31 gennaio, 2006
Dibattito. Liberali costretti per anni a fare gli extraparlamentari? Gli farà bene.
"Dal vecchio PLI nacque la Federazione dei Liberali, che ha condotto vita grama cercando spazio nella coalizione di sinistra, e negli ultimi anni è risorto un nuovo PLI che cerca spazio nella coalizione di destra. Accanto a queste organizzazioni entrambe "eredi" del vecchio PLI è sorte una quantità di associazioni cultural-politiche di ispirazione liberale; basta cercare su internet e se ne trovano a iosa. Anche i liberali hanno i loro "cespugli".
Il tipo di persone che guarda o sostiene l’una e l’altra delle organizzazioni principali è praticamente lo stesso, con poche sfumature. E anche le due organizzazioni sono accomunate da uno stesso comportamento: per essere presenti in Parlamento, sembrano entrambe occupate e preoccupate più del "con chi allearsi" che del "cosa proporre o pretendere" dall’una o dall’altra parte, in termini di politica liberale, in cambio della disponibilità ad allearsi.
Purtroppo il nostro bipolarismo, tra le tante anomalie, ha quella di essere diviso tra sinistra e destra mentre invece una divisione corretta sarebbe quella tra liberali (e quindi liberisti) e statalisti ( e quindi socialisti). In questo caso avremmo un bipolarismo molto sbilanciato, perché nel nostro Paese, a prescindere dalle diffuse dichiarazioni di liberalismo, gli statalisti sono la grande maggioranza; però avremmo una situazione chiara, invece di quella attuale, equivoca e caotica, dove troviamo liberali – pochi – ovunque, e statalisti, tantissimi, altrettanto ovunque.
Come uscire da questo pantano? Penso che rinunciando per il momento – un momento che potrebbe durare anni - ad ambizioni parlamentari, i liberali farebbero bene a starsene per proprio conto, affrontare anni duri battendosi per le loro idee senza quei compromessi che sono inevitabili quando si cercano alleanze avendo tra l’altro ben poco da offrire in termini di voti.
Dovrebbero accettare di essere di fatto degli "extraparlametari" e "rompere le scatole" su una quantità di problemi ai quali i liberali sono o dovrebbero per loro natura essere sensibili, come ad esempio: la laicità dello Stato, che tende a sparire, i conflitti di interessi, che sono molto più diffusi di quanto si percepisca, la trasparenza, le liberalizzazioni delle professioni e dei mestieri (dai notai ai tassisti), un nuovo sistema di tassazione (introduzione dell’imposta negativa sui redditi con contestuale implicita introduzione di un sistema di protezione sociale che non protegga solo chi sta più o meno bene, ma anche chi sta peggio), l’eliminazione della partecipazione azionaria di Stato ed Enti Locali nelle imprese, l’accelerazione del processo di unificazione europea, l’accelerazione dei tempi della giustizia, la radicale separazione tra Magistratura inquirente e giudicante, l’organizzazione delle Forze Armate in previsione di un futuro esercito europeo, e vari altri temi.
Su questi temi, e senza i compromessi sempre necessari quando con scarse forze si tenta di allearsi o introdursi in spazi occupati tra l’altro da sedicenti liberali, i liberali italiani potrebbero differenziarsi e rafforzarsi, e in futuro avrebbero modo di riportare nel Paese il loro spirito di libertà e il loro senso dello Stato e delle Istituzioni. E va considerato inoltre che è molto più dignitoso essere extraparlamentari per scelta che esserlo perché, per una ragione o l’altra, nessuno nei due schieramenti vuole i liberali tra loro".
Purché, aggiungo io, quei mesi o anni di cattività babilonese come extraparlamentari, i liberali li sappiano impiegare bene. Che fare in questa specie di "anno sabbatico", ma proprio nel senso di "sabba"? Un grande appello agli italiani, cui seguirebbero dei veri e propri Stati generali (amico Vivona dove sei, che non ti sentiamo più?) del Liberalismo italiano. E anche riuscendo a riunificare solo un terzo dei liberali potenziali, cioè il 10 per cento circa degli elettori, altro che ago della bilancia, sarebbe una Torre Eiffel.
"Tira" finalmente il mercato: tornano gli annunci delle massaggiatrici
Poi si possono percepire gli effetti della globalizzazione: brasiliane e cubane calienti, slave vogliose, addirittura cinesi meticolose e pazienti. Quanti posti di lavoro perduti per le nostre prestatrici d'opera! Le possibilità coprono non solo tutti i gusti, ma anche tutti i momenti ed i luoghi della città. Ci siamo recati in visita ad un parente ricoverato e ci siamo rattristati? Vi è subito il rimedio per risollevare... lo spirito: ardente minorenne, prestazioni particolari, zona ospedaliera. Siamo all'aeroporto ed il nostro aereo è in ritardo? Niente paura, ci penserà Nietta, prezzi modici, calata Capodichino. O tempora, o mores, avrebbe gridato un severo censore nostro antenato, noi semplicemente sorridiamo". Guarda, caro Della Ragione, questa te la pubblico, ma se poi protestano le lettrici - ho scoperto che ho più donne che uomini tra i fedelissimi - te lo dico subito, io "non ti conosco", e scindo ogni responsabilità...
Davos "montagna disincantata": senza riforme liberali l'Italia come l'Argentina
Il ministro italiano dell’economia, Tremonti, a Davos ha replicato alla pessimista analisi di Nouriel Roubini, professore di economia a New York, che ha paragonato l' talia all'Argentina, prevedendo che, se l'Italia non intraprende con decisione la strada delle riforme liberali, a causa del protrarsi della "stagdeflazione" possa esserci un collasso dell' conomia, l'uscita dall'euro, il ritorno ad una lira molto deprezzata e seri danni anche per i paesi europei. Troppo forti sono, infatti, le differenze di sviluppo tra i vari paesi dell’euro. "Grazie dell'attenzione" all’Italia, ha risposto con sarcasmo Tremonti al Roubini che protestava la propria indipendenza. "Non so se lei è indipendente, certo è indipendente dalla logica". Il teatrino dell'economia, come si vede, non è diverso dal teatrino della politica.
Monopoli ex-statali e "mercato" di comodo: deboli coi fornitori, forti coi consumatori
Monopolio che ha significato finora costi più alti per i consumatori. Oggi abbiamo la prova provata che lo strapotere tutto nazionale di Eni non ha rafforzato il suo potere contrattuale in campo internazionale, continua Martinello. Ci troviamo di fronte a un colosso nazionale forte con i deboli (gli utenti domestici) e debole con i forti (Gazprom e gli altri fornitori stranieri). Il risultato è che i consumatori si trovano con bollette elevate e senza neanche la garanzia che in casi di emergenza, come quello attuale, vi sia una adeguata riserva di energia per dormire sonni (caldi e) tranquilli. Oggi dobbiamo constatare che per interessi prettamente aziendali l’Eni non ha previsto stoccaggi adeguati e che il ministro non ha fatto prevalere sui suoi interessi quale azionista di Eni quelli della sicurezza nazionale. Questo, mentre in piana crisi, l’Eni, continuava a fare giochetti di trading, per puri interessi economico-finanziari, vendendo gas ad esempio alla Germania, che non sembra abbia oggi problemi di scorte analoghi ai nostri.
