09 gennaio, 2006

 

Altro che furbetti: e se provassimo a "depoliticizzare" l'Italia?

L'onestà non è un valore politico di per sé, d'accordo, ma se in Italia quasi tutta la classe politica, in questo reppresentando fedelmente gran parte della Nazione, fa della corruzione un mezzo di scambio quotidiano, un liberale - non moralista per definizione - non può che trarne conclusioni tragiche sull'efficienza democratica delle istituzioni. Che il famoso "potere" a cui aspirano i politicanti, per loro stessa ammissione ("cummandari è megghiu ca fùttiri", dicono in Sicilia), sia in fin dei conti quello di mettere le mani in pasta nella Borsa e nei pacchetti finanziari? Certo, se la bustarelle o la mazzetta di banconote nella rispettabile borsa di cuoio erano un lascito riprovevole ma accettato in Italia, perfino dall'opinione pubblica "benpensante", oggi le cointeressenze nelle scalate ai pacchetti azionari e la divisione tra i compari politici delle plusvalenze delle operazioni più azzardate sono diventate abitudine corrente in quel demi monde di mezzecalzette che opera tra politica e finanza.
Ma è la politica stessa che deve farsi da parte. Perché è essa stessa il problema dei problemi. Intanto, non sarebbe il caso di rendere la politica italiana molto meno costosa, per esempio trasformando i partiti in semplici Comitati elettorali, come quelli liberali dopo l'Unità d'Italia? Questo aiuterebbe a selezionare in anticipo la classe politica, dissuadendo i tipi più famelici dal parteciparvi. Ma il mezzo più efficace secondo noi - lo abbiamo già scritto nella News-letter - restano gli stipendi e le diarie dei politici e degli amministratori: vanno ridotte della metà della metà. E vedrete come d'incanto sparire tutta quella marmaglia dalle brutte facce che disonora l'Italia e che alla politica è attaccata come parassiti. Ma è chiaro che anche la legge elettorale e molte altre leggi dovrebbero essere abolite o cambiate radicalmente. Insomma, bisogna "depoliticizzare" l'Italia. Farla diventare più simile ai paesi anglosassoni. Altro che ridurre tutto al grottesco di tre o quattro "furbetti del quartierino":
Sul Corriere di oggi, il sociologo Alberoni, prende il discorso sulle generali, ma è chiaro dove vada a parare. "Più volte mi sono sentito ripetere - scrive - che non è possibile mantenersi retti, agire in modo moralmente corretto, in un sistema sociale in cui la gente non agisce in base ai principi che proclama e la scorrettezza è così radicata nelle abitudini, nel modo di ragionare e di sentire, da apparire un fatto naturale. E ti elenca fatti difficilmente oppugnabili. È naturale che i politici ti usino come uno strumento e poi ti buttino via quando non gli servi più. È naturale che chi arriva ad avere un posto nel governo distribuisca fra i suoi accoliti tutte le cariche. È naturale che non gli importi poi se questi sono o non sono efficienti. È naturale che, in certe regioni, ti debba rivolgere al politico per avere un posto di lavoro e lui, in qualche mondo, lo debba creare. È naturale che ci siano legami fra politica ed affari perché chi fa una legge, una modifica al piano regolatore, la nomina di un manager, fa guadagnare milioni di euro, e non deve beneficiarne proprio per nulla? È naturale aiutare i propri amici, i propri parenti e, per ricevere aiuto, devi aiutare gli altri. Perciò nei concorsi universitari io metto in cattedra tuo figlio e tu il mio, io faccio guadagnare la tua amante e tu promuovi mia moglie. È naturale che anche i sindacalisti facciano i loro interessi come gli altri. È naturale che gli artigiani, i prestatori di servizi non ti facciano fattura. In Italia sono cose così naturali che anche il pio cattolico non le considera peccati. In realtà non sono naturali per niente! Costituiscono un malcostume diffuso che non giustifica di fare altrettanto.
"È ora di smetterla con queste scuse", continua Alberoni. "Il Paese funziona perché continuano ad esserci persone capaci, oneste, con degli ideali e che lavorano duramente. Certo, quando c'è tanta scorrettezza, chi vuol affermarsi coi suoi soli meriti deve essere estremamente bravo e preparato. Perché alla fine tutti, perfino i politici più spregiudicati hanno bisogno di persone leali e costruttive. E non farà nemmeno fatica a dire di no alle proposte disoneste perché non gliele faranno. I disonesti fiutano gli onesti a distanza e lo terranno lontano dai loro intrighi. Naturalmente lo considereranno un ingenuo, uno stupido. Ma, credetemi, abbiamo bisogno di ingenui di questo genere. Ingenui testardi, tenaci, che non si fanno intimidire, che riescono a fare funzionare bene le cose di cui si occupano e rendono il Paese un po' più efficiente e pulito".
Vero, verissimo, ma queste belle e banali parole (il tanfo della banalità da parrocchia, della virtù declamata stancamente come una filastrocca di Natale dai bambini negli anni '50, è spesso la cifra dei corsivi di Alberoni) sembrano le frasi che il tipico "uomo arrivato italiano" pronuncia. E il passato? Vorrei solo chiedere non solo ad Alberoni, ma a tutti gli altri opinion leader e docenti universitari: è sicuro di essersi fatto da solo, di non aver mai cercato l'appoggio di politici e uomini di potere, di non essersi mai fatto raccomandare né di aver mai raccomandato qualcuno?

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