Poteva non piacere al largo pubblico, anzi, piacere troppo,
soprattutto in vecchiaia, quando tutti i vizi si amplificano, per i giudizi
caustici da grande polemista, che poi era la sua vera, unica tendenza naturale.
Ma piaceva molto ai giornalisti, che pur subendo vistosamente il “timor
reverentialis” verso le tre famose corporazioni di clerici (docenti, magistrati
e medici: le uniche corporazioni di fronte a cui quella dei giornalisti
ammutolisce), non sopportano i docenti universitari, cavillosi divisori di ogni
capello in quattro e incapaci di prendere posizione e decisioni pratiche. Per
loro, anzi, era l’esperto ideale, capace da solo e in modo ineccepibile di
vivacizzare un articolo di fondo o un’intervista, grazie alla ostentata carica
aggressiva toscana. Ecco perché era sempre in tv o sui giornali, trasformato
ormai da studioso in brillante commentatore politico, insieme arbitro e
giocatore, sempre chiaramente di parte.
Si sa, è il vizio segreto di tutti gli Universitari: essere
conosciuti e popolari al di fuori dell’Università, perfino a costo di perdere
un po’ del proprio prestigio di studiosi. Furono proprio l’ironia e il sarcasmo,
di cui si nutriva a fiotti come a fargli
coniare neologismi giornalistici dissacranti come “mattarellum” e “porcellum”
(due diversi metodi elettorali).
Liberale classico, laicista e anticlericale, laureatosi curiosamente
con una tesi su “Croce politico”, perfino più di Croce convinto che lo studioso
della Polis e del Logos dovesse avere passione ed esprimere idee e fare scelte
pratiche da indicare al pubblico.
Fautore, però, a differenza di Croce di una
irrealizzabile “razionalità” della Politica e di un illuminismo dell’agire
sociale che non teneva conto né della particolare storia italiana, né del
carattere inevitabilmente regressivo e irrazionale delle masse, Sartori si
trovò necessariamente in disaccordo profondo sia con la cosiddetta Sinistra
(ovviamente non poteva che essere anticomunista, quando esisteva ancora il
Comunismo), sia con la cosiddetta Destra, anche e soprattutto quella di
Berlusconi, padre padrone inesperto di politica e per di più in flagrante
conflitto di interessi. Era inevitabile che assumesse ben presto il ruolo del
“maestro” di fronte agli allievi discoli e ignoranti, tanto più che accusava la
società moderna di aver favorito una decadenza culturale disastrosa, tanto più
quanto più diminuiva il ruolo della parola scritta in favore delle tecniche
della visione.
Insegnò tutta la vita in Italia e negli Stati Uniti. Preside
della famosa Facoltà di Scienze politiche Cesare Alfieri, a Firenze, fondò la
Rivista italiana di scienza politica, e
pubblicò numerosi saggi e manuali tradotti in numerose lingue, scrisse di
continuo sui giornali (soprattutto sul Corriere della Sera).
Negli anni della maturità arricchì i propri interessi
occupandosi anche di ambientalismo, fustigando la Destra che non capiva la
limitatezza della Terra e la drammatica attualità dell’inquinamento, come anche
della sovrappopolazione in Asia e in altre aree, cause non ultime di quella
invasione di immigrati, per lo più islamici, che avrebbe finito – era la sua
preoccupazione costante – per snaturale la società europea («Ci stanno
invadendo: integrare l’Islam è un’illusione»). E questo lo poneva in conflitto
deciso anche con i cattolici e la Sinistra.
Una posizione culturale, insomma, quella di Sartori
politico, che non possiamo non condividere in pieno.
Che resterà di lui nella storia della cultura
“politologica”? Intanto il nome stesso della disciplina. Nell'Italia delle
grandi Istituzioni giuridiche pubbliche (è il lascito degli antichi Romani al
Mondo intero) e poi di Gucciardini e Machiavelli, ma anche patria della teoria
delle élites politiche (“scienza italiana”, grazie a Mosca, Pareto e Michels),
Sartori ha avuto almeno il merito di riportare al centro della cultura
istituzionale e sociale la "scienza della politica", di averne fatta
una specializzazione accademica, e anzi di averne diffuso – per primo – il nome.
Avrebbe dovuto esercitare vita natural durante il ruolo
dello scienziato “politologo”, avendo posto le basi teoriche della disciplina
in Italia, ed essendo considerato da tutti un “maestro” sia pure carismatico. Peccato,
però, che troppo sicuro di sé, volesse strafare, e amasse cadere – era più
forte di lui, tanto era fiorentino – nei giudizi di valore e nel tono
“tranchant”, come pure è capitato a tanti liberali, moderati in gioventù e iconoclasti
in vecchiaia.
Si poteva pensare in quelle occasioni che gli difettasse la terzietà,
quello spirito della avalutatività che il grande Max Weber riteneva essenziale
al rigore dell’intellettuale studioso di scienze sociali.
Così, troppo a lungo sopravvissuto a se stesso (è scomparso
a 92 anni), ha finito dalla tarda maturità, soprattutto nelle interviste e nei
suoi articoli di giornale, per essere visto suo malgrado più come un commentatore
anticonformista dell’attualità che criticava tutti - Destra, Centro e Sinistra - una sorta di burbero libero pensatore della politica,
spesso fantasioso e visionario, piuttosto che come uno studioso neutrale.
# Nico Valerio 00:14