30 novembre, 2005

 

31. Newsletter del 30 novembre 2005

m
Salon Voltaire
IL GIORNALE PARLATO LIBERALE
LETTERA QUINDICINALE DEL SALOTTO VOLTAIRE
RIVISTA LIBERALE DI ATTUALITÀ, SCIENZA, CULTURA, POLITICA E COSTUME
Lettera n.31 - 30 novembre 2005
m
"Stress, ipertensione, colesterolo alto? Partecipa a un salotto liberale.
L’unico in cui il sedentarismo fa bene e stimola il cuore"
CARDIOLOGO ANONIMO
M
m

Questo numero contiene:
DISCORSI A PERA. Papi, limbo e "Medici in prima linea"
VITTORIA, DIETA A PARTE. Grazie, "Fat" Ariel
RICETTE FAO. Fame nel mondo? "Vado al ristorante"
VECCHI ILLIBERALI. Armando la pace arma un casino
CATTOLICI CONTRO TEO-CON. No alla Chiesa-potere
PRIMUM VIVERE. Nuove libertà: la vita tranquilla
MODELLI MASCHILI. Ora chiedono le quote celesti
MEDIOEVO IN TRIBUNALE. E Yoshua diede scandalo
NUOVI IMBROGLIONI. "Laicisti, crudeli dittatori…"
MODERNIZZAZIONI. Ma non era "o Paese d’o sole"?
CURE INEFFICACI. Quant’è cara quell’acqua sbattuta
MERCATO E FARMACI. L’aspirina nel carrello
RIAPRE MUSEO EBRAICO. Il luogo della Memoria
RADICALI DESTRA-SINISTRA. Pannellik 2, la vendetta
LIBERALI DI SINISTRA. Nell’Ulivo una lista liberale
VIVA IL SEPARATISMO. Francia, un secolo di scuola laica
PROFESSIONI LIBERE. Tutta pubblicità quell’avvocato
SOLDI ALLA CHIESA. Quale "libera scelta", è un obbligo
LIBERALI vs. ANTISEMITI. Se i cretini vanno in galera
TRA SCIENZA E MORALE. Bioetici a convegno. Perplessi
EMBRIONI ORFANI. Donne singole potranno adottare
RIUNIONE DEI CIRCOLI. Qui ci vuole una Società Aperta
M
m

SEMBRAVA UN "DISCORSO A PERA" MA…
Papi, limbo, scienza e "Medici in prima linea"
Lì per lì ci era sembrato un "tipico discorso a Pera". Ma non vogliamo certo paragonarlo al presidente del Senato, né comunque offenderlo, papa Ratzinger, di cui siamo anzi "avversari-estimatori". Sì, perché ci piace avere a che fare coi Papi semplici professori, sia pure per criticarli, piuttosto che coi Papi esaltati e carismatici, che come il suo predecessore vengono fatti Santi col tubo catodico, a reti unificate, senza neanche passare per la qualifica avventizia di Beati, a furor di "popolo dei telefonini" (v. Salon Voltaire n. 23, 11 aprile) e ora di audience da fiction Tv.
Che, a dire il vero, non per colpa di Wojtyla, la vittima, ma del regista cinicamente realistico, sembrava nella prima parte proprio la fortunata fiction "Medici in prima linea", con tanto di ordini concitati e rapido scivolar di barelle, lenzuola sporche di sangue. L'unica cosa originale erano le guardie svizzere che corrono. Ma forse al papa-attore sarebbe piaciuto tutto quell’esibizionismo in tempo reale nella grande piazza S.Pietro, metà reale, metà mediatica. Chi ha gongolato di certo sarà stato l’amministratore delegato dell’Ospedale Gemelli, con tutta quella pubblicità gratuita. Pensate, uno sponsor in abito talare bianco che, quasi sul punto di morire, a precisa domanda del conducente sussurra con voce ben impostata: "Gemelli". Come si fa col tassista. Vale milioni di euro di campagna pubblicitaria. No, a Ratzinger, che è più intelligente, meno cinico e per niente attore, non credo che sia piaciuto: "Eccone un altro troppo zelante" avrà pensato del regista da buon psico-teologo guardando il film con occhio clinico. Clinico, appunto. "Sarà sicuramente un ateo devoto", avrà concluso.
Dunque, dicevamo del "discorso a Pera" di Papa Ratzinger. Però, adesso che ho detto così, non immagnate una cosa terra-terra, da scuole tecniche o da oratorio, tipo la famosa e ripetuta frase periana: "La religione deve entrare nella politica, altroché". No, ha fatto un bel discorso alato, superiore, privo di meschinità e basse punzecchiature politiche alla Ruini. Insomma, Papa Ratzinger è critico con l’impostazione di "correnti importanti della filosofia moderna", e agli scienziati ricorda: la vera razionalità si apre a Dio. Fare scienza, dunque, "nell’orizzonte di una razionalità vera, diversa da quella oggi ampiamente dominante, secondo una ragione aperta al trascendente e a Dio, coniugando fede e scienza". Forse abbiamo capito. Tutte queste parole vaghe, generiche e oscure per dirne una sola: Zichichi. E noi chissà che pensavamo.
Fortuna che d’ora in poi i bambini morti senza battesimo non ozieranno più nel Limbo, come finora la Chiesa aveva detto. No, i teologi ci ripensano: quel Limbo proprio non ha avuto successo, ha fatto flop nell’audience, va modernizzato. Un po’ di buonismo, che diamine: ora tutti in Paradiso. Ma è una materia delicata e imbarazzante: chissà quanti sono i bambini non battezzati nel Terzo Mondo (migliaia solo in Brasile) vittime di preti sadici o pedofili, alcuni ricercati dalla polizia e nascosti in chiese remote. Ma che ne sarà, ci chiediamo, dei poveri bambini degli anni e dei millenni passati, già reclusi nel Limbo? Non verranno abbandonati, spero. Il Signore è pregato, perciò, di fare gli straordinari sulle pratiche arretrate e salvare tutti i bambini "pregressi", hanno deciso i teologi. Con la sua Misericordia senza limiti, precisano. Ma, scusate, se era senza limiti, non doveva funzionare già prima? (La badante russa di Cossiga)
m
A PARTE LA DIETA, HA CAPITO TUTTO
Grazie, "Fat" Ariel
Il duro e scattante generale è diventato un simpatico grassone, segno di stress da politica mal compensato. Ma, a parte la dieta, ha capito tutto. E non si è mai mosso con una tale agilità. Non solo il sofferto sgombero delle colonie, ma anche il muro, e tutte le sue altre decisioni, da anni, si sono rivelate vincenti. E sta offrendo al mondo lo spettacolo d’un generale umano, realista, buon stratega, buon tattico, buon psicologo, che fa di tutto per costruire davvero la pace nel Vicino Oriente favorendo in modo eroico il dialogo con i palestinesi. A costo di perdere qualche voto degli inguaribili ultrà. Certo, le resistente dei palestinesi sono forti. Passeranno degli anni, forse decenni, perché un territorio retto con l’autoritarismo e la corruzione, e fondato sull’odio verso Israele e gli ebrei, diventi uno stato normale e liberal-democratico. Il coraggioso Magdi Allam ha proposto il Premio Nobel per la Pace 2005 ad Ariel Sharon, insieme con Al-Sistani, capo dei sciiti dell’Iraq. Ma è un premio ormai screditato: l’hanno dato perfino a quel terrorista e imbroglione (in milioni di dollari) di Arraffat. Comunque, se glielo danno, sarà ben meritato. Ma crediamo che gli basti il credito di tutti i liberali, oltre a quello – s’intende – della comunità ebraica. Che è accerchiata e messa nell’angolo ovunque, in Europa e nel Mondo, da antisemiti e finto-progressisti di Sinistra (in realtà neo-destri, e della Destra più brutta). E la cui sicurezza e credibilità dipende anche da quello che succede là a Tel Aviv. Tutto come ieri, allora? No, oggi per fortuna le cose sono diverse: i liberali e gli amici di Israele sono incazzati. Anzi, diciamo che "non ne possono più". E nulla sarà più come prima. Grazie "Fat" Ariel, siamo tutti con te. E non preoccuparti, se la dieta è proprio l’unica cosa in cui non hai successo. (Sarah Veroli, commessa in via Ottaviano)
m
DIRIGENTI FAO GHIOTTONI
"Fame nel mondo? Vado al ristorante"
Non è la prima volta che vengono beccati a gozzovigliare in ristoranti di lusso, a spese degli odiati Paesi occidentali che li finanziano, soprattutto gli Stati Uniti. Sono gli strapagati dirigenti terzomondisti e pauperisti della Fao, costosa e pletorica struttura burocratica che fa capo all’Onu, con sede a Roma, della cui famigerata inefficienza hanno avuto modo di lamentarsi vari ministeri e organizzazioni non governative. Poiché i rapporti della Fao denunciano la morte per fame di 6 milioni di bambini ogni anno – scrive Massimo Varin al Corriere della Sera – è "agghiacciante" trovarli allegramente seduti a cena, non privatamente ma a nome dell’organizzazione, in un "famoso ristorante romano". Caro Varin, anche quei ganzi della Fao dovranno pur mangiare qualcosa... Complimenti, però, continui a pedinarli, e intanto buon appetito: vorremmo fare anche noi il suo mestiere. A proposito, ci informi se nell’ambitissimo spaccio interno Fao, pensato per le "necessità urgenti" di dirigenti e funzionari, si trovano ancora il Veuve Cliquot d’annata super-scontato e il vero caviale Beluga a metà prezzo che vi trovammo anni fa, quando amoreggiavamo con una procace segretaria Fao. Per le necessità urgenti del nostro lavoro redazionale, s’intende. (Giuanin, il barista di Porta Vigentina)
m
VECCHI ILLIBERALI E NUOVE VESTI
Armando la pace arma un casino
"Il comunismo non c’è più" – dice Cossutta – ma allora come mai nessun partito di opposizione e tutti quei prigionieri oppositori politici nelle carceri di Cuba, Cina, Indocina, Corea e Russia? Quel che è certo è che i comunisti ci sono ancora quasi tutti. Lui per primo. E continuano ad essere furbi di tre cotte, acrobati da circo della politica, qualunque sia oggi la loro idea. Molti si sono infiltrati nei giornali e nei partiti di Destra. Altri si arrabattono per galleggiare in Parlamento. Come Cossutta. Ora per formare con i Verdi una lista Arcobaleno (simbolo dei finti pacifisti di Sinistra) il vecchio militarista Armando (nome omen) fa capire che il partito dei Comunisti italiani potrebbe, con abile realismo togliattiano, rinunciare alla gloriosa falce e martello su bandiera rossa. Perché nel proporzionale il quorum è quorum, e perché la Sinistra deve offrire ai militanti un’alternativa seria e credibile al moderatismo dei Ds e ad una Rifondazione comunista "non totalmente affidabile". E’ successo un ambaradam e i suoi l’hanno smentito. Ma le parole restano.
