31 dicembre, 2005
E chi s'è bevuto 'o cafè liberale? Giavazzi, of course
E bravi i nostri amici del sito liberale "Liberal café", citati oggi dal Corrierone. Una bella soddisfazione, e un riconoscimento - aggiungiamo - anche al loro attivismo, internettiano e non solo, nel divulgare con understatement anglosassone le idee liberali. Francesco Giavazzi, ormai notissimo editorialista economico del
Corriere della Sera, è stato eletto da Liberal Café "liberale dell’anno". Il che forse lo meraviglierà un poco, perché con la modestia, come dire, scientifica degli osservatori e commentatori, Giavazzi riteneva forse di essere solo uno studioso o al massimo un testimone. Non un protagonista. Ma per noi liberali, carenti di una dignitosa classe dirigente politica, i protagonisti non possono che essere oggi gli opinion leaders. E così, anche noi del Salon Voltaire abbiamo visto spesso nel riformismo evocato dagli editoriali che Giavazzi scrive per il Corriere il nucleo di quel programma alla Tony Blair che manca ancora alla Sinistra (anzi, se è per questo, visto il cripto-statalismo e il conservatorismo dei due terzi della Casa delle libertà, manca anche a Destra). Il professore - dice infatti la motivazione - con il suo articolo pubblicato dal Corriere della Sera del 26 novembre 2005 contro il "programmismo" ma a favore delle riforme da fare in Italia, ha dato un colpo secco alla linea politica del futuro Governo, sia esso di centrodestra che di centrosinistra. Auguri quindi a Giavazzi e a Liberal Café: siamo convinti che a differenza dei famosi caffè socialisti delle tetre e fumose sale da biliardo dei primi del Novecento, su cui satireggiava il poeta romano Trilussa
("quant'è amaro l'espresso al Caffè del Progresso"), il caffè liberale sia di gran lunga più gustoso, tonificante e salutare: tiene sveglio il nostro spirito critico.
30 dicembre, 2005
Fazio conserva ufficio, auto, stipendio, scorta... Se è vera è da tapiro d'oro
Nel giorno della nomina del sospirato nuovo governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, che ha fama di "privatizzatore" e liberista, diamo il Tapiro d'oro, meritatissimo, all'ex (ma quale ex, leggete, leggete...) governatore Fazio, che da ciociaro tenace ha fregato tutta l'Italia facendo finta di andarsene dal Palazzo Koch in via Nazionale. E sì, perché si è scoperto che Fazio alla Banca d'Italia ci resta, eccome. E anche ben pagato. Ieri sera, durante il programma radio "Zapping", condotto col consueto equilibrio dal bravo Aldo Forbice (complimenti e auguri), un ascoltatore di Catania ha chiesto conferma della sconvolgente notizia: Fazio ha patteggiato pesantemente le proprie dimissioni. Ma sentite come: continuerà a prendere uno stipendio (e per uno come lui che lo aveva stratosferico, sarà comunque alto, ma quanto?), avrà un ufficio tutto suo dentro il Palazzo Koch, avrà un'auto di rappresentanza con autista, avrà una guardia del corpo. E forse altre cose che non ricordiamo. Il tutto, aprite bene le orecchie, pagato dai contribuenti, immagino vita natural durante.
Prima che corriate in armeria ad acquistare carabine di precisione con mirino zoom o anche qualche bomba a mano spacciandola per petardi di Capodanno, con l'evidente scopo di far cessare prima possibile questo scandaloso spreco ai danni dei cittadini italiani, che oltretutto - visto il pessimo rendimento di Fazio - suona come una beffa atroce, vi prego di chiedere in giro per avere conferme serie e attendibili. Anche perché sarebbe sommamente ingiusto addossare a Fazio, che ha tante colpe vere, anche una colpa fasulla. Il buon Forbice in trasmissione non ha saputo rispondere nulla, nell'incertezza della fonte, alla "notizia" dell'ascoltatore siciliano. Sarà una "bufala"? Mettiamoci al lavoro per trovare conferme. Ma se è vera, Fazio (e anche Berlusconi che glielo ha concesso), si merita il Mega-Tapiro d'oro. Anzi, visto che ha già avuto tanto, grazie ai faraonici stipendi che tutti noi gli abbiamo pagato per quindici anni, basterà una statuetta di piombo verniciato.
29 dicembre, 2005
Laicismo? E' il fondamento per i liberali. Ma Matteucci non lo sa
La vecchiaia non sembra portare saggezza allo studioso Nicola Matteucci, che in un'intervista sul
Giornale mette tra i nemici del liberalismo addirittura il "laicismo". Ma i liberali non sono laici? gli obietta giustamente il giornalista. Laici, sì, ma non "laicisti", risponde Matteucci improvvisatosi Sibilla. Cioè? Abbiamo già dimostrato nella News-letter del Salon Voltaire che questa è una distinzione fasulla, inesistente, che non sta in nessun testo scientifico, ma solo nelle recenti dichiarazioni senza capo né coda di Casini, Buttiglione, Pera e di qualche "fogliante" convertito per vendere più copie. Visto che il laicismo altro non è che l'essere laici, come spiegano i dizionari.
Certo, lo capiamo, ai clericali e agli ultra-conservatori il laicismo non piace (però ai cattolici liberali, sì), ma perché inventarsi addirittura la sciocchezza che sia "nemico del liberalismo" (non "liberalesimo", amici che fate i titoli del Giornale: dite forse "socialesimo", "comunesimo?). Anzi, ne è proprio uno dei fondamenti storici e dottrinari, visto che il liberalismo prese corpo anche dalla opposizione alla corruzione e all'autoritarismo delle norme della Chiesa, estese alla sfera civile. In altre parole, i liberali del Risorgimento, di destra, di centro o di sinistra, secondo Matteucci non sarebbero liberali. Aberrante. Eppure, perfino i liberali moderati (Centro-destra) confiscarono i beni alle Congregazioni religiose, cancellarono la manomorta ecclesiastica, incarcerarono vescovi che esortavano i fedeli a disobbedire alle leggi, bombardarono le mura del Papa ed entrarono a Roma. Tutte cose "illiberali", vero? Temiamo che Matteucci non passerebbe la maturità classica se dicesse cretinaggini simili. E che sia vecchio non è un'attenuante, ma un'aggravante, perché da vecchi si dice finalmente quello che si pensa.
La verità è che se qualcuno, oggi come ieri, pensasse di estendere le norme interne della Chiesa o della religione a leggi dello Stato, agendo come un vero e proprio potere extra-religioso, sappia che questo si chiama "clericalismo", e lui stesso "clericale". Un liberale vuol dire tante cose, ma in una situazione del genere è solo colui che si oppone fermamente e reagisce a questo disegno illiberale: il suo, quindi, in senso stretto è "anti-clericalismo", e lui stesso letteralmente "anti-clericale". Non ci sono altre parole. Non è un estremismo, ma la reazione naturale che un liberale deve tenere di fronte a chi ha infranto la norma liberale fondamentale del laicismo. Un liberale è laico o non è. Come di fronte al comunismo e al fascismo, non sarebbe liberale chi fosse neutrale, bipartisan, ma solo chi si manifestasse risolutamente anti-comunista e anti-fascista. E Croce lo ha detto più volte, chiaramente. Fa male Il Giornale a confondere in questo modo le idee ai suoi lettori: vorrei vedere se venisse arrestato il poliziotto che ha ammanettato un ladro. Certo, l'ideale sarebbe che non esistessero quei violenti di poliziotti, ma lo capiscono Matteucci e Il Giornale che, prima, non dovrebbero esistere...i ladri?
Le "Opere di Religione" di banchieri, bancarottieri & C.
A proposito, avete visto che il nostro scoop di Fazio "rifugiato all’estero", cioè riciclato per pietà o convenienza al Vaticano, è stato confermato da tante indiscrezioni? Eh, servono eccome i legami – in preziosa fettuccia di raso rosso porpora – con le Alte Sfere. Ma che avete capito: parliamo di quelli tra la Chiesa e l’abile ex governatore. Non per caso è stato il cardinale Re a spendersi personalmente in favore di Fazio, quando ormai il suo regno, quello di Fazio s’intende, che è di questa Terra, stava crollando. "Grazie", ha detto con suprema faccia di bronzo l'ex super-bancario incontrando il Papa, invero piuttosto freddino, in piazza S. Pietro.
Grazie di che? Dovremmo chiederlo al tenace uomo di Alvito, prov. di Frosinone, e dunque ciociaro (però anche lui, come Sindona, con un bel cognome siculo), proprio come Ricucci, che ha una moglie ugualmente ciarliera e intrigante, ma almeno bona, la Falchi. E anche i nuovi bancarottieri di questi giorni sono persone semplici e provinciali. Nord e sud, evviva la rampante Italia dei piccoli centri: "voja de fà", faccia tosta, gusto per gli intrighi e i trucchetti, tenacia, complessi, gaffes, e una spudorata tendenza alla scalata sociale dai tinelli rustici ai salotti buoni. Classe zero, e in più quel tanto di famosa volgarità della Provincia Italica che da noi "fa tanto simpatico". Eh, finiti i tempi in cui il simbolo della provincia che "s'è fatta onore nella grande città" era Leopardi. Già con D’Annunzio si cominciò a imbrogliare. Con Mussolini, poi, il dramma.
