30 gennaio, 2013
Populismo italiano ieri e oggi. Le inquietanti affinità tra berlusconismo e fascismo.
Sulla dichiarazione di Berlusconi, proprio in campagna elettorale, che anche il Fascismo avrebbe fatto “cose buone”, da intendere ovviamente come cose politiche, perché non è pensabile che volesse riferirsi alla corretta posa in opere delle fognature, riprendiamo dal sito Lib-Lab un articolo di Gim Cassano che fa il punto sulle analogie inquietanti esistenti tra i due personaggi (NV):
Premetto che in natura, prima ancora che in democrazia, non si può impedire neanche agli asini di ragliare, e che il cavalier Berlusconi è pienamente libero di interpretare la storia nella maniera più volgare e di dimostrare una cultura poco meno che dozzinale. Ciò detto, piuttosto che contestare la sua ennesima ed inaccettabile dichiarazione sulle cose buone del fascismo elencandone le vergogne, forse è invece cosa utile far notare quanto profonde siano le affinità tra berlusconismo e fascismo.
Iniziando dalle figure dei loro capi, credo inutile il ricordare quante espressioni, battute, dichiarazioni, comportamenti, dell’uno e dell’altro, ne dimostrino i tratti comuni: cinismo; sbrigativa superficialità e pressapochismo; capacità istrionica e di mentire spudoratamente; noncuranza e fastidio nei confronti di regole, leggi, controlli; protagonismo di facciata e petulante aspirazione ad esser visti tra i grandi della Terra; revanchismo e disprezzo nei confronti delle culture politiche che li precedettero: rispettivamente, quelle che costruirono e svilupparono lo Stato Unitario, e quelle che produssero la Costituzione. E, per completare, persino l’ossessione sessista ed il disprezzo nei confronti delle donne. Ancora, gli slogans mussoliniani che ottant’anni fa tappezzavano i muri d’Italia o venivano proclamati ai microfoni dell’EIAR sono singolarmente affini alle sbrigative espressioni comunicative dell’età berlusconiana: non negli strumenti, ovviamente, ma nei contenuti e nelle forme del messaggio.
Quel che è più significativo è come, nel primo e nel secondo ventennio, si sia affermata una cultura nazional-popolare che ha la sua premessa nella solleticazione populista di istinti ed interessi piuttosto che della ragione. In entrambi i casi, concezioni lontanissime da quella storia civile che ha avuto origine con il nostro illuminismo, e che ha portato allo Stato Unitario e liberale prima, ed alla Costituzione della Repubblica poi, interrompendone il percorso e cercando di soffocare quel poco di pensiero critico liberale, socialista, democratico che, sia pur largamente minoritario, ha sempre segnato le migliori espressioni della società italiana, ne ha prodotto la modernizzazione, e ha saputo far sì che, anche nei periodi peggiori, il nostro isolamento non fosse totale. Come si fa a quest’ultimo proposito a dimenticare l’opera di Spinelli, dei Rosselli, di Toscanini, dei combattenti italiani in Spagna, di Sforza, e di tanti altri, espressioni delle più diverse concezioni politiche?
In entrambi i Ventenni si è fatto leva sui caratteri di un ceto borghese che non è mai stato borghesia e non ha mai conosciuto Max Weber, opportunista, liberista o statalista a seconda delle convenienze, conformista, uso a concepire l’opportunismo per aver salva la “roba” e la confessione per aver salva l’anima (non si sa mai), tipico di un Paese che ha subito la Controriforma senza mai aver avuto la Riforma.
La concezione della società, lontanissima dal conflittualismo di una visione pienamente liberale e socialista, si è ispirata a concezioni organicistiche per le quali ognuno debba svolgere il suo ruolo ed ognuno debba stare al proprio posto, portando ad una società chiusa ed immobile: l’esatto opposto di quanto abbiamo letto in Popper. E difatti, l’apologo di Menenio Agrippa, pezzo forte delle scuole elementari dell’Italia fascista, precorre la concezione berlusconiana delle relazioni sociali.
La concezione dei diritti individuali, civili, sociali, risulta affine, così come l’uso strumentale, da parte dell’ateo Mussolini e del cinico Berlusconi, del moderatismo e del conservatorismo delle gerarchie vaticane. Persino la politica di immagine imperiale delle opere pubbliche fasciste precorre le “grandi opere” del cavaliere, ad iniziare dall’inutile ponte di Messina.
Nell’uno e nell’altro caso, queste impostazioni culturali, il velleitario delirio di potenza, il fastidio nei confronti delle demo-giudo-plutocrazie allora e dell’Europa oggi, hanno allontanato l’Italia dai Paesi a più matura civiltà democratica, inducendola ad avventurismi ed a più che equivoche frequentazioni in politica estera.
Nulla da stupirsi, quindi, se l’Italia berlusconiana, come quella fascista, sia stata vista da parte di quei Paesi ai quali noi dovremmo essere più vicini per tradizioni, storia, cultura, interessi politici ed economici, come un corpo estraneo potenzialmente pericoloso ed inaffidabile, e se Berlusconi, anche nei tratti personali, sia unanimemente ritenuto il peggior leader politico che l’Italia abbia mai espresso a partire dalla fine della seconda guerra mondiale.
E noi, adesso, non dobbiamo affatto stupirci del fatto che, nel corso della commemorazione della Shoah, il cavaliere abbia platealmente manifestato il suo disinteresse con il sonno, ed abbia successivamente parlato di “cose buone del fascismo”: ovviamente, secondo il suo punto di vista, che non è certo quello dell’Europa democratica e civile.
GIM CASSANO