03 novembre, 2005

 

3. Newsletter del 2 marzo 2004

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Salon Voltaire
IL "GIORNALE PARLATO" LIBERALE
LETTERA DEL SALOTTO VOLTAIRE
"GIORNALE PARLATO" LIBERALE DI ATTUALITÀ, SCIENZA, CULTURA, POLITICA E COSTUME
Lettera N. 3 – 2 marzo 2004
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"Stress, ipertensione, colesterolo alto? Partecipa a un salotto liberale.
L’unico in cui il sedentarismo fa bene e stimola il cuore"
CARDIOLOGO ANONIMO

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Sommario:
BLAIR MIGLIORE POLITICO AL MONDO, FINI ULTIMO
OTTO MARZO. FARAMAZ, 19 ANNI, UCCISA DAGLI AYATOLLAH
BERLUSCONI SI RITIRA: FACCIO IL SINDACO IN UN PAESINO
QUATTRO PALLE AL PIEDE NON CI FANNO VOLARE
LA CHIESA SENZA L’OTTO PER MILLE? LE RESTA IL 992
IL CAVOUR DI BERGAMO: "RAGAZZI, QUI SI FA L’ITALIA"
GUAI A LORO, LEVI E COEN: "HANNO AMMAZZATO CRISTO"
SOGNI LIBERISTI: VOGLIO VEDER FALLIRE L’ALITALIA
LA CAMILLA RADICALE. TUTTI LA LODANO NESSUNO LA PIGLIA
QUEL MURETTO ALLA BERLINA NON E’ UN MURO DI BERLINO
EINAUDI. FINALMENTE UN ECONOMISTA DI BUON SENSO
AFFAMATORI CONTRO STATALISTI. CHI PAGA I DIRITTI D’AUTORE?
SOLO I GAY CREDONO ANCORA NEL MATRIMONIO
"NO AL PARTITISMO". FIRMATO MINGHETTI, 1881
NON RUBLI MA DOLLARI DA MOSCA AI POLITICI ITALIANI
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POLITICI (NON LIBERALI) DI PROVINCIA.
Chi ha dato il premio a Fini? "Il Polito delle Libertà"
Il direttore del Riformista Antonio Polito, definito da quella vipera girotondina e super-sinistrese di Marco Travaglio, dell’Unità, "il Polito delle Libertà" (battuta con cui Travaglio si aggiudica il Premio "Salon Voltaire" per la Migliore Definizione Fulminante, MDF, del febbraio 2004), se l’è voluta. Perché la commissione di giornalisti amici del Riformista ha eletto addirittura "politico dell’anno 2003" il leader di AN Gianfranco Fini. Non so se mi spiego.
Ma prima di chiederci che cosa stia accadendo a Fini, domandiamoci che sta succedendo nella testa di Polito. Da quando collaboratori del nostro amico Enrico Morbelli, liberalissimo direttore della Scuola di Liberalismo, approfittando della sua assenza hanno invitato il direttore del Riformista, nientemeno - lui marxista soft, quasi post-marxista - ad inaugurare le lezioni del Corso di Liberalismo 2004, tra i suoi tanti nemici - Ds e oltre - si insinua che alcuni processi neuronali non siano più gli stessi nell’encefalo del bravo direttore del "Foglio arancione". Insomma, diciamola tutta: i soliti vetero-comunisti dei gruppi di Salvi, Cossutta, Bertinotti, senza contare i girotondini e gli aristocratici micromegalici, vanno ormai dicendo che il Polito delle Libertà non ci sta più con la testa. Anche perché pare che in piena conferenza inaugurale della Scuola di Liberalismo (il tema era "Stato dell’informazione in Italia") il "Polito delle libertà", scandalizzando i giovani che studiavano da Cavour o Tocqueville, abbia rivelato ancora un residuo amoruzzo per il marxismo.
Chi invece la testa non l’ha persa, ma se l’è montata, è Fini, sempre più penosamente atteggiato a "riserva nazionale", come certi spumanti abboccati tenuti in cantina per troppi anni, che poi quando li stappi scopri che fanno flop e sanno di acquetta. Miglior politico lui? E, se è lecito, con quali motivazioni? Tempismo, innovazioni, intuito, genialità strategica, capacità di elaborazioni teoriche? Niente di tutto questo. Allora è vuoto, banale, ovvio, terra-terra, risaputo, anodino, tautologico? No, ma solo perché questi aggettivi già sono stati impiegati per Rutelli, e sapete com’è nel giornalismo non ci si può ripetere.
E allora? E’ solo uno che in tv e ai congressi recita la sua parte parlando a macchinetta con tono di voce deciso e vago accento nord-emiliano, che a quelli del centro-sud sembra un tono efficientista e decisionista. Ma quale decisionismo: è solo l’accento regionale. Ma almeno è serio. Neanche, è uno che per studio ha deciso di non ridere mai, fateci caso. In Italia, paese meridionale, serioso e cattolico, privo di senso dell’umorismo, chi ride spesso in pubblico viene poco considerato. Al contrario degli Stati Uniti o della Gran Bretagna, dove invece viene considerato a ragione più intelligente. E’ grazie a questi mezzucci psicologici, a questi equivoci antropologico-culturali, che tra i babbioni che stanno davanti alla tv uno qualsiasi, come Fini, diventa apprezzato e famoso. Insomma, un mediocre o discreto attore. La contro-prova? Andate a rileggervi quello che ha detto, i concetti: scoprirete che – come quasi tutti i politici di professione e certi mediocri avvocati – non ha detto assolutamente nulla.
E sia pure, ma allora perché Fini piace tanto a Polito? Sarà per la scoperta tardiva che il fascismo è stato un male, sia pure un male cialtronesco (che, se vogliamo, è un male ancora peggiore) o per la denuncia fuori tempo massimo delle leggi razziali del 1938? Io avrei un’altra idea e ve la espongo. Fini piace a Polito, amico di D’Alema, perché piace alla sinistra. E perché piace alla sinistra, lui che in teoria dovrebbe essere a destra di Forza Italia? Per un duplice motivo: è il solo che può mettere in difficoltà Berlusconi tallonandolo da concorrente e quindi indebolendolo, e perché - come ha scritto Ostellino sul Corriere - da non liberale legato a interessi corporativi del ceto non produttivo che rappresenta (impiegati statali, pensionati, fruitori di rendite parassitarie e altre categorie contrarie alle riforme) si muove su un terreno conservatore che è esattamente quello della sinistra (Bonacci, maitre à penser, Locanda dell’Orso)
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POLITICI (LIBERALI) DI LIVELLO INTERNAZIONALE
Blair il migliore premier del mondo, e il più liberale
Scusate il cattivismo, sarà che oggi è nuvoloso e mi gira male, ma 80 mila statali inefficienti e inutili eliminati in un colpo solo, un progetto di scuola differenziata per classi adatte alle varie capacità degli studenti (non vedo, per esempio, perché il piccolo Wittgenstein dovrebbe stare nella stessa classe di uno stupido foruncoloso che guarda solo fumetti porno), decisionismo in tutti i campi, l’impegno nell’esportazione in tutto il mondo - pure con qualche trucchetto - della democrazia liberale, il liberismo e il grande sviluppo economico di cui gode la Gran Bretagna nonostante sia senza l’euro, sono sei motivi per cui eleggo Mr.Blair (ma non sua moglie, sia chiaro: non la posso soffrire) "miglior capo di governo liberale del mondo, 2003-2004". L’ho detta grossa? Non credo. Lodi del genere le ho sentite anche a Radio Radicale – a proposito grazie di esistere – da quel capatosta geniale di Capezzone, segretario dei Radicali italiani solo per un refuso tipografico. Volevano dire dei "Liberali italiani" (Tonino il parrucchiere)
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.NON L’HO VISTO E NON MI PIACE: SANGUE E ODIO NEL FILM "THE PASSION"
Guai a voi, Coen e Levi di tutto il mondo: "avete ammazzato Cristo"!
