26 settembre, 2013

 

Scuola. Educare i giovani alla laicità dello Stato. L’esempio di liberalismo attivo della Francia.

LA LAICITA’ DELLO STATO LIBERALE VA INSEGNATA A SCUOLA

Dal blog Libere & Laiche, di Tiziana Ficacci e Anna Spina, vario e sempre sorprendente, per le tante riflessioni e curiosità che vi si mescolano in modo imprevedibile, riprendo un articolo con la riflessione di Francesco Bilotta sulla nuova legislazione scolastica con cui la Francia intende educare i giovani alla laicità.

Cosa per noi non solo perfettamente liberale, ma anche doverosamente liberale. Quindi ha torto il conservatore Belardelli, sedicente “liberale” (ma perché solo in Italia – lamentava Piero Gobetti – i conservatori si vergognano di definirsi col proprio nome?) che in un articolo sul Corriere della Sera critica il Governo francese per la sua “pretesa” di educare alla laicità i giovani, o per lo meno per il modo con cui lo fa. Per lui, in sostanza, l’educazione secondo principi di rispetto e di uguaglianza (vista anche come “non influenza” assoluta) farebbe perdere allo Stato liberale – nientemeno – la sua pretesa obiettività e terzietà. Perciò il nuovo regolamento scolastico francese, secondo il conservatore Belardelli, sarebbe illiberale.

E perché, forse che uno Stato liberale dovrebbe manifestare terzietà tra guardie e ladri, cioè tra chi difende il Liberalismo, cioè i diritti di tutti, e chi lo vuole distruggere col fanatismo missionario dei simboli e il clericalismo ideologico che impone a tutti gli altri, sotto forma di leggi o divieti, la propria morale religiosa? E’ noto infatti che spetta proprio a uno Stato liberale difendere chi non si può difendere, come i minori. E proprio a scuola si svolge da sempre la più feconda “caccia alle anime” giovani, facilmente influenzabili e sprovvedute, proprio perché in formazione, da parte di molti religionari e attivisti autoritari (chiese, dittature). Non possiamo mettere sullo stesso piano i due “diritti”: il diritto di propaganda e il diritto del giovane a non essere vittima di plagio. Ma allora usiamo i nomi giusti per questo comportamento aberrante: altro che permissivismo “liberale”, semmai è “cinica indifferenza”, “colpevole apatia”, quando non “ributtante masochismo”. E sì, perché lasciare che i fondamentalisti si insinuino, “educhino” e facciano propaganda nelle scuole pubbliche, porterebbe al dominio del fanatismo e alla fine della società liberale.

Sul medesimo tema, segue un articolo con analoghe considerazioni di Stefano De Luca, segretario del Partito Liberale (tratto dal blog Rivoluzione Liberale). E’ d’accordo con Bilotta, solo che paventa un certo rischio di “nazionalismo” etico-politico. Comunque anche De Luca invidia la Francia: l’Italia, dice, è lontana anni-luce. NICO VALERIO

EDUCARE ALLA LAICITÀ

Ma ve la immaginate la Ministra dell’Istruzione italiana che inaugura l’anno scolastico presentando la “Carta della laicità”? Nonostante tutti i miei sforzi non ci sono riuscito. In Francia è successo, invece. Due giorni fa il Ministro francese dell’Educazione nazionale Vincent Peillon ne ha illustrato i contenuti in un liceo alla presenza di un ex presidente del Consiglio costituzionale francese, del Presidente dell’Assemblea nazionale e del portavoce del Governo, in una specie di trionfo della simbologia repubblicana.

La Carta scolastica della laicità si compone di 15 articoli. I primi cinque tratteggiano le caratteristiche della laicità della Repubblica francese. Quelli che seguono, invece, entrano nel dettaglio di alcune regole che dovranno assicurare la realizzazione di una scuola laica. In sintesi, ecco il contenuto della Carta.