Finanza "laica"? Ma dove, quando? Il povero Raffaele Mattioli, della gloriosa e liberale Banca Commerciale da cui vennero La Malfa e Malagodi, si rivolterà nella tomba. Ora vediamo solo giocatori di Borsa e finanzieri d’assalto, super-bancari e mini-banchieri, che come prima cosa vanno a raccomandarsi anima e portafoglio in Sacrestia. Opere pie apotropaiche, facendo gli scongiuri. E non solo Fazio, e ora il banchiere d’assalto Fiorani, ma anche il bancarottiere Sindona cercò di giustificarsi sostenendo di essere perseguitato, nientemeno, perché "da buon cattolico aveva cercato di farsi largo in un ambiente, come quello bancario, dominato dalla finanza laica". Finanza "laica", ma dove? Non avremo gli occhiali adatti, ma noi continuiamo a vedere governatori, super-bancari, banchieri e finanzieri d’assalto che sono o si atteggiano a baciapile, altroché. Ior della Brianza. E sì, proprio. Infatti, era la religione che legava il potentissimo Sindona alla Banca Vaticana (l’Istituto per le Opere della Religione, Ior) del cardinal Marcinkus
(nella foto col Papa), ora degradato a umile parroco in uno sperduto villaggio degli Stati Uniti. Tanto più che come "cattolico" fervente Sindona era sostenuto dalla Dc e in modo particolare da Andreotti", ci ricorda in un bel corsivo di oggi Emanuele Macaluso sul
RiformistaLa cosa ci fa venire in mente quei manigoldi che fino alla Breccia di Porta Pia, regnando infelicemente i Papi-Re, dopo aver compiuto un omicidio, per salvarsi si facevano monaci in un convento. Diritto di asilo, si chiamava nel diritto ecclesiastico. Qui, però, c’è gente più furba ancora, che un piede in Vescovado o alla Curia Romana ce lo mette per tempo, non si sa mai. Di recente, è venuto alla luce lo scandalo d’un bandito della famigerata banda della Magliana che era riuscito, con qualche donazione, a farsi amiche le autorità ecclesiastiche, e addirittura a riservarsi una tomba monumentale dentro una antica basilica, al centro di Roma. Dove, infatti, attualmente è sepolto. Il che ha scandalizzato, e giustamente, un gruppo di agenti di polizia. "Ma come, noi li arrestiamo – si sono lamentati sui giornali -, i giudici li condannano per reati gravissimi, e quei cretini in tonaca gli danno sepoltura monumentale, con tutti gli onori d’un santo, addirittura in una basilica?". Ecco non vorremmo che anche Fazio, Fiorani e Ricucci (Consorte no, perché come ex-capo Coop sarà ateo) si preparino a una degna sepoltura in S. Pietro o nel Duomo di Milano. Del resto, lo stesso Gesù non fu tentato nel deserto? E anche loro, di tentazioni ne hanno avute tante, ma davvero tante. Ora, però, mettono nei guai la Chiesa. Infatti, anche se con troppa lentezza, i tempi del privilegio ecclesiastico del diritto di asilo stanno morendo, e se va avanti di questo passo, cardinali e vescovi "disattenti" o di manica larga verso criminali, imbroglioni o bancarottieri finanziari, rischiano di andare in galera. Altro che inferno: troppo comodo, ché poi magari lo depenalizzano e
motu proprio lo fanno diventare un paradiso...
28 dicembre, 2005
Satiri e moralisti della Sinistra, e ora?
Cari Grillo, Guzzanti, Fo, Serra, Bisio, Fazio e tutta la satira politica di sinistra, come vi sentite in queste ore? Credevate di menare colpi durissimi alla Destra, ma ora vi accorgete che senza saperlo stavate menando fendenti pesantissimi sui Ds, il principale partito della Sinistra. Usato come una clava contro Berlusconi, ora il moralismo politico, grazie al quale uno o due partiti (e qualche decina di politici), uguali a tutti gli altri, si sono attribuiti
motu proprio il valore aggiunto elettorale dell’onestà, si ritorce contro i Ds e la Sinistra tutta. Che figura. Che lezione, questa volta sì, "morale".
Il trucco, l’errore, è stato l’aver mescolato morale e politica, due attività umane che tutti i filosofi, da che mondo è mondo, hanno sempre tenute distinte, anzi lontanissime tra loro. Del resto la stessa vicenda giudiziaria di Mani Pulite, anche a non voler credere alla tesi del complotto, fu almeno inquinata da una caccia alle streghe politica che la trasformò in un regolamento di conti fra bande, mascherato da "lotta fra la Virtù e il Vizio", scrive Panebianco sul
Corriere.
Ma nella vita dell'uomo virtù e vizi sono inseparabili. In più, a differenza di quello dei Paesi liberali anglosassoni, il capitalismo italiano vive da sempre in simbiosi protettiva e corruttrice con lo Stato e la politica. Perché in Italia non c'era un pensiero liberale diffuso tra la gente, è mancata la Rivoluzione liberale (Gobetti), e ci sono stati gli svantaggi della Controriforma senza i vantaggi della Riforma protestante, culla del liberalismo (Croce). E’ una colpa storica gravissima della Chiesa e degli Italiani, ma questa è la realtà. E su questo punto solo noi liberali possiamo puntare l’indice accusatore.
Ma ora che questo vizio radicato dell'inghippo e del poco valore dato al merito ce l’hanno tutti, ma proprio tutti in Italia ("appoggi", "amicizie", "raccomandazioni", "do ut des"), ormai anche al Nord, che facciamo? All’improvviso mettiamo tutti gli industriali e politici collegati, anzi, tutti i professionisti che fanno "pastetta", tutti gli impiegati raccomandati e tutti i raccomandatori d’Italia, dal direttore generale all’usciere, in galera? O, peggio, solo quelli della parte avversa, solo i "nemici"? In Italia a piede libero resteremmo in pochi. Questo è il punto, e solo questo. E la sua risoluzione appare difficile e lontana nel tempo, se non cambia subito nelle scuole e nelle case l’educazione dei giovani. Campa cavallo.
Che fare oggi di fronte a questo nuovo scandalo? Intanto, auspica Panebianco, occorre razionalità. Basta coi soliti imbrogli, confondendo la testa della gente con le "questioni morali" e la lotta dei virtuosi contro i reprobi. Gli affari incrociano continuamente la politica. È dunque di politica, non di morale, che bisogna occuparsi. Non merita considerazione chi osi definirsi moralmente migliore di qualcun altro. Poiché è proprio della condizione umana il fatto di esser tutti, ciascuno a suo modo, a seconda della sua "circostanza", peccatori. Non esistono "razze elette". Ma è certo che ormai sono finiti i tempi del collateralismo tra Pci e Cooperative, e quindi bisogna che i dirigenti Ds scelgano nuovi manager e nuove regole del gioco. Altrimenti, il prezzo sarà salato. Anche per la regressione culturale di cui è vittima il loro "popolo", conclude Panebianco.
Già, sarà dura per loro, i professionisti dell'odio virtuoso, i Fo, i Grillo, le Guzzanti, i "pensatori da quotidiano", gli autoritari anarchici di internet, e tutta la larga base della Sinistra. Per quegli apocalittici immoralisti che fanno miliardi di lire, e prendono perfino premi Nobel abusivi, sputtanando i propri avversari politici, proprio come faceva Stalin, la politica è ridotta sotto il concetto d'una "questione morale" di comodo (per dirla alla Croce), come i monaci furbi nel Medioevo, come i fanatici Talebani. Ed hanno deseducato il pubblico dei giovani, ormai.
Certo, anche (ma che dico, solo) per noi liberali la Questione Morale è la prima, visto che nelle nostre radici ci sono la moralità laica e protestante del merito, del mercato, dell'uguaglianza dei punti di partenza, del lavoro ben fatto, della competenza, della razionalità. Ma, piccola differenza, per noi la questione è pre-politica, non riguarda solo i nostri avversari: riguarda tutti.
27 dicembre, 2005
Voi bruciate le sinagoghe? Noi accendiamo le nostre lampade
Si raccoglieranno domani, al quarto giorno della festa dell’Hannukkah, sotto l'ambasciata dell’Iran, i giovani e i meno giovani ebrei romani. Come l’altra volta, quando in novembre protestarono insieme con migliaia di romani contro le vergognose parole antisemite del presidente iraniano Ahmadinejad. Ma domani sarà senza striscioni e con una hanukkiah in più, una delle lampade tradizionali della tradizione rituale ebraica, questa però con otto lumi in fila più uno a se stante, detto shammàsh, servitore. Di questi lumi, ne accenderanno quattro, perché domani sarà il quarto giorno di Hanukkah, la ricorrenza ebraica che quest'anno è iniziata nel giorno del Natale cristiano. "Non sarà una manifestazione - ha detto Riccardo Pacifici, vikcepresidente della Comunità ebraica di Roma - ma un modo per cercare di illuminare i cuori del popolo iraniano, nonostante le tenebre della dittatura teocratica. Io aderisco con questo spirito". Celebrazioni di Hanukkah sotto le ambasciate della Repubblica islamica iraniana vengono organizzate nelle stesse ore anche a Londra, Berlino, Parigi e Bruxelles. Un gesto di non violenza di fronte a chi predica e pratica la violenza contro gli ebrei, in tutto il mondo.
"Discorsi a Pera 2": quello che credeva di essere Costantino II
Era il nostro mito, cinque anni fa. Eravamo convinti che fosse davvero liberale e popperiano. E ci siamo anche complimentati con lui diverse volte. Che delusione. Che ingenui, direte voi. Ma come potevamo immaginare che un uomo di cultura, un esponente della "società civile" prestata per dovere civico alla politica si rivelasse più mutevole - e nelle idee fondamentali, si badi - d’un politico di professione? De Mita e Andreotti sono due rocce, al confronto. Così continuano, nell’imbarazzo generale, i "discorsi a Pera".
"Riferendosi a quanto detto dal Presidente del Senato in un'intervista pubblicata oggi ("c'è una domanda di guida spirituale e morale che la politica non è in grado di soddisfare. Nelle prossime settimane sarà resa pubblica la prima enciclica di Benedetto XVI. Non credo che conterrà solo argomenti dottrinali"), il liberale Raffaello Morelli, presidente della Fed-Lib che fa parte dell’Unione, ha osservato che "la sostituzione del sen. Pera sta divenendo uno dei motivi più solidi per battere l'attuale maggioranza della Casa delle libertà. Infatti i sempre più espliciti appelli della seconda carica dello Stato a riconoscere al Papa una guida non solo dottrinale, costituiscono una inaccettabile violazione della laicità delle Istituzioni, che dà piena libertà di espressione alla Chiesa proprio perché non ne riconosce il ruolo di guida negli argomenti non dottrinali. Il sen. Pera intende fondare la sua campagna elettorale su questi temi. Sconfiggerlo, è l'obiettivo di chi vuole la laicità delle Istituzioni."