Gli islamici, anche "moderati", li scannerebbero tutti. I terroristi li stanno decimando, facendosi esplodere negli autobus d’Israele. In Europa le anime belle della sinistra "progressista", la stessa che ha dato il premio Nobel per la Pace all’egiziano-palestinese Arafat, accusato d’essere mandante di terroristi, li cancellerebbero volentieri dalla carta geografica. Insomma, tempi duri per gli ebrei.
Come se non ci fosse in giro già troppo odio contro di loro, ecco che un regista fanatico e attivissimo, morboso nel suo compiacimento sadico (il sangue scorre a fiotti nel suo film The Passion), a forza di immagini crude e sanguinose tira fuori di nuovo la responsabilità collettiva, "etnica", del popolo d’Israele nella condanna a morte di Jehoshu'a. Da noi noto come Gesù, questo giovane ebreo contestatore e capellone, che aveva probabilmente viaggiato in Oriente, finì sulla croce - punizione tipica di Roma, che allora governava la regione - per blasfemia, cioè per essersi abusivamente autoproclamato "Dio". Non aveva tenuto conto della tacita convenzione secondo cui il Messia non sarebbe mai stato trovato.
D’accordo, l’arte è arte, i soldi sono soldi, ma la storia? A noi pare che la leggenda della crocifissione dell’uomo proclamatosi Dio, esposta in modo agiografico e acritico, assomigli ai racconti realistici che certi parroci di campagna facevano nella Settimana Santa al momento del Vangelo davanti alle donne contadine, o all’ora del catechismo davanti ai bambini aspiranti chierichetti. Fatto sta che la violenza e la sequenza delle immagini - riferisce chi ha visto il film - spinge lo spettatore a identificare negli ebrei in quanto tali, nell’intero popolo ebreo, al di là dei luoghi e del tempo, gli "assassini di Gesù", il Kristòs, cioè l’unto di Dio.
"Ci risiamo" ha scritto il quotidiano israeliano liberal Haaretz – "così ritorna la prima e più grave accusa mai rivolta al popolo ebreo: siete stati voi a uccidere Cristo". Ma ad essere preoccupati non sono solo ebrei e israeliani, anche gli intellettuali laici e liberali di tutto il mondo. Con il vecchio alibi di un lontano e improbabile "deicidio", potrebbe rafforzarsi ed estendersi la piaga dell’antisemitismo e del collegato terrorismo.
La stessa preoccupazione ha spinto Yona Metzger, rabbino capo askenazita, e Shlomo Amar, rabbino capo sefardita, a chiedere al papa Giovanni Paolo II di fare una dichiarazione pubblica per evitare che molti spettatori possano credere che gli ebrei siano responsabili collettivamente per la crocifissione". Metzger - che ha anche lanciato un appello "al boicottaggio di questa pellicola menzognera, antieducativa, che si compiace della violenza" - a metà gennaio ha incontrato il Pontefice, assieme a Amar, in un colloquio privato di 35 minuti. "Sarebbe deplorevole che un film tendenzioso, malizioso possa mettere in pericolo - ha scritto Metzger nella lettera al papa - i progressi fra le due religioni per i quali tanto abbiamo lavorato".
Nel frattempo, qualche rabbino ortodosso ha cominciato a fare pressione sul direttore della filmoteca di Tel Aviv, Allon Garbuz, per escludere dalla raccolta o dalle visioni pubbliche sia questo, sia altri film violenti o controversi, come L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese che invece turba i cattolici. Ma Garbuz ha dato una bella risposta liberale, che riportiamo a suo onore: " Le immagini violente non mi piacciono, ma non accetto che qualcuno stabilisca che cosa posso o non posso vedere". (Ben Rosenfeld)
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PARLAMENTO COME DISPENSATORE DI POSTI DI LAVORO
Senatori in Italia: 20 volte di più degli Stati Uniti
Siamo contro il facile qualunquismo. I parlamentari italiani non saranno certo tutti ladri e imbroglioni. Anzi, secondo me, sono addirittura migliori della gente che li ha eletti. Cattiva? Ma vera. Però, attaccati alle loro poltrone, o meglio alla speranzella di essere rieletti in futuro, questo sì. E’ da anni che si progetta di ridurre il loro numero esorbitante, ma non vi si riesce perché gli stessi parlamentari, con ogni scusa, portano il progetto di legge per le lunghe, finché non decade con la fine della legislatura. Ora vediamo se ci riuscirà questo governo, che pure lo aveva promesso.
Certo la differenza con i paesi liberali è enorme. Prendiamo ad esempio, il Senato. Negli Stati Uniti, con una popolazione di 380 milioni di abitanti, ci sono 100 senatori. In Italia (58 milioni di abitanti), ben 315 senatori. Il che vuol dire che nel paese di Lincoln e Jefferson si conta un senatore per 38 milioni di persone, mentre nel paese di Croce ed Einaudi uno su appena 184 mila. Fatte le proporzioni, 20 volte in più. Siamo per questo meglio rappresentati? (Causidicus)
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RIUNIFICAZIONE DEI LIBERALI. LA PRIMA RIUNIONE A ROMA
E il Cavour di Bergamo disse: ragazzi qui si fa l’Italia
Stavolta era fuori casa, nella sonnolenta Roma papalina e clericale, che solo un liberale storico collega ancora alla battaglia (qualche soldato del Papa vi perse la vita) del 20 settembre 1870 e alla breccia nell’alta muraglia di Porta Pia. Non aveva neanche sopra di sé, beneauguranti, i famosi "tria coliones in campo albo" dello stemma del condottiero Colleoni nella piazzetta-salotto di Bergamo Alta. E s’era pure dimenticato l’immaginetta di Cattaneo sotto la canottiera. E infatti il dio della pioggia, d’accordo col papa, ha fatto piovere e grandinare tutto il tempo.
Ma ormai il dado era tratto e Vittorio Vivona ha riunito attorno ad un tavolo ovale del club "Società aperta", a due passi dal Quirinale, gli esponenti liberali di quasi tutti i movimenti liberali attivi in Italia. Erano rappresentati idealmente, attraverso esponenti intervenuti rigorosamente a titolo individuale, il Partito Liberale, la Federazione dei Liberali, il Nuovo PLI, Bergamo Liberale, la federazione Liberalitalia, Veneto Liberale e altre realtà locali. E c’era perfino, sotto mentite spoglie, un presidente di club di Forza Italia "in sonno" da anni, perché da anni arci-scontento di una FI ormai poco liberale, poco liberista e tanto, tanto, clericale.
