01 aprile, 2006

 

Nèmesi farmacologica. Effetti secondari sui farmacisti. Era ora

La federazione dei farmacisti sta scatenando una costosissima campagna pubblicitaria, a suon di intere paginate sui quotidiani, per intimorire il pubblico ignaro di cose scientifiche e farmacologiche con un presunto "rischio liberalizzazione". I detentori del privilegio monopolistico e corporativo, tipicamente italiano, delle farmacie numerate e contingentate come unici negozi in cui si posso acquistare i farmaci, vorrebbero insinuare che il commercio libero in altri esercizi (p.es., nei supermercati, come accade in quasi tutti i Paesi del mondo) possa aumentare il rischio farmacologico e tossicologico.
Ma perché non dicono alla popolazione (vedi i tanti studi pubblicati dalle riviste scientifiche, ed anche qualche articolo divulgativo del prof. Garattini) che già ora il rischio dei farmaci - di per sé - è altissimo? Chiunque li venda, sia chiaro. Gli Italiani, eterni bambinoni malati immaginari adatti ad ogni genere di "placebo", devono saperlo prima o poi: le medicine per lo più fanno male, anche molto male. E non solo alla tasca e alle finanze delle Regioni. Gli effetti "secondari" dei farmaci, dal più comune antipiretico alla molecola dell'ultima generazione, sono così alti, così devastanti, che non si capisce perché non li chiamano "primari". Basta dire che la molecola dell'acido acetil-salicilico è associata spesso a micro-emorragie. Di cui il pazientissimo paziente non saprà mai nulla. Però è così anticoagulante e preventivo degli infarti che...
Come insegnavano gli ippocratici: tutto fa bene e tutto fa male. Rischi talmente alti che non si vede proprio come potrebbero aumentare con la liberalizzazione della vendita. Anzi, la libertà portando con sé un certo grado di incertezza e insicurezza, al pubblico potrebbe venirne paradossalmente qualche sollievo. Tantopiù (o tantomeno) che anche nei supermercati il commesso potrebbe benissimo continuare ad essere un farmacista.
Insomma, non era giusto che tutto il rischio dei farmaci lo subissero solo i consumatori. D'ora in poi si estenderà anche ai proprietari di farmacia. Sotto forma di rischio economico da concorrenza. Era ora che colpisse la Nèmesi farmacologica, var. oeconomica.
"La battaglia contro il monopolio dei farmacisti nella vendita dei farmaci da banco, che non richiedono prescrizione medica - denuncia l'Istituto Bruno Leoni - ha conquistato una certa visibilità sui mezzi di comunicazione di massa. L'associazione di categoria Federfarma ha reagito rivendicando le caratteristiche di maggior "sicurezza" che sarebbero garantite dall'attuale sistema rispetto a uno più liberalizzato.
L'Istituto Bruno Leoni dedica al tema un Focus di Andrea Gilli, "Come si difendono le rendite. Il caso dei farmacisti" che dimostra come invece quello dei farmacisti sia il tipico comportamento di chi difende una rendita di posizione, a scapito dell'interesse dei consumatori e dell'efficienza economica in generale. Per Alberto Mingardi, direttore generale dell'IBL, "questo paper dimostra come la questione della sicurezza sia del tutto secondaria. La realtà è che non c'è nessuna ragione per impedire a una persona, laureata in farmacia e dotata di tutti i requisiti necessari, di esercitare la professione dietro il banco di un supermercato".
Il Focus è liberamente scaricabile dal sito http://www.brunoleoni.it/

Comments:
La farmacia ha conservato solo le vestigia di una professionalità che nella maggiorparte dei casi è sacrificata all'altare del mercimonio e del guadagno. Si provi, ad esempio, ad andare in farmacia con due prescrizioni di due medici diversi di farmaci ad azione antagonista o sinergica (che se assunti porterebbero nel primo caso ad una inefficacia della terapia e nell'altro ad un potenziamento degli effetti tossici): credete che il farmacista se ne accorga e vi avverta del pericolo? Vogliamo parlare del comparaggio tra medici e farmacisti? Oppure di farmacie che assumono a tempo determinato neo-laureati con paghe da fame e destinati a rimanere precari per lunghi anni?
 
Aggiungo un’altra osservazione.
Il problema delle farmacie, che è un problema di liberalizzazione dell’attività, lo si sta spostando su quello – minore - della vendita nei supermercati dei prodotti farmaceutici vendibili senza ricetta. È su questo che stanno battagliando i venditori di farmaci con propaganda diretta nelle farmacie e costosissime intere pagine di giornali.
A mio giudizio questo spostamento del problema è un modo per difendere il vero nocciolo della questione, una specie di “linea avanzata” sulla quale battagliare per “coprire”- non parlandone - il problema della liberalizzazione la cui soluzione non potrà che essere la “libertà di aprire farmacie per chiunque ne dimostri la competenza chimico-farmaceutica necessaria”, accertabile, ovviamente, non da altri farmacisti; ed in questa stessa linea “vendita libera di tutti quei prodotti per i quei non ci vuole ricetta medica”.
Il problema rimane questo: perché due fruttivendoli possono aprire un negozio uno accanto all’altro ma due farmacie no?
 
Esatto, Guido, pochi hanno notato la differenza tra le due posizioni, ma noi con la famosa pignoleria liberale....
 
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