Figuratevi il prurito del quasi-comunista-esoterico Bertinotti, fantasista no-global e credente new age, al quale già provoca eritemi l’ispida ma "snobbish" mutanda di lana tweed a contatto della pelle, sorta di cilicio country che lo rende più spirituale e dannatamente sexy agli occhi delle ragazzine della Comunità di S.Egidio e delle belle suore di Assisi. Ma come - si sarà chiesto l’aristocratico farmer rosso - non era lui, l’Armando, ex tesoriere di fiducia del Pci ed ex corriere del Pcus (in dollari, perché né al Cremlino, né a Botteghe Oscure erano così comunisti da usare i rubli per certe faccende…) che da una parte alimentava il riarmo dei militanti comunisti italiani, e dall’altra faceva il realista possibilista "contro ogni avventurismo"? Dunque, paradossalmente, armando i militanti d’allora l’Armando era un armato moderato, mentre oggi armando i disarmati verdi il rosso Armando è un disarmante estremista. Armando tutt’al più un casino. (Olga, la stagista sotto la scrivania di Putin)
m
CATTOLICI CONTRO I "TEO-CON"
No alla Chiesa come potere
"La Chiesa? Torni ad essere soltanto guida spirituale". A parlare così sono dei convinti cattolici, per i quali lo spirito non è cosa da poco. Un convegno tenutosi a Roma con la crème dei progressisti cattolici (oggi "cattolici liberal", senza la e, ma un tempo, più tristemente, "cattolici di sinistra), tra cui gli ex presidenti della Corte costituzionale Francesco Paolo Casavola e Leopoldo Elia, ha detto no alla religione usata per scopi politici. "La Chiesa non può essere ridotta a potere tra i poteri", o anche ad "autorità morale" con la quale "stabilire alleanze" in vista di "un'antistorica diffusione di una sorta di religione civile", come vorrebbero "gli atei devoti, o i laici devoti, o gli atei clericali". Lo ha affermato il presidente del Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale), il giurista Renato Balduzzi, aprendo l'assemblea del Movimento. Chiara la polemica contro Giuliano Ferrara (che si è definito "ateo devoto") e il presidente del Senato, Pera (che parla di "religione civile" e perfino di "immettere la religione nella politica"). Insomma contro i "neo-con" e "teo-con", in nome della tradizione dei cattolici "democratici" o di sinistra. I liberali non sono mai stati teneri con i cattolici di sinistra: li hanno sempre visti come i più integralisti. Ma ora - ammettiamolo - questi, sui rapporti Stato-Chiesa, sono esemplari. Molto più liberali dei cattolici della Destra. Chi l’avrebbe immaginato pochi anni fa? Questo improvviso "laicismo" non sarà l'invidia e la rabbia che oggi la Chiesa incontra Fini e Berlusconi, e non Prodi e Fassino? (La callista di Rosy Bindi)
m
"PRIMUM VIVERE"
La libertà della "vita tranquilla"
Viviamo in una società in cui i diritti "fondamentali" sono riconosciuti. Ma non quelli secondari. E, poi, sono davvero secondari? Anzi, sono i primi, come sanno i poliziotti. Ma i giornalisti, gli intellettuali, i giudici e i politici non se ne occupano. Sono sempre tra di loro, frequentano poco la gente semplice, le strade della periferia, i piccoli paesi lontani. Non salgono quasi mai sui bus e in metropolitana, e perfino in treno ci vanno poco. E disdegnano da snob le normali e semplici cose della vita quotidiana. Come se fossero destinati a chissà quali cose. E così, anche perché non leggono le cronache dei giornali e sanno poco di psicologia, non capiscono niente della società. Non si accorgono, perciò, che il malessere, l’infelicità della gente, è spesso dovuta a cause precise, magari banali, facilmente eliminabili. Come, appunto, i fastidi, i rischi ambientali, la piccola criminalità e le insicurezze della vita d’ogni giorno.
Prendiamo il diritto ad una vita quotidiana ordinata e tranquilla. Non è un ideale e neanche un fine, sia chiaro, ma un mezzo, un punto fermo da cui partire per costruire la propria esistenza. Nessuno può facilmente vivere, pensare, studiare, lavorare, avere successo, diventare ricco o famoso, se ogni cinque minuti deve difendersi da ladri, rapinatori, automobilisti indisciplinati, assassini da strada, violentatori, rapitori, maniaci, pazzi. Ma neanche se la vicina friggitoria gli getta i suoi fumi dentro casa tutto il giorno, se al pianterreno c’è una discoteca, se in cortile la portinaia alleva maiali, se ogni giorno sono in azione sirene, operai rumorosi e scavatrici meccaniche. Voi capite bene che a questo punto, per il malcapitato, anche se colto e informato, passerebbe in secondo piano addirittura il tipo di regime politico.
Nelle nostre società avanzate in cui nessuno – salvo errori – deve temere di essere svegliato dalla polizia alle 5 del mattino e arrestato per aver scritto o parlato male del Governo, o perché è ebreo o musulmano, l’infelicità da insicurezza e fastidi gravi è altissima. L’Italia, tanto per dirne una, è il Paese più rumoroso, sporco e caotico d’Europa, non solo per la ben nota maleducazione, indisciplina e strafottenza degli italiani, ma anche per l’inesistenza del "controllo sociale" sui maleducati (spacciato per "maggiore libertà") e di quello legale. Prima solo al Sud, ora anche al Nord. Anche i Comuni (p.es. le inutili rumorosissime spazzatrici meccaniche di Roma, azionate di notte o all’alba) producono fastidi e inquinamento acustico. Per gli psicologi, perciò, l’elevata insicurezza, rumorosità e caoticità della nostra vita quotidiana, che sembravano ricordi del Seicento, quando si viveva per strada, e in strada si poteva essere uccisi da un nobile a cui non avevate ceduto il passo, stanno tornando ad essere un problema, che va risolto innanzitutto riconoscendo la prima delle libertà negate, il diritto alla tranquillità, alla pulizia, al silenzio, alla bellezza delle città e della natura.
E perfino la criminalità viene favorita da questo lassismo, che è il contrario delle libertà liberali, tutte fondate sul principio di "auto-limitazione" e sul rispetto dell’altrui libertà. Quanti delitti, che si potevano facilmente evitare, sono compiuti dai tanti matti in circolazione? D’accordo, la colpa è stata degli psichiatri alternativi, totalmente privi di buon senso (allora è vera la storiella che…), che, solo in Italia, con la famigerata legge Basaglia, hanno considerato i malati di mente poco meno che prigionieri politici da liberare e da abbandonare in strada. Questo mentre, si noti, oggi chiediamo non il carcere, ma la clinica, per i tossicodipendenti, anche se commettono reati gravi. E che si fa per ovviare all’errore? Nulla. Si addossa tutto – stress, disagio e danno – sulle spalle della vecchietta, del giovane, della ragazza, del pensionato inermi e impreparati. Che infatti sono le vittime sacrificali di quel beau geste sinistrese, utopistico e snob. Cinicamente snob.
Il caso di Debora, la ragazza uccisa in modo barbaro da un bullo di paese, che già l’aveva violentata dieci anni prima e continuava a minacciarla e a torturarla psicologicamente nella più completa libertà e nell’indifferenza di psicologi della sanità e magistrati, che pure erano stati avvertiti dalla polizia, è emblematico di come le grandi ingiustizie in Italia sono fatte di tante e ripetute piccole disattenzioni e inefficienze. Per psicologi e giudici le sue erano "solo" ripetute molestie, minacce, ingiurie, e perciò non lo avevano mai dichiarato "individuo socialmente pericoloso". Anche perché, se no – mettiamoci nei loro panni – avrebbero dovuto segnalare mezza Italia. Ma sì, perché quel Santangelo è in fondo un italiano tipico, un normale "bullo mitomane, sicuro di sé, narcisista e bugiardo" (così lo aveva definito lo psichiatra), a cui certo non potevano riferirsi le fattispecie di legge. Un cialtrone che per rimorchiare, cuccare, arriva a mettere sulla porta una targa abusiva di avvocato e sull’auto un lampeggiatore.
E quanti "piccoli" e simpatici venditori di fumo e imbroglioni del genere conosciamo? Basta vedere i biglietti da visita. Lui forse era più esagerato, più "minchione", ha detto lo psichiatra. E infatti non aveva allarmato più di tanto i giudici. In fondo era un tipico "maschio latino", di cui magari si vantano le mamme italiane. Eppure era un maniaco pazzoide. Perciò, chi nella catena del controllo ha sbagliato deve pagare. Se Salon Voltaire avesse qualche potere, dovrebbero essere licenziati, come esempio a futura memoria, i responsabili delle strutture citate. Ma lo farà il Governo di Centro-destra, che pure aveva preso i voti sbandierando lo slogan elettorale "law and order"? No. Lo farebbe il Governo di Centro-sinistra? No. E lo faranno in futuro? No, se queste sono le persone che continueranno a rappresentarci in Parlamento, a fare le leggi, a scrivere sui giornali, a impersonare la Giustizia. Malati di ignoranza e faziosità ideologica, e del tutto indifferenti ai cittadini. Perché "loro", si sa, frequentano solo i loro simili, fanno vita a sé, non si mescolano alla gente comune. E soprattutto, commettono altri tipi di reati.