Forse l'amico Morelli prende Pera troppo sul serio, ma d'altra parte, che diamine, è pur sempre la seconda carica dello Stato. Che in teoria non dovrebbe neanche "parlare di politica", dovrebbe limitarsi a dirigere i lavori in aula e a tagliare nastri. Come si fa a non rispondergli? Anche per evitare che queste esternazioni, come dire, tra lo zelante, il fanatico e l'intromettente - e sì, perché entrano anche nelle cose della Chiesa, in modo indelicato - costituiscano un pericoloso precedente in futuro. Bravo Morelli, anche se sei troppo serio per Pera.
Il giallo di lady Fazio tra Finanza grigia e finanza rossa
I "diversi" sono di moda, ma non tra i Ds: sono uguali agli altri. Anzi "più uguali". Sotto Mani pulite – ricordate? - si era sputtanati a vita per 50 miseri milioni di lirette. Altri tempi. Ora a parità di moneta i ruvidi imprenditori Ds-Coop non si smerdano per meno di 20 miliardi a botta. Loro, i "puri", quelli che hanno vinto elezioni e – fino a ieri – confronti in tv cianciando di "questione morale". Che si chiama così solo quando riguarda gli altri, gli avversari, mentre quando tocca il Botteghino diventa "l’antico legame con le Cooperative", un "finanziamento storico" che fa parte delle "radici" del Pci e quindi dei Ds. Avevano smentito scandalizzati, ma il segretario Fassino e il tesoriere Sposetti dei Ds erano al corrente, altroché, della scalata del "banchiere rosso" Consorte e della sua Unipol. Ma Consorte non vuol fare la fine di Greganti, abbandonato dal Pci. E parla. E ci sono le prove che la trama Cooperative rosse si intreccia con quella degli "speculatori puri" Fiorani e Ricucci. Bpi e Antonveneta insieme a Unipol e Bnl. Che pasticcio all’italiana. Con tanto di
femme fatale: la lady Fazio che chiama più volte al telefonino, senza risposta: un segnale convenuto? Finalmente un po’ di giallo, hanno pensato gli uomini della Finanza, in grigio, investigando sui conti "in rosso" della finanza rossa. Dicono che D'Alema sia diventato verde di rabbia, quando un collega ha fatto la gaffe d'invitarlo ad uno spettacolo di ballerine brasiliane: "Opa, Opa". E neanche il sarcastico e sferzante "presidente-skipper" (tra poco, se continua così, "Generale skapper") , in quanto presidente, può tirarsi fuori. Altro che velista della domenica, qui non siamo nella stessa barca. La sua sua rischia di affondare per la bufera, mentre Ikarus dalle ali di cera corre il pericolo di rimetterci le penne e stramazzare al suolo. Nomen omen. E non per il Sol dell’Avvenire di Craxi, stavolta, ma per lo scandalo politico alla vigilia d’una dura campagna elettorale. Roba da perdere le penne, ad una ad una.
26 dicembre, 2005
Amnistia, chi marcia e chi ci marcia
Alla marcia di Natale per l'amnistia, che doveva essere oceanica, hanno partecipato solo 400 persone. Sarà stato per la pioggia, il Natale, gli intrighi della politica, oppure per l'impopolarità dell'argomento? Forse da vent'anni non è più tempo di marce. Per la pace o la guerra, la pena di morte o l'amnistia. Un'eccezione la fanno i Sindacati - con tutti i soldi che hanno - che riescono a trascinare con migliaia di pullman i lavoratori dipendenti (dipendenti dagli slogan, più che dalle leggi dell'economia), trasformando una protesta corporativa in una manifestazione politica, e spesso in una vacanza pagata. Un'altra eccezione è quella delle proteste reazionarie di professori e studenti contro ogni sia pur piccola riforma della scuola. E qui davvero il grosso della truppa è fatto di scolari casinisti e dalle idee confuse (vedi i loro insegnanti), ben lieti di marinare la scuola, insomma ignari di tutto ma non del carattere vacanziero dell'evento.
Ma negli altri casi? Oggi è sempre più difficile trascinare in piazza la gente. Del resto, più si diffonde il liberalismo, meno si marcia. E Pannella lo sa bene, visto che è a lui che si deve la geniale invenzione dell'unico "movimento militante di opinione" in Italia. Ora si lagna con Giove pluvio, i Sindacati e la Sinistra. Ma, sotto sotto, anche con i furbetti del "teatro della politica", che per fare pubblicità gratis alla propria faccia, in periodo pre-elettorale, finalmente su un tema "di sinistra", hanno fatto mostra di marciare davanti alle telecamere in modo così covinto, compunto, politicamente corretto, come D'Alema (peccato, le scarpe fatte a mano, da oltre 500 euro, si saranno bagnate), Boselli, Bertinotti, Pecoraro Scanio, Sgarbi, Amendola, Mastella ecc. Oddio, per esserci c'erano, ma non hanno mosso un dito per convocare amici e militanti. Insomma, alla marcia c'era chi marciava e chi "ci marciava", come dicono a Roma.
25 dicembre, 2005
"Sono buono tutto l'anno, fatemi essere cattivo almeno a Natale..."
In due soli giorni abbiamo ricevuto quasi 160 cartoline di Natale, quasi tutte informatiche (95 per cento), pochissime cartacee (5 per cento), con gli auguri più melensi, le frasi fatte più banali, i convenevoli più dolciastri e stucchevoli. Ma, dico, siamo regrediti ai tempi dell'asilo? Del resto, se ci pensiamo, già in quegli anni - che mai e poi mai avremmo immaginato che, non noi, ma qualcun altro un giorno avrebbe rimpianto - guardavamo alla letterina di Natale con molta ironia, ben sapendo già allora che si trattava d'un seccante "dovere sociale" preteso dalle mamme, dalle zie e dalle nonne, in cambio del quale sarebbero arrivati sicuramente svariati regali, anche dal babbo più avaro. Certo, il carattere falsamente "virtuale" (in realtà reale, altroché) di questi auguri fa sì che se ne spediscano impunemente e a cuor leggero a dozzine, superando il pudore che avremmo se dovessimo scomodarci ad andare in cartoleria, dove ci vergogneremmo come ladri, a rischio di essere riconosciuti dal collega rag. Cantini, dalla sciura Maria del piano di sotto, quell'intrigante, o dall'ex compagno di scuola Roberto, che non si sa perché di noi si è fatto l'idea che siamo dei cinici figli di buona donna. Ma il bello è che le frasi dei biglietti d'auguri più ricorrenti sono le stesse di sempre. Be', che vi devo dire, dopo una giornata così, passata a scartare falsissime parole zuccherose, ho voglia di fare un bigliettaccio di auguri tutto mio, e chi se ne sbatte di Santa Klaus, San Nicola, e tutti i Babbi Natale del mondo. "Sono buono tutto l'anno - sembra sogghignare il vecchiaccio vestito di rosso - fatemi essere cattivo almeno a Natale".
24 dicembre, 2005
La dittatura è finita, ora serve un rivoluzionario (liberale)
Fazio è stato davvero un duce. E la sua dittatura, come quasi tutte le altre, è finita con l’assedio al Palazzo ("Palacio de la Moneda"?) e qualche colpo di mitra. E' stato costretto all’esilio per aver contribuito con il suo operato ad abbassare il tasso di legalità del paese, danneggiandone l’immagine internazionale. Lo sostiene Penati sulla "Voce", un sito economico dietro cui ci sono Spaventa ed altri esponenti dell'economia liberale e liberista del versante di Sinistra. E dice anche altre cose condivisibili, che cerchiamo di restringere in sintesi.
Con Fazio se ne va il simbolo di un'economia malata e "amicale" che ha privilegiato le relazioni interpersonali rispetto alle forze del mercato, la più sfacciata discrezionalità sulla trasparenza delle regole, il dirigismo sulla concorrenza, e che ha usato il pretesto della difesa dell’italianità per proteggere interessi costituiti. Il sistema bancario è stato dunque gestito male e con il consenso di molti, come altri settori in Italia: dall’Università alla Rai. Mentre ci sarebbe da riordinare l’intero sistema bancario, frammentato e affetto da nanismo, con banche che ormai fanno solo lucrosa vendita al dettaglio di prodotti a caro prezzo (alte commissioni) a danno dei consumatori. Senza contare poi tutto il contorto e corrotto intreccio banche-imprese-politica.
La rimozione di Fazio perciò può essere l’occasione per dare uno scossone a favore della concorrenza, del merito e del mercato libero a tutto il Paese. Con notevoli risparmi, tra l'altro, anche per i cittadini. Ma solo se il nuovo Governatore avrà la volontà politica e la determinazione necessaria per superare il prevedibile fuoco di sbarramento di gran parte della classe politica e degli interessi costituiti. Ecco perché dovrà avere forte personalità ed essere un rivoluzionario. Un rivoluzionario liberale.
Solo un commento - per carità, a vostro sostegno - amici liberali dell'Unione: non dico i vostri colleghi, ma la base, la terribile "base" trinariciuta che vi ritrovate, insomma i vostri reazionari elettori, vi capiranno? A quanto ne sappiamo finora, no. E vediamo se direte queste belle cose anche in piena campagna elettorale, per esempio nelle sezioni di Livorno o del Mugello. Auguri. Noi, sia chiaro, saremo sempre dalla vostra parte. Almeno in economia.
23 dicembre, 2005
I giudici: "Spezzeremo le reni all'Amerika"
Non temono il ridicolo. I magistrati italiani, come i loro colleghi di certi Paesi retti da dittature, i militari Amerikani li "rinviano a giudizio". I pubblici ministeri di Milano hanno chiesto la cattura e l’arresto di ben 22 agenti della Cia, colpevoli di aver catturato sul sacro suolo italiano e mandato in galera all’estero – per fortuna – un imam islamico estremista che i magistrati italiani non avevano fatto arrestare. E anche il soldato americano che al posto di blocco ha sparato al mediatore italiano Calipari, sulla strada dell’aeroporto di Bagdad, è stato prima denunciato, poi rinviato a giudizio. E’ lecito sorridere?
Che gusto. E che nostalgia dei bei tempi andati, quando in eskimo i giovani d’estrema sinistra, qualcuno chissà futuro magistrato, contestavano la "Amerika assassina". Come oggi accade solo in Venezuela e in Indonesia. E stiano attenti, piuttosto, gli amerikani arroganti, a non varcare la frontiera, se no quel carcere che in Italia non si dà ai terroristi internazionali verrà comminato a loro, che i terroristi li combattono.
