24 marzo, 2006
Finto-mercato del menga: sotto la banca il leone ingrassa
Non lo chiameremo un "principio liberale", ma certo l’uguaglianza di diritti tra venditore e acquirente è una conseguenza logica, ovvia, della libertà di mercato e di concorrenza. I "patti leonini" sono proprio l’opposto. E invece in Italia, nell'indifferenza complice della classe politica, anche di Destra, tra utenti e banche (o assicurazioni, gestori di telefonia, fornitori di servizi ecc), nonostante l'ormai fastidioso ritornello del "mercato libero", i patti leonini sono la norma. E gli utenti, come i cittadini in generale, sono così deboli e divisi, che bisogna chiamare il papà, perché assesti una sana sculacciata al discolo di turno.
Il papà che dà gli scapaccioni è Catricalà. Ha perso la pazianza. "E’ un abuso", è anticostituzionale", "deve sparire dal nostro ordinamento", sbotta. Si riferisce alla prassi delle banche di modificare le condizioni contrattuali sui conti correnti senza avvertire i correntisti, per chiedere almeno se sono d’accordo. Invece le banche si limitano agli avvisi sulla Gazzetta Ufficiale, giornale, si sa, ogni giorno avidamente letto e commentato nei bar di tutt’Italia, tanto che lo chiamano "la rosa". Questa prassi leonina è oggi finalmente nel mirino dell’Antitrust. Catricalà punta l’indice sull’articolo del Testo unico bancario (n.118) che consente - dice - di comunicare "ai clienti a babbo morto che sono cambiate le condizioni", senza diritto di recesso. "E’ meglio - ha suggerito aggiungendo una minaccia esplicita - che le banche si autodeterminino da sole, altrimenti lo faremo noi". Replica Maurizio Sella presidente dell’Abi: è "una norma emanata anche per ridurre i costi delle comunicazioni tra banche e clienti". Oltre il danno anche la beffa: la libertà negoziale del cittadino trasformata in un mero problema di riduzione di costi. Per il leone, of course.