumento non solo eccezionale e "di bilanciamento" in una democrazia liberale fondata sulla rappresentanza, ma è anche - proprio per questo - di per sé elementare e "rozzo", e non si presta alle fredde leggi tecniche, tanto più se contorte, sfaccettate e machiavelliche come quelle elettorali italiane, i cui esperti nello stesso Parlamento si contano sulle dita d’una sola mano. Ben altri, tanto più in società sempre meno politicizzate e ormai disgustate dai Palazzi del Potere, sono i temi tipici d’un "buon" referendum: "Divorzio, sì o no?", "Volete l’isola pedonale?". I Radicali, esperti di referendum, hanno cominciato a capire gli errori fatti in passato. Ma gli altri?

24 maggio, 2009

 

La ragione di tutto? Che non c’è Ragione, cioè libertà. Per esempio, giornali e tv

La libertà d’una Nazione si vede dalla libertà di informazione. Che oggi in Italia è gravemente condizionata, e in alcuni casi negata del tutto. Perciò il Salon Voltaire ha aderito alla neonata Società Pannunzio per la Libertà d'Informazione, promossa da Critica Liberale e da altri club ed esponenti laici indipendenti. Ha sede a Roma. Sul sito si apre una finestra per le adesioni. Attenzione agli equivoci: niente a che fare col Centro Pannunzio di Torino.
Ecco la Dichiarazione d'intenti:
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1. Essere consapevoli che i media non sono liberi
Nella nuova era dei media la libertà d’informazione è garantita bene o male da Costituzioni e leggi, ma nella realtà i media sono manipolati, eterodiretti, conformisti. Il giornalisti perdono il loro ruolo di testimoni della realtà e sono trasformati in canali di trasmissione di messaggi altrui. Il lettore, lo spettatore e l’ascoltatore sono ridotti a oggetti inconsapevoli e non sono titolari di alcun diritto. Ora i media si identificano sempre più con le loro proprietà.
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2. Non c’e’ democrazia senza informazione indipendente
Le democrazie occidentali non sono più tali se manca un requisito minimo di democrazia come un’informazione indipendente. Ora il gioco politico, soprattutto in Italia, è visibilmente truccato dalla manipolazione dell’opinione pubblica. Abbiamo tanto combattuto affinché le elezioni politiche fossero libere, bisogna cominciare a lottare affinché anche le opinioni siano libere, ovvero liberamente formate.
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3. I tre poteri della "sfera pubblica": per un nuovo separatismo
Nelle società moderne la complessiva "sfera pubblica" è composta dall’apparato politico e statale, dal potere economico e dal potere mediatico. Questi tre poteri, invece d’essere separati, sono strettamente intrecciati. Bisognerebbe che diventassero consapevolezza di massa i guasti provocati dalla terribile distorsione causata dalla dipendenza delle forze politiche dai finanziamenti leciti e illeciti; i guasti generati dalla informazione eterodiretta da quegli stessi poteri economici e politici; i guasti provocati al mercato dalla burocrazia politica e dalla dipendenza dai finanziamenti pubblici.
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4. Cittadini, lettori, consumatori
Va fondato pressoché dal nulla il "diritto dei lettori", i quali ora sono senza difese sia in quanto cittadini (non viene garantita loro né la pluralità né l’indipendenza dell’informazione) sia in quanto consumatori. Eppure come compratori di un bene essi sono "consumatori" (peraltro di una merce ben più delicata di altre, perché condiziona la salute mentale e democratica) e quindi dovrebbero acquisire almeno diritti analoghi a quelli che con fatica hanno gli acquirenti di un qualunque bene di consumo, in fatto di trasparenza, di non commistione di interessi, di non inquinamento della notizia.
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5. L’informazione nella rete
Internet rappresenta il media più grande mai esistito, per le dimensioni del pubblico cui si rivolge, ed è caratterizzato dalla mancanza di una rigida separazione tra utenti e produttori di informazione: chiunque, in pochi click, ne legge e ne produce. L’informazione in Rete corre, dunque, lungo linee orizzontali che incrociano costantemente quelle verticali dei media tradizionali e che, proprio in quanto orizzontali, si sottraggono alle logiche e alle dinamiche di controllo che hanno, sin qui, impedito che stampa, radio e televisione svolgessero in modo libero il loro ruolo fondamentale in ogni Paese democratico: quello di creare attraverso il racconto libero ed indipendente dei fatti e della storia una coscienza civile nei cittadini, trasformandoli da soggetti passivi della democrazia a suoi protagonisti. Difendere la libertà di manifestazione del pensiero in Internet significa difendere questa speranza.
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6. Una politica riformatrice
Tra le emergenze democratiche va annoverata una vera riforma, legislativa e non, che costruisca cinque condizioni strutturali sia per garantire la libertà d’informazione sia per fondare i diritti dei lettori-consumatori:
1) Sancire la rilevanza di primario interesse pubblico d’una informazione libera e indipendente, quale componente necessaria per l’esistenza di una democrazia politica;
2) Prendere consapevolezza che la libertà d’informare può essere garantita esclusivamente da un effettivo pluralismo delle fonti;
3) Perseguire una politica che si ponga come fine la massima separazione possibile tra i poteri della "sfera pubblica" e quindi anche tra il potere economico e quello mediatico;
4) Riconoscere al "bene informazione" uno status differente da quello di semplice merce, e quindi costruire per le imprese editoriali una forma di governance con una propria esclusiva tipicità che tenda a realizzare progressivamente il principio separatista tra la proprietà del mezzo e la gestione giornalistica, anche attraverso passi intermedi come la sterilizzazione del controllo proprietario sui contenuti informativi;
5) Considerare basilare la presenza del lettore-consumatore tra i protagonisti della comunicazione.

