20 novembre, 2012

 

Benedetto Croce. Quello che è vivo ancor oggi del suo pensiero e del suo ruolo di intellettuale

CROCE, UOMO DI CULTURA EUROPEO E COSMOPOLITA. C'è un luogo comune che ha dominato nel secondo dopoguerra e la cui eco giunge fino a noi: Croce sarebbe un pensatore provinciale e la sua opera l'espressione di un'Italietta arretrata, poco attrezzata alla modernità. Come tutti i luoghi comuni, anche questo non regge. Anzi, da una riflessione seria e articolata emerge il contrario: Croce svolse una funzione cosmopolita, come scrisse Antonio Gramsci, che riprendeva quella degli umanisti e che mai più nessun pensatore italiano avrebbe in seguito esercitato. E il suo pensiero, lungi dall'essere arcaico, corrisponde al generale processo di critica al positivismo e di rinnovamento della cultura europea del primo Novecento.

La prima considerazione da fare è che Croce ha intessuto per tutta la vita relazioni con i più importanti esponenti della cultura mondiale del suo tempo. D'altronde l' Estetica, pubblicata nel 1902, con la sua idea dell'arte come intuizione lirica, ebbe subito un successo internazionale, tanto da accreditare l'autore come una delle voci più originali della filosofia. Il Breviario d'estetica del 1912 consiste in quattro lezioni commissionategli da un'università americana, mentre l' Aesthetica in nuce era in origine la voce «Estetica» affidatagli dall' Enciclopedia Britannica. Teoria e storia della storiografia uscì prima in tedesco nel 1915 e solo due anni dopo in Italia: faceva parte di una prestigiosa collana a tema, ove a Croce era stato chiesto di occuparsi della Storia. In Inghilterra, egli aveva un traduttore di eccezione: il filosofo Robin George Collingwood, che da Oxford aveva elaborato una prospettiva di pensiero molto simile a quella di Croce e che di lui si considerava allievo. In America il suo peso crebbe negli anni dell'opposizione al fascismo: scrisse su «Foreign Affairs», «Time» gli dedicò una copertina e il suo saggio sul liberalismo del 1939 apriva una importante opera collettiva sul concetto di libertà. Croce era un protagonista nei congressi internazionali di filosofia: a quello di Oxford del 1930 pronunciò il discorso Antistoricismo, che fu interpretato come una vibrante difesa della libertà e della cultura. Da esso Thomas Mann prese spunto per iniziare con Croce un carteggio sul destino della civiltà europea.

Dai suoi rapporti internazionali si evince anche che Croce non era affatto nemico degli scienziati, come un'altra diffusa vulgata vuole far credere. La sua idea del carattere utilitario dei concetti scientifici l'aveva appresa dall' epistemologia contemporanea, in particolare dall'empiriocriticismo di Ernst Mach e Richard Avenarius. Aveva però aggiunto che i concetti puri o filosofici sono usati anche dalle cosiddette scienze e viceversa: la distinzione fra due diversi tipi di conoscenza, comunque non subordinati, è di metodo e non di oggetto. Più in generale, si può dire che il metodo astraente è usato in maniera preponderante dalla scienza newtoniana moderna, ma già esperienze come la meccanica quantistica o il principio di indeterminazione di Heisenberg devono considerarsene fuori. Non è un caso pertanto che Croce, nel settembre del 1931 a Berlino, abbia trascorso un pomeriggio intero con Albert Einstein, riconoscendo in lui un «comune sentire». Inoltre non ostacolò affatto l'ingresso in Italia delle opere di Sigmund Freud e Max Weber, come pure si dice: ha dimostrato Daniela Coli che le propose per la traduzione, ma Laterza non accettò per motivi economici. La fama di Croce raggiunse persino l'India: il grande poeta Rabindranath Tagore venne in Italia nel 1926 ufficialmente per incontrare Mussolini, ma in realtà per vedere di nascosto il filosofo, alle cui concezioni estetiche si sentiva vicino.

Morto Croce, inizia un'altra storia. L'attacco viene mosso, negli anni Cinquanta, da due fronti: quello «neoilluminista» (Abbagnano, Viano, il primo Bobbio); l'altro dei marxisti non storicisti (Della Volpe, Colletti, Tronti). Intanto la cultura italiana importava in modo spesso acritico le filosofie del momento, creando mix di pensiero che dimostravano sudditanza intellettuale e quindi vero provincialismo.

