29 aprile, 2006
Partito d’Azione. E’ attualissimo ancor oggi quel laboratorio di critica e di democrazia laica.
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È ATTUALE ANCOR OGGI QUEL
LABORATORIO DI DEMOCRAZIA
NICO VALERIO, L'Astrolabio, 8 aprile 1984
Strano destino quello del Partito d'azione. Della straordinaria accolita di giovani animosi che « con l'ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione » – come ripeteva Parri – dato sotto il fascismo e nella Resistenza, e poi nella ricostruzione della nuova Italia, i più alti esempi di dinamismo e di acume politico, di coraggio civile e militare, di integrità morale, fino a qualche anno fa parlava solo qualche partigiano di G.L., come Nuto Revelli, qualche collega del CLN, o addirittura qualche avversario. « Il Partito d'azione ha influenzato tutta la vita politica italiana fino ad oggi», lamentava l'integralista cattolico Del Noce. Come meravigliarsi – sembrava voler dire – del laicismo, del radicalismo e delle baruffe della nostra sinistra?
Eppure, mai formazione politica, come quella, era stata più citata ed evocata che realmente studiata dagli storici e dai partiti, ai quali aveva fornito per vent'anni – se si calcola anche il lavoro agitatorio di « Giustizia e Libertà » – in una diàspora che non ha l'eguale nella storia politica italiana, non solo il meglio della classe dirigente, ma anche le idee, le scelte di metodo e strategia, perfino le proposte di riforme costituzionali, sociali ed economiche più lungimiranti. Hanno pagato quel debito i laici e i progressisti che oggi vantano ascendenze azioniste?
Ora qualcosa è cambiato. Un po' perché molti protagonisti di quell'effimera ed esaltante stagione civile sono ancora tra noi; un po' per la rinascita della cultura laica e dei progetti di « terza forza »; ma soprattutto perché si ripropone il problema « morale » nei partiti e nel governo e, in tempi di nuove proposte di riforme istituzionali, ci si accorge della straordinaria modernità di quel progetto politico-sociale.
Dopo il convegno, in tre giorni, sul « Partito d'azione dalle origini all'inizio della resistenza armata », tenuto a Bologna dalla Federazione delle associazioni partigiane e dall'Istituto Ugo La Malfa, il fall-out d'interesse sulla stampa e la ricaduta di polemiche tra le due eterne anime del Partito d'azione (quella idealista liberal-democratica dei Parri, La Malfa, Bauer, Rossi, con la « coda » eretica del liberal-socialismo di Calogero-Capitini, e quella giacobina socialista-riformatrice dei Lussu, Garosci, Codignola, Trentin), hanno portato a verificare « che cosa è vivo e che cosa è morto » di quello che è stato il più vasto laboratorio politico della democrazia italiana.
I famosi « sette punti » della rivoluzione democratica, stesi da Ragghianti nel '40, sono validi ancor oggi. Il primo, la « Repubblica democratica », prevede che « il Potere Esecutivo dovrà godere di autorità e stabilità tali da consentire continuità, efficacia e speditezza di azione, per evitare ogni ritorno a sistemi di crisi permanente, risultati fatali ai regimi parlamentari ». Una politica di scelte e di efficienza, oggi attualissima, se guardiamo ai lavori della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali.
Ancora imperfetto e in parte inattuato, al punto 2, il sistema delle autonomie locali, economiche e regionali, per scarsa volontà dei governi e incapacità o corruzione negli enti locali. Attuale, dopo lo sfortunato tentativo di Ruffolo, il punto 3 sul « coordinamento economico nazionale e internazionale » (o programmazione), che prevedeva anche delle nazionalizzazioni, pur nella garanzia – oggi impossibile – che « l'intero organismo produttivo sia libero dai vincoli soffocanti della polizia economica e tutelato contro i pericoli della burocrazia ». Del punto 5, sulla « libertà dei sindacati », è attuato solo lo Statuto, ma non la coraggiosa « parte essenziale di collaborazione e di responsabilità nel processo produttivo» affidata ai lavoratori (cogestione e partecipazione agli utili). Mal attuato, col Concordato bis, il punto 6 sulla « separazione del potere civile da quello religioso». Ancora di là da venire il punto 7 sulla « federazione europea di Stati liberi democratici ».
Già nel '42 – si è ricordato al convegno – primo tra i rinati partiti democratici, il Partito d'azione anticipa la storia, forte della più alta concentrazione d'intellettuali e politici d'ingegno che mai si sia radunata sotto le insegne d'un partito italiano.
La lucidità dell'analisi sociale e politica ne fa il primo partito moderno: europeismo, anticolonialismo, meridionalismo, scuola, sviluppo tecnologico, vicinanza alle democrazie industriali, nesso inscindibile tra morale e politica. Il suo unico « errore » politico è quello di precorrere i tempi. Il nuovo « ceto medio » del lavoro, laico e progressista, né servo né padrone, quell'homo novus, borghese illuminato o salariato specializzato, (il White collar di Veblen, Friedmann e Mills) a cui si rivolgeva il Partito d'azione, 40 anni fa non esisteva in Italia, e comincia solo oggi ad avere un suo spazio economico (il « terziario ») e politico. Forse è anche per questo che oggi si riparla degli « azionisti ».
N.V.