Prima di tutto si focalizza il contesto generale. Il rispetto di tutte le credenze è un’espressione del principio di uguaglianza oltre che della laicità della Repubblica (art. 1). Non esiste una religione di Stato e vi è una divisione tra lo Stato e le religioni che garantisce una assoluta neutralità dello Stato con riguardo alle convinzioni religiose o spirituali di ciascuno (art. 2). La laicità dello Stato consente l’esercizio di due libertà da parte dei cittadini: la libertà di scegliere di credere o di non credere; e la libertà di poter professare le proprie convinzioni rispettando quelle altrui e l’ordinata convivenza sociale (art. 3). La laicità, quale cifra caratterizzante lo Stato, viene descritta come un contesto nel quale ciascuno può esercitare la propria cittadinanza, rispettando i principi di uguaglianza e di solidarietà (art. 4). Tutti questi principi d’ora innanzi, grazie alla Carta scolastica della laicità, saranno particolarmente seguiti nelle scuole francesi (art. 5).

La scuola viene considerata come il contesto in cui si costruisce la personalità di ciascuno, dove si impara ad esercitare il libero arbitrio e a diventare pienamente cittadini. Pertanto, la scuola ha il compito di proteggere i giovani dal proselitismo e da ogni altro ostacolo che impedisca loro di fare scelte realmente libere (art. 6). La cultura che si forma nelle aule scolastiche deve essere comune e condivisa (art. 7). La libertà di espressione del pensiero conosce solo i limiti del buon funzionamento della scuola, del rispetto dei valori repubblicani e del pluralismo delle convinzioni (art. 8). Implicazione necessaria della laicità è la condanna ferma di ogni violenza e di ogni discriminazione, affinché sia garantita l’eguaglianza tra i ragazzi e le ragazze in un contesto di rispetto e di comprensione dell’altro (art. 9). Tutto il personale scolastico è responsabilizzato a trasmettere il valore della laicità agli alunni e a vigilare affinché la carta sia rispettata e sia portata a conoscenza dei loro genitori (art. 10). Inoltre, il personale scolastico ha il dovere di essere neutrale e non esprimere le proprie convinzioni politiche o religiose (art. 11). Le convinzioni religiose degli alunni, d’altra parte, non possono influire sul contenuto degli insegnamenti, per questo non si potrà impedire la trattazione di alcun argomento in ragione di tali convinzioni religiose (art. 12). Appartenere ad una qualche confessione religiosa non è una ragione sufficiente per rifiutarsi di rispettare le regole scolastiche (art. 13). All’interno della scuola è vietata la manifestazione delle proprie convinzioni religiose attraverso qualsiasi tipo di simbolo (art. 14). L’impegno di realizzare una scuola laica è affidato agli allievi attraverso il loro pensiero e le loro azioni (art. 15).

Un’iniziativa del genere solleva molte riflessioni, a partire dalla funzione che dovrebbe assolvere la scuola pubblica. È possibile continuare a concepirla come un luogo in cui – se va bene – si trasmettono nozioni? È possibile che non possa divenire uno spazio in cui far germogliare un senso di appartenenza civile diffuso? Molti dei momenti di socializzazione extrascolastici dei ragazzi sono occasione di formazione umana e civile: la frequentazione di associazioni sportive, dell’oratorio, delle scuole di musica o di danza, del bar o del muretto sotto casa e così di seguito. Perché non si dovrebbe immaginare una funzione simile anche per la scuola, visto anche il numero delle ore di permanenza dei ragazzi in quel luogo?

È possibile che sia da esecrare la prospettiva di un’educazione civile e umana dei giovani diffusa (anche) grazie alla scuola? A leggere Giovanni Belardelli la mia è una posizione illiberale, giacché immaginando una scuola in cui si impara a essere cittadine e cittadini consapevoli dei propri diritti, e apprezzando l’iniziativa francese che chiede a tutte e a tutti di fondare tale sforzo educativo sulla laicità sosterrei “forme pedagogiche autoritarie tipiche delle dittature di massa del Novecento”. Ora, togliendo di mezzo i fantasmi delle dittature di massa che immagino non avrebbero affatto apprezzato il contenuto della Carta francese, come ad esempio il rispetto e la possibilità di professare la propria fede, la libertà di espressione del pensiero e l’educazione all’uso del libero arbitrio, una tale critica non tiene conto: a) della funzione latamente pedagogica che tutte le regole hanno per loro natura, giacché servono ad indurre nei consociati alcuni comportamenti e a scoraggiarne altri; b) della necessità di pretendere certi comportamenti e non altri, specialmente in contesti come quelli educativi. Inoltre, quella francese a me pare una proposta più che un’imposizione da regime totalitario. A riprova di ciò vi è l’assenza di ogni forma di sanzione nella Carta.