Casi del genere sono frequentissimi in Italia. Come sono all’ordine del giorno le attenzioni pesanti alle ragazze, le minacce, gli stupri, fino alle rapine in villa e i furti negli appartamenti di città. Ora, grazie all’inerzia di amministratori di stabili e alla stupidità di costruttori e società del gas, abbiamo anche i giovanissimi ladri slavi acrobati che lungo il tubo esterno del metano si arrampicano fin sul quarto piano, magari per rubare solo qualche orologio, però dopo aver minacciato col coltello e spaventato le vittime sorprese nel sonno. Quando lo capiranno i politici, i giornalisti e i magistrati che il "diritto alla sicurezza" (nei limiti del possibile) e la "libertà della tranquillità" sono i primi obiettivi e non gli ultimi per uno Stato liberale? E, magari con la consueta ironia, l’avrà pensato anche Benedetto Croce, quando ebbe la casa messa a soqquadro dai teppisti fascisti venuti a intimidirlo: "primum vivere, deinde philosophari". (Il fattore di Tocqueville)
m
QUANDO DIFETTA IL "MODELLO MASCHILE"
E ora chiediamo le "quote celesti"
La politica è maschile. E non nel senso di virile. Piuttosto, come prepotenza di clan barbaricino, tribale, provinciale, arretrato. Davvero una coincidenza che Sardegna, Sicilia e Sud sono super-rappresentati in Parlamento? Questione di ipotalamo: la politica come razionalizzazione degli istinti aggressivi primordiali. Guerra per bande con altri mezzi. Avete presente la Serbia, l'Albania dopo Hoxa, l'Iraq? E poi l’abitudine: il linguaggio dell’intimidazione, il piacere del potere, la moralità immorale della "società degli amici" nel Sud Italia, dell’etnos, mancando l’ethos. E anche perché solo tra maschi si fanno finte guerre, teatrali e simboliche (cfr. il rituale di lotta tra cervi maschi), fasulle distinzioni ideologiche, astrazioni pretestuose, in realtà utopie per perdere tempo e confondere avversari e sostenitori. E truffe, tante truffe, agli altri ("loro"), e favori, tanti favori, agli amici del clan ("noi"). Solo che spesso, come accade ai cervi, con le corna si resta impigliati.
Se è così, chissà che in Italia, paese notoriamente femmineo, nel senso che se la fa sotto, piagnucola, si emoziona, perde la bussola, e corre sempre in soccorso del più forte. di chi "comanda" (su un bus, le donne guardano il conducente, non i passeggeri...), la politica non sia in fondo che una reazione maschile al carattere docile e femminile della nazione. Nazione di femmine, come capì troppo tardi e a sue spese il Mussolini degli "otto milioni di baionette" (coltello? arma da donne…). Nazione emotiva, irrazionale, paurosa, "precauzionale" (la prudenza e le favole infantili del gineceo). E in questo senso, atroce paradosso, i liberali, sono "poco italiani" e ancor meno meridionali. Mentre, gli "italiani veri" dovrebbero trovarsi nella Sinistra cattolico-conservatrice o verde-noglobal, o nella Destra clerico-statalista e un po’ reazionaria.
Ma se tre maschilisti apparenti (Martino, Giovanardi e Pisanu, si noti: 2 isolani su 3) si oppongono in Consiglio dei ministri alle "Quote Rosa" riservate alle donne candidate, ecco che oggettivamente da sospetti reazionari diventano liberali e liberisti. Vi mettete a ridere se li chiamiamo "femministi"? Ma sì, perché proprio loro hanno salvato l’onore delle donne. Che non sono dei panda o dei minus habentes, e che se volessero, vista la maggioranza antropologica di cui godono, potrebbero imporre Presidenza della repubblica, Premier e Governo tutti al femminile. Se non lo fanno è perché proprio non gli interessa. E, anzi, sarà un problema ora convincerle a candidarsi. Ciò detto, Salon Voltaire vede con favore una "femminilizzazione" della politica, come per contrappeso una "maschilizzazione" della scuola.
Nella scuola, ad esempio, da anni si assiste al fenomeno della femminilizzazione, con esiti insoddisfacenti. Urgono, invece, dei "modelli maschili". Chi lo dice? Le insegnanti. Forse perché gli studenti, per uno stereotipo, associano l’autorità e la competenza agli uomini. E le insegnanti donne non se le filano proprio. Perché non introdurre – chiede Stefania Filippi sul Corriere della Sera - delle "quote celesti" per garantire la presenza degli insegnanti uomini, così importanti per gli alunni dal punto di vista educativo? Al prossimo concorso si può prevedere un docente uomo ogni quattro donne e, al successivo, uno ogni tre. Insomma, insegnante maschio come il panda. E a proposito, anche in Cina se ne stanno occupando, riporta il Quotidiano del Popolo. "Perché abbiamo così pochi professori maschi?", si chiede lo studente Li Tie. Un'indagine ha rivelato che gli alunni cinesi, durante tutta la loro carriera scolastica, sono circondati da insegnanti donne. Due le ragioni di questo fenomeno: l'opinione pubblica considera le donne più adatte all'insegnamento, e poi si tratta di un mestiere in cui si guadagna poco. Le scuole cinesi hanno deciso di correre ai ripari e c'è chi propone di seguire l'esempio della Gran Bretagna: reclutare come docenti agenti di polizia in pensione, nella speranza che un ex poliziotto maschio abbia una maggiore influenza sui ragazzi. Be’, da cultori del genere poliziesco siamo d’accordo. Che ci provino quegli scansafatiche degli alunni a fare scena muta all’interrogazione: il docente ex-piedipiatti saprà bene come farli "parlare". (Il filippino della Pivetti)
m
PROCESSO DA MEDIOEVO ALL’AQUILA
E l’ebreo Yoshua diede scandalo
Chi era quel Tale che diceva che "è bene che gli scandali accadano"? No, non era Pannella, che anzi ha preso tutto da lui, ma 2000 anni prima di lui un certo Yoshua "il nazareno", un ebreo agitatore politico che secondo la minuziosa ricostruzione di Luigi Cascioli doveva diventare il capo del regno di Israele, ma sbagliò le dosi e si ritrovò fondatore d’una Chiesa. Ora anche da crocifisso "dà scandalo". Uno scandalo esemplare, quello dell’Aquila, insieme cristiano e pannelliano (ma sarebbe piaciuto anche a Voltaire), così liberale nei suoi effetti – cui prodest? a chi giova? si chiedono i dietrologi su Internet – che sembra provocato apposta dall’Ufficio stampa del Partito radicale per dimostrare quanto siamo clericali e stupidi in Italia. E sì, perché era dal Medioevo e dalla Controriforma che la Croce non era imposta con la violenza agli Infedeli, agli atei, ai buddisti, agli ebrei, con tanto di processo, con giudice e avvocati in toga, codici sulla cattedra e cancellieri. Anche se, formalmente, la giurisprudenza cavillosa dice che ad essere sotto accusa non era il crocifisso, ma il rifiuto del giudice Luigi Tosti a tenere udienze sotto un crocifisso, messo lì come monito della Religione di Stato alle coscienze.
Perché "soltanto" il crocifisso? ha chiesto Tosti, che deve essere uno che prende tutto sul serio, e che sotto sotto un po’ credente lo è, visto che si sente "osservato" e "controllato" dal Nazareno in croce, e quindi meno libero. Perché non affiggere per par conditio dietro la cattedra tribunalizia anche, che so, il compasso dei Liberi Muratori, la stella di David, la mezzaluna, la testa di Giordano Bruno o la ruota del Rotary? Ma il sistema giudiziario ha avuto ancor meno senso dell’umorismo di lui. E come Al Capone fu condannato banalmente per non aver pagato le tasse, così il Tosti è stato condannato ignominiosamente per non aver lavorato ("omissione di atti d’ufficio").
Resta da capire perché, senza che esista una legge sull’esposizione della Croce e senza che la religione cattolica sia definita "religione di Stato", nei tribunali, nelle scuole e negli uffici pubblici italiani debba essere appeso questo simbolo. Tradizione? No, perché quest’uso nei pubblici uffici è relativamente recente. E comunque quando mai una tradizione è sanzionata dalla legge? E poi, perché solo lo Stato deve essere confessionale, mentre i privati possono anche essere tutti atei o dividersi tra buddisti, ebrei, musulmani, visto che l’obbligo dell’esposizione della Croce non si estende anche a loro? Ma, scusino, signor ministro dell’Interno ed eminenza Ruini, se non li obbligate ad esporre la Croce in casa loro e ammettete quindi che i cittadini italiani possano essere di altra religione o perfino atei, non capite, che poi recandosi nei tribunali, nelle scuole, negli uffici pubblici, quei cittadini possano essere disturbati? E’ un test di intelligenza tanto difficile?
E così, Croce o non Croce (compreso don Benedetto che diceva che "Parigi non vale una messa"), i carabinieri, in pieno 2005 d.C., sono andati a casa del non-credente. La Chiesa e la forza, del resto, non sono mai stati concetti incompatibili. Del resto il Dio degli eserciti c’è già: peccato che abbia il brutto vizio di promettere la vittoria a entrambi i contendenti. Il che dà maledettamente ai nervi ai rispettivi cappellani militari. Ma chi ordinò l’esposizione del simbolo del Cristianesimo in tutti gli uffici pubblici lo fece con decisione amministrativa. Insomma, non ci credeva fino in fondo, anzi forse era ateo. Per lui si trattava d’un atto "politico", non religioso. Che ne dice, card. Ruini, gliela mandiamo a colui una bella damnatio memoriae?
