28 marzo, 2011

 

Patriottismo. Destra e Sinistra, due facce della stessa medaglia: un'Italia ambigua e inaffidabile.

Sono passati alcuni giorni dal 17 marzo 2011, 150.o anniversario dell'Unità d'Italia (a proposito, evviva!, la ricorrenza, con un colpo di mano, è stata tramutata in annuale), e ancora si vedono diverse bandiere tricolori appese ai balconi di Roma. L'addormentata Roma reazionaria e papalina che fu l'ultima grande città ad essere conquistata. Questo favore popolare per il Tricolore, finalmente lontano dai tornei internazionali di calcio, è una novità assoluta nella breve storia della Repubblica. Ma i partiti italiani, anzi, quei due fittizi schieramenti senza idee, artificiosamente contrapposti per suddividersi il gioco della politica, la Destra e la Sinistra, in che rapporto sono con la bandiera, l'idea di Patria, il tema dell'Unità? Sull'argomento ecco un articolo apparso sul Corriere della Sera a firma di Ostellino. Si poteva scrivere qualcosa di più e di meglio, ma la botte dà quello che ha. E anzi, a denti stretti, dobbiamo pure ringraziare. NICO VALERIO

"Fino all' altro ieri, chi parlava di Patria, per non dire di Nazione, esponeva il tricolore, cantava l' Inno di Mameli, esaltava il Risorgimento - cui si contrapponeva l' interpretazione (sbagliata) di Gramsci come rivoluzione agraria (sociale) mancata - era tacciato, dalla sinistra, di fascismo. Da quando la Lega ha manifestato l' intenzione di disertare le celebrazioni per i 150 anni dell' Unità, la sinistra è patriottica. Accusa chi non li festeggia di tradimento della Patria e di ignorare la Nazione italiana (contrapposta alla Padania), si fascia nel tricolore, canta Mameli, rinnega Gramsci e elogia Cavour, quello liberale della biografia di Rosario Romeo, uno dei capolavori della storiografia italiana del Novecento; che si dice Laterza non ristampi - attendo smentite dall' editore di Croce! - per subalternità culturale alla sinistra. Quando le truppe americane ponevano fine al regime di Saddam Hussein - non meno sanguinario di quello di Gheddafi - dai balconi di mezza Italia pendevano le "bandiere della pace"; di disapprovazione, da sinistra, dell' attacco all' Iraq. Oggi che gli aerei di una parte della coalizione internazionale - legittimata da una ambigua risoluzione del Consiglio di sicurezza dell' Onu, come furono quelle per l' Iraq - bombardano le truppe del "tiranno" non c' è una sola bandiera della pace sui balconi italiani. L' attacco alla Libia è legittimo, perché voluto dall' Onu ancorché, più che dalle Nazioni Unite, dalla Francia - e giusto perché imbarazza Berlusconi, già tentennante da par suo, ricordandogli la sua "amicizia" con Gheddafi. Neppure sull' altro fronte, quello della destra, pare che la coerenza sia di casa. Quella stessa destra che, fino all' altro ieri, si commuoveva alla parola Patria, esponeva il tricolore anche quando non era festa nazionale, cantava l' Inno di Mameli anche davanti al televisore per le partite della nazionale, ha messo la sordina alle celebrazioni dei 150 anni dell' Unità per non spiacere alla Lega e non perdere voti fra i nostalgici dei Borboni e fra i cattolici ancora legati al non expedit pontificio dopo Porta Pia. Oggi, che si prospetta un possibile collasso del regime di Gheddafi, sempre la destra non nasconde la sua contrarietà di fronte all' attacco, in nome della "stabilità" della Libia, delle sue forniture di petrolio e del contenimento della sua emigrazione verso l' Italia, garantiti dal Colonnello. Ma l' altro ieri aveva plaudito all' attacco al "tiranno" iracheno, non preoccupandosi degli eventuali effetti, per la stabilità della regione e la sicurezza di Israele, della caduta del regime di Saddam ritenuto, fino a quel momento, un bastione nei confronti dell' Iran fondamentalista e integralista e delle sue ambizioni strategiche. Che dire, se non che sinistra e destra sono le due facce della stessa medaglia, dell' Italia inaffidabile e cialtrona, persino incapace di sapere quale sia il suo interesse nazionale? L' ultima volta che, da noi, si è avuta una politica estera è stato col Piemonte cavouriano". PIERO OSTELLINO

21 marzo, 2011

 

Crocifisso. Libertà messa in croce da una Chiesa di Potere, materialista e non-credente


TUTTE LE INSIDIE DELLA SENTENZA DI STRASBURGO


La presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche d’Italia non costituisce una violazione del diritto alla libertà di coscienza dei ragazzi e alla libertà d’educazione dei genitori. Questo ha sancito, con sentenza definitiva, la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, a proposito del caso che opponeva la signora Soile Lautsi al governo italiano. E questo hanno salutato – con comune soddisfazione – le autorità della Repubblica e quelle della Santa Sede.