Work in progress, lavori in corso, che non è opportuno banalizzare con le prime indiscrezioni. Intanto, possiamo anticipare che il team a aggiornato i suoi lavori a Napoli per un convegno di due giorni, sabato 3 e domenica 4 aprile. In quella occasione saranno studiati i mezzi operativi, l’organizzazione e le strategie della comunicazione. Ma si affronterà anche il nodo di una leadership credibile, giovane e carismatica. Insomma, "A.A.A. truppa cerca generale vincente". Quel che è certo è che in pentola comincia a bollire una Cosa liberale del tutto nuova. Saranno i nostri cuochi in grado di cuocerla, confezionarla e condirla nel modo più perfetto e appetibile agli italiani, che del liberalismo sembrano amare il suono della parola, ignorandone completamente il significato? (Oliver Kahn)
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"ECONOMIC FREEDOM INDEX": COME STA L’ITALIA?
Peccato: saremmo liberi, senza quattro palle al piede
D’accordo, noi italiani in quanto a "indice di libertà economica" saremo pure indietro rispetto a Gran Bretagna e Stati Uniti, per colpa d’una sinistra statalista e illiberale, e d’una destra parolaia e poco liberista, ma almeno - scusate il campanilismo antigallicista - siamo un millimetro avanti alla Francia, ancora più statalista di noi. Chi l’avrebbe detto?
L’Italia, prima corrotta dal fascismo paternalista e corporativo, poi corrosa dal sindacalismo e dalla logica cattolico-comunista dell’occupazione "elettorale" al posto dell’efficienza, è oggi, dopo le inevitabili piccole liberalizzazioni pretese dall’Unione Europea, un Paese con una economia "sostanzialmente libera", riporta l’annuale ricerca condotta dall’Heritage Foundation, in collaborazione con il Wall Street Journal, sullo stato di salute economica dei diversi Paesi. Ma, ci sono molti "ma".
Insomma, secondo l’ultima indagine, siamo incamminati benino, grazie anche all’esempio e allo stimolo della concorrenza che ci è venuto dai paesi d’America e d’Europa, e ora perfino da quelli dell’Asia. Peccato, però, che il nostro sviluppo economico sia bloccato da quattro pesanti palle al piede: l’eccessiva rigidità del mercato del lavoro e del sistema pensionistico, la burocrazia inefficiente e lenta, e soprattutto il carico fiscale.
E’ questo il risultato dell’indagine 2004 dell’Index of economic freedom (una classifica che misura le potenzialità di crescita economica nazionale in base al grado di libertà di cui aziende e cittadini godono in questo campo) l’Italia non va oltre la 26esima posizione, con un punteggio medio di 2,26 (in una scala da 1 a 5, dove il punteggio più basso indica il Paese più libero). Fa meglio la Germania (2,03), peggio Spagna (2,31) e Francia (2,63). "L’Italia aveva registrato un leggero miglioramento nell’indice fra il 1996 e il 2001, poi la situazione è tornata a peggiorare", spiega Franco Debenedetti, senatore dei ds e attento osservatore dei lavori dell’Istituto Bruno Leoni, che ha organizzato la presentazione del rapporto Heritage.
Abbiamo stima e simpatia per il sen.Debenedetti, solo ci permettiamo di chiedergli: ma con queste sue idee così "liberiste" come fa a stare nei Ds? E quando Antonio Polito, direttore liberal del Riformista, Fassino e gli altri Ds "quasi liberal" sono fischiati da tutta la base Ds, che è d’accordo con il variopinto popolo sinistrese-snob dei girotondi, dei processi in piazza, o degli articoli sull’Unità (giornale dei Ds) e Liberazione (giornale di un partito alleato), pieni di speciali invettive contro i liberisti, dove va a nascondersi il sen. Debenedetti?
E con che faccia compunta e seriosa deve aver spiegato a Giancarlo Radice del Corriere che la colpa è solo di Berlusconi. Perché? "Perché non si fanno le riforme. Lavoro, pensioni, professioni e così via. Questo governo ne parla tanto, ma non arrivano". Ah si? Debenedetti crede proprio che i suoi compagni Ds, sindacati e "società civile" vicina ai Ds, gliele farebbero fare liberamente queste riforme al Berlusca? "Ma mi faccia il piacere" diceva un altro discreto attore, non così bravo però come il senatore. Mi riferisco ad Antonio De Curtis, in arte Totò (Oliver Kahn)
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DOPO LA SPARATA DI BOSSI "MANGIAPRETI"
Togliamo alla Chiesa l’otto per mille: le resterà pur sempre il 992
Indovinate chi ha detto per primo "Per la Chiesa no, lotto per mille". Bossi? No, Garibaldi. In risposta ad un ambiguo emissario di Pio IX che cercava di portarlo dalla sua parte. Vi è piaciuta? Ma la "questione" del finanziamento alla Chiesa cattolica, e in prospettiva a tutte le religioni, muove allo spirito anche in altro modo.
Con linguaggio imaginifico e popolaresco, Bossi ha detto che vorrebbe togliere l’otto per mille alla Chiesa, di modo che monsignori e vescovi la finiscano di essere mantenuti da "Roma ladrona" e siano costretti ad andare a piedi scalzi. Un altro mangiapreti che ci fa concorrenza? Camminare a piedi nudi, è noto tra gli igienisti e i naturisti, fa bene ai piedi e allo spirito. Forse è per questo che i frati antichi, sia questuanti che romiti, andavano in giro scalzi. Però non sarebbe liberale infliggere - "per il loro bene" - un trattamento del genere a vescovi e cardinali, papi e parroci di Santa Romana Chiesa, che oltretutto svolgono ormai lavori sedentari, tutti "computer e tabernacolo", "scrivania e confessionale", e quindi non sono più abituati da tempo alle fatiche fisiche. E che ne sarebbe, poi, delle altre religioni convenzionate?
E poi perfino l’onorevole Bossi dovrebbe sapere che la penitenza in generale non si addice più da secoli alle alte e basse sfere ecclesiastiche, almeno da quando i più masochisti di loro fecero gli "stiliti" standosene immobili e pressocché nudi sulle colonne sotto il sole del deserto africano. Come liberali, attenti anche alla crisi del settore calzaturiero e del "made in Italy", non nascondiamo la nostra preoccupazione per la proposta Bossi. Se davvero dovessimo costringere 200 mila tra preti, frati e monache a fare a meno di calze e scarpe, i settori pellami, tessili e manifatturiero subirebbero un duro colpo.
Però non vi nascondo che, personalmente, vedrei con favore la proposta di alcuni cattolici ultra-tradizionalisti di ridurre di nuovo la Chiesa allo stato di povertà originario. In fondo sarebbe anche per il suo bene. Anzi, io laico finirei addirittura per essere accusato dagli atei di una specie di "collaborazionismo" verso l’istituzione religiosa, per averne sollecitato l’innalzamento morale. E poi il mio sarebbe utilitarismo bell’e buono, visto che un divieto a partire da oggi salverebbe pur sempre le magnifiche opere d’arte che i preti hanno finora accumulate nelle basiliche e cappelle di tutt’Italia contravvenendo per fortuna al precetto di povertà. Però insisto, certe corporazioni (vedi i magistrati) quanto più soldi hanno, tanto più alzano la cresta. Un metodo moderno e laico ci sarebbe per togliere ai preti questa tentazione terrena e ricondurli serenamente a Dio: revocargli l’otto per mille. Ma nei caffè d’Italia, vero parlamento reale, dilagherebbe subito la battura: "Gli togli l’otto per mille? E loro si prendono il resto: 992".(Peppino D’Holbach)
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ALITALIA. IL PARADIGMA DELL’ECONOMIA DI "STATO E SINDACATO"
"A dotto’, ma quanno falliscono ‘ste grandi?"