Privilegio affascinante, comunque, quello della Croce in Italia, paese di esteti non credenti e di paesani semplicioni, per cui il Simbolo del Cristianesimo è poco più che un décor, un arredo Kitsch, un ex-voto superstizioso diventato abusivamente nazional-popolare, una rassicurante testimonianza di imprecisati "vecchi tempi". Perché, si sa, "Signora mia, oggigiorno non c’è più religione…". E poi perché è un test simbolico. Il Potere vi appare col suo volto vero e più ottuso, quasi autolesionistico, quello della Propaganda Fide: volti scavati, forse un po’ malati, e abiti talari lisi. Senza le finzioni, le riserve mentali, i trucchi e i belletti politicamente corretti con cui si maschera di solito. Sì, il "liberalismo"... la storiella della "Chiesa laica"... Piuttosto una prepotenza gotica (o spagnola), all’antica, com'erano quelle stupide violenze della Religio triumphans d’un tempo, con le tonache sdrucite e i sandali di cuoio puzzolente, ma tra capitelli corinzi e absidi d’oro, angeli armati di spada fiammeggiante, tanfo d’aglio e di muffa, ma sensuali musiche barocche. Ai bei tempi in cui l’Entità Superiore doveva essere adorata con la forza delle scomuniche, della frusta, del carcere, delle torture e delle armi. Perché "Dio è Dio – avrebbe detto quel simpatico arrogante romanaccio del Marchese del Grillo – e voi nun séte un cazzo".
Sarebbero queste forme d’intolleranza le famose "radici cristiane" della nostra civiltà a cui alludono fini ideologi del calibro di Pera, Casini e Buttiglione? E’ il sadismo della conversione a viva forza quella "cultura" cristiana rimpianta col fervore di neofiti "neo-con" (nuovi coglioni, in francese) dal febbricitante frate Socci e dal furbo, gaudente, abate Ferrara? Ma intanto sono i giudici dell’Aquila a dover dare una risposta ad un interrogativo paradossale e inquietante: come mai nell'aula in cui è stata pronunciata la sentenza contro il giudice Tosti – riferisce Giulio C. Vallocchia – non era appeso nessun crocifisso? Incredibile. E se è così, se anche al giudice giudicante quel simbolo sembrava inopportuno, perché il giudice giudicato è stato condannato? (François Marie Arouet)
m
CLERICALI: LA TUA TESI LA SCRIVO IO
"Laicisti", crudeli dittatori…"
"Tu che sostieni che..." Un classico dell’imbroglione da bar è falsificare la tesi dell’avversario per ridicolizzarlo e stravincere meglio. E’ un trucco che usano i furbi quando non hanno argomenti, per far presa sulla gente semplice o distratta. "Non è vero che la buccia della frutta ha più vitamine", disse un cialtrone in camice bianco da salumiere (ma era un nutrizionista) spesso intervistato in Tv, facendo finta di sfatare una "leggenda metropolitana". Ma avrebbe fatto meglio a togliersi il camice e a restare in mutande, perché la buccia ha più antiossidanti protettivi, che per lo più non sono vitamine. E perciò andrebbe consumata intera. Ma a lui serviva quell’imbroglio per comodità di polemica. E la gente cascò nell’inganno. Il giorno dopo, negli uffici, nelle scuole e nei salotti, tutte le signore sapevano e divulgavano che "La frutta va mangiata sbucciata: l’ha detto un professore in Tv".
E’ così anche nella "bio-politica", nuovo termine truffaldino alla moda. Ma "laico" non significava tenere distinti scienza e politica? "No all’aborto come un diritto", "Abortire non è come prendere una pillola per il mal di testa". "La fecondazione medica non deve essere un capriccio della donna". Ma chi l’ha detto mai. E poi: "Basta col laicismo imposto: è la peggiore delle dittature". "Laicismo imposto"? Una contraddizione in termini. E’ il clericalismo che impone a tutti la propria idea, mentre il laico garantisce a tutti la libertà. Il "laicista" non obbliga le donne ad abortire, ma il clericale le obbliga a non abortire.
Chi scrive queste panzane? Sono gli stessi personaggi – giornalisti, professori e politici clericali – che combattono contro i mulini a vento, e per far vedere a tutti quanto sono forti e bravi menano grandi fendenti nell’aria, a vuoto, con le spade di cartone. E colpiscono a sangue nemici immaginari. Sono gli stessi che per comodità di polemica si sono inventati la contrapposizione tra "laico" e "laicista", parola quest’ultima che non esiste in italiano o che nessuno usa, come abbiamo dimostrato su Salon Voltaire. Chi inventa queste parole, questi concetti, contro cui scagliarsi più facilmente? Sempre "loro". I pessimi giuristi che conosciamo, i mediocri costituzionalisti, gli scarsi politologi, i politicanti di provincia dal forte accento regionale e dalle letture scarse o unidirezionali. Però, riconosciamolo, da persone semplici qual sono, diceva Vico, sono creatori imaginifici di termini e imbrogli lessicali. Come i bambini. Come i poeti (a contratto, però). Alla D’Annunzio, insomma. "Laicista" al posto della "Rinascente": basta pagare. E così l’invenzione della crudele tesi laicista dell’ "Aborto come diritto civile" fa il paio con il "Parrozzo, il dolce dell’orso d’Abruzzo". Con la differenza che quest’ultimo è buono, e sa di miele, mentre il primo sa di dolore e disperazione. E nessuna donna lo prende alla leggera, come un futile diritto di cui abusare a piacimento. Il diritto per tutte (per tutti) è un altro, quello della libera scelta sanitaria, della maternità libera, della conoscenza, della terapia, della scienza. Ma ormai siamo abituati a tutto. Anche che la libertà di terapia e di scienza sia considerata un pericoloso "edonismo" pagano da qualche editoriale del Foglio. Perché gli ex-comunisti devoti lo sanno che senza sofferenza ("Donna, partorirai con dolore…"), da Chiesa o da dittatura, che vita sarebbe la nostra? (Barone Peppino d’Holbach)
m
MODERNIZZAZIONI
Ma non era "o Paese d’o sole"?
Ancora non si sa qual è il suo programma: solo per questo sarebbe già stato eliminato dalla competizione in qualsiasi Paese anglosassone, dove per onestà verso gli elettori bisogna chiarire tutto e subito. Di suo, poi, parla pure poco, e per lo più con battute, frasette brevi e ambigue, più soffiate che dette. Ma tra uno sbuffo, un risolino e una smorfia, una battuta sibilante e un verso di scherno, bisogna riconoscere che finalmente una cosa sensata, "pesante", il leader dell’Unione, Prodi, l’ha detta. E’ stato durante un convegno dedicato all’energia. Ha inspirato forte, ha raccolto tutte le sue forze, e chiudendo gli occhi per non vedere le conseguenze ha sparato: "Pannelli solari su ogni capannone industriale. Siamo arretratissimi sia sul risparmio energetico che nell'energia rinnovabile". Critiche? No, ha ragione, ragione da vendere. Tanto più che ai tempi del famoso referendum era anti-nuclearista.
E ha insistito sulla necessità di aumentare l'uso dei pannelli fotovoltaici: "Sul solare nessuno propone obiettivi impossibili, ma almeno dobbiamo arrivare al livello della Germania" ha detto, replicando all'amministratore delegato dell'Enel, Fulvio Conti, secondo il quale, se in Italia il solare non decolla, è anche perché "Germania e Giappone, al contrario dell’Italia, non hanno città medievali da proteggere". "Sciocchezze", ha commentato giustamente Oreste Rutigliano, del Comitato nazionale del paesaggio, che si batte per un’ambientalismo razionale e sensato, e che infatti è contro l’invadenza antiestetica delle "foreste" di altissime e antieconomiche torri eoliche. "E' da anni che sosteniamo la necessità di puntare sul solare, ma ogni volta che parliamo di fotovoltaico, il ministro dell'Ambiente, Matteoli, tira fuori la favoletta dei centri storici e dei soprintendenti che si opporrebbero. Noi rilanciamo: pannelli solari non solo su ogni capannone industriale, ma anche su tutti gli edifici pubblici moderni e nelle periferie delle città". Escludendo rigorosamente le case antiche, ovviamente. A nessuno, tantomeno a noi difensori del paesaggio italiano, verrebbe in mente di piazzare i pannelli fotovoltaici sopra i vicoli medievali.
Resta, però, un sospetto: chi c’è dietro la strana ostilità nei confronti del solare? E sbagliano di grosso quei commentatori – tra cui l’avvocato Scarpa sul "Giornale" – che ironizzano sul solare proposto per gli usi idro-sanitari, come a dire "Ci vuol altro per un rilancio industriale". Vogliamo davvero, dopo la cattiva esperienza del petrolio, affidarci di nuovo ad un’unica fonte energetica, magari il nucleare (tra almeno sei-dieci anni)? E nel frattempo? Non sanno che, a parere di tutti gli esperti, il futuro energetico sarà fatto di tante tecnologie e di fonti disparate? Saremo formichine, non cicale. E accumuleremo energia un po’ qua e un po’ là. Lo sanno i non esperti che l’uso del sole per l’acqua calda farebbe risparmiare già oggi almeno il 10 per cento di metano o petrolio? (Salvatore, quello che scopa in redazione)
m
RENDITE DI POSIZIONE: L’OMEOPATIA
Quant’è cara quell’acqua sbattuta
L’analista chimico si era trovato sul banco di laboratorio cinque fiale di prodotti omeopatici venduti in farmacia per le più diverse affezioni. Ma alle fiale era stata tolta l’etichetta. Per 50 mila euro ("To’, ci vogliamo rovinare…") doveva riuscire a identificarne il contenuto. Nessuno ci è mai riuscito, ha commentato Silvio Garattini, famacologo e direttore del prestigioso Istituto Mario Negri. E il premio languisce in una banca. Eppure sull’omeopatia è basato un fiorente commercio di milioni di euro ogni anno. Le riviste femminili ne parlano con entusiasmo, e milioni di persone – di Sinistra e di Destra – in Italia e in Europa "si curano" e "curano i propri bambini" con l’omeopatia. Perché hanno paura degli effetti collaterali dei farmaci. "Se ne sentono tante, signora mia". Però poi fumano in faccia al pupo o lo portano in passeggino in mezzo al traffico del centro. Dove certamente assorbirà CO, CO2, SO2, benzopirene, benzene, e altri idrocarburi e prodotti irritanti o cancerogeni.