Gli Usa sono in emergenza, fanno la guerra – anche d’intelligence – ai terroristi e agli Stati canaglia, si mettono in gioco fino in fondo, rischiano, hanno 2000 morti, drammi e coscienze lacerate, spendono interi bilanci. Poi arrivano belli belli e a guerra finita i furbetti italiani, i generali col grosso naso, la pancia e la faccia da burocrate che parlano come diplomatici o ufficiali neutralisti della Croce Rossa, con dietro i pulcini soldatini "figl’e mammeta", elegantini nella bella divisa stirata, col rassicurante carico di pasta-salsa-olio-vino al seguito. Il solito copione. A parole siamo super-alleati, ma con la scusa del "cuore in mano", come al solito, stiamo un po’ di qua e un po’ di là, temporeggiamo, facciamo i "buoni" (e dunque gli amerikani sarebbero i "cattivi"), familiarizziamo col nemico, cediamo ai ricatti dei terroristi, ci mettiamo d’accordo con la controparte, paghiamo riscatti, facciamo azioni segrete per liberare un ostaggio senza chiedere il permesso alle autorità locali. Ora, poi, l'azione giudiziaria.
Dignità? Chiamiamola, piuttosto, vigliaccheria, doppiezza. E qui non c'entrano i giudici, ma quasi un intero popolo. Con queste premesse, con un finto alleato così infido, anche Socrate avrebbe dato ordine di sparare al check point su un’auto italiana non segnalata, e poi di rapire e mettere davvero al sicuro, cioè lontano dall'Italia levantina, l’imam antisemita collegato ai terroristi.
Ma i magistrati italiani non lo capiscono. C'è una mezza guerra mondiale, Signori della Corte, altro che codice italiano. Lo sappiamo, un giudice, come un militare o un poliziotto, non può avere il sense of humour. Però, sarà da ridere, ne vedremo delle belle. Nel loro delirio di onnipotenza, i nostri togati, che non riescono ad assicurare alla giustizia rapinatori, ladri, assassini e imbroglioni bancari, quando ci sono di mezzo gli Amerikani sono stranamente efficienti. Il messaggio che vogliono lanciare è che loro "non si fermano davanti a nessuno", per fortuna. "Io non ci sto", direbbe Scalfaro. Ora, però, gli storici sono preoccupati. Temono che, ringalluzziti dal proprio stesso gesto, i giudici attaccheranno anche le "vecchie pratiche insolute". Potrebbero spiccare mandato di cattura internazionale contro Giulio Cesare, per "attentato alle garanzie costituzionali", contro 260 consoli romani in solido per "schiavismo", contro Napoleone per aver trafugato la Gioconda, contro il Signore (anzi, "contro Ignoti, ha proposto un Sostituto agnostico) per "disastro colposo", avendo provocato il Diluvio Universale.
D'Alema, sopra la barca e sotto la Banca
D’Alema, presidente dei Ds. ha un conto in banca proprio con la Banca popolare italiana di Fiorani. Di questi tempi, potrebbe essere un indizio grave. Questa banca è accusata tra l’altro di aver concesso ad amici e personaggi influenti conti e finanziamenti privilegiati, a scapito dei comuni correntisti, ai quali, per di più, venivano fatte pagare con l’inganno le perdite delle operazioni truffaldine. Ma sembra che il conto di D’Alema sia solo servito a pagare le rate del mutuo per la sua barca "Ikarus". Meno male.
Però, di fronte a tutto questo interesse sulla sua vita privata, addirittura con incursioni illegali sul suo conto, fotocopiato e dato in pasto ai giornali e all’opinione pubblica, D’Alema che già di suo ha un caratterino difficile si è giustamente risentito. Parla di privacy violata. Tra l’altro, non solo quelle vipere della Margherita (i rutelliani sono i veri avversari oggi dell’egemonia dei Ds a sinistra), ma perfino il Corriere della sera e l’Unità hanno intinto il pane nel sugo della vicenda: "D’Alema e la sua barca" o "D’Alema e le sue costose scarpe fatte a mano" o "D’Alema e il suo strano conto Bpi". Con ampio spazio, calcando la mano e insinuando dubbi, se non altro di opportunità e immagine.
E così il presidente deve aver perso il controllo. E si è rivelato. In un’intervista pubblicata oggi cade in una gaffe incredibile, di quelle che stroncano un politico già "comunista trinariciuto" che faticosamente ha cercato negli ultimi anni di ricostruirsi una faccia presentabile, socialdemocratica, di leader della Sinistra riformista. Oggi accusa gli avversari, compresi un partito e un giornale (e quali se non la Margherita e il Corriere? ha fatto notare Bordin nella rassegna stampa di Radio radicale) di tramare contro di lui e contro i Ds e, ciliegina sulla torta, ha accusato i Poteri forti e i mass-media addirittura di "anticomunismo". Roba che oggi non dice più neanche Cossutta, neppure se lo legano e lo fanno ubriacare…
Come cittadino, sia chiaro, D’Alema ha tutta la nostra solidarietà liberale. Ma come politico, no. Perché, a parte la gaffe rivelatrice sull’anticomunismo (e noi non avevamo mai creduto alla favoletta dell’improvvisa conversione liberale, sia degli ex Pci, sia degli ex Msi), dimentica che quello che lui oggi sta provando lo hanno provato sulla propria pelle molti politici e comuni cittadini sotto Tangentopoli e Mani pulite. E molti erano innocenti. Tanti ebbero la carriera politica e la vita stessa stroncata. Ma si vede che barca e scarpe costose non favoriscono la memoria. "Caro D’Alema – gli chiede il nostro amico Renato Tubere in una news – che cosa facevi e dicevi dieci anni fa?"
22 dicembre, 2005
Natale? Le origini pagane dell'Europa
L’anno sta per concludersi, l’inverno sta per entrare nel suo periodo più centrale e più freddo: siamo al solstizio d’inverno. E’ forse il tempo d’una piccola pausa per i bilanci personali, magari per programmare qualche iniziativa per il prossimo anno. Nei pochi giorni di sosta c’è chi romanticamente indugia nei buoni propositi, ma è solo perché non ha riletto quelli che scrisse nell’ultima pagina dell’agenda lo scorso anno. Quasi mai realizzati. Mentre abbiamo fatto cose che non immaginavamo neanche. Così, curiosamente, questi nostri limiti ci rendono più saggi, perché ci fanno apparire ai nostri stessi occhi vulnerabili dall’alea, dal Caso.
E ora che per fortuna il sole, invertendo l’inquietante tendenza degli ultimi mesi, riprende a sorgere sempre più presto, a splendere sempre più in alto, e a tramontare sempre più tardi, la certezza della nuova luce conforta la nostra vita. Possiamo capire, perciò, la gioia dell’Uomo primigenio e le ataviche Feste della Luce, o del sole, in un periodo dell’anno in cui di sole e di luce non ce n’è mai abbastanza. E’ in questo periodo che i naturisti tedeschi organizzavano nella loro Lichtbund (Associazione della Luce) feste in cui per rigenerarsi esponevano il corpo ai tiepidi raggi del sole invernale.
A Roma la riforma di Cesare calcolò il solstizio, e quindi il giorno natale del dio Sole (Dies Natalis Solis Invicti), nel giorno corrispondente al nostro 25 dicembre, anziché il 21-22 dicembre. Ecco come nasce il Natale: era già da tempo una tradizionale festa pagana. I Romani, infatti, tenevano in questo periodo i Saturnali, una settimana di grande rito collettivo e orgiastico della vitalità, del gioco, degli eccessi, della libertà totalei, e dell’infrazione delle regole costituite. I Cristiani non riuscendo ad eliminarla utilizzarono questa festa, modificandola. Quando, molti anni dopo la scomparsa di Joshua il Nazareo (una figura contestata, si veda la dotta ricerca di Luigi Cascioli), si appropriarono di questa grande festività pagana, spostarono la nascita di Joshua dal 6 gennaio al Natale del Sole. E soprattutto divisero la festa in due momenti. La festa ludica la collocarono subito dopo l’Epifania (il Carnevale), alla fine della lunga festa religiosa. Quest'ultima, con furbizia da moderni esperti di "audience" e di psicologia, la fecero iniziare prima del solstizio d’inverno, proprio per comprendere i popolarissimi Saturnali.
Per gli astronomi antichi, il solstizio, nonostante le Feste della Luce, i Saturnali, il Natale del Sole Invitto o di Joshua il Nazareo, era solo un momento della rotazione terrestre utilizzato per calcolare il trascorrere degli anni. Ma in realtà ha ormai un valore culturale, perché è legato alle nostre più antiche e più radicate origini. Quelle di un'altissima cultura, prima nel mondo per diritto, organizzazione statuale e sociale, costumi, architettura, tecnologie, scienza, esercito ecc. Mai la cultura cristiana in 2000 anni ha prodotto opere e personalità così grandi, a parte le chiese, come quelle che gli Etruschi-Romani produssero in soli 1000 anni.
Altro che le panzane di Pera, Casini, Buttiglione, Ruini & C. sulle "origini cristiane" dell'Europa, che neanche un Bignami di terza media pubblicherebbe. Origini "naturiste", pagane e romane, invece, sia per l'Italia, sia per l'Europa. Ecco da dove viene perfino il Natale, "la più cristiana" delle feste.
21 dicembre, 2005
L'amnistia, la marcia e il teatrino della politica
"Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri – scriveva Voltaire – poiché è da essi che si misura il grado di civiltà di una nazione". Vero. Ed è anche vero che molte carceri italiane sono disumane, il che è contrario non solo all’efficienza e alla dignità liberale, ma addirittura alla Costituzione., che riserva a questo punto un comma. Detto questo, dobbiamo deludere i tanti amici – due per tutti: Achille Della Ragione, di Napoli, e Luca Tentellini di Roma – che ci hanno invitato appelli per la Marcia di Natale per l’amnistia. Suvvia, amici, cerchiamo di vedere le cose non emotivamente ma con razionalità: che c’entra il problema delle carceri con gli indulti, le amnistie, le grazie e i condoni? Lo so che è sempre stato tirato in ballo, ma è solo una scusa. "Perché tutta questa caciara sull’amnistia?", chiede in una lettera al suo giornale Claudio Velardi, già consigliere di D’Alema, ora editore del Riformista e su posizioni che potremmo definire "liberali e liberiste di sinistra". Che senso ha marciare per l’amnistia, se il problema sono le carceri piene? Semmai bisognerebbe manifestare "per riformare e sveltire la giustizia e far funzionare i tribunali". Questa sì che sarebbe una "posizione riformista", spiega: "a difesa del buon senso e dei brandelli dello Stato di diritto. E poi costruiamo nuovi carceri civili, se servono". E Sofri? "Cosa c’entra Sofri con l’amnistia? – conclude Velardi – "Mescolando le cose gli creiamo grave danno".