Visto che "pensavo alla settentrionale" il tassista romano, da perfetto cortigiano e leccapiedi capitolino, tirò fuori la cosa più nordista che aveva in repertorio. "Ancora un mese di questo lavoro, dotto’, e poi cambio. Farò in tempo a vedere l’Alitalia fallire?"
Io non battei ciglio, ma ero meravigliato. Il tassista che l’altra sera mi ha portato da piazza Venezia a casa parlava di Alitalia, ma si capiva che intanto pensava anche a Cirio, Parmalat, Banca 121, Fiat, perfino a qualche squadra di calcio avversaria con bilanci truccati. E conoscendo il tasso di corporativismo dei tassisti romani, che si oppongono strenuamente alla liberalizzazione delle licenze proposta dai liberali, io tendevo bene le orecchie. Dove vuole arrivare? mi chiedevo. Macché, quello parlava e il "ma" non arrivava mai. E dire che non era neanche un "padroncino", ma un dipendente. Già, forse era per questo. Insomma, scherzi del caso, un tassista corporativo e conservatore si rivela, in una notte di luna piena, liberista ultrà, tatcheriano di ferro. Gli girava male? Chissà. Io, però, sono andato a dormire contento.
E il tassista "liberista" aveva ragione da vendere. Perché non sono mai puniti i manager che sbagliano? Prendiamo l’Alitalia. I politici si ostinano sulla retorica della compagnia di bandiera (che bella bandiera), manager incompetenti tengono prezzi alti, non si aprono alle prenotazioni last minute su Internet, non cercano nuove rotte concorrenziali, non praticano la politica delle alleanze industriali, non conoscono l’abc della finanza, non comprano in leasing aerei più piccoli, si ostinano a far "assistere" i passeggeri da ben 2 o 3 inutili e fastidiosi stewart o hostess per aeromobile, continuano a propinare pasti e bevande costose, soprattutto lasciano in servizio una pletora inutile e improduttiva di personale eccedente negli uffici, continuano a percepire stipendi da favola.
Questo, per accennare solo ad alcuni motivi, alcuni addirittura secondari, che stanno dietro al tracollo dell’Alitalia, che ormai ha solo il venti per cento del mercato italiano. Ebbene, manager del genere non si costringono ad una forte decurtazione dello stipendio, non si spingono alle dimissioni? E un’azienda del genere non la si ridimensiona drasticamente, non la si privatizza, non la si vende all’estero al primo venuto? No, al contrario, si incolpa il "governo precedente" di aver consentito a ben 28 vettori concorrenziali di metter piede negli aeroporti italiani.. Creando, dunque, la tanto temuta concorrenza. Ma una regola fondamentale della concorrenza non è che chi soccombe esce dal mercato? Basta, vogliamo veder finalmente "uscire dal mercato" un’azienda di stato (o equiparata). Quand’è che a Ryanair e alle altre piccole aziende che fanno profitti facendo pagare biglietti bassissimi le autorità di aeroporto, come Fiumicino e Malpensa, daranno le autorizzazioni e i "cancelli" d’attracco principali? (Ludmilla Kocilova)
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I PARTITI AL POSTO DEI CITTADINI E DELLE ISTITUZIONI
"Basta con la partitocrazia". Firmato: Minghetti, 1881
Per fortuna, a volte ritornano. Chi? Ma i liberali della Destra storica, poffarbacco. Durò pochissimo al potere la Destra liberale, ovviamente chiamata così solo in seguito, quando sull’onda dei sommovimenti sociali e delle nuove filosofie politiche d’Europa, anche in Italia si formò una sinistra, allora - bei tempi - anch’essa liberale. E durò poco, come sempre accade, anche la riconoscenza degli italiani verso il partito che aveva fatto l’Unità d’Italia. Del resto, perfino gli inglesi, non bocciarono irrazionalmente Churchill dopo che questi aveva vinto la guerra?
Ora Libro Aperto pubblica un testo in ristampa dall’originale di Marco Minghetti, esponente di rilievo della Destra, un uomo che purtroppo gli italiani di oggi conoscono solo come eroe eponimo della toponomastica cittadina. Il libro che si intitola "I partiti politici e la ingerenza loro nella giustizia e nell’amministrazione" (Libro Aperto editore tel. 0544.212649, pagg. 283, s.i.p) incuriosirà certamente i tanti che finora avevano creduto che il tema della critica liberale agli eccessi del partitismo fosse una cosa moderna. Macché, essendo un fenomeno psicologico, cioè legato all’uomo, deve essere sempre esistito laddove c’è stata lotta politica tra fazioni, camarille e partiti. E specialmente in un paese di recente liberalismo e di classi dirigenti ancora immature, come l’Italia. Uscito nel 1881 il volume di Minghetti offre parecchi spunti attualissimi, come quando lamenta i mali del "governo di partito" che tendeva già allora "a favoreggiare gli amici ed a opprimere gli avversari"
(Il cercatore di livres de chevet)
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IL PAPA PROTESTA, MA LE SUE MURA SONO ANCORA PIU’ ALTE
Quel muretto alla berlina non è il muro di Berlino
Adesso qualche israelita di spirito, magari polacco o italiano, dirà che "gli ebrei si stanno ricostruendo il ghetto" da soli. Certo che come ai tempi delle persecuzioni antigiudaiche di papi, imperatori e municipi aristocratici, i quartieri murati e le porte che dovevano servire per discriminarli finivano anche per proteggerli. E’ noto che pur nella loro dolorosa esistenza e nell’umiliazione delle restrizioni, gli ebrei si sentivano paradossalmente più sicuri dentro che fuori le mura dei ghetti europei. Purtroppo, è proprio quello che sta avvenendo in Israele, per uno di quei ricordi storici che non lascia presagire nulla di buono. Come i cittadini dei secoli passati, gli israeliani di oggi, che hanno costruito uno stato ricco dove prima c’erano quasi soltanto rocce, pietre e sabbia, devono proteggersi in qualche modo dai predoni. L’esile muro di cemento, in blocchi prefabbricati, alto dai 3 ai 4 metri, sta già dando vantaggi in vite umane che ripagano lo sforzo economico e anche l’impatto psicologico negativo che un muro sempre ha, all’interno e all’esterno. Sì, anche all’interno: si ha un bel dire, ma a nessuno piace sentirsi chiuso, non poter uscire fuori liberamente. Però il muro, per quanto visibilmente e politicamente antiestetico, si sta rivelando utile. Gli atti di terrorismo e di criminalità importata sono diminuiti. L’Europa vorrà prendere atto che la realtà in Israele è del tutto speciale, eccezionale, e che non può essere valutata con gli occhi distaccati e razionali d’un Nord Europeo?