L’omeopatia viene vista come "innocua". Ma è anche inutile. Un pediatra in un news-group ha confessato che la prescrive quando la madre ansiosa pretende qualche medicina per il bambino, anche se non ne ha bisogno. Perfetto, un placebo usato come placebo. Lo ha mostrato Lancet con uno studio (meta-analisi) dello svizzero Egger su 100 studi precedenti: l’efficacia era quasi pari ai gruppi di controllo. Peccato che quell’acqua distillata, quell’amido puro, siano così costosi. Certo, con le pilloline o le soluzioni dell’omeopatia non si rischia nessun side effect. Tutto parte dall’acqua distillata in cui è stato diluita per migliaia o milioni di volte una sostanza naturale, acqua che poi viene scossa numerose volte per "dinamizzarla (principio della "succussione"). E’ tale in molti casi la diluizione voluta da Hannemann, l’inventore alla fine del ‘700 dell’omeopatia ("similia similibus curantur"), che è stato calcolato da chimici e farmacologi che le probabilità che in una preparazione omeopatica media sia presente una sola molecola della sostanza sono trascurabili. Di qui l’impossibilità di riconoscerli in laboratorio, e la divertente provocazione riferita da Garattini. Efficace? Finora nei tanti esperimenti in "doppio cieco" non è mai stata trovata nessuna prova obiettiva, cioè risultati di miglioramenti effettivi e sostanziali superiori al caso o all’effetto placebo (acqua pura o pillole finte di amido). Quando tali risultati sono stati vantati da alcuni ricercatori omeopati, poi gli altri ricercatori non sono riusciti ad ottenerli. Non erano cioè "riproducibili" da qualunque medico o ricercatore. Erano dovuti allo scarso controllo (p. es. pochi casi clinici, risultati non significativi, studio non in doppio cieco ecc). Il laboratorio e la sperimentazione avranno pure tanti difetti, ma almeno vogliono le medesime regole per tutti. E la riproducibilità d’un esperimento scientifico è alla base della scienza moderna.
Come mai allora, già al suo apparire, l’omeopatia ebbe un certo successo? Perché allora la medicina era davvero diabolica e stregonesca (rimedi "eroici", dicevano i medici): curava tutto con salassi, purghe, clisteri, o addirittura con veleni potenti come arsenico, antimonio e mercurio. Se sopravvivevi al "farmaco" eri davvero sano. La medicina, a quei tempi, nell’intento di distruggere il male uccideva anche il malato. Così l’apparizione d’una terapia leggera non poteva che far bene: in alcuni, pochi, casi dando modo e tempo alla natura, cioè all’organismo stesso, di guarire. Il nulla era pur sempre meglio d’un veleno.
Ma almeno l’omeopatia è una medicina "naturale", si dice. Be', intanto l’acqua distillata e l’amido puro sono prodotti tecnologici artificiali che non esistono in natura, e poi i veri rimedi naturali (p.es. le piante) a differenza dei prodotti omeopatici sono ricchissimi in concentrazione e in numero di principi attivi, tanto che in caso di errori o dosi eccessive ci si avvelena o si muore. E se troppo diluiti, non sono efficaci. Anzi, un adagio dei medici naturisti scientifici potrebbe essere questo: "Se le medicine naturali non possono far male, allora non possono neanche far bene". Il bambino a cui si dà troppa camomilla, credendola un sedativo anziché un tonico, resta sveglio. Il gitante che sbaglia fungo o mette in insalata la cicuta confondendola col prezzemolo, muore. Ma con l’omeopatia non si muore mai, e nemmeno ci si avvelena: brutto segno. Si muore solo – come accade – se un cattivo omeopata o l’autoprescrizione inducono il malato grave a non curarsi con i farmaci convenzionali, fidando nel credo della "memoria dell’acqua" – per dirla con Benveniste – cioè nel nulla "dinamizzato" di Hahnemann. "E in questo senso – ha concluso Garattini – anche le autorità regolatorie hanno grandi responsabilità: se io diluissi del Chianti a livelli omeopatici non sarei autorizzato a mettere un'etichetta sulla bottiglia e a venderlo, e quindi non vedo perché debba essere possibile mettere in commercio altri prodotti, come appunto quelli omeopatici, che contengono semplicemente acqua, indistinguibili uno dall'altro". (Ippokrates l’ipocrita)
m
I FARMACI AL SUPERMERCATO
L’aspirina nel carrello
"Scusi, sa, non per farmi i fatti suoi, ma a che le serve questa aspirina?" Ve l’immaginate la faccia del cliente in farmacia che già si preparava a pagare alla cassa e invece viene interrogato e consigliato dal farmacista sull’utilità, l’adeguatezza, l’efficacia e i rischi del farmaco che sta acquistando? Eppure quando si obietta, contro l’ipotesi di liberalizzazione del mercato, che il luogo più adatto in cui acquistare le medicine è la farmacia, si sottintende che il laureato farmacologo che è dietro il bancone può, anzi deve consigliare, indirizzare, controllare, addirittura correggere la prescrizione medica. Ma lo fa? No, mai. E d’altra parte ormai è un commesso come un altro che vende di tutto, dai sandali alle creme di bellezza, allo "spray nasale" sintomatico, ai più diversi preparati senza alcuna efficacia (come le "tisane dimagranti"), ai giocattoli per bambini piccoli. Se, dunque, le rare farmacie (una ogni 3500 abitanti circa) sono ormai negozi come altri, perché non permettere ai supermercati la vendita dei medicinali?
Vedremo davanti alle casse coppie col carrello straboccante di salami e aspirine, antidolorifici e formaggi, antibiotici e dolci, detersivi e viagra? Vero che tutti i medicinali, compresi i "farmaci da banco" senza ricetta medica, hanno controindicazioni e rischi, e dunque non se ne può fare incetta. Ma, se questo è il problema logistico, basta piazzare tra i banchi di farmacia una commessa farmacista, per dare eventualmente consigli e dissuadere i maniaci del farmaco auto-prescritto. Su questa liberalizzazione, finalmente, sono d’accordo i grandi esperti della farmacologia e della Sanità. Non i proprietari di farmacie, per ora. Ma, chissà, da questa liberalizzazione, da questo allargamento del mercato, potrebbero giovarsi perfino loro, per uno di quei contorti giochi di ricadute economiche che spesso meravigliano gli stessi studiosi.
I prezzi di farmaci, vaccini e latti per l’infanzia, scandalosamente molto più alti in Italia che nel resto d’Europa, si abbasserebbero grazie alla concorrenza, come auspica invano l’Antitrust. Del resto, la protezione economica assicurata alle farmacie, quando queste vendevano solo farmaci, non ha più ragione di esistere oggi, quando assomigliano a bazar e hanno occasioni di guadagno su tanti altri articoli. Ecco una riforma a costo zero che l’attuale Governo avrebbe dovuto fare, senza dar retta alle categorie interessate e al ministro – sempre un po’ corporativo – Storace, per cui ovviamente "i tempi non sono maturi". Erano acerbi ai tempi del governo Prodi, che al primo "no" se la fece sotto e rinunciò al progetto della liberalizzazione. Ora, almeno, la proposta è rilanciata dall’Antitrust. Ed è davvero curioso che in Italia le posizioni liberali siano spesso suggerite dalle autorità, anziché dai cittadini, che spesso fanno – come è legittimo – i propri interessi, magari come membri di corporazioni o gruppi di lobbing. Meditate, gente, meditate. (Goffredo di Bugliolo)
m
NUOVO MUSEO EBRAICO SOTTO LA SINAGOGA
Riapre il "luogo delle Memorie"
E’ del tutto trasformato, ingrandito, abbellito, più ricco e ordinato. Insomma, un’altra cosa. I tesori e le curiosità storiche del Museo ebraico di Roma sono ora in vasti locali di 600 metri quadrati (prima erano solo 150), ricavati nei sotterranei della Sinagoga, il "Tempio Maggiore". Cinque sale espositive dai colori chiari e luminosi, con pilastri che sostengono volte di mattoni a vista. Ci sono oggetti di culto, argenti, tessuti preziosi, codici, pergamene miniate e manoscritti salvati dalla razzia nazista del 1943. E non si entra più dal Lungotevere Cenci, ma da via Catalana attraverso il giardino. Anche quest’anno si attendono molti visitatori, visto il successo della mostra sul Centenario del Tempio Maggiore. Che potranno accedere al Tempio Spagnolo, al Tempio Maggiore e alla Galleria dei Marmi antichi, che ha numerosi marmi restaurati.