Adesso la parola passa ai giuristi, che avranno modo di studiare il dispositivo della sentenza e di pronunciarsi intorno alla sua maggiore o minore solidità. Ma fin d’ora appare lecita qualche considerazione a margine da parte di chi – come il sottoscritto – giurista non è: e che pure si è occupato della questione, da storico, in un libretto recentemente uscito da Einaudi, Il crocifisso di Stato.


La prima considerazione è di ordine culturale. Sentenziando che "il crocifisso sul muro è un simbolo essenzialmente passivo", e che manca qualunque prova di una sua reale influenza sulla personalità degli scolari, la Corte di Strasburgo ha compiuto un passo concettualmente azzardato e, insieme, ha dato luogo a un precedente insidioso. Ha compiuto un passo concettualmente azzardato, perché resta da capire – adesso – che cosa mai distingua un simbolo attivo da un simbolo passivo. Ha creato un precedente insidioso, perché di qualunque altro simbolo si potrà argomentare, in futuro, che manca la prova di una sua reale influenza sui ragazzi. Si potrà dirlo non solo del crocifisso dei cristiani, ma anche (un esempio vale l’altro) della mezzaluna dei musulmani, o della falce e martello dei bolscevichi, o della croce uncinata dei nazisti, o della croce insanguinata del Ku Klux Klan.


La seconda considerazione è di ordine politico. Sentenziando che "non compete alla Corte di prendere posizione in un dibattito fra le giurisdizioni interne" di uno Stato membro, i giudici di Strasburgo hanno rinunciato a dirimere i contrasti delle istituzioni italiane (Consiglio di Stato, Corte di Cassazione, Corte costituzionale), che in materia di crocifisso negli edifici statali non sono mai riuscite a trovare, negli ultimi quindici anni, un accordo né di forma né di sostanza. Dunque, la palla è adesso nel nostro campo: è nel campo della politica italiana, dove potrebbe pur manifestarsi un qualche partito interessato a legiferare in materia. Senonché, ad oggi, l’unico che risulti essersi attivato è la Lega Nord: la quale ha recentemente proposto di rendere il crocifisso obbligatorio in tutti gli uffici pubblici della Regione Lombardia. Mentre restano mute, mutissime, tutte le forze politiche – dal Partito democratico all’Italia dei Valori, passando per Sinistra e Libertà – da cui ci si potrebbe aspettare una battaglia in difesa della neutralità confessionale dello spazio pubblico.


La terza considerazione è di ordine storico. Sentenziando che il crocifisso nelle aule italiane attribuisce bensì alla "religione maggioritaria del Paese" una "visibilità preponderante nell’ambiente scolastico", ma che questo primato non configura alcuna forma di "indottrinamento", la Corte di Strasburgo ha segnato una netta soluzione di continuità rispetto a due secoli e mezzo di storia delle idee in Europa (oltreché rispetto a mezzo secolo di giurisprudenza della Corte stessa). In effetti, l’intera vicenda storica delle lotte per la difesa dei diritti dell’uomo muove dal principio della tutela delle minoranze a fronte di possibili abusi o soprusi delle maggioranze. Adesso, tale principio viene rivalutato al ribasso: con sorprendente nonchalance, non foss’altro in quanto una simile logica apre la strada – almeno in teoria – alla necessità di ogni genere di censimento o di conteggio su chi sia maggioranza religiosa e chi sia minoranza entro un contesto geografico dato.