"Noi siamo molto preoccupati", ha risposto il Papa Giovanni Paolo II al premier israeliano Sharon che cercava di giustificare questa opera difensiva d’emergenza. Ma il premier - a proposito, quando inizierà una seria cura dimagrante? – ha risposto col consueto humour ebraico: "Santità, ma anche il Vaticano è protetto da mura. E sono molto più alte e massicce delle nostre, che oltretutto sono temporanee e rimovibili in pochi giorni". Da allora, quando passo davanti alle mura Vaticane per fare footing, vi confesso che mi attardo a valutarne l’altezza e la "scalabilità" da parte d’un eventuale terrorista. Saranno di 10 o 15 metri? (Sarah Veroli)
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MODE RETRO’. ANTICONFORMISTI CHE DIVENTANO CONSERVATORI
Solo i gay credono ancora nel matrimonio
Le coppie omosessuali si faranno o no? E le pensioni, l’assegno di reversibilità, le tasse, le trattenute Inps, la bolletta della luce, la Asl, forse la badante? Che cos’è, un movimento per le libertà individuali, un’associazione assistenziale o l’ennesimo sindacato di sinistra? Dai grandi princìpi siamo discesi alla lista del ragioniere, alle rivendicazioni spicciole e - manca poco - alle trattenute in busta-paga. Il matrimonio è in crisi dappertutto, ma non tra quelli che dovrebbero esserne i contestatori estremi e più conseguenti. Paradossi della vita, sembra che questo sia l’obiettivo numero uno della cultura gay, ormai davvero poco gaia se davvero vogliono rinchiudersi nell’asfissiante prigione della rispettabilità piccolo-borghese, con tutti i suoi desolanti codicilli burocratici. A quando l’inchino in stile primo Novecento con il rituale "Mi saluti la Sua Signora"? Non lo disse uno di loro, il grande scrittore Oscar Wilde, che il matrimonio è la tomba dell’amore? Eh, sono lontani i tempi dell’eroico "Fuori" di Angelo Pezzana, il colto e intelligentissimo liberal-radicale inventore del movimento in anni difficili. Che non aveva di queste cadute meschine e piccolo-borghesi, ma mirava in alto, ai veri diritti di libertà.
(Sciura Egle di Porta Ticinese)
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EINAUDI ALL’ACCADEMIA DEI LINCEI
L’economista che fu statista per amor d’Italia
Anziché limitarsi a fare facilmente il teorico come tanti altri economisti - pensiamo a Sraffa - il piemontese Luigi Einaudi fu liberale anche nell’esser pratico, accettando di dare una mano, con molto buonsenso, per modernizzare il nuovo Stato italiano dopo il 1945. Lo riconoscono anche a sinistra: fu il migliore Governatore della Banca d’Italia (altro che Fazio) e poi il miglior Presidente della Repubblica che abbiamo avuto. Con lui, fortunatamente, il liberalismo italiano, rimasto legato all’idealismo e all’umanesimo meridionale, ma condito d’una spruzzatina di Hegel e di autoritarismo statuale tedesco, si aprì alla chiarezza e concretezza anglosassone, salendo dalla filosofia all’economia, dallo Stato al cittadino.
Nessuna di queste frasi, sia chiaro, potrebbe essere riferita impunemente ad un filosofo o ad uno studioso del pensiero politico. Se lo farete, sarà a vostro rischio e pericolo. Del resto, che volete, io mi trovavo là per caso. Passavo per la Lungara quando, all’altezza del palazzo dei Lincei, mi viene in mente per associazione di idee che mancavo da tempo dal bell’altopiano del Pratone del Gennaro (Parco dei Monti Lucretili), noto in antico come "Anfiteatro linceo" perché il conte Federico Cesi, che poi fonderà con Galilei l’Accademia intitolata alla lince, antico abitante di quelle foreste intricate, vi si recava assiduamente per "erborizzare", cioè per raccogliere erbe rare da studiare e classificare. Cosa che, vi confesso, faccio anch’io. Pensando al Cesi, mi è venuto in mente una ragazza carina vista una volta all’Accademia. Insomma, salgo la rampa monumentale, apro una porta per sbaglio ed eccomi in piena rievocazione di Einaudi, tra tanti signori anziani e autorevoli.
Che poi Einaudi, ho scoperto, da giovane era proprio negato in matematica, anzi sembra che come me ai tempi di scienza delle finanze odiasse le curve che si usano per mostrare chi è che paga in ultima analisi la tassa. In scienza delle finanze, però, era un grande esperto. Il che vuol dire che era anche un buon psicologo, quindi più intelligente degli economisti puri, che create le "leggi" economiche se ne fregano se poi la gente non ne tiene conto. In economia era controcorrente e parlò male di Keynes, teorico dell’intervento statale come volano per il mercato e lo sviluppo. Fu il maggior teorico del "liberismo", parola che egli stesso inventò per significare rigoroso liberalismo di mercato, che è tuttora lo spauracchio di no-global, marxisti in ritardo e cattolici terzomondisti. Se nei loro manifesti compare ogni giorno lo slogan "No al liberismo", lo dobbiamo a Luigi Einaudi.
Però oggi piace a tutti, a destra e a sinistra. Il che mi lascia sospettoso. E la nèmesi ha voluto che a celebrarlo nel convegno organizzato dall’Accademia dei Lincei a Roma, il 18 e il 19 febbraio, ("Luigi Einaudi. Istituzioni, mercato e riforme sociali") fossero soprattutto anziani intellettuali di sinistra che da giovani, e stando al governo come statalisti, ne avevano avversato le scelte economiche. L’abituale pentimento dei vecchi o il solito trasformismo dei giovani? (Il nipote del fattore)
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I LIBERALI AVEVANO RAGIONE
Uno storico russo: i soldi di Stalin anche a Nenni
Eravamo adolescenti, leggevamo La Tribuna anziché l’Intrepido (qualcuno più grandicello perfino Il Mondo), e salivamo sempre titubanti le scale di via Frattina, sede della Gioventù Liberale, nel timore dello sguardo indagatore non del segretario politico, ma d’un impiegato snob, Piccio Crepas, che pensava di essere l’unico vero liberale in Italia, e che tutti gli altri, deputati compresi, fossero degli infiltrati senza scrupoli. Figuriamoci noi giovani nei rari casi in cui avevamo barbe, capelli lunghetti o arruffati, o camicie senza cravatta…
Ebbene, noi giovani liberali, ingenui quanto si vuole, già sapevamo che il Psi del dopoguerra era stato pagato coi soldi di Mosca. Bastava osservare il comportamento politico dei "frontisti" – dicevamo con studiata professionalità da politici consumati – cioè quei socialisti che avevano scelto il "fronte popolare" Psi-Pci, succubi dei comunisti in tutto e lontani mille miglia dalle grandi socialdemocrazie europee che poi, dopo Bad Godesborg, avrebbero accettato addirittura i principi di base del liberalismo.
Solo che da giovani, alcuni già liberali prima ancora di occuparci di giornalismo, avvocatura o università, eravamo convinti che solo la minoranza di sinistra fosse stata pagata dai nemici della democrazia liberale. Salvavamo la figura di Nenni. Forse perché ai nostri tempi era già diventato "autonomista", cioè un pò più indipendente dal Pci, l’uomo che era pur sempre stato insignito del "premio Stalin per la pace". Una "pace", sia ben chiaro, alla sovietica, che consisteva nel fomentare in tutto il mondo rivoluzioni sanguinose, delitti contro uomini politici di idee liberali e democraticamente eletti, invasioni con carri armati, annessioni di interi stati ecc. Questa era la "pace", quando noi eravamo adolescenti. Potete immaginare, quindi, il riflesso condizionato di fastidio che ancora oggi ci procurano coloro che si dichiarano "pacifisti".
