01 dicembre, 2011
Ritorna la “borghesia”. Ma non era morta? I politologi che continuano a non capire
La borghesia è morta e sepolta. Macché, è viva e vegeta, e lotta insieme a noi. Tant’è vero che “ritorna”, come intitolava il Corriere della Sera, che di queste cosette dovrebbe intendersene. Non fa in tempo ad insediarsi un Governo “tecnico” (come se potesse esistere un Governo non politico…) che scattano tra gli intellettuali i riflessi condizionati del buon Pavlov, buonanima. Primo tra tutti la vexata quaestio della borghesia come “classe dominante”.
E, a proposito di russi, o sovietici d’antan, poiché nel dopo Berlusconi c’è da aspettarsi di tutto, tranne che il ritorno alla Ragione e alla normale dialettica politica degna di un Paese liberale, ecco che su internet e Facebook tanto una certa sottocultura di Sinistra, piuttosto nostalgica anzi che no, quindi ottusa, quanto la sottocultura di Destra degli amici e degli affaristi (non che voglia equipararle, perché c’è sempre il peggio del peggio), più ottusa che nostalgica, ricominciano con i loro sbagliatissimi tic interpretativi da sezione di partito negli anni ‘50.
“Borghesia-2: la vendetta”? Ma non diciamo sciocchezze. “Ritorna”? La cosa sembra l’inizio della fine, anziché la fine dell’inizio, per alcuni amici bloggers. Ma ci casca, tanto per fare un buon titolo giornalistico, anche il Corriere. Perché, quella che c’era prima, sotto Berlusconi e sotto Prodi o D’Alema, che cos’era, lumpen-proletariat? Macché, neanche la prole ha dato, visto il gap demografico: ha solo “preso”.
E davvero certi “intellettuali” (ma bisogna finirla di considerare un qualsiasi blogger o commentatore di giornali o professore di per sé un “intellettuale”, secondo Max Weber) non riescono a distinguere tra borghesia minuta, media e grande, tra ceti parassitari che vivono alle spalle dello Stato e degli altri cittadini, meglio ancora se grandi “boiardi”, e il ceto impiegatizio e i gradi bassi e medi delle professioni, dei commerci e perfino di certa piccola industria, che al contrario questa crisi stanno patendo sulla propria pelle.
E allora, non è che i parassiti e i privilegiati sono in realtà, oggettivamente, contro la borghesia del merito, del lavoro e della concorrenza, quel vastissimo ceto medio, tipico ormai di una società senza classi, se non quelle dei furbi e degli onesti, magari per forza e contro voglia, costretti ad attenersi alle famose “regole”, di cui parla giustamente la democrazia liberale?
Ma, se esiste, questo magmatico e indefinito strato sociale è semmai vittima, non carnefice. Anche perché davvero la borghesia ha perso sia i diritti che i doveri, e dopo tante mistificazioni e aggiramenti delle regole non sa più neanche quale sia il suo ruolo nella società.
Sulla polemica, innescata dal prof. Martinotti, ecco un interessante articolo dell’intellettuale e polemista liberale Raffaello Morelli. NICO VALERIO
A PROPOSITO DELLA BORGHESIA DI MARTINOTTI
La tesi della inesistenza della borghesia richiamata dal professor Martinotti per criticarla, credo meriti una riflessione attenta. Non per approfondirne gli aspetti sociologici già delineati dall’autore, nel numero scorso di ArcipelagoMilano, quanto per svilupparne aspetti legati ai rapporti politici di convivenza. Concordo con l’autore che sia un giochetto infondato sostenere che in Italia non vi sia una borghesia. Concordo anche che la presunta mancanza piace molto ai mass media che della borghesia celebrano il funerale anzitempo. Però trovo infondata la conclusione dell’autore che vede confermati i suoi due assunti dal fatto che “la borghesia in massa si è ripresentata a occupare tutti gli scranni ministeriali disponibili“. Non perché il governo Monti sia composto da cassa integrati di Termini Imerese, ma perché solo una visone di classe può trarre connotati politico sociali generali equiparando il collocarsi sociale di alcune persone a un episodio rilevante in tutt’altro senso.
L’autore dipinge la borghesia moderna, come “un corpo unificato dalla caratteristica unica di essere la classe dominante tipica di sistemi capitalistici, inclusi i sistemi capitalisti di stato“. Affermare concetti del genere può autoconsolare le elites intellettuali borghesi oggi perdenti ma non rappresenta realisticamente la convivenza. Il governo Monti non è frutto di una accorta manovra di potere borghese. E’ il risultato di una catena di comportamenti dissennati ai limiti dell’incredibile da parte dei partiti attuali.