Era questo il liberalismo economico che volevamo? No di certo. Qui manca ancora la concorrenza e i monopoli italiani ex-statali fanno pure i loro interessi, come se fossero in regime di libera concorrenza, anziché quelli dei consumatori a cui sono tenuti per essere ancora di fatto monopolisti con l’avallo dello Stato. In pratica si sono presi, nell’indifferenza dei Governi d’ogni colore, quello che gli faceva comoso: i vantaggi dei monopoli e lo spirito egoistico del mercato. Quando è troppo è troppo. Einaudi si rivolta nella tomba.
30 gennaio, 2006
"Liberale chi?" E Vespa fu punto dagli europei. Elementare, Watson
Punto sul vivo, Vespa risponde: "Mi dispiace di non condividere la Sua posizione. Nell'ultima edizione (2005) dell'Enciclopedia del pensiero politico diretta Roberto Esposito e Carlo Galli alla voce 'liberalismo' sta scritto: "In tutte le sue accezioni il termine designa la centralità conferita, in politica come in morale, all'individuo, ai suoi diritti, alle sue libertà". È esattamente il programma politico-ideologico al quale si è sempre richiamato Berlusconi. Non sta a me stabilire se questo si inserisca nella linea del liberalismo europeo. Ma non credo che Lei possa giudicare scorretto che io scriva - non a caso tra virgolette - che Berlusconi si è sempre attribuito la qualifica di 'liberale'. Ma Enzo Marzo (Critica liberale) e Raffaello Morelli (Federazione dei Liberali) hanno replicato che Forza Italia fa parte del partito popolar-conservatore europeo, spesso contrapposto ai Liberali europei o all’Internazionale liberale, e poi hanno elencato vari esempi di approccio non liberale, conflitto d’interessi alle mancate liberalizzazioni, dai privilegi di corporazioni e monopoli al clericalismo.
Però, cari amici liberali, il grave deficit di liberalismo in Italia non è certo imputabile al Presidente del consiglio. E’ endemico e radicato da secoli. Pensate con realismo alle alternative possibili nel 1994 e nel 2001: così ragiona un liberale razionale e non tifoso. Secondo voi, ciò che – è vero – non ha fatto Berlusconi avrebbero fatto invece Occhetto, Prodi, Cossutta, D’Alema, Pecoraro e Bertinotti? Definirsi "liberali" è solo propaganda, non analisi politologica. Anche Fini e D’Alema, anzi, tutti i politici italiani, si sono definiti "liberali", senza esserlo, o essendolo solo in parte. Anche perché, vista, per fortuna, la pervasività e l’ampiezza del liberalismo nella società moderna dell’Occidente, chi oggi riuscirebbe, anche volendolo, a evitare la sia pur minima azione liberale? Nessuno, neanche Berlusconi.
"Hamas non è il nazismo", dice D'Alema. Ma neanche lui è proprio Stalin
Basta, basta, abbiamo capito, redivivo compagno D’Alema che per anni ti sei spacciato per "ormai liberale", come tutti del resto. Queste sciocchezze ambigue di chi di fatto è d’accordo con i terroristi le conosciamo già. Li ascoltiamo così tanto, questi fiancheggiatori dei fanatici islamici e dei terroristi antisemiti - come Europei, voglio dire - che li finanziamo ogni anno con 500 milioni di euro, mica briciole. E nell'indignazione ci viene anche da ridere: stiamo pensando a certi amici ebrei che ancora credono che i Ds possano essere, anzi siano, o meglio possano tornare ad essere, i veri "amici di Israele".
27 gennaio, 2006
Liberali ed ebrei nel giorno della Memoria (e del Salon Voltaire). Vite parallele
Stupidi e infondati pensieri del genere, offensivi per qualunque liberale, che pure è abituato a tollerare le idee più balzane, sono diffusi tra minoranze di gente comune, specialmente la più ignorante e anziana (vedi il sondaggio di Mannheimer sull’antisemitismo). A questi stereotipi razzisti di destra e di sinistra, e all’antico anti-giudaismo cristiano, si aggiunge l’antisemitismo politico di frange molto ampie della sinistra, che mettono sul piatto per buon peso le "ragioni" dei palestinesi contro presunti "errori" di Israele, entrambi storicamente falsi, come false e ridicole sono certe fantasiose ricostruzioni della storia e della geografia di quella regione.
Ma negli ultimi anni, complice l'islamismo, siamo ritornati all’antisemitismo sfrontato. Ed è ora di dire "basta". Siamo stati troppo tolleranti con le idee balorde degli stupidi e dei fanatici. D’ora in poi bisogna combattere anche con la psicologia e l’arte della comunicazione le falsità su Internet, le leggende metropolitane diffuse negli uffici e nelle scuole, passando di bocca in bocca. E anche certi subdoli articoli di giornale che spaccano il capello in quattro per dimostrare che "non è antisemitismo, ma opposizione a Israele". Vecchio trucco.
Tanto importante per noi è questo tema – scrivevamo nel primo numero del Salon Voltaire (27 gennaio 2004) – che la newsletter liberale nasceva proprio nel Giorno della Memoria. Per testimoniare che con l’uso della ragione, dello spirito di libertà e della satira le donne e gli uomini di oggi negano all’origine non solo l’antisemitismo, ma anche il fondamentalismo religioso d’ogni tipo, il fanatismo, l’estremismo e il terrorismo.
Per questo serve una "ginnastica morale" e mentale che molti di noi, ormai incapaci di capire e di indignarsi perché diventati sedentari dell’ethos e del logos, non praticano più da decenni. Perché è provato che l’uso dell’intelligenza critica favorisce le scelte e l’impegno morale, contrariamente a quello che vorrebbe dare ad intendere una certa retorica da sacrestia del genere "Frate Indovino", in cui il "buon contadino grullo ma onesto" con la sua "santa" ignoranza sarebbe un modello positivo per la Chiesa ("Beati i poveri di spirito"), in contrapposizione al miscredente intellettuale cittadino di idee liberali, se non libertine. Nulla di più ottuso e oscurantista, naturalmente. Anche perché è proprio per la Santa ignoranza diffusa nei secoli da curie, presbiteri e preti che l’antigiudaismo prima, il razzismo poi e l’antisemitismo oggi hanno preso il sopravvento.
E anche per questo noi liberali siamo da sempre con gli ebrei: non solo perché entrambi, come minoranze, siamo stati costretti drammaticamente a vivere i medesimi problemi di libertà, utilizzando al meglio per sopravvivere l’intelligenza, la capacità d’adattamento e l’innovazione (da cui lo sviluppo del senso critico e la tendenza alla scienza), ma anche per l’abitudine comune a sorridere anche nel dramma più doloroso (l’amaro humour ebraico) e nella lotta più aspra (la tagliente satira liberale). Liberali ed ebrei: vite parallele.
26 gennaio, 2006
La Palestina ai fanatici di Hamas. Anche Hitler andò al potere col voto
La vittoria in Palestina (bisogna, poi, vedere quanto regolare) degli estremisti islamici, i fanatici di Hamas (76 seggi), contro la più laica ma corrotta Al Fathà, il partito che fu di Arafat (43), dimostra che in un Paese tribale e arretrato nessuna pantomima democratica, nessuna elezione formale, ha senso e valore. Per un liberale non vale nulla la democrazia, il "governo del popolo", se manca già prima del voto attorno ai seggi e nel Paese la maturità e consapevolezza necessaria, come un minimo d’informazione e cultura per poter scegliere con cognizione di causa. E una democrazia, oggi, "deve" essere liberale, basata su un’atmosfera feconda di libertà diffusa, rispetto dei diritti di tutti, e spirito di tolleranza, che la Storia e il progresso della civiltà hanno dimostrato essere insostituibili.