E invece, no, la realtà era ancora più brutta di quella che noi sedicenni immaginavamo. Fu proprio Nenni ad essere finanziato dai dollari del compagno Stalin. Dollari? Certro. I i rubli valevano poco all’estero, cosicché per le "transazioni" e "operazioni riservate" anche l’Unione Sovietica doveva ricorrere agli odiati dollari. E già questo avrebbe dovuto aprire gli occhi ai finti utopisti del socialismo italiano (Etruscus obesus)
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SCOPERTO FINALMENTE CHI INVENTA LE BARZELLETTE
Machiavelli battuto dal Leviatano dell’humour
Armando Plebe, ex comunista passato all’estrema destra, teorizzò a lungo sulle differenze tra comico e umoristico, satira e grottesco. Senza per questo cogliere mai quel tanto di grottesco che c’era nella sua conversione. Oggi gli esperti di comunicazione e psicologia aziendale illustrano nelle lezioni per manager "l’arte della battuta da bar", brevissima e seducente opera d’arte, da studiare, dire e gustare nel tempo d’un caffè al banco. Se i comunicatori sapessero comunicare come il meccanico, il commesso o l’avvocato che entrando nel solito bar stupiscono tutti con una battuta, avrebbero il mercato ai loro piedi. Tra l’altro è stato dimostrato che i battutisti efficaci sono mediamente molto più intelligenti di coloro che non capiscono le barzellette, anche se professori universitari. E anche la critica estetica si è sprecata sull’argomento, visto che l’americano Poe e l’italiano Croce hanno dimostrato che la sintesi e la brevità sono tipiche dell’opera d’arte.
Tutto ciò sarà pure vero, però siamo contrari all’eccesso di esternazioni, quasi a voler occupare tutti gli spazi mediatici possibili, del Presidente del Consiglio. D’accordo, sarà versatile, avrà pure per qualche anno fatto il cantante sulle navi e l’allenatore di calcio della squadra di promozione Edil-Nord, ma adesso sta esagerando. Non può entrare nelle coscienze, a livello subliminale, degli avventori dei bar italiani, degli studenti delle scuole, degli impiegati negli uffici, dei militari nelle caserme, e nel modo più subdolo, cioè inventando barzellette. Denunceremo la cosa al Garante del Tempo Libero (se c’è, visto che di "garanti" che non garantiscono nulla ce ne sono così tanti), perché conceda lo stesso tempo "umoristico" a Fassino, alla Bindi, alla Jervolino, a Parisi e a Prodi. Tanto più che la sua ultima barzelletta è tecnicamente perfetta, fulminante, appropriata e con tante implicazioni. Quindi più pericolosa sul piano comunicativo e seduttivo. Sentite: "Secondo voi Bossi come fa l’amore con la moglie? La Lega" (Nembo Kid)
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TEST DI LIBERALISMO. I DIRITTI PER I LIBRI IN BIBLIOTECA
Paga il lettore? E’ anti-sociale. Paga lo Stato? Anti-liberista…
Vista da lontano potrebbe sembrare una sfida ottocentesca tra crudeli capitalisti "affamatori del popolo" e ottusi burocrati "statalisti". Ma è tutta apparenza: non è così. E alla fine, lo anticipiamo, vincono "i nostri" sorprendendo tutti. Ma i "nostri" chi? I liberali. Com’è possibile?
La vicenda è intrigante perché ha molte facce. E poi dicono che il liberalismo è una cosa astratta, superata, teorica. Sciocchezze. E’ una cosa viva, di ogni giorno. E anche divertente e entusiasmante. Perciò si espande, a differenza di altre ideologie: perché sa dare una risposta a tutto, perché "funziona". I problemi che una visione liberale pone ogni giorno sono migliaia, se ci facciamo caso, e alcuni davvero curiosi. E attenti a rispondere d’istinto, il test potrebbe rivelare che… non siete liberali. Abbiamo già detto della bipartizione che si verificava nel caso della donna dal piede in cancrena (Salon Voltaire, N.2), un test tranquillo perché entrambe le soluzioni possibili erano liberali (ma le motivazioni di chi ne ammetteva solo una, erano rivelatrici…). Ora c’è un quesito altrettanto sfaccettato. Sentire questa e ditemi se non è un test di ammissione all’internazionale dei Geni Liberali
E’ risaputo che un liberale è per il diritto di proprietà, così come difende tutti gli altri diritti. Beninteso, anche la proprietà di ingegno o letteraria (riproduzioni, brevetti ecc). Si sa che autori ed editori sono proprietari di questo diritto, per quote diverse rispetto al libro, al disco, al brano musicale, all’articolo ecc. E infatti acquistando un libro noi paghiamo anche questi diritti.
Ma che accade quando si fanno fotocopie? Che il libro si moltiplica d’incanto per 2, 3 10 mila, senza rispettare quel diritto di proprietà. E’ vero che da pochi mesi c’è una legge che riduce di molto il numero delle pagine che è consentito copiare, ma non è applicata, e comunque consente con un po’ di pazienza di continuare a fotocopiare un intero libro facendo il giro di 3 o 4 copisterie. E se uno se lo fotocopia in casa e poi vende o regala le copie agli amici? Non sono altri diritti d’autore, cioè di proprietà, sottratti? E che accade in una biblioteca, in cui migliaia di persone leggono un libro che non hanno comprato? E’ chiaro che senza quel prestito avrebbero dovuto acquistare una copia del libro a testa, pagando così il dirtto d’autore. Ma non lo hanno fatto, e neanche lo hanno pagato sotto forma di biglietto d’ingresso, perché nelle biblioteche si entra gratis. E allora? Leggere un libro in biblioteca significa sottrarre diritti al proprietario, rubargli le percentuali che possono anche essere - pensiamo agli scrittori - la fonte principale, se non unica, del reddito.
Le associazioni degli editori (in Italia l’AIE) e ora una norma già in vigore dell’Unione Europea vogliono che si paghi il diritto per ogni libro che viene letto o copiato senza essere acquistato, quindi anche i libri delle biblioteche. Ma l’Italia, insieme a Belgio, Spagna e pochi altri, non applica ancora la norma. Gli studenti, i professori, le famiglie, i partiti politici, hanno protestato. "Pagare una tassa per ogni libro consultato?" hanno detto. "Faremo le barricate. Dovranno passare sui nostri corpi".
In effetti, se c’è un sistema che si fonda sulla diffusione della scienza e del sapere, e sul merito degli individui, questo è il liberalismo. E’ arcinoto, ma va ricordato, che non si è liberali se non si premia il merito personale, la bravura, la genialità. Non il censo (ricchezze), come invece pensano quei cretini dei comunisti, né lo stato sociale (come ritengono quegli ottusi dei conservatori), ma la creatività, lo studio e l’invenzione: ecco quello che piace ai liberali. E dunque, come faranno mai i giovani, gli studenti, gli insegnanti, le persone comuni non ricche (con quello che costano i libri) a tenersi aggiornati, a migliorare il proprio sapere, a mostrare quel merito e quell’intelligenza che li dovrebbe far preferire nella grande competizione nel "mercato delle idee" che è la vita? Come faranno i meno ricchi o i poveri a competere con i più ricchi su di un piano di parità intellettuale e informativa? E’ l’uguaglianza dei punti di partenza" di cui parlava Einaudi. Frequentando una biblioteca. Lo faceva anche Einstein. E non esiste ricercatore, studioso, scienziato, che possegga materialmente tutti i testi su cui studia. E alle volte per un solo studio servono migliaia di testi, perché nella scienza, alle volte, basta una citazione breve, un passaggio soltanto di uno studio più vasto.