13 maggio, 2009

 

E' inutile, autolesionistico o compiacente? L’imbroglio d’un ottuso Referendum

Se qualcuno fosse stato indotto a pensare che il referendum sulla legge elettorale del 21 giugno dà più potere ai cittadini e meno ai partiti, si sbaglierebbe di grosso. Il risultato del referendum, qualora raggiungesse il quorum e vincessero i , esproprierebbe ancor più i cittadini del diritto di eleggere i propri rappresentanti.
Se qualche altro ritenesse che, dopo il referendum, il Parlamento dovesse intervenire per cambiare la legge elettorale, prenderebbe un altro abbaglio, perché il risultato della prova referendaria è, come si dice, “auto-applicativo”, in quanto la legge che ne scaturirà sarebbe del tutto funzionante.
Se una terza persona sperasse con il referendum di avviare l’Italia al bipartitismo perfetto, si ingannerebbe ancor più, perché con i marchingegni elettorali non si cambia il sistema politico. La vicenda del Popolo della Libertà, in positivo, e quella del Partito Democratico, in negativo, lo provano a sufficienza.
La verità è che questo referendum è un imbroglio. Perché oggi, in Italia, la cosa più importante in materia elettorale è di restituire ai cittadini il potere di eleggere i propri rappresentanti, come in ogni decente democrazia, facendola finita con le liste bloccate preparate da pochi cacicchi di partito.
Quel che propone il referendum è, invece, l’opposto: da una pessima legge, definita “porcellum”, si passerebbe a un “superporcellum”, ancora più sprezzante degli elettori. Oggi il premio di maggioranza è attribuito alla coalizioni di liste che ottengono più voti. Domani, se il referendum passasse, lo stesso premio sarebbe attribuito all’unica lista che ottiene più voti, indipendentemente dalla percentuale.
Oggi, con il sistema attuale, il Parlamento è nominato da una decina di capipartito che compilano le proprie liste elettorali scegliendo i loro amici e affini. Con la vittoria del Sì al referendum il capo dell’unico partito vincente, leggi Berlusconi, nominerebbe la maggioranza assoluta della Camera, ovvero 346 deputati su 630 (55%), acquisendo legittimamente il potere di fare il bello e il cattivo tempo senza contrappesi.
E’ ovvio che il leader del Popolo della Libertà abbia dichiarato che andrà a votare secondo il proprio interesse per il . E’ più difficile comprendere perché mai Dario Franceschini voglia mobilitare il Partito democratico nella stessa direzione al punto da suscitare molteplici e vigorose reazioni.
Da parte mia mi asterrò per fare fallire questo referendum, inutile o dannoso. Sono consapevole che l’astensione è un’arma impropria che non bisognerebbe mai usare in democrazia. Ma questa volta è proprio nel nome della democrazia che non voglio contribuire a peggiorare ancor più un pessimo sistema elettorale.
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Questo editoriale firmato da Massimo Teodori sul Tempo del 13 maggio, col titolo "L'imbroglio dell'inutile referendum", illustra in una sintesi efficace, senza i soliti obliqui contorcimenti, il significato perverso e ottuso di questo referendum. Non devono essere grandi menti quelle che lo hanno pensato e proposto. Mediocri politici anche quelli che lo appoggiano. Il che pone ancora una volta il problema della qualità del personale politico in Italia. Non saper prevedere o prefigurare con eccessiva furbizia le conseguenze pratiche delle proprie azioni è tipico dei politici mediocri. Un uomo politico che non voglia essere un volgare politicante non deve essere, insomma, né Bertoldo, né Machiavelli.