Il percorso del museo – riferisce Lauretta Colonnelli sul Corriere – inizia nella sala dei tessuti: una collezione di preziosissimi "meil", manti con i quali si avvolge il rotolo della Torà. Alcuni sono stupefacenti per la ricchezza della lavorazione, come anche i due "parochet", le tende ornamentali che vengono poste davanti agli armadi in cui si conservano i rotoli della Legge. Tra queste ultime meraviglie quella risalente al Quattrocento toscano, in velluto "a gricce" con motivi ornamentali intessuti con fili d’oro, e quella del Settecento, in seta celeste con capricci di fiori ricamati con fili d’argento. "È incredibile che questa sontuosità sia stata prodotta all’interno di un "serraglio", qual era il ghetto in cui erano stati confinati gli ebrei. Anche se, di giorno, quegli stessi ebrei avevano rapporti con papi, principi e cardinali, grazie al fatto di aver trasformato il mestiere di rigattiere in commercio antiquario", fa notare Daniela Di Castro, nuovo direttore del Museo. E dei rapporti tra la città e la comunità ebraica parlano un po’ tutte le altre sale, ma in particolare quella chiamata "Da Judei a Giudei", con calchi di lapidi provenienti dalle catacombe di Roma e dalla sinagoga di Ostia Antica e manoscritti del Medio Evo che testimoniano la presenza ininterrotta degli ebrei per oltre duemila anni. Un video di 30 minuti, finanziato dall’Unione Europea, ripercorre le tappe più significative di questa presenza, a partire dall’apertura del ghetto nel 1870, all’arrivo dei "piemontesi", e seguendo poi gli anni bui delle persecuzioni razziali e della Shoà, fino alla ricostruzione della comunità nel dopoguerra. Il Museo Ebraico di Roma è in via Catalana, tel.06.68400661. Chiuso nelle festività ebraiche (1 gennaio, 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno e 15 agosto) e il pomeriggio delle festività cattoliche. (Ernesto Nathan)
m
A DESTRA E SINISTRA I LIBERAL-RADICALI
Pannellik 2: la vendetta
Il successo della presentazione dei "Radicali liberi" (come in un poster scherzoso si sono chiamati i Riformatori liberali di Della Vedova & C.) all'Etoile di Roma, con la sala piena, personalità e interventi di alta qualità liberale, ci hanno confermato nella nostra vecchia idea: i liberali sono condannati a vincere, è ormai chiaro. E vinceranno ovunque, perfino in Italia. Ma loro non lo sanno. E continuano a vivere con la faccia dei perdenti, lamentandosi spesso della sorte avversa. E intanto l’Autority attacca un monopolio, una leggina elimina i privilegi d’una corporazione, l’Europa chiede chiarezza di bilanci e più mercato, perfino in Cina – giorno dopo giorno – la libertà di idee e di merci si fa largo. Perché il liberalismo è una droga buona: una volta che la provi non puoi più farne a meno. Come per il nudismo. Ed è pervasivo, sta dovunque e in nessun luogo. Perciò rifugge dal monolitismo, dall’unità. E qui cominciano i dolori.
Ne sanno qualcosa i "liberali politici" (poveretti), anche loro come i "liberali culturali" divisi in decine di club, movimenti, federazioni, coordinamenti, pre-partiti e post-partiti. Così individualisti, perfino anarchici, che se li chiami a un convegno sulla Unità del liberali, si faranno un punto d’onore nel partecipare – mi raccomando – "a titolo puramente individuale", nello spezzare il capello in quattro, nel differenziarsi "da tutti gli altri", nel rappresentare insomma solo se stessi. Storia vecchia, che riguarda forse lo stesso fascino irresistibile del termine "liberale", Che attiri le persone sbagliate? Fatto sta che mai nessun movimento, come quello liberale, è così poco mobile e troppo sedentario. E meriterebbe forti personalità, anziché cattivi caratteri. I Radicali italiani, che dei liberali sono i cugini scapestrati e intelligenti, gli unici che sanno "fare politica" e la fanno a tempo pieno (altro che il dilettantismo part time dei liberali "puri"…) hanno sconvolto il mercato politico con la provocatoria scelta di unirsi ai socialisti dello Sdi di Boselli. Che formidabile "patto di convivenza" il loro. Un "pac" in piena regola. Pensate alla biondona bella di notte tuttacurve che si sposa col vecchietto diabetico-cardiopatico-prostatico post-infartuato non-autosufficiente ricoverato-cronico-in-casa per ordine della locale Asl. Una pacchia per lei: nazionalità, pensione assicurata e eredità. E per lui, quando si riprende dal coma, tutto quel ben di Dio. Così i poveretti dello Sdi. Erano addormentati e rincoglioniti, insicuri su tutto, con una pessima e ipotonica idea di se stessi. Più che parlare, sussurravano, con la pressione a 60. Tanto che la Sinistra li invitava alle riunioni solo perché serviva qualcuno per fare le pulizia. E ora invece, chi gli entra in casa? Tipi giovani, gasati e adrenalici, determinati e con l’ego a mille, colti, ironici e sicuri di sé, con il giusto briciolo di pazzia politica, con idee chiare e forti su tutto. Con un segretario politico, il giovane e ormai esperto Capezzone, che è la migliore rivelazione tra il personale politico degli ultimi 10 anni. Poveretti i socialisti? No, anzi, fortunati. E la Sinistra, che prima dell’ingresso radicale pensava di vivacchiare sulla difesa di privilegi di categoria e interessi corporativi, dicendo no ad ogni novità, così, è sistemata ("Pannellik 1: L’Infiltrazione").
E la Destra? Be’ la Destra, visto il livello umano più scarso, a stento bilanciato da qualche idea più innovativa, si meriterebbe anch’essa un'iniezione di droga pesante liberal-radicale. Ma An e Lega, e anche la parte più ottusa e clericale di FI, trattarono male Pannella e fecero cadere nel vuoto le proposte sensate di Capezzone. Ora, con l’acqua alla gola elettorale, sono pentiti. Ma la strategia di Pannella è stata implacabile. Ed ecco che per miracolo anche la Destra è costretta a cercare l’anfetamina radicale. E se la sta procurando, umiliandosi e a costi maggiori, ovviamente. Anche qui gente intelligente e dinamica - mai vista nelle sedi di FI, Cdu, An e Lega - pronta ad ogni tenzone e terribilmente sicura di sé, sta arrivando dai rinomati allevamenti pannelliani. E il vecchio Pannella, enigmatico come un cinese, lascia fare, sornione ("Pannellik 2": la Vendetta).
Il primo contatto c’è stato pochi giorni fa. Il quartetto di Benedetto Della Vedova (economista, liberista), Marco Taradash e Carmelo Palma (specialisti in diritti civili e nel creare militanza) e Peppino Calderisi (organizzazione, Parlamento, mago dei meccanismi elettorali) ha già preso contatto con amici e simpatizzanti nella sede di via del Vicario, a Roma http://www.riformatoriliberali.org. E dopo la bella presentazione pubblica del 30 all’Etoile, dove si respirava finalmente un'aria pura davvero liberale, dovrà porsi il difficile compito di creare una rappresentanza autenticamente liberale e laica nel Centro-destra. Contro il vento di ottuso neo-clericalismo e di conservazione che l’attraversa. Sapranno i Riformatori liberali far capire al rag.Rossi che vota Centro-destra che il liberalismo non può essere confuso col conservatorismo? Ma che, anzi, è il suo contrario? In ogni caso ne vedremo delle belle. Ragazzi, prendete le poltrone: lo spettacolo nei prossimi mesi, a Destra e a Sinistra, è assicurato. (Felice Cavallotti)
m
I LIBERALI DI SINISTRA A PRODI
Nell’Ulivo ci deve essere una lista liberale
Dopo il rumoroso getto del masso radicale, le acque limacciose dello stagno dell’Unione non si sono ancora calmate. Come stanno e che cosa pensano di fare quei pochi liberali che, costretti dal bipolarismo, avevano già scelto la Sinistra? Sarà consentito loro "fare gruppo", fare lobbing? Lo chiediamo al presidente Raffaello Morelli, fresco di un patto di collaborazione e consultazione con Critica liberale di Enzo Marzo. Gli obiettivi? Soprattutto due, contribuire a battere Berlusconi – dice con schiettezza da toscanaccio – e far sì che il secondo governo Prodi governi seguendo un minimo di rotta liberale. La terapia per riuscirvi è costruire un gruppo politico liberale, da cui trarre una lista che allarghi la coalizione dell’Unione.
Piacerà questa terapia? Certo, è una cura che può disturbare alcuni pazienti – mette le mani avanti Morelli – cioè i liberali abituati a un liberalismo cortigiano verso le altre culture, ma anche quelli convinti che si possa essere solo liberali di destra o liberali di sinistra. Così, capita nel Centro-destra, dove nonostante che la Casa delle libertà abbia fatto una politica di governo su diversi temi-chiave incompatibile con il liberalismo - accusa Morelli - alcuni faticano a convincersi che chi sta lì non è liberale o, reciprocamente, che chi è liberale non può stare nella Casa della Libertà. E accade anche all’Ulivo, che dietro a un pluralismo spesso generico è afflitto dalla ricorrente sindrome della ricaduta nei vecchi miti della Sinistra non riformista, tra cui quello dell'unità di massa. Qui alcuni faticano a convincersi che l'ulivismo indistinto è un conformismo non liberale, che porta all’evanescenza dei programmi e soffoca quei margini di influenza liberale che potrebbero esistere se la coalizione si allargasse a una presenza liberale autonoma.
Che fare? Un mezzo tecnico è offerto dalla nuova legge elettorale, sostiene Morelli. Che, paradossalmente, nella scelta della coalizione vincente è più maggioritaria di prima. Per la prima volta nella storia della Repubblica chi ottiene più voti, anche se molto sotto il 50 per cento, prende la maggioranza dei deputati e per la prima volta in ogni coalizione si sommano i voti di tutte le liste senza franchigie d'alcun genere. Ma una coalizione Unione poggiata solo su gambe non liberali non può entusiasmare gli elettori laici e critici, che non sono attirati dalla lista ulivista, non sono disposti a votare Mastella e neanche sono compatibili con il Centro-destra.