Oggi, giunta al termine la vicenda del postmodernismo e delle filosofie variamente analitiche, si profila forse di nuovo lo spazio per un pensiero «impuro», cioè attento alle tematiche della vita, come quello crociano. Il realismo politico e storicistico di Croce d'altronde non fa che riannodare le fila di una tradizione risalente a Machiavelli e Vico, oggi studiata e definita come «Italian Theory». CORRADO OCONE

Il Corriere della Sera (nella Lettura, 18 novembre 2012), in occasione del 60.o della scomparsa di Benedetto Croce (20 novembre 1952), ha pubblicato alcuni articoli sull’attualità del grande uomo di pensiero italiano, che si conferma a un secolo dalle sue prime opere (l’ Estetica è del 1902, il Breviario di Estetica è del 1912) e a sessant’anni dalla sua morte, uno dei pochissimi Grandi Maestri che l’Italia moderna ha avuto. Abbiamo sopra ripreso l’intervento integrale del prof. Ocone, forse il più efficace e intelligente divulgatore crociano di oggi. E qui di seguito diamo alcuni brani dell’intervento dello storico Galasso:

LE CINQUE RAGIONI PER RILEGGERE UN “CLASSICO” DELLA CULTURA. «Che cosa davvero intendiamo per «attualità» di un pensiero o di un pensatore come Benedetto Croce?» si chiede su chiede lo storico Giuseppe Galasso. «In realtà, a ben vedere – leggiamo più avanti nel suo articolo – l'attualità al passato la diamo noi, interrogando ciò che ne resta coi nostri occhi di oggi e ponendo ad esso altre e nuove domande o riformulando quelle già fatte; e sono anche nostre le risposte a tali domande». Insomma, lo specchio della Storia siamo noi, il nostro tempo. «Ecco, in ciò, una prima ragione di “attualità”» di Croce. È sua, infatti, una limpida, geniale esposizione del principio da lui definito della “contemporaneità della Storia”.

E da ciò deriva pure un'altra ragione di sua “attualità”, per l'affermazione che la realtà, tutta la realtà in ognuno e in tutti i suoi aspetti, non è «nient'altro che Storia». La storicità è, così, la categoria totalizzante ed esaustiva del reale. La stessa natura non è che Storia solidificata in certe forme; e anche il pensiero è Storia, è la vicenda perenne e dinamica, quale che ne sia il ritmo, della coscienza riflessa dell'uomo, sempre proiettiva, ossia che si spinge in avanti, anche quando sembra il contrario.

La verità muta allora col tempo? Sì e no. Ogni verità è figlia del suo tempo, ma, se è verità, è insieme figlia di ogni tempo. Uno storicismo integrale, dunque, che esclude ogni considerazione extrastorica, ogni riferimento metafisico, ma che in Croce non configura alcun relativismo. La distinzione fra storicismo e relativismo è un cardine del suo pensiero. La verità si costruisce nel tempo, ma trascende il tempo. Non è semplice eliminazione del falso, mera «falsificazione», operazione negativa che taglia via via i rami secchi del pensiero, bensì un'operazione altamente positiva, che sfronda il passato, lo supera, ma anche lo conserva e lo incrementa nel sempre mutevole presente, con una «verificazione» che comprende ma annulla in sé il momento della «falsificazione». Ossia, in altri termini, il relativismo è l'apparenza di questo processo (ogni tempo ha le sue verità); la progressiva costruzione del grande patrimonio intellettuale e morale dell'umanità ne è, invece, la sostanza.

In questo patrimonio ciò che trascende il proprio tempo diventa «classico», ossia un riferimento per il futuro, che secondo le sue esigenze può in ogni momento evocarlo e riproporselo. In questo senso Croce è un classico, appartiene, cioè, al grande album delle voci durature del passato. Egli, peraltro, pur affermando la Storia e la storicità come unico senso e valore della realtà e del pensiero, è ben lontano dal credere che la Storia e la storicità, ossia la Storia (sono le sue parole) «come pensiero e come azione», siano un tutto indifferenziato.

Il “principio della distinzione” è un altro caposaldo crociano, degno di speciale attenzione per un mondo che oggi è appena (e non tutto) uscito da un'epoca di oppressivi e sanguinari totalitarismi. Croce accetta in pieno il principio hegeliano della dialettica, per cui la Storia, cioè la vita, è strutturalmente fatta di ininterrotte contrapposizioni, che nel suo cammino si sciolgono via via in più alte sintesi. Non accetta, però, la tesi hegeliana di una marcia a termine fisso verso una sintesi totale e finale prefigurata dalla struttura stessa della realtà. Per lui la realtà è sempre aperta, e gli esiti di quella dialettica sono quali possono essere e si riesce a farli essere nel difficile e sempre faticoso cammino della Storia. Un cammino che, per di più, procede per molte vie, anche se interconnesse: quelle della fantasia, regno dell'arte, e della logica, regno del sapere, e, in parallelo, quelle della volontà individuale, regno dell'utile particolare (o, com'egli dice, dell'economico), e della volontà che si fa universale, regno della morale nella sua integrità e pienezza. Ciascuna di queste vie o forme è autonoma e valida di per sé ma, data la loro coessenziale partecipazione alla vita del tutto, la realtà procede alternandole e integrandole o superandole in una più alta ragione. Ciascun percorso ha, insomma, la sua legittimità e il suo diritto a farsi valere, ma la vita del tutto non può fermarsi per sempre nell'uno o nell'altro, ed esige e impone che ciascuna forma si affermi nella sua autonomia e nel suo valore, ma non blocchi il procedere della vita e ceda, anzi, il passo alle esigenze del tutto.