Ma queste condizioni già sono critiche nei Paesi occidentali, proprio a causa della società di massa che non permette al cittadino medio di valutare seriamente le scelte politiche. Figuriamoci nei Paesi culturalmente, politicamente e socialmente arretrati come quelli Arabi. Ecco perché non basta esportare la democrazia elettorale in un popolo che per millenni ha conosciuto solo dispotismo, violenza e discriminazione. Semmai, bisogna esportare – e la cosa potrebbe richiedere anni, se non decenni di maturazione – i principi e lo spirito liberale.
Quella di oggi, perciò, è una giornata nera per i Palestinesi, che pur di avere un cambiamento e punire le ruberie e la corruzione della classe politica lasciata da Arafat. si sono consegnati nelle mani dei fondamentalisti panislamici fautori del terrorismo e della lotta dura a Israele. Ma, per i medesimi motivi, è un giorno drammatico soprattutto per Israele, che vede proprio nel giorno della Memoria dell’Olocausto e col governo indebolito dalla fine politica di Sharon il proprio avvenire nuovamente messo in discussione.
Certo, Storia e Politica insegnano che quando i movimenti estremistici vanno al potere mutano più o meno velocemente verso posizioni più moderate. Ed è anche vero che potrebbe subito riformarsi per scissione una frangia intransigente ed estremista. Ma la Palestina è debolissima e non può isolarsi troppo. Per la propria economia dipende dai finanziamenti dell’Europa e dei paesi arabi, che non hanno certo interesse a finanziare il terrorismo e a boicottare il processo di pace nel vicino Oriente.
Commedia dell'arte. Il programma comune segreto di Destra e Sinistra
Ecco spiegato perché a capirci qualcosina di politica italiana sono, ben più dei politologi e dei giornalisti, i baristi e gli avventori dei 130 mila bar (più numerosi delle chiese, che è tutto dire in Italia) eretti nella Penisola a vero Parlamento popolare, sempre riunito in seduta congiunta. E loro hanno capito che è tutto teatro, fatto apposta per impressionare la base becera, che poi è la gente normale, che di politica non capisce nulla: la casalinga di Pinerolo, l’agricoltore di Ceccano, l’insegnante di Osimo, lo studente di Canicattì, il pensionato di Bitonto. Ma ai baristi e agli avventori da bar non la danno a bere.
Eppure, ci sarebbe materiale per discutere tra Destra e Sinistra, se entrambe non guardassero all’avversario piuttosto che agli Italiani. Come la libertà del cittadino da corporativismo e burocrazia, la tutela dei consumatori, l’energia e l’ambiente, che non sono prerogativa di quegli ignoranti e imbroglioni dei Verdi, ma che pure vogliono sensibilità, competenze scientifiche e rispetto della natura. Perché la natura non è "di sinistra", e va preservata per noi e le generazioni future. Per vivere meglio. Guai a chi la svende per farci pochi euro: non fa "una cosa di destra", è solo stupido. Sarebbe come se decidesse di tagliarselo per far dispetto a Pecoraro Scanio.
Macché, niente di tutto questo. Perché Destra e Sinistra si guardano negli occhi, in un morbosissimo rapporto di odio-amore, e per le prossime elezioni hanno già un programma segreto comune. Ve lo nascondono perché toglierebbe suspence alla partita, e perché non piace alla gente: sottomissione alle corporazioni professionali (dagli Ordini ai tassisti), alle grandi banche e alle fondazioni bancarie, ai sindacati, agli impiegati pubblici, alla burocrazia, al Vaticano, agli gnomi di Strasburgo e Bruxelles, al localismo reazionario (dalla Val di Susa ad Acerra, da Scanzano a Messina). Il tutto condito come sempre di populismo, demagogia, finzione, scelta dei peggiori, raccomandazioni degli amici, settarismo.
Certo, qualche differenza non di poco conto si nota tra i due schieramenti. Nella Casa delle libertà, per esempio, non ci sono ben tre partiti anti-liberali, anti-mercato, anti-americani e anti-Israele, che invece ci sono nell’Unione. E ci sono invece, nominalmente, vari politici liberali, "veri liberali" bisogna riconoscerlo. Ma a che servono, se soffrono di diarrea cronica, e come le famose tre scimmiette non vedono, non sentono e non parlano? Come mai, per esempio, Forza Italia e il Presidente Berlusconi hanno aderito al gruppo europeo dei popolari (la Dc) e non a quello liberale? Ricchi premi a chi, tra i tanti blog che abusivamente si chiamano "liberali", saprà rispondere a questo fondamentale quesito. Ma prima, da liberali veri, neutralizziamo una possibile stupida risposta: il gruppo liberale europeo e l'Internazionale liberale non sono infiltrati dai comunisti.
25 gennaio, 2006
"A Betti', che ti sei perso". Una scritta sul muro di Hammamet
Sopra la banca la ganga campa
Davvero, parla al cuore la scritta che mani anonime hanno vergato in rosso sul muro del cimitero di Hammamet dove riposa Craxi, a sei anni dalla sua scomparsa: "A Betti’, che ti sei perso…"
Italiani nel gorgo del Maelstrom: la sindrome della puttana moralista
Nazione femminile e infantile quante poche al mondo, abbiamo bisogno di disprezzarci. Di qui il classico tormentone da treno, il cui acme teatrale è sempre lo stesso: "Mi vergogno di essere italiano" (più di destra che di sinistra). Non ci credete? Lo dicono anche molti conservatori arrabbiati, lo scriveva - da par suo - perfino Montanelli. Di qui, anche, lo sparlare dell’Italia all’estero (più di sinistra che di destra, questo). Ma fa tutto parte di un'unica facies psicologica, direbbero i fantasiosi psicanalisti. Potremmo definirla la "sindrome della puttana moralista": lo fa, lo fa con tutti, e lo fa pure a pagamento. E mentre lo fa, gode addirittura. Ma dopo averlo fatto, si giudica male, si disprezza, cerca auto-umiliazioni, e desidera ardentemente d’essere punita.Il problema, l’abbiamo detto tante volte, non è l’Italia, come dicono al Sud da quando non ci sono più i Borboni (prima con chi se la prendevano?), ma gli Italiani. E sono proprio quelli che si lamentano.
23 gennaio, 2006
Sinistra: la levatrice nascosta nel sottoscala. E quella della Destra?
Se Mannheimer o Piepoli si prendessero la briga di sottoporre un grande sondaggio sul liberalismo in Italia, siamo sicuri che verrebbe fuori che gli Italiani d’accordo con tutti i punti tipici del liberalismo, dal mercato ai diritti civili, dall’anti-Stato alla correttezza dei bilanci, dal merito al laicismo, non sarebbero più – ed è grasso che cola, del 30 per cento. Con tutto che l’Italia fa parte dell’Occidente sviluppato. E questo, non perché, come qualcuno scrive, certi temi liberali sono superati (al contrario, sono tutti ancora attuali, se no il liberalismo non sarebbe l’unica dottrina al mondo che funziona), ma proprio perché gli Italiani non sono geneticamente liberali. Sono corporativi per interesse, protezionisti per paura, statalisti per raccomandazione, clericali per tradizione, comunisti (fascisti o anarchici) per ribellione.