Ma il problema culturale di fondo – spiega Morelli – è il buco politico nell'area liberale. Che non si colma se non costruendo prima di tutto un’effettiva politica liberale. E l'esperienza del partito democratico Usa vagheggiata dall’Ulivo non è automaticamente riproducibile in Italia, dove le tradizioni marxista e cattolica hanno radici troppo forti mentre quella liberale le ha troppo deboli. Oltretutto la proposta è partita col richiedere l'abiura dal socialismo e con l'imporre il mimetismo ai liberali. Perciò, una autonoma lista liberale è la risposta più giusta – conclude Morelli – per rappresentare chi nell’Unione vuol mettere al primo punto il criterio della libertà del cittadino. Salon Voltaire, che è sempre dalla parte dei liberali, di qualsiasi tendenza, fa gli auguri a Morelli e alla FdL. Ma, ci chiediamo: dopo aver ingoiato l’amaro boccone radicale, "concederà" lo spazio per una lista liberale l’accentratore e cattolico Prodi? (Il copista di Piero Gobetti)
m
SEPARAZIONE TRA STATO E CHIESA
Francia, un secolo di scuola laica
La questione del velo delle studentesse islamiche integraliste è stata il pretesto per ridiscutere sulla laicità della scuola francese e, di riflesso, anche su quella italiana. Il benemerito Comitato torinese per la laicità della scuola e l’Istituto storico Salvemini invitano il pubblico a un interessante convegno sul tema: "Francia 1905-2005: cent’anni di laicità" (Torino, Sala dell’Antico Macello di Po, via Matteo Pescatore 7, martedi 14 dicembre dalle ore 16,30 alle 20, tel. 011.835232). La separazione netta tra Stato e religione, anche nella scuola, evita privilegi e disuguaglianze favorite dal sistema dei Concordati. Ma ora la società mutlticulturale e specialmente certe minoranze islamiche organizzate o conservatrici, vedono nel separatismo un ostacolo o un problema. La "loi de séparation" francese, che ha cento anni, ci aiuta a ripensare a uno spazio pubblico in cui convivano diverse convinzioni e credenze – religiose e irreligiose – nell’eguale libertà degli individui. Introduce Marco Brunazzi. Tengono le relazioni principali Jean-Jacques Peyronel, Bertrand Chavaroche e Vincenzo Ferrone. Ingresso libero. (Gennarino de Condillac)
m
PROFESSIONI PIU’ "LIBERE"
Tutta pubblicità quell’avvocato
I professionisti più abili le tariffe libere e l’uso spregiudicato della comunicazione già li praticano da tempo. Anzi, a sentire alcuni clienti delusi, certi avvocati o architetti di grido (o "da televisione") sarebbero "tutta pubblicità". Ma questo si potrebbe dire di molti. Piuttosto, aveva colpito la nomina di Antonio Catricalà, da Catanzaro, ad arbitro della concorrenza. Chi l’avrebbe detto che quel giurista calabrese grand commis d’Ètat, bravo certamente, ma forse più pratico di studi legali del Sud che di grandi aziende del Nord, dopo un inizio in tono minore, avrebbe assunto toni così decisi, menando fendenti a destra e a manca, e smentendo quelli che temevano che un uomo non legato culturalmente alla produzione non avrebbe potuto impersonare appieno il mercato?
"Tra i professionisti ci sono troppi privilegi e poca concorrenza, la riforma degli ordini è improcrastinabile", ha detto a nome dell’Antitrust, l’Autorità garante per il mercato e la concorrenza, inviando una "segnalazione" a Governo e Parlamento perché intervengano subito. In particolare, l’Antitrust ha individuato almeno quattro aree critiche che "rappresentano altrettanti freni al libero esplicarsi della concorrenza": ruolo degli Ordini professionali, le tariffe minime, i limiti posti alla pubblicità (spesso dietro il paravento della "dignità" della professione), i vincoli ai capitali esterni nelle società tra professionisti. Sono stati presi di mira anche molti codici che regolano gli Ordini, che spesso contengono disposizioni in cui la "concorrenza viene vietata o considerata un disvalore".
E bravo avvocato di Catanzaro, complimenti. Non è la prima volta che l’Antitrust interviene con un forte richiamo alle forze politiche per scuotere quella che il Corriere della Sera ha chiamato la "foresta pietrificata" del mondo delle professioni. Lo ha già fatto anni fa l’ex presidente Giuliano Amato, poi è toccato a Giuseppe Tesauro insieme col commissario europeo alla concorrenza Mario Monti. Nell’ultimo biennio sono ben sei i "richiami" fatti dall’Antitrust all’esecutivo di Silvio Berlusconi e alle Camere per segnalare una "regolamentazione normativa in molti casi sproporzionata che attribuisce ingiustificati privilegi ai professionisti a danno dei consumatori".
Ora, però, siamo alla vigilia della grande campagna elettorale, e il tema della concorrenza e delle regole di mercato potrebbe diventare materia incandescente tra i due schieramenti. C’è chi ritiene che entrambi i poli della politica italiana finiranno malvolentieri per fare propri alcuni suggerimenti dell’Autority, magari a puro scopo propagandistico, salvo insabbiare le riforme al primo, procurato, scoglio parlamentare. Sindacati, Ordini e Associazioni sono sul chi vive. Le lobbies stanno già lavorando nelle segrete stanze. Ma per fortuna ora abbiamo l’Unione europea che sorveglia, e pretende "libertà e concorrenza" anche tra studi professionali. Come nei manuali di liberalismo: non per la libertà "nostra", ma per quella degli "altri", dei consumatori e utenti. Solo una considerazione finale: ma è possibile che in Italia le riforme liberali in economia debbano essere sempre imposte dall'alto, dal Governo o dall’Europa? (Lord Acton)
m
FINANZIAMENTI ABUSIVI ALLA CHIESA
Quando una libera scelta diventa obbligo
Ha fatto impressione sull’uomo della strada il dibattito tv in cui il ministro Giovanardi e il segretario radicale Capezzone discutevano sull’opportunità dell’otto per mille alla Chiesa Cattolica ed alle altre organizzazioni religiose che hanno preso accordi con lo Stato. Naturalmente ha vinto Capezzone. Del resto, nessuno ha protestato sulle liberalità dei privati, ci mancherebbe: ognuno è libero di finanziare chiunque. Quello che comincia a scandalizzare tutti è invece che il contributo pagato dallo Stato Italiano per ordine di pochi contribuenti sulla dichiarazione dei redditi, sia poi abusivamente moltiplicato estendendolo in proporzione, come un "pantografo", a tutti gli altri che non hanno manifestato alcuna volontà di donare alle chiese, a nessuna chiesa. Questo è davvero scandaloso.
Da acrobatico polemista, Giovanardi ha trovato la cosa perfettamente analoga al meccanismo di redistribuzione dei voti degli astensionisti a tutti i partiti, per stabilire i rimborsi elettorali. Ma la cosa è ben diversa, perché lì si tratta di calcolare solo il numero degli aventi diritto al voto, anche se non esercitato, insomma il voto potenziale. Invece, nella dichiarazione dei redditi è espresso un voto reale, e chi non sceglie nessuna chiesa non lo fa per pigrizia, ma proprio perché non vuole finanziare nessuna religione. Non è un "silenzio assenso" il suo, ma un chiaro "silenzio rifiuto". Di questo il lettore Massimo Rubino si lamenta sulla Repubblica.
Da decenni non si parlava più della possibilità di abrogare il Concordato, gli risponde Corrado Augias. E se ora l’argomento è tornato all’ordine del giorno, anzi è diventato un tema da campagna elettorale, la colpa non è dei laici, ma "lo dobbiamo agli eccessi di una Conferenza dei vescovi che ha trasformato le proprie ragioni in una permanente campagna elettorale. Un conto è invitare i fedeli ad uniformarsi ai precetti di una confessione, un conto ben diverso è pretendere che lo Stato uniformi a quei precetti le sue leggi". Il Concordato firmato da Craxi col Vaticano nel 1984 aveva due scopi. Da una parte la religione cattolica non era più, espressamente, religione dello Stato, spazzando via alcune interpretazioni ambigue di certe frasi della Costituzione. In compenso, lo Stato si impegnava a raccogliere fondi per il sostentamento delle chiese attraverso l’8 per mille delle dichiarazioni dei redditi, nei casi di libera scelta fatta dal cittadino. Senonché, più della metà dei contribuenti non compie alcuna scelta. Ma una furba interpretazione della norma permette allo Stato di prelevare ugualmente la cifra e distribuirla tra le varie chiese in proporzione alle scelte esplicite fatte dai pochi contribuenti. Il contributo è ormai coattivo, non più volontario. Ed è contrario al principio di libertà: che si aspetta ad appellarsi alla Corte Costituzionale? (Benjamin Constant)
m
E' LIBERALE ARRESTARE GLI ANTISEMITI?
Irving: se i cretini vanno in galera…
Su Internet, quante volte vi siete imbattuti nei blog che mettono in dubbio che l’uomo sia sbarcato sulla luna? Esistono siti appositi su queste leggende metropolitane. Del resto, se i cretini dovessero andare tutti in galera non basterebbero le città, e anche per i soli cretini-gravi le prigioni in tutto il mondo dovrebbero essere almeno centuplicate. E’ quello che viene fatto di pensare dopo l’arresto dello storico negazionista inglese David Irving in Austria, paese che ha una coda di paglia lunga chilometri dopo la vicenda Haider. E’ questa coscienza sporca, oltre alla legge austriaca che considera reato (come in Israele, Germania e pochi altri Stati) negare l’Olocausto, che ora rischia di trasformare in vittima un mediocre storico e conferenziere richiesto solo da ristretti circoli della Destra reazionaria, antisemita e nazista, comprese molte organizzazioni "culturali" di Stati arabi. Per aver permesso l’ascesa politica del reazionario Haider, sospetto di filo-nazismo, infatti, l’Austria aveva subìto l’umiliazione di vedersi emarginata dal consesso delle nazioni d’Europa.