Ecco dunque due esigenze diverse e contrapposte del liberalismo – diritto di proprietà e uguaglianza dei punti di partenza – che apparentemente sembrano in collisione, ma che si sta cercando di comporre. Il ministro della cultura, il liberale Urbani, finora si è rifiutato di ordinare alle biblioteche pubbliche di esigere un biglietto d’ingresso o una tassa per ogni libro. E si è guadagnato l’appoggio anche della sinistra. Tra l’altro, in un’Italia in cui si legge pochissimo, questo potrebbe avere conseguenze mortali per la nostra cultura e per la scienza. Gli editori, da parte loro (Federico Motta), così come il testo della norma UE, dicono che i libri consultati vanno pagati, ma non necessariamente dai lettori.
Insomma, ci si sta orientando nella direzione di attribuire l’onere in modo forfettario allo Stato. Lo Stato? No, calma, nessun tradimento ideale. Questa volta, noi liberali arci-antistatalisti saremo tutti d’accordo. Lo Stato fa tante cose inutili e dannose, e noi vogliamo ridurlo al minimo. Ma l’esercito, la polizia, alcuni servizi speciali non svolti dai privati e, appunto, la difesa del patrimonio culturale e le infrastrutture della cultura, laddove queste non producano distorsione del mercato e vantaggi per qualcuno, ma vadano a vantaggio di tutti come investimento futuro, sono per noi liberali le uniche applicazioni lecite di cui deve occuparsi uno stato liberale. Deciderà il ministro Urbani. Ma faccia presto, perché se no l’Italia si becca l’ennesima condanna UE.
(Camillo Benso de Latour)
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SE I RADICALI VOLESSERO, CI SAREBBE SPAZIO PER UN TERZO POLO LIBERALE
La Camilla radicale: tutti la lodano, nessuno la piglia
Lodarla, tutti la lodano. E, a dire il vero, le curve ci sono tutte, anzi, anche troppe. Il portamento è ancora da pin-up. Peccato, però, che il telefono squilli sempre più a vuoto, e la sera se ne torni sempre più spesso a casa da sola. Eh, cari miei, sono lontani i tempi in cui per strada faceva girare la gente.
Nonostante sia un pò in là con gli anni, il partito radicale assomiglia sempre più a una donna ancora bella e seducente - magari un tantinello narcisista - che ama farsi desiderare. Una che preferisce il corteggiamento all’amore, il flirt alla convivenza. La tattica masochista è sempre la solita: attira, "ci sta", ma poi al dunque tergiversa, assume atteggiamenti strani, chiede regali spropositati, e alla fine non la dà. E a forza di dire no a tutti, ormai sta diventando una vecchia zitella. Insomma, come la sora Camilla, tutti la lodano, nessuno la piglia..
Siamo troppo cattivi? Ma no. Ditemi quale partito o schieramento non le ha fatto la corte, magari solo per un giorno (perché dopo s’impara). Perfino i giovani neo-fascisti ultras, difesi in modo commovente dai nostri cugini iper-garantisti, furono costretti ad amarli, per una stagione.
Eppure, qualcuno che l’ama davvero c’è. Ma, come spesso accade, non é riamato da lei, donna scostante e altera. Si tratta dello "spasimante liberale medio", per lo più giovane o giovanile, figura patetica e perdente che in genere si aggira con aria scontenta nei rari congressi liberali. Si riconosce già al secondo capoverso: "Questo governo non ci piace, l’opposizione non ci piace: ci stanno bene solo i radicali". Un tipo così porta ad esempio i cugini di via di Torre Argentina per qualunque cosa, perfino per il colore delle tessere. "Basta con le vostre lungaggini, dovremmo fare come loro". Ha ragione, naturalmente, ma gli sfugge un particolare: per "fare" come i radicali bisognerebbe "essere" come loro. E lui in genere, è proprio l’opposto.
E poi, anche essendone all’altezza, nevrosi a parte, come fare per impalmare una donna che piace, se lei non vuole sentire ragioni? Che facciamo, entriamo a casa sua e ce la prendiamo con la forza? Attenti, perché con la nuova giurisprudenza maliziosa della Corte di Cassazione anche una modesta "pacca sul sedere", purché non fuggevole ma - come dire – "trattenuta", oggi sarebbe repressa. E poi, gliel’ha detto la mamma allo "spasimante liberale medio" che la virago radicale vuole comandare, anzi è convinta di portare lei sola i pantaloni?
Resta il fatto, però, che sul piano politico i nostri cugini discoli sono bravissimi e ammirevoli. Dilettanti? Sono gli unici professionisti veri della politica. Forse un tantino fanatici e maniacali. Altro che la famosa pigrizia liberale. Alla politica, loro grande malattia, i radicali dedicano 24 ore su 24. Si vocifera che quando gli capita di far tardi la sera, cioè spesso, Capezzone tiri fuori una brandina e dorma spartanamente nella sede del Partito, scimmiottando il bel gesto austero di un altro grande laico, Ferruccio Parri, che quand’era Presidente del Consiglio dormiva e mangiava al Ministero, chiuso in uno sgabuzzino.
Meno intellettuale, ma più ricca di senso comune, priva - che io sappia - di manie gravi, La Bonino è brava, energica e a differenza del Pannella degli anni passati ha buon senso ed è intuitiva. Per questo è simpatica perfino a mia madre, che invece non può vedere Pannella. Perciò la voterebbero in tanti, a destra e a sinistra. Con lei, se i liberali fossero uniti, si potrebbe anche tentare una lista liberal-radicale. E’ sempre in predicato per qualche incarico elevato: presidenza della Repubblica, commissaria UE, ministro delle donne, rappresentante Onu dei rifugiati. Ma al dunque, nessuno la invita.
E ancora, il giovane segretario dei radicali italiani, Capezzone, è un genio, davvero sprecato per quello che fa. Il deputato europeo Della Vedova, risultato perdente nell’ultimo Congresso Radicale, probabilmente non sarà ripresentato o rieletto. Ma è un raro esempio di liberal-liberista, che potrebbe fare con successo il segretario politico di una nuova grande formazione di successo di tutti i liberali, chiamata - per ipotesi - "Liberali italiani". Altro che l’eterno perdente Mariotto Segni, Scognamiglio & C. Ecco a chi, per primi, dovrebbe rivolgersi con una progetto di grande respiro nazionale la futura assise del Liberali unificati
E invece? Eccoli lì, questi intelligenti ma disoccupati amici radicali, pensionati anzitempo, trascinarsi stancamente da una panchina all’altra della levantina e parolaia politica italiana. Costretti a vivacchiare in un movimento che, grazie alle intuizioni di Pannella, è stato insieme un gigante sociologico ma un nano politico. Un partito non-partito che dagli anni ‘60 ad oggi si è accorto di tutto, ha previsto tutto, ha fondato tutto. Ma che nella lotta politica di ogni giorno ha nello stesso tempo avuto ragione e sbagliato su tutto. Un progetto unitario liberale potrebbe, con i due contraenti su un piano di parità e senza mosche cocchiere, essere la grande novità della politica italiama. Prima conseguenza? Pensate un po’, addirittura un tripolarismo alla britannica, con i liberali al centro a far da ago della bilancia (Loicus interruptus)
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8 MARZO. BASTA CON LE MIMOSE, LE PIZZE E I CIOCCOLATINI
Faramaz, 19 anni, uccisa dai sacerdoti dell’Iran
Possibile che l’8 marzo si sia trasformato nella "festicciola delle donne", un pretesto per tappezzare strade e marciapiedi di mimose, regalarsi stupidamente mazzi di fiori, mangiare insieme pizze e cioccolatini? Dedichiamolo alle donne che si impegnano per la libertà, che per la libertà hanno saputo morire come gli uomini.