Il nostro Risorgimento, per Gobetti fu una "rivoluzione incompiuta". Ma ringraziamo il Cielo che ci fu. Oggi sarebbe impossibile. Fu un miracolo laico, portato a compimento solo per la furbizia del grande Cavour, grazie anche a colpi di mano, finanziamenti inglesi, corruzione dell’esercito borbonico e alcuni trucchetti. Altrimenti in Italia avremmo ancora venti staterelli. Fa sorridere, ma oggi nella Penisola tira una tale aria reazionaria, clericale e localista che un Risorgimento e una Unità d’Italia non sarebbero più possibili. Pera, Casini e Buttiglione, che non sono né Rosmini né Gioberti, con l’appoggio cinico di sparsi teo-con e neo-con (in francese, lett.: "nuovi coglioni"), proporrebbero una "federazione sotto il Papa". Solo Pannella rifarebbe la Breccia di Porta Pia. Ma risvegliamoci dall’incubo: per fortuna il Risorgimento c’è già stato.
Ma proprio perché sono così poco liberali (e infatti tutti si definiscono tali), gli Italiani sono inclini al tribale e triviale scontro di uomini e sigle, senza veri programmi. Come per le squadre di football. Perché, del resto, tifare Milan o Roma? Per una particolarità dello stile calcistico, per la qualità del gioco, al limite per un sano campanilismo (milanesi tutti i giocatori del Milan, romani quelli della Roma)? No, solo per simpatia, antipatia, emotività infantile, spirito di gruppo, conformismo, odio settario. Tutti vizi italiani. Ebbene, una psicologia simile si è ormai impossessata della politica italiana. Non si vota per convinzione sui programmi, e infatti i partiti non li mostrano. E solo così, tacendo ambiguamente, riescono a fare l’en plein dei voti.
Ma un vero programma c’è, ed è comune sia al cosiddetto (ma è solo un nome) Centro-destra, sia al sedicente (ma è solo un nome) Centro-sinistra: populismo, demagogia, scelta dei peggiori, raccomandazioni degli amici, settarismo, sottomissione alle corporazioni, alle grandi banche, ai sindacati, agli impiegati pubblici, al Vaticano, agli gnomi di Strasburgo e Bruxelles. Il deficit di liberalismo è enorme, da una parte e dall’altra. Con qualche differenza, però: nella Casa delle libertà di liberalismo si parla senza quasi farlo o facendolo a dosi omeopatiche (però il Presidente si vanta di essere "liberale"), anche perché ogni partito ha la maggioranza o una grossa minoranza anti-liberale. Mentre nell’Unione va anche peggio: non se ne parla neanche, e non solo per timore di ben tre interi partiti anti-liberali (Comunisti italiani, Rifondazione e Verdi) e di un terzo dei Ds. Eppure qualcosina di liberale si aspettano i Poteri forti, il Corriere, e non più d’un decimo degli elettori di sinistra, se la Sinistra va al Governo. Di qui il silenzio drammatico ed eloquente di Prodi.
Già, ma noi liberali che facciamo? Ognuno, come sempre, si cercherà la sua soluzione individuale? Sta iniziando la campagna elettorale e nessuno sa quali sono i programmi della Casa delle libertà e dell’Unione. Un deficit non di trasparenza, ma di quella sana "contrattualità" liberale tra politici ed elettori molto più grave di qualsiasi conflitto d’interessi, perché tocca non la credibilità d’un candidato ma l’intero sistema politico, ed è di per sé fonte di corruzione ideologica e di disaffezione dei cittadini. Altro che Partito democratico nella Sinistra al posto degli ex trinariciuti post-comunisti, come vorrebbe giustamente il Corriere (ma si dovrebbe fare solo su un valore nuovo e rivoluzionario – dice bene Panebianco – cioè "l’anticomunismo democratico", campa cavallo…). Per ora abbiamo solo l’apporto di quei liberali ultrà, attivisti senza schema, che sono gli amici Radicali. Come la levatrice di Socrate ci provano a tirar fuori dalla pancia della Sinistra un neonato liberale. Missione difficile, quasi impossibile. Potrebbe venirne fuori un feto malformato. Per il quale s’imporrebbe l’aborto. Ma se la Sinistra ha il maieuta storico Pannella, sia pure relegato nel sottoscala, quale levatrice liberale avrà la Destra?
22 gennaio, 2006
Vaticano. Riammessi i mercanti nel Tempio: un tanto a Verbo
21 gennaio, 2006
Lo shock tardivo della Sereni, comunista anti-Israele che si scopre ebrea
In un articolo dal titolo "Da ebrea israeliana a ebrea italiana", oggi Deborah Fait pubblica sull'agenzia Informazione Corretta un articolo di cui riportiamo la prima parte. L'articolo completo è possibile leggerlo grazie al link.
"Il mio primo pensiero - scrive Deborah Fait - nel leggere la lettera di Clara Sereni "La colpa di essere ebrea", e' stato: "questa non ha capito niente", e il primo impulso e' stato di rabbia, sdegno e sconcerto. A Clara Sereni ha risposto Giorgio Israel, che deve aver provato piu' o meno le mie stesse sensazioni, poiche' a un certo punto della sua lettera ha scritto " Clara Sereni è in stato di catalessi da qualche decennio. Precisamente dal 1967, da quasi quarant’anni."
Si, in effetti, dalle cose che scrive, puo' sembrare che la signora Sereni sia stata in letargo per una quarantina d'anni ma il mio timore invece e' che sia stata ben sveglia, sveglissima e che abbia condiviso la poltica comunista dal 1967 in poi nei confronti di Israele, politica di odio antiebraico, per molti di noi difficile da dimenticare e da perdonare.
Improvvisamente Clara Sereni si e' resa conto di essere considerata diversa nel momento in cui e' stata presentata come "Clara Sereni , ebrea e scrittrice", cioe' si comunista, si di sinistra, si kompagna, si scrittrice ma, ahinoi, anche ebrea!
La reazione, a quanto pare, e' stata devastante poiche' ha convinto la scrittrice della necessita' di scrivere di una lettera pubblica in cui si legge il dolore per essersi resa conto di non essere mai stata considerata "kasher' dagli esponenti del suo partito e del suo sindacato semplicemente perche' "ebrea", quindi facente parte del popolo che, secondo il pensiero distorto e razzista dei comunisti o ex comunisti, ha scacciato i palestinesi dalla loro terra.
Il credo di Clara Sereni , che lei non denuncia ma continua ad esaltare, fa parte di quella ideologia che ha sempre condannato Israele in quanto Terra del Popolo Ebraico, che ha giustificato la barbarie dei palestinesi , che ha deformato e negato la verita', e che e' stata complice dei palestinesi quindi corresponsabile delle sofferenze di Israele aggredita, non solo da guerre esterne, ma dal terrorismo del piu' grande mistificatore della storia, terrorista e ladro che fu Yasser Arafat. (...)"