09 maggio, 2009

 

La lobby clericale del Parlamento Europeo dice sì al sesso selvaggio. Per i selvaggi

Alle dure critiche, perfino dei Governi conservatori in Francia e Germania, si era aggiunto il Parlamento del cattolicissimo Belgio con una mozione politica ufficiale, caso unico e "pesante", in cui giudicava "inaccettabili" le dichiarazioni sul no al preservativo di papa Benedetto XVI nel viaggio in Africa ("L'epidemia di Aids non si può superare con la distribuzione dei preservativi che, anzi, aumentano i problemi").
Il capo del Governo belga Van Rompuy aveva aggiunto: "Non spetta al Papa mettere in dubbio le politiche della sanità pubblica, che godono di unanime sostegno e ogni giorno salvano delle vite". Senza contare il "milione di preservativi" che la cattolica Spagna ha deciso di inviare in Africa, chiedendo al Papa di riconoscere l’errore fatto.
"Crediamo che tali dichiarazioni mettano a rischio le politiche della salute pubblica e gli imperativi di protezione della vita umana", aveva detto Chevallier, portavoce del Ministero degli Esteri francese.
E l’Ue? Il preservativo "è uno degli elementi essenziali nella lotta contro l'Aids, e la Commissione ne sostiene la diffusione e l'uso corretto" (portavoce del commissario agli aiuti umanitari Louis Michel).
Con queste premesse al Parlamento Europeo di Strasburgo i laici e liberali dell’Eldr ritenevano di essere in una botte di ferro quando hanno presentato un emendamento al Rapporto annuale dell’Assemblea sui diritti umani nel mondo per il 2008, in cui si criticavano le parole di Benedetto XVI (a firma del radicale italiano Marco Cappato e della liberale olandese Sophia in’t Veld).
E invece? Contraddicendo la Commissione Europea e i Governi di mezza Europa, un colpo di coda dei clericali di 27 Paesi (soprattutto nel Ppe), lo ha respinto: 253 voti, contro 199 e 61 astensioni.
Nel testo dell’emedamento l’Europarlamento sottolineava "l’importanza di promuovere i diritti in materia di salute sessuale e riproduttiva quale presupposto di qualunque successo nella lotta contro l’Hiv/Aids, che causa perdite enormi in termini di vite umane e di sviluppo economico, colpendo in modo particolare le regioni più povere del mondo". Inoltre si condannavano fermamente "le recenti dichiarazioni con cui Papa Benedetto XVI ha bandito l’uso del preservativo avvertendo che il suo uso potrebbe addirittura determinare un aumento del rischio di contagio". Nel documento si esprimeva il timore che tali dichiarazioni potessero ostacolare "gravemente la lotta contro lo Hiv/Aids". Inoltre si ricordava anche che l’emancipazione delle donne contribuisce a contrastare la diffusione dell'epidemia; e infine si invitavano "i governi e gli Stati membri ad agire insieme per promuovere i diritti e l’educazione in materia di salute sessuale e riproduttiva, anche riguardo all’uso del preservativo quale strumento efficace nella lotta contro questo flagello".
E invece, smentendo se stessa, o meglio l’illuminismo manifestato dai suoi migliori esponenti, l’Europa ha approvato di fatto il discorso retrivo del Papa, e ha detto sì, di nuovo, ai rapporti sessuali selvaggi, come ai bei tempi. Per quei selvaggi degli africani, s’intende. Per fortuna le deliberazioni del Parlamento europeo non contano nulla. E il Governo europeo non ne tiene conto. Però è un segnale reazionario.
Ecco, alla vigilia delle Elezioni Europee, con cui eleggeremo un inutile Parlamento a Strasburgo, se non altro per evitare figuracce simili, stiamo bene attenti a non rimpolpare i gruppi degli strapagati Eurodeputati con altri clericali. Di Destra o Sinistra che siano.

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