E tutto questo gran parlare di riduzioni di pena ad intervalli regolari, alla vigilia di elezioni o a Natale (già, ma perché proprio a Natale, festa cristiana, si vuol forse dare ad intendere che l’amnistia sia un "perdono" cattolico, una "buona azione"?), coltivando speranze che illudono i carcerati, e che se non avverate possono provocare sommosse, non rende ormai incerte e casuali le pene in Italia? Pene all’italiana, cioè così severe proprio perché mitigate dalla quasi certezza che ai potenti "amici degli amici" non verranno applicate, e che ai cittadini comuni resterà qualche residua speranzella di amnistie e indulti ricorrenti. Che poi finiscono per sommarsi negativamente al reperto medievale e assolutistico della "grazia" del re, e ai troppi condoni concessi negli ultimi anni con la scusa di "fare cassa", determinando un’atmosfera di incertezza e discrezionalità del diritto degna del Regno delle Due Sicilie e di Re Franceschiello. Diciamo che a noi sembrano ipocrite e paternalistiche versioni giuridiche laiche del "perdono" del prete confessore, già un abuso secondo le altre chiese, comunque intollerabili in un sistema liberale. Non vogliamo una giustizia "pietosa" (in entrambi i sensi: che fa e ha pietà), ma liberale, cioè giusta, equa e razionale.
Scrive il liberale Federico Orlando sull’Europa. "Marcia per l’amnistia? No, innanzitutto per la destinazione della marcia: San Pietro. Avrei preferito il Quirinale, che è tornato ad essere il luogo dell’unità, della laicità, dell’indipendenza e della sovranità dello Stato. Chi vuole, se è d’accordo col Papa, vada pure a San Pietro, ma non per sostenere leggi che spetta fare istituzionalmente e unicamente allo Stato. E poi – prosegue Orlando – l’amnistia non può essere giustificata con "le carceri che scoppiano". Se scoppiano, vuol dire che difetta la prevenzione dei reati, che troppi comportamenti illegali sono puniti come reati e invece dovrebbero essere depenalizzati, che troppe sentenze irrogano anni carcere e non cercano pene alternative, che le carceri sono poche e vecchie, e bisogna costruirne di nuove e umane, che le leggi criminogene vanno abolite, che i processi vanno sveltiti imponendo ai giudici tempi certi per decidere (oggi la prescrizione è alimentata anche dal fatto che molti giudici non lavorano o non possono lavorare abbastanza)".
"In questa riforma complessiva della giustizia, che di per sé svuoterebbe le carceri di permanenze divenute inammissibili, l’amnistia avrebbe quindi solo un ruolo complementare e conclusivo. Naturalmente non dobbiamo dimenticare che i veri delinquenti, gli omicidi, gli stupratori, i mafiosi, gli usurai, i bancarottieri, i distruttori dell’ambiente, i falsari, sono relativamente pochi, e il loro posto è la galera. Ma in larga maggioranza i carcerati sono gente povera, un terzo stranieri, un terzo tossicomani, un terzo giovani "violenti" come i "Ragazzi di vita" di Pasolini, capolavoro che ogni parlamentare e giudice dovrebbe imparare a memoria prima di insabbiare le riforme della giustizia o di emettere sentenze".
Senza contare che si sa bene che non c’è in Parlamento attualmente una maggioranza bipartisan dei due terzi che possa votare un’amnistia, ha fatto notare Violante. E quindi questa campagna che illude i poveri carcerati potrebbe essere solo un espediente un po' cinico per avere gratuita visibilità sui giornali e in tv. Insomma, il solito teatrino della politica. Dove conta non tanto il fare ma il dire e il far vedere...
Il treno è ecologico e conviene. E la psicologia?
Il treno è ecologico ed economico. I camion, i pullman e le auto sono costosi e inquinanti. Dunque anche in Val di Susa è la linea ferroviaria che si dovrebbe potenziare (o ricostruire ex novo per l'alta velocità), proprio per ridurre il traffico infernale di Tir e auto che sta rovinando una valle, peraltro non bellissima e già molto rovinata dall'uomo (cemento, casacce, argini, pali, fabbrichette, strade d'ogni tipo, centrali, viadotti, autostrade, tralicci, antenne ecc). Ma la posizione reazionaria ed egoisticamente "Nimby" ("not in my backyard", non nel mio cortile) dei valligiani, a cui i no-global violenti venuti da tutta l'Italia hanno offerto braccia e menti (be', più le prime, rafforzate dai randelli, che le seconde...), è di un'ottusità unica. In pratica dicono "no" alla nuova linea, e basta. Come se la linea ferroviaria dovesse servire solo a loro e non all'Italia, all'Europa. Come se la valle fosse di loro proprietà esclusiva e non di tutti gli italiani. Ripeto, una posizione ottusa. Un ricatto alla Ghino di Tacco.
Allora, la prossima volta che i cretini della Val di Susa si azzardano a varcare le porte di Milano e Roma, li ricacciamo indietro con i vigili armati? O gli chiediamo una tassa per farli entrare, come fanno a Londra? E sì, perché in base allo stupido principio che la Valle è di loro "proprietà", anche Milano e Roma sono nostre. E se permettete, noi i sottosviluppati extra-europei di Borgone o Bussoleno a piazza Duomo o al Campidoglio proprio non ce li vogliamo. Uno a uno, e palla al centro.
Ma vediamo i costi spiccioli dei vari trasporti. Ce li fornisce Primo Mastrantoni, segretario dell'Aduc. Per "costi" si intendono quelli esterni complessivi (ambientali, sanitari, di congestione).
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Costi per il trasporto passeggeri:
Strada: 8,11 cent di euro per passeggero chilometro;
Rotaia: 2,05 cent di euro per passeggero chilometro;
Aereo: 4,02 cent di euro per passeggero chilometro.
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Costi per il trasporto merci:
Strada: 12,51 cent di euro per tonnellata chilometro;
Rotaia: 1,97 cent di euro per tonnellata chilometro;
Aereo:15,48 cent di euro per tonnellata chilometro.
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E’ evidente, insomma, che la rotaia, cioè il treno, conviene. Perché allora - si chiede Mastrantoni in una sensata lettera a Notizie Radicali - tanta opposizione alla linea TAV Torino-Lione? Be', per cominciare, esiste una opposizione diffusa a tutto ciò che può modificare abitudini radicate. Succede per la TAV, per gli impianti di smaltimento dei rifiuti (vedi Acerra), per i depositi di scorie radioattive, ecc. Insomma, l'uomo di oggi è sempre più egoista e ottuso. Accetta volentieri le comodità che il progresso può dare, ma poi non accetta il rovescio della medaglia, cioè i problemi che ne derivano. L'ultimo esempio? Oggi torna di moda il nucleare, ma nessuno è disposto ad accoglierne i rifiuti. Vedi la rivolta di Scanzano Ionio.
D’altra parte chi gestisce queste attività [aziende, enti locali, Stato, NdR] ha un approccio "verticale" alla soluzione dei problemi. In pratica si decide tutto a tavolino tra esperti, imprenditori e politici. E i cittadini consumatori? A noi , però, che ci sono stati in passato vari incontri con i sindaci e i comitati della Valle. O no?
Un esempio oggi comune è quello delle conseguenze prevedibili sull'ambiente. La valutazione di impatto ambientale (VIA) dovrebbe essere fatta prima che si decida dove collocare strutture che comportino significative modifiche territoriali. Non dopo che è stato già deciso il luogo, come si fa oggi. Ecco, forse nel caso della Val di Susa, non aver fatto il VIA per tempo induce oggi alla protesta.
Siamo alle solite, nei rapporti tra poteri e cittadini il difetto è quasi sempre di psicologia. Più che non sapere o non fare, in genere "non si fa sapere", si agisce sempre in segreto. Il che poi si traduce per tutti (ditte, Stato, cittadini) in costi aggiuntivi e imprevedibili. Compresi quelli di ordine pubblico... Quando metteremo in Costituzione il principio della trasparenza delle decisioni? O così, come temono alcuni che conoscono bene i "loro polli" (gli italiani), "non si farà più niente?
NOTA di sei anni dopo. Pur restando un grande sostenitore del treno, l'acquisizione di informazioni più complete mi ha fatto cambiare idea sulla TAV in Val di Susa. Come scrivo in un articolo dettagliato e complesso del 2011, mi sono accorto semplicemente che questa Grande Opera, come il Ponte sullo Stretto di Messina, non serve, ma è pura speculazione. E anzi, se ci tengono tanto, chissà quali interessi obliqui e intrallazzi nasconde. Una linea ferroviaria Torino-Lione esiste già, infatti, ed è quella che funziona oggi. Ebbene, è sotto-utilizzata, perché non c'è grande richiesta di mercato, né si prevedono aumenti futuri. E allora?
Etichette: economia
20 dicembre, 2005
Restauri dei monumenti: spese pazze coi denari di tutti
Dopo un mese di piogge, mura e monumenti romani che avevano resistito alle piogge di millenni "rischiano di crollare". Possibile che nessuno parli di responsabilità di controllori e amministratori? Che sono pagati per questo? Ora, dice il ministro Buttiglione, per quel che resta della Domus Aurea, reggia di Nerone, ci vogliono subito ben 5 milioni di euro (10 miliardi di lire) per interventi urgenti, più 55 milioni (110 miliardi) in seguito, come ha riportato il Corriere. Per il sovrintendente Bottini servono almeno 260 milioni di euro (500 miliardi di lire) per consolidare i monumenti romani più a rischio (Palatino, Caracalla, Acquedotto Claudio ecc), 50 solo per le Terme di Diocleziano.