La quarta e ultima considerazione è di ordine teologico. Riesce difficile non giudicare inquietante la soddisfazione espressa dalla Santa Sede a proposito di una sentenza come quella di Stasburgo, che negando al crocifisso un potere di indottrinamento gli nega anche – se le parole hanno un senso – un valore di dottrina. A questi punti è arrivata, evidentemente, la Chiesa cattolica di oggi: a una tale ossessione di presenza nella sfera temporale da trascurare ogni scrupolo di presenza nella sfera spirituale. Fino a disconoscere al simbolo cristiano per eccellenza il suo messaggio sacro e (per chi crede davvero) il suo valore salvifico, pur di passare all’incasso (tutto politico) di un messaggio pelosamente profano.


SERGIO LUZZATTO


10 marzo, 2011

 

Anniversari. Il 150° dell’Unità d’Italia senza ipocrisie. Chi ha davvero il diritto di celebrarlo.

150° anniversario Unità d'Italia In occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, quasi timorosamente festeggiati, val la pena di chiedersi se e che cosa vi sia festeggiare, e chi abbia il diritto di farlo. E, quando si pensi di fare un raffronto tra l’attuale classe dirigente (politica e no) e quella che un secolo e mezzo fa guidò il processo unitario, non si può che esser colpiti dall’abisso che passa, in termini di ampiezza di vedute, di rigore concettuale, di capacità di guardare oltre le Alpi, tra quella di allora e quella di oggi.

Per la prima volta in Italia si era andata costituendo una classe dirigente che seppe impostare una politica nazionale, non nazionalista e non provinciale, fondata su un riformismo dai tratti rivoluzionari, ponendo lucidamente la questione nazionale non solo in termini di unificazione e di indipendenza, ma anche in termini di modernizzazione, di rapporto con l’Europa, e di rescissione dei legami culturali e politici con l’Ancien Règime e con la società post feudale.
Perché il processo unitario italiano, che oggi concordemente viene vilipeso dai nuovi trinariciuti prealpini, dai neoborbonici del Sud, e dai nostalgici di Francesco Giuseppe e della Grossdeutschland, si caratterizzò solo in parte, e non quella essenziale, come un fenomeno di unificazione territoriale (o di conquista, come oggi dicono alcuni).

Prima ancora, e nei suoi presupposti, fu un processo di liberalizzazione e di modernizzazione, senza le quali nessuna unificazione sarebbe stata possibile se non come annessione dinastica o militare o sotto la forma della federazione teocratica ed estesa all’intera penisola preconizzata da Gioberti: comunque, in termini tali da non trasformare gli assetti post-feudali dell’Italia preunitaria.

coccarda con scritta 150° (NV 2013) Il Piemonte aveva aperto la strada della modernizzazione già negli anni precedenti l’Unità, accreditandosi come sua guida culturale e politica, prima ancora che militare e dinastica: lo Statuto aveva iniziato a separare e bilanciare i poteri ed a garantire spazi iniziali di libertà e di partecipazione; le riforme economiche di Cavour, ispirate ai modelli del liberalismo empirico britannico, avevano iniziato ad ammodernare il mondo agricolo; le leggi Siccardi (1850-51) e Rattazzi (1855) avevano abolito i privilegi della Chiesa come ordine separato; la legge Casati (1859-60) aveva introdotto il principio della Scuola pubblica di Stato e sottratta al monopolio ecclesiastico; l’esercito costituiva una forza militare capace di combattere e non solo di parate e di operazioni di polizia; l’uso appropriato ed oculato del denaro pubblico, non destinato unicamente alla rappresentanza dei fasti della Capitale consentiva un più equilibrato rapporto tra centro e periferia e la creazione di infrastrutture e vie di comunicazione avveniristiche (la ferrovia dei Giovi venne inaugurata nel 1854, ed i lavori del traforo del Fréjus iniziarono nel 1857). Nel giro di pochi anni vennero create le premesse culturali, politiche e materiali di uno Stato moderno, e si seppero tagliare i legami con una tradizione che risaliva alla Controriforma.

E, non ultimo ed ancor più significativo fatto, specie se osservato dagli italiani di oggi, che vedono le logiche tribali farsi strada nella politica e nella cultura diffusa, il Parlamento sabaudo e preunitario seppe essere già Parlamento Nazionale, vedendo numerose presenze di esuli degli altri Stati preunitari della penisola.

Guardando a questa fase della nostra storia, e cercandovi un tratto conduttore in rapporto con gli sviluppi successivi, mi pare significativo il fatto che quella classe dirigente si sia costituita attorno ad alcune idee-guida, non tutte ancora sviluppate a pieno, ma dalle quali sono derivate nei 150 anni successivi, tutte le manifestazioni di sviluppo economico e di progresso civile e sociale; ed il cui venir meno ha per contro improntato fasi e fenomeni di stagnazione ed arretramento.