Leggi l'intero articolo su Informazione corretta
Coppola rossa sull'Unità. Dal quartierino al giornalino: sempre furbetti sono
Ma, purtroppo, è proprio il giornale dei Ds a rimetterci sulla pista giusta. Che ti ha combinato L’Unità? Oggi ha pubblicato un’intera pagina di pubblicità del Gruppo Coppola in cui si polemizza col Sole-24 Ore. Questo Coppola per noi è un perfetto sconosciuto, ma Mario Sechi assicura su Legno Storto che si tratta proprio dell’imprenditore Danilo Coppola, uno dei famosi "furbetti del quartierino", per dirla alla Ricucci, noto anche come consorte (oops, volevamo dire marito), beato lui, della Falchi.
Un'ombra sul settennato. Se "Ciampino" segue la lobby dei giudici
Proprio alla fine del mandato, quando cadono remore e inibizioni e un Presidente può essere finalmente se stesso, Ciampi ha censurato una legge che toglieva quel di più persecutorio, inutilmente borbonico e statalista, ai ricorsi dei processi, allineando almeno in questo l’Italia a qualche democrazia liberale d’Europa e d’America. D’accordo, gli italiani – vecchia storia – avendo la coda di paglia e sapendo di essere portati a infrangere la legge per genetica indisciplica, sono per lo più "innocentisti". Ma che ci sia "disparità di trattamento" in quanto al numero di ricorsi possibili, tra accusa e difesa, ci sembra irrilevante: è la difesa dei diritti dell’individuo, non la "tutela dei diritti dell’accusa" il problema in Italia. E lo scopo della norma non è garantire gli stessi "round" come nella boxe, ma appurare nella "verità processuale" se Tizio è colpevole o no. O al primo o all’ultimo processo. E se la sua innocenza viene trovata subito, in primo grado?
D’altra parte, anche in casi estremi, è inutile prolungare la tortura di processi, indagini e magari carcerazione, quando le prove portate dagli inquirenti (con tutte le polizie che abbiamo in Italia) sono modeste o inesistenti. Un processo non è "la verità" assoluta, né un giudizio morale completo sull’uomo, ma solo una decisione presa dopo che le parti hanno detto le loro ragioni. Se queste - sufficienti o insufficienti che siano - portano in primo grado ad una assoluzione, perché insistere? Ormai le prove sono quelle, ben poco di nuovo verrebbe fuori da nuove indagini. Sarebbe solo un di più inquisitorio, un’inutile e costosa persecuzione, il cui unico scopo è quello di confermare il Potere dell’Accusa, e indirettamente le Alte Prerogative dello Stato sul cittadino. Assurdo, poi, che la Cassazione, visto che c'è, non possa pronunciarsi sulle illogicità evidenti e sui vizi di contentuo d'una sentenza, anziché soloi sui vizi di forma.
Il Presidente, insomma, è sembrato cadere malamente su questioni giuridiche di lana caprina che non sono tutte farina del suo sacco, ma il frutto dei superpagati e pletorici uffici di consulenza al Quirinale, e in primis del segretario generale Gifuni, ma anche – si vocifera – delle pressioni della corporazione dei giudici e del loro organo di autocontrollo, in realtà ormai vera e propria lobby extra-costituzionale. Tanto che c’è stato perfino chi ha lamentano che sulle telefonate sicuramente intercorse al riguardo tra Quirinale e giudici, non siano state rese note finora intercettazioni telefoniche. Come a dire: ma come, ormai intercettano cani e porci, perfino la badante russa del piano di sotto, e mancano nei computer di Carabinieri e Finanza proprio le dritte di questo o quel politico (o magistrato) alla Presidenza della Repubblica? Comunque, Ciampi ha sbagliato. Una brutta ombra sul suo settennato.
20 gennaio, 2006
Cattivo esempio dall'Islam: con "Jesus Superstar" ritorna il fanatismo religioso d'Occidente.
Il fanatismo dell'Islam è un pericolo? Noi liberali, compresi i liberali cattolici, ce ne preoccupiamo molto. Non parlo del terrorismo, intendiamoci, ma solo di quella fede esagerata ed eccessiva che si fa notare perché contrasta con la vita d'ogni giorno, con la moderazione e la tolleranza della vita moderna (neu nimis, mai troppo, raccomandavano i filosofi antichi con un motto liberale). Ma il rischio è che ora anche negli Stati Uniti, forse per una distorta reazione uguale e contraria all’islamismo, stia dilagando una sorta di fanatismo cristiano che ha precedenti solo tra i primi fedeli del fanatico ebreo Joshua il Nazareo (cioè il "ribelle", secondo gli studi di Luigi Cascioli) nella Roma ancora pagana e, secoli dopo, negli anni più bui del Medioevo europeo.
Negli Stati Uniti, la società di massa evidentemente si presta alle ondate di entusiasmi, dal transvolatore Lindbergh al cantante Presley (v. poster, accanto a Gesù), dai figli dei fiori ai groupies. E' tale oggi l'infatuazione popolare per il personaggio Jesus, più che per Dio stesso, che la figura di Gesù ne è uscita stravolta. Sembra diventato una specie di Superman, un eroe western da figurine a colori. Con tanto di pubblicità sui cartelloni stradali, come se fosse l’attore d’un serial tv. Viene pubblicizzato addirittura un modo per tostare le fette di pane per farvi apparire una specie di "sindone": il Jesus toast. Se non è superstizione questa... Insomma, da divinità a mito terreno. E non so se le chiese evangeliche, in cui il fenomeno è più diffuso, se ne debbano gloriare. Gli stessi preti cattolici un tempo mettevano in guardia da ogni fanatismo i giovani catechisti. Ma oggi, dopo i "papa-boys" super-entusiasti fans di Wojtyla?
L’America, dove tutto e tutti, democraticamente, hanno il loro momento di gloria, a rotazione, ha decretato che "ora è di moda lo Spirito". Facili le ironie, conoscendo i giovani anglosassoni. Sembra quasi che alcuni di loro – fanatismi e mode sono sempre giovanili, il che la dice lunga - dal brutto vizio dell’alcol siano passati senza soluzione di continuità al vizio buono dello spirito.
Cambia poco: entrambi danno ebbrezza, per i Romani temulentia. Cosicché l’abstemius, chi si astiene dall’ebbrezza, sarà ateo?
E, quello che è più curioso, si va dallo spiritualismo esaperato al vitalismo terreno. Che è un po' una contraddizione. Gli stiliti, gli eremiti e i penitenti dell'Antichità, almeno, erano disinteressati alla vita, e vedevano ovunque la morte. Oggi, invece, accanto all'ostentazione della "bontà", che è anch'esso un controsenso perché è un "peccato d'orgoglio", è di moda presso certi giovani esaltati l’idea che attorno a noi esista un’entità diffusa chiamata "vita", che però - ulteriore contraddizione - viene vista come unica, ferma, eterna, immutabile: insomma morta. La Vita, anziché i miliardi di miliardi di vite, che in continuazione nascono e muoiono, come si conviene alla Natura da che mondo è mondo.
