21 dicembre, 2005
L'amnistia, la marcia e il teatrino della politica
E tutto questo gran parlare di riduzioni di pena ad intervalli regolari, alla vigilia di elezioni o a Natale (già, ma perché proprio a Natale, festa cristiana, si vuol forse dare ad intendere che l’amnistia sia un "perdono" cattolico, una "buona azione"?), coltivando speranze che illudono i carcerati, e che se non avverate possono provocare sommosse, non rende ormai incerte e casuali le pene in Italia? Pene all’italiana, cioè così severe proprio perché mitigate dalla quasi certezza che ai potenti "amici degli amici" non verranno applicate, e che ai cittadini comuni resterà qualche residua speranzella di amnistie e indulti ricorrenti. Che poi finiscono per sommarsi negativamente al reperto medievale e assolutistico della "grazia" del re, e ai troppi condoni concessi negli ultimi anni con la scusa di "fare cassa", determinando un’atmosfera di incertezza e discrezionalità del diritto degna del Regno delle Due Sicilie e di Re Franceschiello. Diciamo che a noi sembrano ipocrite e paternalistiche versioni giuridiche laiche del "perdono" del prete confessore, già un abuso secondo le altre chiese, comunque intollerabili in un sistema liberale. Non vogliamo una giustizia "pietosa" (in entrambi i sensi: che fa e ha pietà), ma liberale, cioè giusta, equa e razionale.
Scrive il liberale Federico Orlando sull’Europa. "Marcia per l’amnistia? No, innanzitutto per la destinazione della marcia: San Pietro. Avrei preferito il Quirinale, che è tornato ad essere il luogo dell’unità, della laicità, dell’indipendenza e della sovranità dello Stato. Chi vuole, se è d’accordo col Papa, vada pure a San Pietro, ma non per sostenere leggi che spetta fare istituzionalmente e unicamente allo Stato. E poi – prosegue Orlando – l’amnistia non può essere giustificata con "le carceri che scoppiano". Se scoppiano, vuol dire che difetta la prevenzione dei reati, che troppi comportamenti illegali sono puniti come reati e invece dovrebbero essere depenalizzati, che troppe sentenze irrogano anni carcere e non cercano pene alternative, che le carceri sono poche e vecchie, e bisogna costruirne di nuove e umane, che le leggi criminogene vanno abolite, che i processi vanno sveltiti imponendo ai giudici tempi certi per decidere (oggi la prescrizione è alimentata anche dal fatto che molti giudici non lavorano o non possono lavorare abbastanza)".
"In questa riforma complessiva della giustizia, che di per sé svuoterebbe le carceri di permanenze divenute inammissibili, l’amnistia avrebbe quindi solo un ruolo complementare e conclusivo. Naturalmente non dobbiamo dimenticare che i veri delinquenti, gli omicidi, gli stupratori, i mafiosi, gli usurai, i bancarottieri, i distruttori dell’ambiente, i falsari, sono relativamente pochi, e il loro posto è la galera. Ma in larga maggioranza i carcerati sono gente povera, un terzo stranieri, un terzo tossicomani, un terzo giovani "violenti" come i "Ragazzi di vita" di Pasolini, capolavoro che ogni parlamentare e giudice dovrebbe imparare a memoria prima di insabbiare le riforme della giustizia o di emettere sentenze".
Senza contare che si sa bene che non c’è in Parlamento attualmente una maggioranza bipartisan dei due terzi che possa votare un’amnistia, ha fatto notare Violante. E quindi questa campagna che illude i poveri carcerati potrebbe essere solo un espediente un po' cinico per avere gratuita visibilità sui giornali e in tv. Insomma, il solito teatrino della politica. Dove conta non tanto il fare ma il dire e il far vedere...