Con tutto l'amore morboso che abbiamo per le Antichità e per l'arte antica, tutti questi soldi a noi sembrano davvero troppi. In tempi di crisi e di sprechi di denaro pubblico siamo - dobbiamo essere - giustamente sospettosi. E in Italia, purtroppo, a pensar male non si sbaglia mai. Non sappiamo se i funzionari, con la testa persa tra le nuvole della Storia, si lascino infinocchiare da quei furboni delle imprese edili iscitte negli Albi del restauro. O se sia il contrario. Ma dopo aver consultato amici e parenti architetti, alcuni specializzati in restauri, abbiamo scoperto che simili previsioni di spesa, tanto più per dei ruderi, sono astronomiche. Se corrispondono ai prezzari di Ministero o Soprintendenza non lo sappiamo; ma allora vuol dire che questi sono di circa tre-quattro volte superiori ai restauri normali dell’edilizia. Eppure, il cotto è cotto (fatto a mano), la malta cementizia è tale e quale, il lavoro, gli scavi e gli spostamenti di terra lo stesso. Si può concedere che per le maggiori cautele il costo salga, mettiamo del 50 o del 100 per cento, ma non certo del 300 o 400 per cento. A meno che gli operai non siano laureati al MIT di Boston e infilino tra mattone e mattone sottili lamine d’oro…
13 dicembre, 2005
I "nuovi reazionari" anti-liberali della Sinistra
Bello l'articolo del liberale Egidio Sterpa sul
Giornale di ieri. "Che significa essere liberali - scrive - e chi sono e dove stanno oggi i liberali?" Anche lui prende le mosse, come abbiamo fatto noi (vedi), dalla sparata pedagogica di Bertinotti a Franco Debenedetti: che ci stanno a fare, certi liberali, a Sinistra? che si facciano un loro partito, senza rompere le balle. Perché con la Sinistra i liberali non hanno niente a che fare. E anzi, se si fanno una lista, voglio vedere - dice Bertinotti - quanti voti prendono. Sempre che una lista liberale, quei poveretti, riescano fisicamente a presentarla, aggiungiamo noi... Come dargli torto? commenta Sterpa.
Certo, non vediamo nessun liberale tra i tanti no-global, glocal, black-bloc, e nella stessa base della Sinistra che esprime politici o economisti "per bene", "moderati", "con la testa sulle spalle", che poi in fin dei conti resta molto anti-americana, un po' antisemita, tanto pseudo-ecologista, troppo anticapitalista (quando non si tratta del capitalismo "da rapina" delle coop rosse), sempre giustizialista, istintivamente staliniana. Perché, si sa, l'avversario politico è un nemico, e se non si riesce a sconfiggerlo col voto, bisogna denunciarlo alla magistratura, meglio se anche questa è fatta di "compagni", che garantiscono rinvii a giudizio e sentenze. Senza contare i patetici comunisti storici come Cossutta e un buon quarto dei Ds, o gli allegri, fantasiosi, quasi-comunisti gandhiani arcobaleno (Bertinotti). Tutta 'sta gente sarebbe "democratica"? Dicono di esserlo, anzi formalmente se ne riempiono la bocca (salvo brogli ai seggi...), ma certo si tratta di viscerali anti-liberali.
Fortuna che sul Riformista Biagio De Giovanni ha replicato a Bertinotti: che cosa sarebbe una democrazia che consideri con ostilità ed estranea la dimensione liberale? "Sarebbe una democrazia lontana dalla tradizione più alta del pensiero europeo, dal concetto di libertà affermato da Constant - qui in un'antica stampa, ritratto nella sua maturità, NdR - (fondamentale il discorso pronunciato nel 1819 all’Athénée Royal di Parigi) e prima ancora da Kant (la libertà dell’uomo come risultato di scelta autonoma e non eterodiretta) e da Montesquieu, autore de Lo spirito delle leggi, opera che afferma l’altrettanto fondamentale principio della divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario)".
A De Giovanni bisogna essere grati - dice Sterpa - per la intelligente e robusta difesa della indispensabile coniugazione democrazia-liberalismo. Giustamente definisce "nuovi reazionari" quanti rigettano il liberalismo con "irresponsabile critica". Indica senza esitazione negli "antagonismi antimoderni e corporativi" uno dei lasciti della "vecchia sinistra italiana". E conclude: "L’intelligenza della sinistra deve impegnarsi perché ciò non avvenga: il suo vero compito è in questa battaglia".
Ma la Sinistra di oggi in Italia ha in sé valori, principi, che siano garanzia per la tenuta e lo sviluppo di un regime insieme democratico e liberale? C'è da dubitarne. Non a caso Ralf Dahrendorf, teorico liberale che spesso la Sinistra cita a proprio vantaggio - obietta Sterpa - scriveva giorni fa su Repubblica che la democrazia politica, magari con elezioni formalmente democratiche, da sola non garantisce l’ordine liberale", anzi può portare ad una democrazia illiberale, come è avvenuto in vari Paesi. Insomma, per dirla con von Hayek, perché un regime politico sia davvero liberale, bisogna che libertà di pensiero e libertà di azione del singolo cittadino siano assicurate sempre e anche nelle cose più piccole della vita quotidiana. Insomma, come insegna il mondo anglosassone, o il liberalismo permea l'intera società, oltre alle istituzioni e al diritto, diventando anche un "modo di pensare" e di comportarsi giorno per giorno, oppure non esiste.
Radicali: ma il programma resta (quasi tutto) liberale
Se qualcuno temeva un addolcimento in salsa sinistrese del programma dei radicali, specialmente sul versante economico liberista, be', si dovrà ricredere. E' vero però che, grazie alla posizione "sul confine", gli amici radicali mettono ora in risalto, tra i tanti loro temi tradizionali, quelli più appetibili in teoria per la psicologia cattolica e "di sinistra" (virgolette ironiche d'obbligo), come l'amnistia, che a noi liberali, poco amanti del perdonismo e sempre determinati a volere la responsabilità personale e la certezza del diritto, non ci entusiasma. Però, l'analisi tecnica (la giustizia non funziona in Italia, per colpa di giudici, accusatori e avvocati) e quella sociologica sono fondate. I carcerati non devono diventare oggetto d'un "sindacato" specializzato (come anche tossicodipendenti, gay, donne, giovani ecc), ma è vero che sono per lo più tossicodipendenti, immigrati e poveracci. E non è populismo ammettere che in Italia i grandi criminali, tanto più quelli dell'economia e della politica, stanno fuori.
Ma, a guardare alle adesioni, anzi ai silenzi dei Ds, si direbbe che anche questo tema "strappacuore" non sia neanche più tanto della Sinistra politica istituzionale, quanto di quella alternativa e, ancora fino a papa Wojtyla, di quella cattolica. E poi, certo, nel programma radicale c'è la grazia a Sofri - riferisce Cazzullo nell'intervista di oggi sul Corriere -, e più in generale il potere di grazia del presidente della Repubblica. Quindi l'abrogazione del Concordato, l'eutanasia, i diritti delle minoranze (anche sessuali) e la riforma del sistema politico in senso anglosassone. Pannella e il bravo segretario politico Capezzone dicono sì alle proposte avanzate tempo fa da Giavazzi: abolizione degli ordini professionali (a cominciare da quello dei giornalisti), del valore legale del titolo di studio, e della golden share con cui lo Stato continua a dirigere di fatto e di diritto i consigli d'amministrazione degli Enti "privatizzati". Infine, visti i propositi di vendetta e reazione che circolano nella Sinistra estrema, un deciso no all’abolizione della legge Biagi, che - va ammesso - è una delle riforme buone fatte dalla Casa delle libertà. E ancora, separazione delle carriere dei magistrati, e - va da sè - la fedeltà alle alleanze in politica estera, cioè all'Occidente liberale.
Be', che dire, anche eliminando quelle due o tre cosette osé che potrebbero dar fastidio dentro Forza Italia, sempre più lobby di baciapile di provincia e piccolo-borghesi conservatori, saremmo disposti ad immolare sull'altare di Abramo gli agnelli sacrificali Willy Bordon, Arturo Parisi o Rosy Bindi (tanto, se mancano, chi se ne accorge?) pur di sentire a chiare lettere e a voce alta il medesimo programma liberale e liberista del "matto" Pannella dalle savie "tre scimmiette" liberali che nel Centro-destra non parlano, non sentono e non vedono.
Gli Ordini del disordine e l'Italia delle corporazioni
Riordinare gli Ordini, fino ad eliminarli. E' la riforma più difficile di tutte. E non solo non si toccano i privilegi degli Ordini, ma si stanno estendendo per legge a nuove corporazioni, nuovi "albi" chiusi: dai "pranoterapeuti" ai "maestri di yoga". Una riforma liberalissima che non ha fatto la Sinistra quando è stata - a lungo - al Governo. E non l'ha fatta la Destra, finora, anche se ne accennò nel programma del '94. E averne parlato, sia pure in un tempo lontano, senza poi farne nulla, non si sa se è un'aggravante o un'attenuante. "Che cataclisma deve accadere - scrive a questo punto un lettore del Corriere, Giorgio Gentili, che immaginiamo giovane e ingenuo - perché un governo di non importa che colore metta mano alla riforma degli ordini professionali?" E così risponde Romano: Leggo ne La Stampa che il 40 per cento dei parlamentari italiani appartiene a una categoria professionale contro il 18,5 per cento in Gran Bretagna. Capito? La politica stessa, in Italia, è basata sull'appoggio e la connivenza delle corporazioni privilegiate, che vivono di rendita di posizione fuori mercato. Sarebbe ingenuo chiedere proprio a loro un appoggio per liberalizzare il lavoro indipendente, no? Speriamo in Sant'Europa. Ancora una volta, un po' di liberalismo - e non solo le sciocchezze burocratiche - potrebbe venire imposto da Bruxelles e Strasburgo, dall'alto, come le costituzione regie "octroyées", concesse dai monarchi pre-risorgimentali al popolo bue.