Il fanatismo cristiano, così, di fronte al più temibile fanatismo islamico, sembra più una reazione psicologica di debolezza (l'effetto copia) che di forza. Non per caso viene dopo l'attentato alle Torri di New York, che concentrò l'attenzione mondiale sulla diffusione del terrorismo dell'ala del Gran Califfato dell'Islam. Non meraviglia, quindi, che abbia preso piede soprattutto nell'Occidente più semplice, emotivo e suggestionabile, cioè la provincia profonda americana e le fasce d'età giovanili. Insomma, una reazione-non reazione, perché in fondo è la stessa cosa dell'islamismo super-devoto e intransigente. Anche se chi la scimmiotta in Europa, per ora pochissimi, dà più l'idea d'una diluizione all’acqua di rose che d'una soluzione concentrata. E per fortuna, in una società liberale che ha i suoi anticorpi, come negli Usa, non fa troppi danni. Al massimo danneggia gli individui che si lasciano suggestionare. Come quell’insegnante d’una scuola del Sud che ha avuto un sacco di grane sul lavoro per aver da un giorno all'altro sostituito Darwin e l’evoluzionismo con la "teoria della creazione", e il giovane campione di skate (la tavola acrobatica) che ha rinunciato alle gare, tutte di domenica, perché - ha detto - si è sentito "chiamato da Gesù" alle funzioni domenicali.
"Ma non è che tutto questo fanatismo religioso cristiano made in Usa potrà contagiare l’Europa?", si chiede l’intellettuale olandese Ian Buruma sul Corriere. Anche su questo - scrive - c'è una vera frattura culturale tra i due continenti: gli Stati Uniti sempre più religiosi, l’Europa sempre più laica e religiosamente scettica. Quesito, per la verità, già letto e riletto, e articolo un po' banale, come gran parte del giornalismo italiano, del resto.
E Rutelli lanciò tre aggettivi. Dalla finestra del "Corriere"
19 gennaio, 2006
San Giavazzi. Più taxi e meno corporazioni, altro che Grandi Opere
Ecco il problema vero: il corporativismo, sottospecie patologica, corporativismo all’italiana, tutelato per paura elettorale dai Governi di Destra e di Sinistra. Tutto in Italia è pensato e fatto non per il cittadino utente e consumatore, ma nell’interesse delle categorie protette, cioè di pochi privilegiati che sono contro la libera concorrenza e il mercato, quindi contro il liberalismo economico: tassisti, avvocati, cooperative, farmacisti, edicolanti, notai, editori di giornali, giornalisti ecc. Altro che tifo stupido da football tra una Destra e una Sinistra più o meno uguali e illiberali: voteremo chi ci assicura di risolvere questi problemi. San Giavazzi, aiutaci tu. Ma concedi ai tuoi "fedeli" una domanda ingenua: credi davvero che Prodi rinuncerebbe alle Grandi Opere "che danno voti" (secondo i politici), per dedicarsi alle mille piccole cose che interessano il cittadino e il funzionamento dell'economia liberale in Italia? Noi non lo crediamo. Tu sì? Be', qualche volta anche i santi si sbagliano, San Giavazzi.
De Luca (Pli) si difende: "E' il Premier che mi ha mandato da Rotondi..."
Intanto vediamo quelle nella Casa delle libertà.
Dopo le polemiche dei giorni scorsi, con la base liberale in rivolta e il Consiglio nazionale del Partito liberale italiano che ha detto "no" alla ventilata presentazione del PLI alle elezioni politiche insieme con la Nuova Democrazia Cristiana di Rotondi, il Segretario Nazionale del PLI, Stefano De Luca, ha inviato oggi una lettera a tutti i quadri dirigenti del partito.
"Cari Amici, desidero informarVi che, in esecuzione di quanto stabilito dal Consiglio Nazionale del 12 gennaio scorso, ho invitato gli amici Repubblicani, Riformatori Liberali e Socialdemocratici, a promuovere, insieme a noi, una lista dell’area liberal-democratica a sostegno della Casa delle Libertà. I tre movimenti interpellati, hanno declinato l’invito ritenendo che, a loro avviso, non sussistono le condizioni per presentare tale lista. A questo punto ho informato della nostra iniziativa il Presidente Berlusconi, che ci ha invitato ad aderire alla lista promossa dall’on. Rotondi, condividendo la condizione da noi posta di inserire il simbolo del PLI, in quello comune. Ritengo doveroso informare tutti i quadri dirigenti del Partito prima di assumere una qualsivoglia decisione definitiva. La complessità delle procedure previste dalla legge per la presentazione delle liste, il numero enorme delle firme da raccogliere e lo sbarramento che penalizza le liste minori, ci impone di tener conto delle indicazioni del capo della coalizione, peraltro formulate in termini molto calorosi e pressanti. In attesa di convocare gli organi del Partito, Vi prego di farmi conoscere la Vostra opinione in merito"
18 gennaio, 2006
Vergogne d'Italia: i politicanti in Sicilia si aumentano lo stipendio
L'edificante disfida d'Altamura tra la focaccia e l'hamburger
Certo, un’occasione unica per il giornale francese della Sinistra mangia-amerikani, vetero-comunista e reazionaria no-global in stile Bové, il contadino energumeno e spaccatutto che ce l’ha a morte con le multinazionali. Vedere per la prima volta agonizzare di morte non-violenta un ristorante McDonald. Non capita tutti i giorni che l’odiato panino ripieno di hamburger venga sconfitto da una piccola panetteria tradizionale, che come uniche armi contundenti sforna saporite focacce pugliesi al pomodoro, pizze di cipolla o di piccanti funghi cardoncelli (vietati dalla Chiesa durante i Giubilei perché ritenuti afrodisiaci), salsicce al pepe e pane di grano duro, mostaccioli di fichi secchi e "calzoni" gonfi di mozzarella filante.
Ecco le armi antiche ma efficaci con cui una neonata tavola calda ad Altamura ha avuto il coraggio di aprire i battenti proprio accanto al colosso col simbolo della grande M, pensate un po’, per fargli concorrenza. Ed ha vinto, anzi stravinto. Il fast-food grande e grosso le ha provate tutte, s'è inventato ogni genere di promozione, e ha perfino cambiato direttore, ma niente da fare, ha dovuto chiudere: il pubblico a poco a poco trasmigrava verso la vicina rosticceria rustica dai forti odori e sapori. Rosticceria che aveva avuto anche l’intelligenza di praticare prezzi analoghi o più bassi del gigante vicino.
Insomma, il piccolo David pugliese ha accettato la sfida, anzi ha dato battaglia per primo al Golia venuto da fuori, fornendo agli stessi prezzi prodotti di qualità e di nicchia che il gigante globalizzato ovviamente non poteva fornire. Ecco, dalla città di Altamura (65 mila abitanti e un famoso pane di grano duro) viene un piccolo grande insegnamento per i tanti italiani che non sanno fare mercato e hanno paura della concorrenza. Il segreto c’è, e guarda caso è lo stesso degli antichi Romani e del liberalismo: il coraggio. Attaccare, e attaccare per primi. Solo così si può vincere. Rispettando la concorrenza e le regole liberali del gioco economico, che per noi sono sacre. E onore delle armi alla McDonald sconfitta nell'ormai mitica "Disfida di Altamura tra la "fcazz" (focaccia, nell’orribile dialetto consonantico pugliese) e l’hamburger". Insomma, una nuova Iliade gastrosofica.
17 gennaio, 2006
Panebianco: la società libera deve avere al centro il cittadino
Cattolici "liberali". Liberali con riserva mentale, fin dall'800
Gratta, gratta, riaffiora la solita vecchia Sinistra antisemita e antiebraica
Le pezze al sedere: moralisti di professione uno contro l'altro
E ora anche Grande Accusatore alla Bellarmino. Ma Candido si chiede...
