14 gennaio, 2006
Pli: dopo tanto nulla un'azione? Tranquilli, non se n'è fatto niente
Ecco, quando eravamo giovani liberali il PLI era così. Se salivi le scale di via Frattina e mettevi il naso dentro qualche stanza ("Oh, mi scusi tanto...") inseguito da un sospettoso Piccio Crepas - un impiegato così liberalmente snob che considerava tutti gli iscritti al partito dei liberali infiltrati, a cominciare dal Segretario generale - intravvedevi signorili uomini di mezz'età, fronti ampie, capelli sempre troppo corti, cravatte di lana grezza stile inglese, scarpe robuste e ben fatte come si addice a dei farmer che di tanto in tanto, pur elegantemente vestiti (ma d'una eleganza sobria, veh) potrebbero da un momento all'altro far visita al fattore in Scozia o in Valtellina per controllare il silos dell'avena o del saraceno. Eh, sì, come mi piacevano quelle scarpe mai viste, forse comprate in Regent street, a Londra.
Belle facce, parole elevate, si capiva che quella gente non era lì, come i volgari comunisti, socialisti, democristiani e missini, per rubacchiare con l'inganno un voto, se non addirittura dei milioni d'allora. Nei discorsi partivano sempre da Croce, Einaudi, Risorgimento, dicevano cose che - sant'Iddio - avrebbero convinto anche i gatti, tanto gridavano signorilmente vendetta, ma poi, quando erano ormai faticosamente arrivati all'età contemporanea, alla politica in corso, molti degli spettatori se n'erano già andati, distrutti. E così, le cose da fare per il futuro, le proposte, non le ascoltava, né forse le diceva mai nessuno.
Pensavo a quella lentezza antica, a quella nobiltà inutile, a quella grandiosa gravità senza idee, quando si ricostituì lo scorso anno il Partito liberale italiano. Di nuovo belle parole, un bel segretario politico dalla faccia nobile e per bene, un vero liberale insomma. Ma il "fare", il permettere agli altri di fare, l'immagine, le nuove idee, la polemica politica, la propaganda tra la gente, la psicologia politica, l'arte della comunicazione, l'ufficio stampa, l'organizzazione di segreteria politica, il confronto quotidiano con gli altri partiti e i giornali, i programmi da realizzare entro un mese, un semestre, un anno? Nulla. Ma non un nulla vuoto, che sarebbe stato possibile riempire, piuttosto un nulla mobile, gattopardesco, che si rinnovava sempre di nuovi, apparenti, labili, contenuti. E che quindi impediva anche al più volenteroso di intervenire, di dare una mano, in cambio d'un "grazie". Nulla, e neanche il grazie arrivava ai rarissimi che una volta tanto collaboravano.
Fuori, intanto, tutti si definivano "liberali", il 40 per cento degli italiani non si sentiva rappresentato né dalla Destra né dalla Sinistra. E davvero anche un marziano avrebbe capito che i liberali non potevano essere meno del 30 per cento in Italia, Paese europeo, occidentale, sviluppato, dopo la caduta del comunismo, e la diffusione del mercato e delle regole di concorrenza tra la gente. E invece? Dentro il PLI silenzio e immobilismo come vent'anni fa. La finzione snob di essere pochissimi, una "frangia", anche se muta e immobile. La retorica degli "ultimi giapponesi". Il masochismo voluttuoso, eroico ed erotico, dello 0,3 per cento. Comodo, no? Per poter continuare nel non far nulla accidioso e meridionale. Per non dover affrontare la concorrenza di altri leader liberali ben più preparati, giovani, grintosi e vincenti che si affacciavano nel Paese. "Meglio quattro gatti sfigati e provinciali - deve essersi detto qualcuno - così nessuno mi farà le scarpe..."
E sono continuati i bei discorsi. E come sempre, addormentati dalle acute analisi politiche e dall'oratoria avvocatesca di De Luca, un vero liberale del resto, quasi impossibile da criticare per quello che diceva, pochi ascoltatori resistevano fino alla fine. Tanti, dei pochissimi, se ne andavano. Che fare? Nulla. Perché nulla era previsto che si facesse. E che, un partito, specialmente se liberale, tanto più se vuole reincarnarsi nell'ombra del vecchio PLI, Grande e Nobile Partito già defunto prima di scomparire, deve forse "fare qualcosa"? Abbassarsi al servile lavoro politico? Macché, è solo il partito della Memoria. Altro che appelli ai cittadini per una grande rifondazione liberale. Ci si accontentava, tutt'al più, di implorare non una poltrona, ma uno strapuntino, alla Casa delle libertà.