Mai mettere la mano in fallo
Una provocazione commerciale come un'altra. Un manichino - maschile stranamente - che porge con la mano stilizzata un fallo vibratore di gomma ad una "manichina". Il tutto in una vetrina alla moda nella Galleria Colonna, a Roma, dove passano quasi tutti i turisti, specialmente quelli italiani. Meglio chiamarli "forestieri", perché lo status di turisti bisogna pure conquistarselo. E sarà stupidità, sarà noia, sarà provincialismo un po' "prude" (ormai a scandalizzarsi sono solo i provinciali, tanto più se in missione), fatto sta che si crea una folla impressionante davanti alla vetrina del fallo. "Problema di ordine pubblico"? Sì, per certi agenti di passaggio, che non trovi mai quando le zingarelle ti derubano. Eccoli accorrere prontamente. Forse annoiati in una giornata di ordinaria amministrazione decidono che vale la pena di fermarsi a vedere che succede: dopotutto meglio intervenire qui in centro che in borgata. E' la folla che li spaventa. Scoperto che è a causa di falli di gomma e vibratori, entrano in negozio e sequestrano gli utensili sessuali. Ma sì, l'unica cosa che hanno saputo fare. A Londra, ma solo se intralciava il traffico, avrebbero gentilmente invitato la folla a circolare. Quì no, si va alla "radice" del problema. Manu militari. Ma non si sono resi conto di attentare alla libertà di espressione: censurare una scena da vetrina è esattamente come bloccare uno spettacolo teatrale. Con qualche implicazione alla libertà di commercio in più. Una piccola cosa, una sciocchezza di cronaca, d'accordo, ma il costume si vede dalle piccole cose. L'incidente ci ricorda tanto i sequestri di "materiali osceni" o "pornografici" nella Roma "in cui risiede il Papa", spiegavano con sussiego commissari, agenti, politici e giornalisti fino agli anni 60 mettendo dentro i cellulari (quelli veri) attori, registi, edicolanti, locandine teatrali e pacchi di riviste. Così, in pieno 2005, per aver "esposto in vetrina manichini in pose oscene con riproduzioni in plastica di parti anatomiche maschili e femminili ben in vista", la coreana Kim Soo Hyoune è stata denunciata per esposizione ai fini di vendita di materiale osceno. Nel negozio, molto frequentato anche dai "minorenni", gli agenti hanno sequestrato centinaia di oggetti "a luci rosse" - recita il mattinale come se fossimno a New Orleans nel 1910 - di vario genere. Un piccolo, brutto "amarcord", per dirla in romagnolo.
Ma sì, si torna ai sani vecchi tempi. Ai "valori", ai "princìpi". Quando Scalfaro giovane schiaffeggiava le belle signore scollate, e un imberbe Andreotti censurava perfino i film con Totò. Un po' in ritardo, si vede che è iniziata la ricerca delle famose "radici cristiane" della nostra Cultura. Capito? "Cultura". Chiederemo conferma a "I Quattro dell'Ave Maria": Casini, Buttiglione, Pera e Ferrara. Non l'avete visto il film? "Il bello, il brutto, il buono e il cattivo". E' una compagnia di giro, arriverà prossimamente anche nella vostra città.
11 dicembre, 2005
Hanno sparato sulla Croce Rossa
Al terzo
moribondo musulmano che all’apparire della rossa Croce dei soccorritori si è rivoltato dall’altra parte fingendo d’esser
morto, preferendo così rendere l’anima ad
Allah piuttosto che tradire la propria fede, i dirigenti svizzeri della Croce Rossa l'hanno capita. Meglio abbandonare il simbolo della
Svizzera, pardon della Croce, e passare all’ateismo, con un bel simbolo quadrato, molto razionale e
giacobino (peccato sia trasverso, quasi - ma non è - un rombo, segno della tipica
obliquità degli europei), che potrebbe essere la rappresentazione grafica della
Ragione d'Europa, anziché della regione d'Europa dove nacque nel 1864. Una ragione all’antica, da barricate della Rivoluzione dell’89, visto che continua ad esser
rosso sangue. Ma questo "cristallo" quadrato - assicurano i burocrati svizzeri - sostituirà il vecchio simbolo solo nelle aree critiche, e in compenso farà entrare nella CRI oltre alla
mezzaluna verde islamica anche la
stella di David ebraica, fino a ieri tenuta fuori.
Un "cristallo" che a noi illuministi risorgimentali piace, eccome. Anzi, ci sembra quasi un miracolo laico. Ora ci aspettiamo che anche nella bandiera svizzera, da cui era stata ricavata la Croce Rossa, ci mettano un quadrato a sghimbescio. Azzurro o verde, però: ché tutto quel rosso-sangue spicca troppo sul bianco delle nevi alpine e porta terribilmente sfiga a turisti ed escursionisti. Ironia? Per carità, a noi razionalisti quel simbolo, "scientifico" ma un po' folle, dà ossigeno, altroché. Perfino quel matto di Bossi, se vuole una soluzione razionale e veloce, cerca "la quadra". Sì, ma non la cerca storta. D’altra parte, che cosa avrebbero potuto scegliere gli gnomi di Ginevra? Il cerchio, da quando sta dietro la testa dei Santi, è inflazionato: solo Wojtyla ne ha fatti centinaia. Non di cerchi, ma di santi. E uno spaccone da "Bar dello sport" ne mise in fila quattro, per le Olimpiadi. Il triangolo è stato già abusivamente occupato dalla SS.Trinità. Il Pentagono è cosa dei militari Usa. L'Esagono serve ai nazionalisti francesi: è l'unica cosa che gli resta. L’Ottagono è il simbolo, rimpianto, delle antiche spider Mg. Il quadrato dritto è ormai del sudoku. Che è l’unica cosa che funziona e ha successo tra quelle in cui c'è di mezzo il "sud". Perciò in Italia, per invidia, i perfidi nordisti l’hanno trasformata in "sodoku".
Insomma, ai ragionieri svizzeri che, si sa, non hanno fantasia da vendere, non restava che il rombo quadrato. Com’è il loro spirito, e il loro fisico, in fondo. Quadrati ma corti. Un vero rombo lungo, a sei lati, gli sembrava troppo libertino, capace di tutto: "e se poi su internet diventa un fallo?" Meglio non rischiare: tagliamolo corto. Così nessuno si fa troppe illusioni.
10 dicembre, 2005
Sir Fausto "Tweed" Bertinotti: "Ma perché i liberali non si fanno un loro partito?"
L'elegante farmer reazionario Bertinotti, tra un vernissage e un dinner party, un'olivetta e una coscia femminile, così apostrofò il cosiddetto "liberal" (che da noi ormai è liberale di sinistra, ma negli Usa - dove la parola è nata - vuol dire in realtà ultra-progressista...) Franco Debenedetti, senatore dei Ds: "Ma perché i liberali non si fanno un loro partito, e non si misurano con il consenso, invece di nascondersi nella sinistra, che per vocazione dovrebbe essere estranea alla cultura dei liberali? Forse perché sanno che non avrebbero consenso...". Bene, riferiremo all'amico Morelli, che schifato dai berluscones ritiene incompatibili liberalismo e Casa delle libertà, ma curiosamente compatibilissimi liberalismo e Unione. Ora la smentita "autentica" gliela dà Bertinotti. La battuta ironica di Sir Tweed però ha colto nel segno. E Debenedetti ha respinto la provocazione: "Mi chiedo perché lo domandi proprio a me". Ben detto. Infatti, bisognerebbe chiederlo ai tanti che si definiscono "liberali", molti di più a Destra che a Sinistra (oltre a Debenedetti, e senza contare il liberale storico Zanone, solo Morando, Turci e pochi altri).
San Bertinotti. Che aspettiamo noi ridicoli liberali snob di Destra e di Sinistra (esistono, caro Morelli, esistono), tutti ugualmente individualisti accesi uno contro l'altro, campioni nella sottile arte della "tricotessarotomia" (lo spaccare il capello in quattro), sempre pronti a dividerci, scinderci, distinguerci, suddividerci, anziché unirci, a rifondarci in un solo movimento partendo una buona volta da zero? Siamo talmente tanti sulla carta che, perfino in un'Italia illiberale, in teoria avremmo oltre il 30 per cento dei voti, capìto Mannheimer e Piepoli? Il liberalismo ha vinto dappertutto, ma alcuni di noi non se ne sono accorti, i "moderati" dell'intelligenza. Qualche scemo finto-liberale (e sì, perché, secondo voi, dove andranno a infiltrarsi i mediocri se non in un gruppo "moderato" dove nessuno ti controlla o ti costringe a dichiarare le tue scelte politiche?) è addirittura convinto che non è stato il liberalismo a vincere, ma il comunismo a perdere. Von Masoch, più che Freud.
E c'è chi, in provincia e nel Sud, pur di essere "presidente" o "segretario" di qualcosa, si accontenta di una sigletta-fantasma da 0,1 o 0,3 per cento, evitando come la morte la propaganda, rifiutandosi di far conoscere il liberalismo alla gente, anzi tagliando le gambe ai giovani e ai volonterosi, impedendo come il Gattopardo che qualcosa cambi, si maturi, si accresca, si diffonda tra gli italiani. Stupidi? Mediocri consapevoli: "Finché la mia sigla resterà minuscola e virtuale non farà gola a nessuno, e dunque nessuno più bravo di me mi caccerà, anche se come segretario sono una nullità..." "Liberali" del terzo tipo: più che da poltrone, da biglietto da visita...
Perciò, cari amici liberali ottusi e snob, che nascosti e silenti nei più diversi partiti così tanto male fate al liberalismo in Italia, prestate orecchio al vostro "compagno" di snobismo Sir "Tweed" Bertinotti, che di queste cose se ne intende più di voi. Andate ad una vera Rifondazione liberale. Ma cominciando da zero, con un Appello con cui chiamate a raccolta tutti, ma proprio tutti, da Ostellino a Sgarbi (sì, pure gli antipatici), compresi i 100 Club di cultura liberale. E non cominciando col dire: "iscrivetevi al mio gruppo"... Allora sì, su un progetto preciso e credibile di Assemblea Costituente dei Liberali italiani (ottimo nome, basta con i "partiti"), con il meglio dell'intelligenza liberale e liberista, che arriverebbero anche i finanziamenti dei mecenati.