Sembra un meccanismo complicato e anche un po' anarchico, ma non è così. Si tratta solo di una unità del tutto fatta di profonde articolazioni interne e non fossilizzata in nessuna di esse, anzi volta sempre sia a sollecitarle che a superarle, non secondo un calendario prefissato, ma seguendo il ritmo libero e creativo delle sue imprevedibili potenzialità. Abbiamo detto che Croce teorizzò quattro di queste forme (il bello, il vero, l'utile, l'etico), per cui si ironizzò sulla sua «filosofia delle quattro parole». Ma non è qui la forza della sua riflessione al riguardo, bensì in quella logica della distinzione che non nega l'unità e le sue ragioni ma non le rende esclusive e monopolizzanti.

È in base a tutto ciò che si colgono meglio altre due ragioni per ricordare Croce. Una è relativa alla natura dell'arte (poesia, arti visive, musica e quant'altre ve ne siano), fondata sulla sua profonda liricità (ossia pura intuizione e rappresentazione estetica del sentire e patire) che ci trasmette l'immediata, commossa e piena percezione del bello, ci fa distinguere l'opera creativa della fantasia (con cui si identifica la poesia) da quella dell'immaginazione (che dà luogo a una grande varietà di espressioni, altre da quella poetica) e ci dà un'idea della poesia di incomparabile e perenne specificità di senso e di valore.

L'altra è relativa all'idea che la libertà è la forza motrice della Storia, sempre attiva, anche quando ne appare espulsa o assente. E ciò non per un vuoto ottimismo. È di Croce una drammatica visione delle forze primigenie che animano la vitalità dell'uomo e la sua volontà di dominio e di potenza, così come delle opposte debolezze, per cui solo una vigile e profonda disciplina morale può dominare e volgere al meglio tutto ciò.

Quindi Croce poteva sia difendere sino in fondo l' autonomia dell'arte nel suo valore estetico da ogni interferenza sensoriale, psicologistica, strutturale, tecnicistica o di altro ordine materiale o esterno; sia sostenere un rapporto fra politica ed etica, che non disconosceva la sostanza dura e materiale della politica, anzi la difendeva, ma la vedeva e la voleva eticamente proiettata verso fini e valori generali, conformi alle ragioni della libertà, che non è legata ad alcun particolare ordine economico o sociale, perché vale di per sé e, come tale, opera quale «libertà liberatrice».

Sono alcune (non le sole) lezioni «attuali» di un classico, che trovò nella grande crisi europea del Novecento la spinta a una riflessione per cui poté, fra l'altro, prevedere la finale vittoria delle libertà sui totalitarismi allora al vertice dei loro trionfi. Un classico di grande eco ai suoi tempi, e non solo in Italia, ma poi più volte dichiarato estinto per ogni verso, ma vivo invece della presenza propria appunto dei classici, non sempre rumorosa, ma sempre attiva per vie e modi non prevedibili. GIUSEPPE GALASSO

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ATTUALITA’ DEL LIBERALISMO DI CROCE (di Corrado Ocone). Un’intervista di 39 minuti, molto utile per capire lati insoliti ma profondi che nasconde il Liberalismo per Benedetto Croce, che non è arida scelta intellettualistica, né fissa ideologia, ma è soprattutto tensione continua di lotta e passione, una sorta di abito mentale critico, un metodo di vita, che deve permeare ed essere presente in tutta l’azione dell’uomo liberale, è quella che lo studioso Corrado Ocone, uno dei massimi divulgatori attuali di Croce, ha rilasciato a Radio Radicale. La tensione individuale per la lotta è del resto tipica del Liberalismo italiano (vedi Einaudi nel saggio La bellezza della lotta, lo stesso Cavour, per non parlare di Gobetti), che a differenza di altre scuole liberali europee o anglosassoni non si attarda a studiare e stabilire in teoria “quanto Stato e quanto individuo, quanto mercato ecc.” devono essere presenti nella società o nelle istituzioni. Il punto debole della bella intervista è, semmai, l’intervistatore di Radio Radicale che ovviamente si preoccupa di sottolineare una presunta continuità con… Pannella, e questo immiserisce un po’ l’intervista. Ma se prestate attenzione solo alle parole di Ocone, avrete un’angolazione insolita, vera anche se poco nota, del grande Liberalismo italiano. Specialità divulgativa, questa, che deriva dalla particolare abilità di Ocone nel mettere in luce i lati sconosciuti ma attuali del pensiero di Croce:


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