Infatti, un giorno, telefonando a un amico d'un amico, scoprimmo che il Gattopardo "pur non facendo nulla faceva tutto lui". E molto intensamente. Come ci aveva riferito un terzo amico, aveva incontrato alla buvette di Montecitorio il tale politico di Forza Italia, uno di quelli che sanno tutto e hanno sempre le mani in pasta. Anzi no, disse un altro, aveva visto uno del nuovo o vecchio Psi, o meglio, un vecchio amico repubblicano. Macché, tutte voci infondate, disse un quarto, giornalista all'Opinione. In realtà aveva inciuciato con un tale, sedicente segretario della "nuova Dc", tale Rotondi, politico sconosciuto ai più. E lì per lì di fronte alla tazzina di caffè aveva deciso un'allenza strategica o tattica per presentarsi uniti alle elezioni. Ah, bene, cioè male. Ma allora che si fa? Come sempre: nulla. Al massimo si comunica l'Alta decisione, a cose fatte, agli amici del Consiglio nazionale del PLI. Così, per una ratifica ex-post, come si faceva nel 700 nei governi retti dalle costituzioni octroyeés. Figuratevi i liberali di base, incavolatissimi.
Meno male che all'ultimo, sia i neo-neo-neo-socialisti, sia i neo-neo-neo-democristiani (la Prima Repubblica, si sa, ha lasciato molti nei) si sono guardati negli occhi e hanno esclamato all'unisono: "Ma chi sono questi del PLI? Che vogliono, chi li conosce, che hanno fatto finora?". E così, caduto il castello di carte, purtroppo il Segretario-Gattopardo, ancorché vero liberale, se ne è tornato al Consiglio con le pive nel sacco. Minchia, eppure era convinto che per fare politica in stile Prima Repubblica non bisognasse fare proprio nulla, zero propaganda, zero attività politica, sede inattiva tutto il giorno, e bastasse solo incontrare gli altri politici al caffé. Vabbé, sarà per un'altra volta.
Per "fortuna", si consolano ora nella base liberale, l'abbiamo scampata bella. E sì, perché, anche se virtuale, un po' ci sarebbe dispiaciuto che un'etichetta col nome PLI si fosse imbarcata in qualche buffonata. Ora sì, caro Segretario-Gattopardo, che siamo d'accordo con la tua filosofia: meglio che fai tutto tu, senza fare nulla, s'intende. Promesso? Cambiare perché nulla cambi. Come sempre, del resto. Viva Croce, Einaudi e il Risorgimento.
E la primavera porterà nuovi dolori perché una siffatta agonia è troppo lunga e sanguinosa benché vissuta nei tombini di un'Italia che non ne vuole sapere del vecchio ciarpame ma neanche di qualcosa di nuovo che tutti invocano e in realtà molti temono. Gente assai lamentosa, vecchia e un pò grassoccia - noi italiani - e così poco coraggiosa tanto che attende di vivere il disastro vero, anche se annunciato mille e mille volte, per poi muoversi ed agire in emergenza e affanno.
Ormai rispondo da esterno al Pli (dopo tanto impegno ho capito che l'unico modo per dissociarmi da questo immutabile piattume liberale era togliere il disturbo e ho rispedito al mittente la mia tessera con appropriata lettera d'accompagno al Segretario nazionale), sentendomi però ancora parte d'una ideale famiglia politica.
Ebbene, l'ultima trovata (allaciare rapporti di alleanza con la nuova DC) non è solo cattivo gusto, ma archeologia pura: come si fa a pensare che gli italiani possano digerire una riedizione monca del vecchio pentapartito, ma soprattutto come può un liberale doc soltanto immaginare lontanamente di cambiare l'Italia con simili compagni d'avventure. Il vero problema è che questo Pli ormai non pesa e non significa nulla neppure sul piano delle idee pure: meglio sarebbe iniziare a delineare un soggetto totalmente nuovo, magari disposto anche a rompere gli schemi bipolari.
Saluti.
Certo, non fa niente. Ma se ci mettiamo un altro, un giovane (quale poi?, dovrebbe essere già conosciuto, ma intorno a noi vedo tanta mediocrità), siamo sicuri che sia davvero liberale? Meglio un vero liberale che non fa nulla o un finto liberale che fa molto?
L'unica alternativa è l'azzeramento di tutto e una grande rifondazione liberale, dopo un grande Appello agli italiani e veri e propri Stati generali, per dirla alla Vivona, cioè una Assemblea Costituente dei Liberali italiani. Ma sau un progetto del genere sono sicuro che le categorie produttive darebbero anche dei finanziamenti
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