27 febbraio, 2012
Libertà di ricerca scientifica o tutela degli animali? Ma perché, invece, non tutte e due?
Il grado di civiltà, il progresso materiale e perfino culturale e morale d’un Paese, di un intero popolo, si misura dallo spazio che vi ha la cultura e la ricerca scientifica. Per questo motivo nell’Ottocento il Regno Unito era al primo posto, lo Stato della Chiesa all’ultimo in Europa. Non per caso i liberali, tutti, non solo i pochi scrittori, storici, filosofi, giuristi e comunque intellettuali (e infatti lo “scientista” e progressista Cavour, per esempio, intellettuale non fu certamente), capirono subito questo collegamento inscindibile. Il sillogismo liberale, bellissimo, sembra scritto davanti ad uno specchio, ha un’andata e un ritorno: “Il sapere rende liberi, e l’uomo libero vuole sapere”.
Ciò detto, però, sbagliano quelli, pure a noi culturalmente vicini, come liberali, repubblicani, laicisti, radicali o esponenti dell’associazione “Luca Coscioni per la libertà della ricerca scientifica”, a pensare e dichiarare che la ricerca deve poter essere condotta con ogni mezzo, anche con gli animali, costi quello che costi. E così, quando l’opinione pubblica di internet e Facebook si indigna per una spedizione via aerea di ben 900 scimmie (macachi) dalla Cina ad un’industria italiana, ecco che proprio la vedova di Coscioni, M.Antonietta Farina, deputato al Parlamento (Radicali-PD), dichiara che non bisogna cedere alla “demagogia” di “confondere la sperimentazione animale con la vivisezione” e che, insomma, lo sdegno degli animalisti sarebbe solo un’altra manifestazione del famigerato sentimento anti-scienza tipico della società italiana, un bastone tra le ruote della modernizzazione.
D’accordo con Maria Antonietta Farina Concioni, che in Italia, a causa della diseducazione del popolo per secoli da parte di Chiesa cattolica, Stati autoritari, Papi, Borboni e principati vari, la mentalità comune sia anti-scientifica. Ce ne accorgiamo purtroppo anche e soprattutto in ambito ecologista. Ma stavolta sbaglia, due volte: una sul piano delle tecnologie di ricerca, materia su cui in questa sede sorvolo, visto il carattere del blog, un’altra volta sulla libertà liberale.
Poiché la brava e intelligente e “liberale” Farina Coscioni la mette sul piano della libertà, mi consenta una piccola, elementare, lezione di Liberalismo spicciolo. Premetto e riconfermo ancora una volta che sono un ultrà della libertà di ricerca scientifica. Ma questa, come tutte le libertà (noi liberali lo sappiamo bene, ma qualche volta gli amici radicali sembrano non ricordarlo) non è assoluta, ma relativa. Cioè va inserita tra le altre libertà. Se no, io dovrei avere il diritto di andare nudo in via del Corso, anziché – tenendo conto della sensibilità altrui (fondata o no che sia) – in luoghi appartati e-o dedicati. Così per la libertà di ricerca. Che ha mille modi di esplicarsi, oltre al vecchio e poco affidabile metodo delle cavie che ha permesso in passato la messa in commercio di farmaci testati su animali e poi rivelatisi inaffidabili o dannosi per l’uomo. Una libertà che si scontra con la altrettale e altrettanto importante libertà che hanno alcuni di vedere rispettati gli animali, tanto più le scimmie, rare e vicine a noi nell’evoluzione. Bisogna far sapere alla brava Farina Coscioni, che io ammiro molto, che il Liberalismo è la teoria dei limiti dei diritti, in quando li limita un poco, purché siano riconosciuti a tutti.
Vero è che questa della Coscioni può essere definita una presa di posizione individuale, o semmai “di associazione di settore”. Altri radicali, come Pullia, per esempio, hanno manifestato idee contrarie. Non è quindi, formalmente e sostanzialmente, la presa di posizione di Radicali Italiani. E chi conosce lo spontaneismo e spesso la mancanza di collegamento (strano, però, in un piccolo gruppo) tra radicali, deve credere a questo quadro. Però è vero che di prese di posizioni infelici o sbagliate, sia individuali che collettive, ce ne sono state troppe negli ultimi anni, nei campi più disparati. Perciò, mi consentano gli amici radicali di “generalizzare”, cioè di prendere l’incidente come l’ennesimo caso di una tendenza ormai consolidata.
Quindi, alzando il tiro e profittando dell’ennesima gaffe per tentare di salvare dal baratro gli amici di un partito che fu grande nelle intuizioni e nella visione globale dell’impegno liberal-laicista, mi si consenta di dare un paio di consigli. I Radicali, innanzitutto, si consultino di più tra di loro, in modo da non disorientare ancor di più l’opinione pubblica. Perché ad ogni uscita balzana sono decine o centinaia di migliaia di simpatizzanti che si allontanano. In secondo luogo, e soprattutto, non si facciano mai portatori degli interessi di questa o quella categoria particolare (in questo caso quella dei ricercatori pigri e tradizionalisti), ma pensino sempre a bilanciare tutti i diritti e le libertà possibili.
Capisco la voluttà di essere impopolari e anticonformisti che prende certe minoranze (che potrebbe essere anche una scusa da “la volpe e l’uva”: come a voler dire che si ha lo 0,6% dei voti solo per questo…), ma questa voluttà va frenata. Comincino ad essere più popolari, e ad occuparsi di tutti i temi, soprattutto quelli che interessano la maggioranza dei cittadini italiani, anziché soltanto estreme minoranze, ristrette elites di studiosi e addirittura militanti stranieri. Il Liberalismo si occupa di tutti e tiene conto delle libertà e degli interessi di tutti. Parlare di meno, in modo più semplice e sintetico, potrebbe aiutare ad essere capiti da tutti.
Infine un’amara considerazione. I Radicali stanno morendo di quattro malattie: un doppio male metodologico, ovvero l’esibizionismo patologico del “gesto” e la totale mancanza di psicologia della comunicazione, un male esistenziale, cioè il settarismo tipico dei pochi amici stretti in una congrega autoreferenziale senza contatti con la gente comune, un male ideologico, che è la radicata mentalità anarchica (razionalizzata come “disobbedienza civile”), e un male politico, la velleità di imporre a tutti gli altri la scaletta dei propri temi e di essere il perno della discussione politica, qualunque siano gli interlocutori (Destra, Centro, Sinistra, Ultra-Sinistra) e gli argomenti, purché il leader radicale sia al centro dell’attenzione.
Temi, a proposito, che sembrano riguardare sempre le estreme minoranze che sappiamo. Il che è il contrario del generalismo liberale. La libertà liberale non è la tutela, quasi “sindacale”, di una serie di “categorie protette” ultra-minoritarie (antimilitaristi, femministe, referendari, divorziandi, abortisti, omosessuali, tossicodipendenti, carcerati, minoranze del Tibet, ed ora anche scienziati), ma il bilanciamento delle libertà di tutti. I grandi fondatori del Partito Radicale (Pannunzio, Calogero ecc.) lo sapevano bene.
Ma torniamo al tema dell’impiego degli animali nella ricerca scientifica che ha provocato la polemica. Ci vorrebbe un lungo articolo apposito. Ma intento per non lasciare il lettore del tutto privo di qualsiasi risvolto scientifico, ecco che cosa ha rivelato sulla sperimentazione dei farmaci l’amico prof. Bruno Fedi, già docente di urologia, e come me ecologista e vegetariano da decenni, in un’intervista.
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