Della studentessa iraniana Faramaz Mohammad, di 19 anni, impiccata in piazza a Tabriz, in Iran, nel giugno dello scorso anno, solo in pochi avevano parlato sulla stampa. Aveva guidato - lei giovane donna discriminata e stimata poco più che una "cosa" da un Islam medioevale - le proteste studentesche contro la dittatura fanatica degli ayatollah di Teheran. Ma ora, vedo, la sua storia, gira di nuovo per canali misteriosi su Internet, e si ripropone come un simbolo vero, una icona che assomiglia un poco agli eroi del Risorgimento.
Anche il tragico epilogo del gesto coraggioso è lo stesso. E dei giovani eroi del Risorgimento questa sconosciuta Faramaz aveva tutti gli elementi: la giovinezza spensierata, la leggerezza infantile e spontanea con cui trascinò la folla dei coetanei contro i simboli dl potere, l’incosciente sottovalutazione della disparità delle forze, il processo ideologico contro ogni idea di libertà e civiltà, la condanna a morte, e dopo la morte il ricordo. Ricordiamola, l’8 marzo, tra un cioccolatino e l’altro (Edgarda, cassiera di Todis)
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VOCI INSISTENTI CIRCOLANO NELLA MAGGIORANZA
Berlusconi si ritira: "Non ne posso più: faccio il sindaco…"
Si ritira? Non si ritira? Le folate del venticello malandrino si rincorrono nel Transatlantico, ex "corridoio dei passi perduti". Ma ora, finalmente, sembra che si sia deciso. Chi, a che cosa? Ma il Berlusca, cribbio. E a togliere il disturbo. Certo che, se è vera, è una notiziona da far impallidire quella celebre sull’Avanti, all’indomani dell’aumento dei voti socialisti dal 9 al 10 per cento: "Da oggi siamo tutti più liberi". Sì, di scialacquare i soldi pubblici, di fare deficit di bilancio e inflazione al 15 per cento. Immaginiamo già il titolone sull’Unità: prenderà mezza pagina., e così il giornale sporcherà le mani ancor più.
Comunque il Cavaliere, martire sì, ma fino a un certo punto, non vuole fare la fine di Craxi. A differenza del leader socialista, ha individuato per tempo, grazie al mastino Pisanu, ministro dell’Interno, nomi e indirizzi dei finti "amici". Mica per altro, solo per mandargli una lettera a sorpresa: "Cari amici, vi lascio. Lieto della vs. collaborazione… ecc".
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- Sono vere, Presidente, le voci che…?
- Ma sì, basta con tutti questi traditori, mangiapane a ufo. Mi costano un occhio della testa. E io, pirla, che li ho invitati tutti nella villa in Sardegna…Sapete che faccio? Li lascio tutti con un palmo di naso. Mi ritiro in un paesino sperduto… Be’, sperduto proprio no, deve essere a un’ora di macchina o un quarto d’ora di elicottero dall‘aeroporto…
- A fare che, scusi…
- Il sindaco
- Il sindaco, Presidente?
- Sì, il sindaco. Tutti i francesi lo fanno prima di diventare ministri, e non lo posso fare io dopo aver fatto di tutto?
- Scusi, Presidente, ma lei, come dire, a quel paese ci va di sua volontà o, come dicono a Roma, ce lo hanno mandato?
- No, no, è una mia scelta, figuriamoci se gli davo una soddisfazione del genere ai corvi della sinistra e della destra. Eppoi, mi consenta, vuol mettere la soddisfazione di lasciare nella merda la destra, la sinistra e soprattutto i comunisti?
- Come sarebbe, "nella merda"?
- Sì, mi scusi la parola inelegante, ma lei capisce che senza di me, senza l’odiato Berluska, che cosa farebbero tipi come Fini, come Casini, per sbarcare il lunario? Non sanno fare nulla nella vita, tranne che parlare. Parassiti, parolai. Ma me la godo di più pensando al centro-sinistra.
- Come, "se la gode", Cavaliere? Quelli saranno contenti, altroché. Faranno i cortei e messe di ringraziamento.
- Lei dice? Sì, forse, il primo giorno. Ma poi? Immagini uno come Rutelli, che parla tanto senza mai dire nulla. Allora sarà costretto a inventarsi delle idee. Ma le ha? Ne dubito. E uno come Parisi? Ce lo vede lei darsi "agli affari" o aprire un negozio? Senza il mio nome odiato che la teneva artificialmente incollata, la sinistra non saprà più che dire e che fare. Resterà con un palmo di naso. Si accorgerà di non avere nessun argomento in comune. La fine, mi creda.. Una figuraccia col pubblico degli elettori, e perfino con i no-global e i girotondi, che scoprirà che razza di gente c’è nell’Ulivo e oltre. Insomma, la crisi più nera, lo scioglimento. Quelli, creda a me, non hanno uno straccio di idea in comune, che è una. Sono uniti solo dall’odio verso di me. E sa che le dico? Che estromesso me, anzi auto-esiliatomi, dopo un mese sentiranno la mia mancanza e diranno "Si stava meglio quando si stava peggio".
- Vabbé, Cavaliere, già sentita questa, non è una delle sue migliori. Ma ci parli del paesino.
- Ma come, non capisce? Almeno lì non mi rompono gli zebedei. Posso decidere, finalmente, almeno sul tipo di lampioni da mettere sul Corso e sul colore delle panchine. Ora neanche questo posso fare.
- Be’, ora non si butti giù, Presidente, sarà un momento di depressione….
- Ma sì, almeno lì, in quel paesino sperduto ma non troppo, gli onesti cittadini che lavorano terranno conto dei miei consigli.
- Lei crede, Cavaliere? Guardi che anche nei villaggi sperduti la famosa litigiosità italiana non dà tregua
- Comunque ho messo al lavoro uno staff di tecnici coordinato dai fidi Lunardi e Bondi, muniti di mappe a 1:1.100.000, lente di ingrandimento, lista dei comuni italiani, annuario della Società Geografica, Touring Club, e un potente Gsm dell’ultima generazione…
- E’ una notizia: Bondi sa usare il Gsm?
- Be’, veramente no, ma sta frequentando un corso… Sa, lui in origine era contrario…
- Vuol dire che gli è rimasto il tic di quand’era comunista: tutte ‘ste diavolerie elettroniche sono il Diavolo capitalista-americano…
- Lei adesso esagera… Ma comunque sta imparando…
- E allora, Presidente, che ha trovato la commissione Bondi?
- Un grazioso paesino, proprio vicino a Roma…
- Si chiama?
- S.Polo…
- S.Polo? Non è possibile… E dove l’ha trovato?
- Qui vicino, a trenta chilometri. E non basta, sapesse. Il nome intero è ancora più bello: S. Polo dei Cavalieri. Mi consenta, una scelta obbligata. (La portiera di via del Plebiscito)

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