Uno schiaffo che ora ha pesato molto sulla decisione di arrestare a tutti i costi David Irving, lo storico che nega la Shoah, che nega le camere a gas, che sostiene che Hitler nulla sapeva delle persecuzioni degli ebrei fino al 1943, e che – ciliegina sulla torta – avrebbe fatto uccidere "appena" 100 mila ebrei, non i 6 milioni conteggiati da quei perfidi della lobby ebraica mondiale. Mancava solo che attestasse la veridicità del "Protocollo dei Savi di Sion". Una visione delirante e priva di serie pezze d’appoggio storiche, che ovviamente piace molto ai nemici degli Ebrei e di Israele. Ora il dott. Irving mancherà molto ai circoli musulmani che lo finanziavano invitandolo periodicamente per tenere conferenze infuocate "contro la menzogna della Shoah".
Da liberali, siamo convinti che il disprezzo e l’emarginazione intellettuale, oltre all'evidenza delle documentate tesi storiche, avrebbero nuociuto di più a Irving dell’arresto. Il futuro processo rischia (come insegnano quelli ai criminali Milosevic e Saddam) di farlo più grande di quanto non sia, di trasformare un oscuro propagandista antisemita in una specie di "martire degli ebrei", di innescare insomma solo un "processo alle idee". Perché la differenza tra Stato liberale e Stato autoritario è abissale. Contro le leggi d’uno Stato nazista o antisemita o anti-liberale, è lecito, anzi doveroso per un liberale, disobbedire e ribellarsi perfino con le armi. Ma in una democrazia liberale matura, normalmente, cioè in tempi di pace, contro le idee farneticanti d’un singolo individuo, d’un gruppo, o d’una setta, dovrebbero bastare il disprezzo della maggioranza della popolazione e il controllo discreto delle autorità, fino a che non siano compiuti atti concreti lesivi della libertà altrui. Le eccezioni ammesse dovrebbero essere solo Israele, che è un Paese accerchiato e in guerra, costituito dopo secolari attese proprio sulla memoria storica della Shoah, e la Germania che di quell’infame Olocausto fu colpevole. L’Austria, che diede i natali a Hitler (e a molti neo-nazisti) e a suo tempo si trovò a condividere le scelte naziste, è naturale che venga equiparata alla Germania, anche sulla legge dell’Olocausto. E il fatto che le autorità austriache – non britanniche o statunitensi – si siano precipitate all’azione preventiva contro l’oscuro scrittore antisemita, la dice lunga sul pericolo dell’antisemitismo diffuso o percepito nella società europea continentale di oggi e sui rischi di una sua diffusione, complici i fanatici islamici e gli oppositori "politici" a Israele. (Il parente povero dei Rothschild)
m
LA TERRA DI NESSUNO TRA SCIENZA E MORALE
Bioetici al primo convegno. Perplessi
Era l’ultima delle discipline, e ora rischia di diventare la prima. Emergendo da quell’inquietante "terra incognita" tra scienze biologiche e morale, sperimentazione e diritto, sapere e autorità, insomma tra libertà tout court e i suoi limiti, è sorta come Venere la Bioetica. Certo, le recenti posizioni reazionarie dei cattolici integralisti contro la fecondazione medica e l’uso delle cellule staminali embrionali nella ricerca, non hanno giovano alla sua popolarità tra i liberali e i ricercatori. Tant’è vero che c’è chi è ancora poco convinto della sua necessità, con la più vecchia delle argomentazioni: "E come si è fatto finora?". Fatto sta che la Bioetica, infischiandosene del buonsenso contadino, si è affermata con prepotenza nella vita pubblica, specialmente in un’Italia geneticamente predisposta da generazioni di ecclesiastici e giuristi alla sottile arte della "tricotessarotomìa", neologismo ironico che potrebbe significare, se il nostro greco maccheronico (lo stesso della scienza) non difetta, "l’arte dello spaccare un capello in quattro".
Allarmati, in un primo momento, gli scienziati pensarono che questa invenzione era indirizzata contro di loro, ne avrebbe limitato troppo l’autonomia. E infatti alcuni moralisti e giuristi l’avevano inventata per questo. Erano tempi – ricordate? – in cui le prime norme bioetiche riguardavano quasi solo l’uso degli animali da laboratorio. Ma poi, visti i clamori e le battaglie su ogni aspetto delle nuove pratiche mediche e sulle acquisizioni della ricerca biologica, hanno cominciato tutti a preferire all’incertezza del diritto una qualche certezza etico-giuridica su cui poter costruire il progresso della scienza. Perché è vero che una strada obbliga a un percorso l’automobile, ma le garantisce anche un arrivo sicuro, senza troppe sorprese. Ed ecco, perciò, su iniziativa dei paesi anglosassoni, che ogni pratica, ogni studio, ogni struttura bio-medica sono tenute oggi a rispettare alcune regole bioetiche minime. Ma la bipartizione originaria libertà-autorità si è solo trasferita all’interno dei Comitati di bioetica, dove ai cattolici spesso tocca il ruolo di chi vieta e ai liberali quello di chi consente.
Organizzato per celebrare il quindicennio del Comitato nazionale, il primo grande Convegno di Bioetica mai organizzato in Italia (Roma, 30 novembre e 3 dicembre al Cnr, in p.le Moro 7; il I e il 2 dicembre a Palazzo Marini, in via del Pozzetto 138, vicino S.Silvestro) riserverà perciò molte sorprese e forse polemiche. Nei suoi numerosi gruppi di discussione, che toccheranno tutti gli aspetti della bioetica, si scontreranno sicuramente le due anime che abbiamo detto, la liberale e la cattolica. Fermamente convinta la prima che la libertà dell’uomo, specialmente oggi, non è possibile senza una scienza libera. All’opposto, testardamente attestata a privilegiare il concetto filosofico di "vita in sé", magari d’un invisibile cellula e a danno d’un organismo maturo e formato come quello dell’uomo, la cultura cattolica estrema. Ne sentiremo delle belle. La partecipazione è libera (la sede è istituzionale: richiesti un documento di identità e per gli uomini la giacca). Gli esperti e studiosi di biologia, medicina, diritto, filosofia interessati e non ancora invitati possono prenotarsi (email: cnbioetica@governo.it, tel.. 06-67794601, fax 06-67794686). (Il sarto di Paolo Mantegazza)
m
SI’ AGLI EMBRIONI ORFANI
Donne singole: potranno "adottare"
I cattolici integralisti, così attenti alla "vita" lo avevano sempre escluso. Liberali e laici avevano fatto notare che in tal modo si condannavano a morte degli embrioni congelati abbandonati nei freezer degli ospedali specializzati da coppie sterili che li hanno ottenuti in provetta. Finalmente, una risoluzione del Comitato nazionale di bioetica con voto quasi unanime (due i contrari, il ginecologo Carlo Flamigni e il medico legale Mauro Barni, laici) introduce la pratica dell’adozione, anche per le donne singole Gli orfanelli appena concepiti potranno essere accolti da genitori non sterili e da donne single. Sulla barriera costituita dall’affidamento a genitori unici, non contemplata dalla normativa sull’adozione, ha prevalso la buona intenzione di offrire a queste microscopiche entità vitali una prospettiva di sviluppo che non avrebbero da ibernati. Nessuna distinzione fra coppie coniugate e di fatto.
La Commissione si è spaccata su più punti. Secondo il testo, quando "i genitori non vogliono rinunciare alla paternità e allo stesso tempo non intendono farlo nascere (perché magari hanno già avuto altri bambini o sono troppo in avanti con l’età) dovrebbero essere sottratti alla coppia". Alcuni esponenti del Comitato hanno già espresso contrarietà, fra loro il vicepresidente, la bravissima Cinzia Caporale: "Non sono d’accordo sul fatto di fissare un termine per la distruzione degli embrioni, come avviene ad esempio in Gran Bretagna. Allo stesso tempo non vedo perché uno Stato debba intervenire in modo così arbitrario, espropriandoli". Ha abbandonato la seduta Flamigni, che non condivide l’equiparazione dell’embrione a persona. (Viviana, citofonare all’int.1)
m
L’ASSEMBLEA NAZIONALE DEI CIRCOLI
Qui ci vuole una "Società Aperta"
Ma sarà vero che il "laboratorio della Terza Repubblica", come si definisce con inquietanti assonanze francesi l'intelligente iniziativa del giornalista economico Enrico Cisnetto, vuole trasformarsi "da movimento d’opinione in movimento politico"? Nell’ultimo incontro ("Né con Prodi, né con Berlusconi. E se la Grosse Koalition fosse la risposta alla crisi del bipolarismo?") ci era parso di cogliere nella tesi di fondo avanzata da Cisnetto più che una Terza Repubblica, una sorta di terzo Polo, quello dei centristi. Che però nell'ipotesi implicita di alcuni relatori veniva a coincidere con quello cattolico, "democristiano". E se invece, opponiamo noi, non si trattasse proprio d'un magnifico "polo liberale"? Allora, ci sembra di ricordare, le risposte di De Michelis, Cafagna, Tabacci e Cisnetto furono abbastanza divergenti tra loro. Ora, in occasione dell’assemblea annuale dei suoi circoli, Società Aperta ripensa al proprio ruolo e, chissà, magari si farà venire anche qualche tentazione di troppo. Ma è degli intelligenti osare. Il convegno si terrà sabato 3 dicembre 2005, alle ore 14, presso la sala Cavour dell’Hotel Visconti, in via Federico Cesi 37, a Roma. La partecipazione è aperta a tutti. (La figlia cleptomane di Beccaria)

Comments: Posta un commento



<< Home

This page is powered by Blogger. Isn't yours?