Mi rendo ben conto che la scuola italiana è in condizioni disastrose e che prima di tutto dovremmo preoccuparci di non far cadere il soffitto delle aule in testa ai ragazzi e alle ragazze. Eppure, non riesco a rassegnarmi al fatto che lo sforzo che si compie da anni in altri Paesi (come la Spagna, ad esempio) nel sollecitare, soprattutto attraverso l’insegnamento dell’educazione civica, la creazione di una società inclusiva e rispettosa delle pluralismo culturale, sia impensabile in Italia.

A me basterebbe che a scuola si imparasse il rispetto dell’altro. Ma come fa una giovane studentessa di religione ebraica o mussulmana a sentirsi rispettata se entra in classe e trova un crocifisso appeso al muro? Separare lo Stato dalle religioni nelle scuole, non vuol dire misconoscere l’importanza che ha per alcuni una certa credenza religiosa, vuol dire piuttosto impedire a quelle convinzioni di ostacolare un percorso formativo improntato all’uguaglianza, al rispetto dell’altro, alla solidarietà, alla libertà di pensiero. Vuol dire prima di tutto educare alla non prevaricazione. Certo, vi sono esperienze differenti, come quella austriaca in cui nelle scuole è affisso il simbolo religioso della comunità più numerosa presente nella singola classe. E l’Austria è il paese con più persone che si dicono laiche in Europa. Ma anche tale modalità di azione finisce con il far sentire qualcuno escluso, non considerato. È per questo che non mi convince.

Se è vero come sostiene John Stuart Mill che «il valore di uno Stato, a lungo andare, è il valore dei singoli che lo compongono», solo offrendo ai cittadini e alle cittadine una scuola che non solo dia loro una buona opportunità di formazione e di informazione, ma sia anche una palestra di inclusione potremo sperare di rinnovare profondamente questo Paese. Sono convinto che a tal fine sia necessario un ambiente neutrale rispetto alle convinzioni religiose di ciascuno. È un sogno? Forse, ma senza sogni è impossibile costruire un futuro migliore. FRANCESCO BILOTTA

FRANCIA. APPROVATA LA CARTA DELLA LAICITÀ

Come aveva annunciato nei mesi scorsi, il Ministro francese della Educazione Nazionale Vincent Peillon, ha varato la Carta della Laicità. Un testo che in quindici articoli riforma una precedente legge del 1905, che a quel tempo era stata emanata con la non celata intenzione di produrre un allentamento della presa sulla società francese da parte del cattolicesimo. Nella legislazione odierna risalta la diffusa preoccupazione di frenare la penetrazione e la conseguente eccessiva influenza dell’Islam.

Bisogna tuttavia riconoscere alla Repubblica transalpina una sensibilità in termini di laicismo a noi sconosciuta. La nuova legge, che verrà introdotta nelle scuole a partire dal 2015, sottolinea che la Francia è una Repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale, che garantisce l’uguaglianza di tutti i cittadini e rispetta tutte le fedi religiose. Inoltre sancisce in modo formale l’uguaglianza tra maschi e femmine e riposa su una cultura del rispetto e della comprensione dell’altro. Viene altresì introdotto il divieto per gli studenti di invocare una convinzione religiosa o politica per contestare a un insegnante il diritto di trattare un tema che faccia parte del programma di istruzione. Infine l’Art.14 precisa che è “proibito portare segni o abiti attraverso i quali gli allievi manifestino in modo ostentato la loro appartenenza religiosa”.

La legge del Ministro Peillon rappresenta certamente una scelta di civiltà e sottolinea la sensibilità della Republique verso il tema della laicità dello Stato e la supremazia dei valori fondanti di esso rispetto ad ogni convinzione religiosa, ma, allo stesso tempo, rivela la tipica, eccessiva esaltazione del nazionalismo, che da sempre ha caratterizzato la grandeur della regione d’oltralpe. Tale evidente sottolineatura, sotto determinati profili, potrebbe apparire in contraddizione con lo stesso principio che la legge vuole affermare. Infatti una laicità autentica dovrebbe valere anche di fronte all’intrinseco nazionalismo francese, sempre debordante.

La stessa Rivoluzione del 1789, nata nel nome della libertà, dell’eguaglianza e della fraternità, finì con il “terrore” del termidoro. Toccò poi a Napoleone recuperare alcuni dei valori di libertà, che avevano ispirato la rivolta popolare, ma fortemente diluiti dal cesarismo nazionalista.