16 gennaio, 2006
Romolo speculatore edilizio: la "controstoria" del liberalismo alla Marx
Divertente, no? Perciò ci siamo dilungati. Sono esempi grotteschi di quello che può fare il difetto di storicismo, cioè quando per ottusità o settarismo non si inquadrano fatti e personaggi nella loro epoca, ma li si giudica col metro di oggi, e per di più con le screditate tesi di Marx ed Engels. Benedetto Croce ci ha insegnato a storicizzare, ma certi docenti italiani Croce non l'hanno letto e scrivono libri a tesi, come se ci fosse solo una storia, quella dell'oggi, per di più vista con occhiali vetero-marxisti. Così ha fatto il professore della Sinistra comunista "antagonista" Losurdo con una sua discutibile "Controstoria del liberalismo", in cui dà dello schiavista e del liberticida a più d’un filosofo o esponente liberale del tempo, colpevole di gradualismo, moderatismo o di "tempi lunghi", sempre scorrazzando allegramente da un secolo all’altro, e sempre giudicando secondo la sensibilità e il politicamente corretto di oggi.
Certo, John Locke (nella foto) ed altri grandi liberali del passato non dormono sonni tranquilli. Un errore così grave, quello di Losurdo, che molti giornalisti e intellettuali liberali non hanno neanche risposto alla provocazione. Però Raffello Morelli si preoccupa che una "controstoria" possa diventare, in assenza di confutazioni, una "storia" del liberalismo, e sull'ultimo fascicolo (n.43) di Libro Aperto, rivista liberale fondata da Giovanni Malagodi e diretta da Antonio Patuelli, pubblica una lunga e minuziosa critica al libro del Losurdo, confutandone le tesi faziose capitolo per capitolo. Ne riparleremo.
15 gennaio, 2006
Due gaffes di papa Ratzinger, come capo di Stato e cittadino europeo
Erano andati a rapporto – pensate un po’ – sulle misure intraprese "in favore della famiglia". E il Papa, da intellettuale semplice, ha capito che su quel terreno, con quei politici "venuti a Canossa", sia pure per propaganda, poteva osare. E ha fatto non una, ma due gaffes enormi. La prima con un’intromissione politica nelle questioni italiane, come capo di Stato straniero, visto che non si trattava di un’omelia religiosa. La seconda con un pensierino quasi sadico che dovrebbe ripugnare a qualsiasi cittadino europeo e occidentale.
Sulla pillola abortiva RU486, che permette di evitare il trauma chirurgico e psicologico dell’aborto – ma non un certo dolore, a quanto pare – ha esortato i politici ad "Evitare di introdurre farmaci che nascondano in qualche modo la gravità dell'aborto, come scelta contro la vita". In altre parole, la donna che vuole abortire, almeno sia terrorizzata psicologicamente dai ferri del chirurgo e dalla degenza in ospedale. E così, le altre donne ci penseranno due volte prima di abortire. Santità, ce lo dica ad un orecchio, ma è proprio sicuro di andare in Paradiso?
14 gennaio, 2006
Coppie di fatto secondo i liberali: nuove libertà e nuovi diritti. Per gli altri
Non gli piace essere chiamati "marito" e "moglie", guai, ma il loro è matrimonio, altroché. Perché questo nasce dalle più antiche società spontaneamente: non l’ha certo inventato la Chiesa, che è sorta solo 2000 anni fa, e che, anzi, ha praticato e propagandato il celibato, non il matrimonio, come l’unica condizione di purezza e santità. E se qualcuno l’ha regolato e ritualizzato fino a farne il fondamento della nostra società (p.es., nella forma della confarreatio, con il dono a Giove del pane dolce di farro, il libum farreum, che però poi si pappavano sacerdoti e loro domestici), questo semmai è il popolo dell’antica Roma, col diritto, insomma la civiltà etrusco-romana.
Quante sono, poi, in Italia queste coppie di fatto? Siamo lontani dai 2 milioni e mezzo di coppie della Francia. Un’indagine Istat del 2002-2003 ne ha stimate 564mila. Magari, come sempre accade nella realtà italiana, saranno 200mila in più. Ma certo un numero limitato. Insomma, un milione e mezzo di cittadini ha scelto di convivere more uxorio – come dicono i preti – praticando la forma naturale, atavica, di matrimonio, senza alcuna registrazione. Ma la tendenza è in crescita: perché all'inizio degli anni '90 queste unioni spontanee erano appena 200mila, soprattutto nel centro-nord e nelle grandi città. E si calcola che non più di 15 o 20mila saranno le richieste di regolarizzazione, quando sarà approvata la legge, attraverso i "patti di convivenza civile" riconosciuti dallo Stato.
Il loro riconoscimento, come eventualmente quello di coppie dello stesso sesso, è un tipico processo liberale. Intanto, come in tutte le istituzioni liberali, non si inventa nulla, ma si riconosce una realtà di fatto, sociale, preesistente. In tal modo si delineano nuove libertà e in conseguenza si riconoscono nuovi diritti soggettivi. E sì, perché in quanto ai vecchi diritti o alle vecchie libertà, li riconoscono – talvolta di malavoglia – anche conservatori, comunisti, fascisti, cattolici (o islamici) integralisti. Per sé, naturalmente. Solo i liberali, invece, cercano, trovano, riconoscono sempre nuove libertà. Inoltre, a differenza dei primi, i liberali questi nuovi diritti non li riconoscono "per sé" o per una classe o corporazione, ma "per tutti gli altri", per chi la pensa in modo diverso, talvolta per gli eccentrici, gli originali.
Perciò un liberale, che privatamente ha un forte senso del ridicolo, riderà, forse, degli ultimi paradossali romantici, i borghesi fuori tempo massimo che vogliono il "matrimonio gay", loro che un tempo il matrimonio, come tutte le altre regole civili, contestavano. Sparlerà, perfino, di atei, vegetariani e nudisti, combatterà questo o quell’altro. A parole. Nel privato. Ma in pubblico (la Politica) dovrà consentire e perfino difendere attivamente, alla Pannella, ogni nuova libertà, anche la più antipatica, ogni nuovo diritto. Perché proprio le nuove libertà e i nuovi diritti sono l’essenza vitale del liberalismo: senza quelli cade questo. "Ma come, proprio questi stronzissimi "pacs" sarebbero…" E già, chi l’avrebbe detto, una cartina di tornasole per noi liberali: la libertà dei diversi, degli altri, di chi ne ha bisogno. Come per il divorzio. Non solo la propria libertà: questa ce l’hanno anche Mussolini e Bin Laden.
Eh, che volete farci, cari amici infiltrati a migliaia nel liberalismo (basta leggere i giornali e i blog…) solo perché la parola è bella e voi vi vergognate a definirvi conservatori o "di destra". Intanto, sbagliate a vergognarvi, perché la parola "conservatore" è molto dignitosa, ha un senso storico – lo riconosceva anche Gobetti, che oggi definiremmo un "liberale di sinistra" – e non si capisce perché solo in Italia nessuno voglia definirsi, al contrario che nei grandi Paesi anglosassoni, "conservatore", ma solo snobisticamente "liberale" o "progressista". Però, vedete che succede a fare i furbetti snob del quartierino e a comprarvi la "bicicletta liberale" alla moda? Che adesso non sapete usarla e ci fate una meschina figura. Si vede che non è per voi. Ma la migliore vendetta è il ridicolo: l’avete voluta la bicletta "lib"? Ora pedalate davanti a tutti. E senza distruggere manubrio, cambio e freni, per favore… E che vi serva da lezione, per non definirvi più "liberali".