La completa incapacità dell’ex ministro fiscalista, ossessionato dal pericolo giallo, di avvertire la crisi finanziario economica nata in un altro continente e di predisporre un piano di sviluppo qualsivoglia. La completa incapacità politica di Berlusconi di imbrigliare il proprio ministro e di dare ai mercati risposte operative concrete (a lui ben note come imprenditore delle cose sue) persistendo, a ogni livello, in atteggiamenti da imbonitore festaiolo. La completa incapacità politica dell’opposizione di pensare a preparare un progetto alternativo per il dopo berlusconismo che sarebbe venuto, preferendo invece baloccarsi con il gossip tipico del moralismo borghese. E di fatti, quando la crisi internazionale, neppure all’improvviso ma progressivamente, ha stretto la sua morsa sull’Italia e Berlusconi, mai sfiduciato in Parlamento, ha deciso di dimettersi, al Presidente Napolitano – che per fortuna continua a ragionare sui problemi – non è restato altro che inventarsi un governo dei tecnici ancorandolo strettamente (di nuovo per fortuna) alla forma e alla sostanza delle procedure parlamentari.
In tutto ciò, cosa c’entrano i disegni della classe dominante borghese? Nulla, con buona pace della stampa conservatrice lombarda e dei nostalgici di un classismo oggi improponibile. Anzi, quanto è avvenuto fornisce un indizio sulla carenza vera della borghesia. L’indizio che la borghesia, mentre è nata contro le rendite di una società in mano ai privilegi nobiliari ed ecclesiastici e per rendere possibile l’intraprendere e lo scambiare, ora ha rinunciato a questo suo ruolo, dedicandosi alla difesa corporativa più o meno intelligente delle rendite di posizione raggiunte. Dunque, la borghesia esiste ancora, ma si è del tutto snaturata e non svolge più il suo ruolo fisiologico.
Oggi, la maggior parte dei commentatori scrive, seppur tardivamente, che in Italia non si discute più di politica. Una notevole responsabilità spetta agli ambienti borghesi, proprio perché per formazione, cultura, reddito, stato sociale, consistenza numerica, dovrebbero essere i più sensibili alle problematiche politiche della convivenza. E invece non avviene. Il venditore per antonomasia e i migliori per destino che hanno voluto scimmiottarlo, hanno presto intuito questo vuoto e giulivi hanno governato sciorinando la loro mercanzia di promesse senza progetti. In questo tripudio della cartapesta, alla sopravvenuta crisi finanziaria internazionale, si è andata sommando la crisi strutturale di un’Italia incapace di pensare allo sviluppo nel mondo globalizzato e quindi debole nella comparazione dei mercati.
Proprio nell’assenza di discussione politica sta lo snaturamento della borghesia. Che ha accettato una posizione politicamente parassitaria e non ha contrastato il dilagare, soprattutto negli ambiti delle burocrazie e della gestione pubblica, di pratiche familistiche sempre contrarie ai cambiamenti necessari per lo sviluppo: in nome dei propri privilegi e all’insegna del meglio le entrature giuste sotto casa, che regole funzionanti a livello non localistico per dare spazio a merito e competenze.
Le personalità tecniche che compongono il governo sono individualmente borghesi, ma non rappresentano affatto un progetto politico. Né borghese né d’altro genere. Rappresentano la preoccupazione di consulenti che si trovano a svolgere un compito prestigioso ma assai complesso, del cui risultato non hanno la piena padronanza professionale: perché esula dalle loro esperienze tecniche in quanto politico nel profondo. Come cittadini hanno titolo per cimentarsi in tale dimensione, ma il vincolo parlamentare, che vale anche per loro, li rende solo meno attrezzati in molti sensi. Bene che il clima sia più ragionevole. Tuttavia la politica non si improvvisa e così i loro primi vagiti (le sole cose che traspaiono, anche se nascondere le cure al malato non paia una virtù) sembrano seguire la solita propensione a tassare i redditi, a non tagliare il debito e al riservare le parole allo sviluppo. Né aiuta nascondersi dietro le colpe (che pure ci sono) del burocratico egoismo degli stati nazionali europei.
La questione reale non è che ritorna la borghesia vera ma che ritorna quella snaturata. Cioè mancano la politica e il conflitto secondo le regole di libertà che si continuano irresponsabilmente a evitare spargendo utopie e non dicendo mai quali cose concrete si intende fare ora e subito per lo sviluppo. E chi dovrebbe supplire se non i cittadini che convivono e si raggruppano liberamente? La politica sono loro.
RAFFAELLO MORELLI