Ritratto d'un Fregoli della politica
Un "uomo delle Istituzioni", uno dei più illustri rappresentanti della Seconda Repubblica. La sua biografia politica, però, più che idealità o istituzioni, evoca il teatrante Leopoldo Fregoli, celeberrimo per le formidabili doti trasformistiche. Ha compiuto incredibili piroette con le quali è arrivato fino ai vertici dello Stato, in quota laica e berlusconiana. Da quando si proclamava fautore di un "socialismo pragmatico" e strizzava l'occhio al Psi di Craxi (primi anni Ottanta), a quando come intellettuale "di sinistra" scriveva sul Manifesto. Da quando cavalcava l'ondata giustizialista e antipartitica provocata da Mani Pulite (primi anni Novanta). Da quando, campione liberale di laicità e anticlericalismo, si avvicinò ai radicali, fino a quando nel 1994 liquidò l'avvento di Forza Italia affermando che "Berlusconi è a metà strada tra un cabarettista azzimato e un venditore televisivo di stoviglie, una roba che avrebbe ispirato e pure angosciato il povero Fellini". Ma nel 2005 lo troviamo (a parte l'alta carica istituzionale) senatore di Forza Italia, nemico giurato delle "toghe rosse", filoclericale a braccetto con papa Ratzinger, antilaico e teo-con all'italiana. Chi è?
Il libro "Siamo alla frutta: ritratto di Marcello Pera", scritto dal dirigente radicale Michele Di Lucia e presentato in via di Torre Argentina, a Roma, da Giuliano Ferrara, Gad Lerner e altri, non è solo un pamphlet polemico, ma soprattutto un'accurata e perfino equanime ricostruzione biografica, a quanto riferisce chi l'ha letto. Del resto, i cambiamenti d'abito del professore divulgatore di Popper sono stati tali e tanti che parlano da sé: inutili le invettive.
Noi di tutti questi passaggi funambolici ci meravigliamo, sì, ma un po' ne sorridiamo anche, come si fa ad uno spettacolo acrobatico ben riuscito. Ci vuole abilità. Ma è una malattia ben nota nell'Italiuzza del "O Franza o Spagna, purché se magna". Del resto in letteratura esistono saggi o capitoli interi sulla tendenza al "trasformismo" degli uomini (politici o no) dell'Italia dal Medioevo ad oggi. In questo Pera è tipicamente italiano. Anche nelle "motivazioni". E sì, perché in Italia queste giravolte si chiamano "maturazioni", con la scusa che "solo gli stupidi non cambiano idea". E' vero, ma chi parlava di intelligenza elementare? Noi qui si sta parlando di coerenza morale, di ethos, di maturazione psicologica, e anche di personalità. Ed è indubbio che chi ha propensione a cambiare spesso idea, una forte personalità non ce l'ha.
Certo, si può discutere il buon gusto dei libelli ad personam (ma quanti ne circolavano nell'800?), che talvolta possono paradossalmente creare una vittima-eroe, come scrive l'amico Luca Tentellini sull'Opinione. Ma, caro Luca, perché lo definisci "un libro illiberale"? Un liberale è sempre un polemista. Sarebbe "staliniano", è vero, solo se i radicali fossero in un Governo assolutista e avessero il ministro di polizia. Ma allora, stà sicuro, Pera sarebbe un "radicale ultrà", anzi un giacobino mangiapreti. E poi, ricordiamocelo, il liberalismo non è mai neutrale, anodino, vigliacco. Non è la media delle posizioni politiche possibili, come credono molti non liberali che pure cianciano di "liberalismo" a Destra e a Sinistra, ma è una vigorosa e decisa parte in causa. Non solo gli eroi del Risorgimento, ma perfino Gobetti, sapevano che il liberalismo è lotta. E nella lotta, si sa, ci sono gli avversari. E se questi colpiscono sotto la cintura o con armi vietate (strumentalizzando la Chiesa, la "morale" cattolica, le "origini cristiane" dell'Europa, il no alla libertà della scienza), cioè con un clericalismo da 800, noi dobbiamo reagire. I liberali sono tenuti alla legittima difesa. E se i radicali hanno commesso qualche errore politico, come scrive l'amico Luca (ieri, in sintesi, eccesso di referendum e quesiti "non politici" o troppo politici, oggi confusione tra liberalismo e socialismo nella versione "ad usum Prodi"), questo non vuol dire che nel confronto con Pera non abbiano ragione. Non vorrai, caro Luca, mettere i due errori sullo stesso piano, vero?
09 dicembre, 2005
Le facce tristi e vuote del Centro-destra
Non ha espressione, non muove un muscolo del volto. Volto? Si fa per dire. Perfino la voce è monotona e senza personalità. Un commesso di drogheria? No. Un impiegato qualunque? Ma sì, è uno dei tanti "impiegati della politica" all'italiana. Specie: Centro-destra. Varietà: Udc. E uno così dimesso, che non ha un curriculum personale, originale e creativo da mostrare, e che perfino la faccia punisce, vorrebbe fare il "candidato Sindaco" di Roma. Candido, non candidato.
Dice: ma a quel posto mica c'è un genio, c'è uno come Veltroni, diplomato (a fatica) all'Istituto di cinematografia. E se lo fa lui... Certo, anche le mosche, nel loro piccolo, sono più grandi delle formiche. Ma non hanno le mandibolette a tenaglia. Vedi, caro Baccini, è che tu sei peggio, molto peggio, d'un Veltroni qualsiasi. Uno, cioè, che non è esperto di nulla, non pulisce la città, non riempie le buche sulle strade, non regola il traffico, non fa nulla di nulla. Ma almeno ha la faccia tosta di farsi bello con i personaggi che invita, organizza concerti (coi soldi di tutti), fa spettacolo ("scena", dicono a Roma quando uno "fa finta"), e soprattutto ci sa fare coi giornalisti. Che infatti ne parlano bene, chissà perché. E ci prova gusto, si vede che "je piace fa' 'a politica". Come se la politica fosse un lavoro, e per lui lo è.
Questo Baccini è peggio? Sì, ma non d'un peggio che fa male, no (magari), ma d'un peggio che non si vede, che ti sfiora e ti irrita. E che proprio per questo dà fastidio. Da' terribilmente ai nervi.
Dice: ma così Fini candida il ministro "sociale" (o socialista?) Alemanno.
Aridaje ("di nuovo?" si direbbe a Siena), biascicano quei volgaroni dei romani. Altra faccia triste, vuota, perdente, da cane bastonato. Uno lo vede e tocca ferro.
Per la campagna elettorale regaleremo occhiali ai selezionatori del Centro-Destra e alcuni vezzosi specchietti ai candidati della CdL. Che si vedano come sono, finalmente. D'altra parte, sono mandati a morire, elettoralmente s'intende. Perché il furbo, vuoto, ma appariscente Veltroni piace pure alle vecchiette che votano Centro-destra. Del resto ogni città si merita il sindaco che ha.
Possibile che Roma non debba avere un sindaco liberale, laico, colto, creativo, severo ma dotato di humour, magari che s'intenda un po' anche d'arte antica e storia romana (con una città così è obbligatorio), senza dimenticare i problemi terra terra (traffico, trasporti, sporcizia, rumore, abusivismo)? Ecco, se non fosse più mobile delle donne, "qual piuma al vento", ci vorrebbe uno Sgarbi. Glielo abbiamo chiesto: saresti disposto a candidarti a Sindaco di Roma? Ha risposto che, sì, glielo hanno già proposto. Con ciò ammettendo implicitamente, dato che non s'è saputo nulla in giro, di aver rifiutato. Cercasi Sgarbi n.2.
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08 dicembre, 2005
Il Salon Voltaire mette radici: dalla mitica Newsletter al sito-blog
Due anni di una bella avventura, quella della Newsletter del Salon Voltaire, che in origine era stato pensato come un vero e proprio salotto settecentesco itinerante, di casa in casa, con tanto di lettura di articoli e commenti da parte degli stessi autori (di qui il "giornale parlato"), ma che nel frattempo, per annunciare quella curiosa novità, aveva trovato la formula della lettera a oltre tremila intellettuali, diffusori o cultori noti dell'idea liberale e del laicismo. Anche questa si era rivelata una formula costosa, vista l'attenzione alla scrittura arguta, ironica, al commento personalizzato, lontano mille miglia dall'anonimato e dalle trasandatezze delle solite newsletter burocratiche.Il lusso era gettare via ogni quindici giorni o poco più tutti gli articoli, per sostituirli con altri altrettanto effimeri. Un lusso da giornalismo di idee, appunto. Perciò, visto che mancavano i mezzi pubblicitari per spingere i laici ad abbonarsi (e basterebbero poche centinaia di abbonamenti per riprendere in ogni momento la pubblicazione della Newsletter), si è pensato di aprire un sito-blog, dove nessun articolo viene gettato via, ma ogni cosa belle o brutta resta in archivio. Dall'effimero, dalla lettera che svolazza e cade, e spesso si perde, siamo al solido, al concreto. Un sito è come un libro, o meglio una corposa rivista, di quelle che si conservano e poi forse si rilegano. Tutto cambia, ma nulla cambia. Resterà, speriamo, lo spirito originario: la critica, la satira pungente, la politica e il costume come dialettica e confronto di idee, non come tifo per questa o quella squadra di football. E davvero immaginiamo che ci sia Voltaire in persona nel nostro salotto. Che direbbe dei nostri tempi? Altro che Destra e Sinistra. Due parole che, come le intendiamo noi nella nostra assurda semplificazione politica, Voltaire non conosceva. Ai suoi tempi, beato lui, contavano ancora le idee, lo spirito critico e quel famoso Logos dei filosofi per cui l'uomo si differenzia dai bruti, la Ragione.
.TUTTE LE "LETTERE" ORA RIPUBBLICATE SUL BLOG. Finalmente, dal dicembre 2007, l'intera serie dei 34 fascicoli della "mitica" lettera del Salon Voltaire è stata riportata nel sito-blog, e ogni numero è raggiungibile con un solo clic sul colonnino laterale. Non perdetevi le graffianti e imprevedibili intemerate della "badante russa di Cossiga" o le curiosità della "Sorella dei Fratelli Bandiera", le epocali cronache dei funerali a furor di "popolo dei telefonini" di papa Giovanni Paolo, il rapimento "très comm'il faut" delle politicamente corrette "due Simone", e le tante stilettate degli articoli di costume e scostume. E come dicevano i pessimi impresari teatrali di provincia, "a grande richiesta" ripubblicheremo sul blog, magari aggiornandoli, quanti più articoli possibile della Newsletter.