E si tratta di: concezione europea, etica pubblica, predominio della legge, Stato laico, visione unitaria e non provinciale delle questioni del Paese, istruzione pubblica e diffusione della conoscenza, estensione e generalizzazione progressiva, nonostante contrasti e resistenze, di diritti e libertà, lotta alle corporazioni ed ai privilegi. Indirizzi che poi, quasi cent’anni dopo, hanno trovato una più compiuta formulazione nella nostra Costituzione Repubblicana.
Osservando l’Italia di oggi, non possiamo non constatare come questa si sia profondamente allontanata da quelle idee-guida, e di come l’attuale classe dirigente non abbia nulla dell’ampiezza di vedute che caratterizzò l’avvio del processo unitario.

Oggi siamo governati da una maggioranza che si caratterizza e regge sul baratto tra gli interessi di chi non esita a stravolgere lo Stato di Diritto, cercando nella legge e nella magistratura addomesticate la propria impunità, e quelli di chi non esita ad irridere e minare la coesione territoriale del Paese cercando di tutelare gli interessi di una parte a discapito delle altre. E, sottostante a questi stravolgimenti, c’è una concezione di fondo che confligge con quelle idee-guida: basta ricordare come oggi vengano considerate l’etica pubblica, il principio della separazione dei poteri, l’austerità delle forme e dei bilanci, la concezione laica dello Stato, la scuola pubblica, i rapporti internazionali ed una costruzione europea vissuta con fastidio e sufficienza.

Non c’è allora da stupirsi se l’anniversario dei 150 anni dell’Unità del Paese appaia alla maggior parte dei nostri governanti come un giorno da celebrare senza eccessiva enfasi: troppo raccapricciante il confronto tra Cavour e Papi col fazzoletto verde, e troppo imbarazzante il confronto tra quell’apertura mentale, quell’ampiezza di vedute, quella capacità di porsi in una visione europea, e la miseria mentale e politica di una politica provincialmente ed antidemocraticamente impegnata nella propria autoriproduzione e nel servilismo nei confronti di un leader dedito prioritariamente alla tutela dei propri piaceri, dei propri interessi, della propria impunità, del proprio potere sovrano.

E non c’è da stupirsi se quei ministri leghisti che tolgono i finanziamenti ai malati di cancro per non far pagare le multe sulle quote latte agli allevatori disonesti dei loro collegi, e che impongono un simulacro di federalismo distruttivo come prezzo del loro sostegno, pur avendo giurato fedeltà alla Costituzione, non trovino nulla da festeggiare il 17 marzo.

E’ giusto che sia così, è giusto che questa gente si senta estranea o distante da questi festeggiamenti; non ne hanno il diritto: le loro parole assomiglierebbero troppo a quelle di Hitler in occasione dei funerali di Rommel. Quel che non è giusto, e che l’Italia onesta non merita, è di esser governata da gente simile.
Lasciamo allora che questa data sia celebrata da chi è coerente con il processo che ebbe avvio in quegli anni.
GIM CASSANO

IMMAGINI. 1. L’infelice logo ufficiale con i colori della bandiera clamorosamente sbagliati: il verde medio o verde prato trasformato in un raccapricciante verde “oliva” mai visto sulle bandiere italiane. E un rosso sporco, un bianco giallastro… E perché il rosso è sempre molto più piccolo del verde? Un disastro anche altri segni grafici. Chi è il raccomandato di turno, oppure quale è stata la commissione giudicante impreparata e compiacente, visto che non conosceva neanche i colori della Bandiera Italiana? E’ da questi “piccoli” segni rivelatori che si vede la scarsa dignità di una Nazione, soprattutto a causa di una classe politica corrotta come quella berlusconiana, di estrema Destra affaristica, ignorante, vagamente fascistoide e anti-risorgimentale. Del resto piange il cuore che perfino nel sito del Partito Liberale (“Rivoluzione Liberale”) il verde del festone tricolore sia sbagliatissimo: addirittura color… pisello. 2. Coccarda tricolore per i 150.o anniversario dell’Unità d’Italia. Anche qui, a sottilizzare, i colori sono sbagliati. Il verde è troppo freddo e il rosso è un carminio…

AGGIORNATO IL 24 SETTEMBRE 2013


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