Pli: dopo tanto nulla un'azione? Tranquilli, non se n'è fatto niente
Ecco, quando eravamo giovani liberali il PLI era così. Se salivi le scale di via Frattina e mettevi il naso dentro qualche stanza ("Oh, mi scusi tanto...") inseguito da un sospettoso Piccio Crepas - un impiegato così liberalmente snob che considerava tutti gli iscritti al partito dei liberali infiltrati, a cominciare dal Segretario generale - intravvedevi signorili uomini di mezz'età, fronti ampie, capelli sempre troppo corti, cravatte di lana grezza stile inglese, scarpe robuste e ben fatte come si addice a dei farmer che di tanto in tanto, pur elegantemente vestiti (ma d'una eleganza sobria, veh) potrebbero da un momento all'altro far visita al fattore in Scozia o in Valtellina per controllare il silos dell'avena o del saraceno. Eh, sì, come mi piacevano quelle scarpe mai viste, forse comprate in Regent street, a Londra.
Belle facce, parole elevate, si capiva che quella gente non era lì, come i volgari comunisti, socialisti, democristiani e missini, per rubacchiare con l'inganno un voto, se non addirittura dei milioni d'allora. Nei discorsi partivano sempre da Croce, Einaudi, Risorgimento, dicevano cose che - sant'Iddio - avrebbero convinto anche i gatti, tanto gridavano signorilmente vendetta, ma poi, quando erano ormai faticosamente arrivati all'età contemporanea, alla politica in corso, molti degli spettatori se n'erano già andati, distrutti. E così, le cose da fare per il futuro, le proposte, non le ascoltava, né forse le diceva mai nessuno.
Pensavo a quella lentezza antica, a quella nobiltà inutile, a quella grandiosa gravità senza idee, quando si ricostituì lo scorso anno il Partito liberale italiano. Di nuovo belle parole, un bel segretario politico dalla faccia nobile e per bene, un vero liberale insomma. Ma il "fare", il permettere agli altri di fare, l'immagine, le nuove idee, la polemica politica, la propaganda tra la gente, la psicologia politica, l'arte della comunicazione, l'ufficio stampa, l'organizzazione di segreteria politica, il confronto quotidiano con gli altri partiti e i giornali, i programmi da realizzare entro un mese, un semestre, un anno? Nulla. Ma non un nulla vuoto, che sarebbe stato possibile riempire, piuttosto un nulla mobile, gattopardesco, che si rinnovava sempre di nuovi, apparenti, labili, contenuti. E che quindi impediva anche al più volenteroso di intervenire, di dare una mano, in cambio d'un "grazie". Nulla, e neanche il grazie arrivava ai rarissimi che una volta tanto collaboravano.
Fuori, intanto, tutti si definivano "liberali", il 40 per cento degli italiani non si sentiva rappresentato né dalla Destra né dalla Sinistra. E davvero anche un marziano avrebbe capito che i liberali non potevano essere meno del 30 per cento in Italia, Paese europeo, occidentale, sviluppato, dopo la caduta del comunismo, e la diffusione del mercato e delle regole di concorrenza tra la gente. E invece? Dentro il PLI silenzio e immobilismo come vent'anni fa. La finzione snob di essere pochissimi, una "frangia", anche se muta e immobile. La retorica degli "ultimi giapponesi". Il masochismo voluttuoso, eroico ed erotico, dello 0,3 per cento. Comodo, no? Per poter continuare nel non far nulla accidioso e meridionale. Per non dover affrontare la concorrenza di altri leader liberali ben più preparati, giovani, grintosi e vincenti che si affacciavano nel Paese. "Meglio quattro gatti sfigati e provinciali - deve essersi detto qualcuno - così nessuno mi farà le scarpe..."
E sono continuati i bei discorsi. E come sempre, addormentati dalle acute analisi politiche e dall'oratoria avvocatesca di De Luca, un vero liberale del resto, quasi impossibile da criticare per quello che diceva, pochi ascoltatori resistevano fino alla fine. Tanti, dei pochissimi, se ne andavano. Che fare? Nulla. Perché nulla era previsto che si facesse. E che, un partito, specialmente se liberale, tanto più se vuole reincarnarsi nell'ombra del vecchio PLI, Grande e Nobile Partito già defunto prima di scomparire, deve forse "fare qualcosa"? Abbassarsi al servile lavoro politico? Macché, è solo il partito della Memoria. Altro che appelli ai cittadini per una grande rifondazione liberale. Ci si accontentava, tutt'al più, di implorare non una poltrona, ma uno strapuntino, alla Casa delle libertà.
Infatti, un giorno, telefonando a un amico d'un amico, scoprimmo che il Gattopardo "pur non facendo nulla faceva tutto lui". E molto intensamente. Come ci aveva riferito un terzo amico, aveva incontrato alla buvette di Montecitorio il tale politico di Forza Italia, uno di quelli che sanno tutto e hanno sempre le mani in pasta. Anzi no, disse un altro, aveva visto uno del nuovo o vecchio Psi, o meglio, un vecchio amico repubblicano. Macché, tutte voci infondate, disse un quarto, giornalista all'Opinione. In realtà aveva inciuciato con un tale, sedicente segretario della "nuova Dc", tale Rotondi, politico sconosciuto ai più. E lì per lì di fronte alla tazzina di caffè aveva deciso un'allenza strategica o tattica per presentarsi uniti alle elezioni. Ah, bene, cioè male. Ma allora che si fa? Come sempre: nulla. Al massimo si comunica l'Alta decisione, a cose fatte, agli amici del Consiglio nazionale del PLI. Così, per una ratifica ex-post, come si faceva nel 700 nei governi retti dalle costituzioni octroyeés. Figuratevi i liberali di base, incavolatissimi.
Meno male che all'ultimo, sia i neo-neo-neo-socialisti, sia i neo-neo-neo-democristiani (la Prima Repubblica, si sa, ha lasciato molti nei) si sono guardati negli occhi e hanno esclamato all'unisono: "Ma chi sono questi del PLI? Che vogliono, chi li conosce, che hanno fatto finora?". E così, caduto il castello di carte, purtroppo il Segretario-Gattopardo, ancorché vero liberale, se ne è tornato al Consiglio con le pive nel sacco. Minchia, eppure era convinto che per fare politica in stile Prima Repubblica non bisognasse fare proprio nulla, zero propaganda, zero attività politica, sede inattiva tutto il giorno, e bastasse solo incontrare gli altri politici al caffé. Vabbé, sarà per un'altra volta.
Per "fortuna", si consolano ora nella base liberale, l'abbiamo scampata bella. E sì, perché, anche se virtuale, un po' ci sarebbe dispiaciuto che un'etichetta col nome PLI si fosse imbarcata in qualche buffonata. Ora sì, caro Segretario-Gattopardo, che siamo d'accordo con la tua filosofia: meglio che fai tutto tu, senza fare nulla, s'intende. Promesso? Cambiare perché nulla cambi. Come sempre, del resto. Viva Croce, Einaudi e il Risorgimento.