Un vero laicismo di stampo liberale dovrebbe rivendicare i principi fondanti della Costituzione e dello Stato ed introdurne nelle scuole il relativo insegnamento per promuovere la formazione di cittadini consapevoli, ma sottolineare laicamente la libertà di critica, ed anche, secondo il sempre mutevole spirito dei tempi, la possibilità di revisione, sia pure con le limitazioni delle particolari procedure previste per la modifica di ogni Legge fondamentale.

La laicità, elevata dall’articolo conclusivo della legge Peillon al rango di valore in sé, rappresenta una ricchezza, perché costituisce il presupposto del pluralismo culturale, religioso, etnico, filosofico di una nazione moderna.

Anche se, quindi, non appare del tutto infondato il sospetto che un secondo obiettivo nascosto del nuovo insegnamento scolastico, possa essere quello di costruire una difesa dal rischio di eccessiva islamizzazione della società francese, il merito culturale di una scelta netta in favore della neutralità dello Stato nei confronti di qualunque fede e della rivendicazione del carattere squisitamente laico della società, non possono che destare ammirazione e, nel medesimo tempo, suscitare un sentimento di mesta rassegnazione nel dover constatare quanto la nostra Italia sia lontana da un simile traguardo di civiltà giuridica e istituzionale. STEFANO DE LUCA


12 settembre, 2013

 

La morale dell’ateo sta nella coscienza, dice papa Francesco. Ma come si forma una “coscienza”?

Avete presenti certi banali impiegati senza idee e dalla faccia inespressiva che per darsi un tocco intellettuale si fanno crescere la barba, meglio se bianca, e per rimorchiare meglio nei salotti pongono con aria inutilmente seriosa e pensosa quesiti “esistenziali” terra-terra?

Il fondatore di Repubblica, il prolisso Scalfari, che dopo una vita passata a sbagliare facendo il “saggio” (vi ricordate di quando era uno sponsor del democristiano De Mita?), ora da vecchio si atteggia senza pudore a scrittore-pensatore. Il che fa pensare che quand’era deputato socialista o giornalista non abbia mai pensato.

Ebbene, ora chiede al nuovo papa Francesco, tra tante prolisse banalità, se un ateo, nientemeno, ha qualche speranza di essere "perdonato" dal Dio dei cristiani.

Bah… A parte l’artificiosità tutta giornalistica di una domanda del genere (mai un ateo-agnostico-indifferente si pone questo problema, perché se teme un Dio vuol dire che è credente), è curiosa la risposta del Papa: basta la coscienza.

A prima vista, come no, sembrerebbe una risposta laicista, umanista, liberale. Certo, è da lodare questa “apertura” del Papa, perché sembra riportare il problema della morale e della supposta “verità” all’individuo. Dall’assolutismo al relativismo.

Ma fino a un certo punto. Se ci pensiamo un attimo, è una risposta banale a una domanda banale.

Infatti, che cos’è la “coscienza”? Quella di Adolf Hitler, per limitarci a esempi di personaggi storici, era severissima, inutile negarlo, e doveva essere sensibilissima alla violenza verso i bambini, gli animali, la natura. Non poteva neanche vedere il sangue. E anche il bandito  Lutring, il celebre rapinatore a suon di mitra, che poi divenne perfino pittore, anche i capi e i gregari delle Brigate Rosse, anche – nel 1922 – il presidente del Consiglio Facta, anche re Vittorio Emanuele III, che dopo aver a lungo pensato si rifiutarono di far arrestare il rivoltoso Mussolini quand’era possibile, anche Mussolini stesso, anche Ho Chi Min, Napoleone ecc.,  avevano una coscienza. Proprio come Seneca, come Montaigne e tutti i saggi del mondo macerati nel dubbio e nell’introspezione. O no?

Insomma, se la coscienza è il complesso delle idee da cui discendono le nostre personali norme morali, quindi coincide con la personalità, ebbene questa non è “infusa” dallo Spirito Santo, ma è tutta da costruire giorno per giorno. Bisogna aver avuto un ambiente adatto, letture appropriate, stimoli e tempo libero per pensare fin da piccoli, famiglia o scuole o amici d’un certo tipo. Hai detto niente. Perché, dunque, l’ipocrisia della “coscienza”, che molti semplicemente non hanno?


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