29 aprile, 2006
Partito d’Azione. E’ attualissimo ancor oggi quel laboratorio di critica e di democrazia laica.
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È ATTUALE ANCOR OGGI QUEL
LABORATORIO DI DEMOCRAZIA
NICO VALERIO, L'Astrolabio, 8 aprile 1984
Strano destino quello del Partito d'azione. Della straordinaria accolita di giovani animosi che « con l'ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione » – come ripeteva Parri – dato sotto il fascismo e nella Resistenza, e poi nella ricostruzione della nuova Italia, i più alti esempi di dinamismo e di acume politico, di coraggio civile e militare, di integrità morale, fino a qualche anno fa parlava solo qualche partigiano di G.L., come Nuto Revelli, qualche collega del CLN, o addirittura qualche avversario. « Il Partito d'azione ha influenzato tutta la vita politica italiana fino ad oggi», lamentava l'integralista cattolico Del Noce. Come meravigliarsi – sembrava voler dire – del laicismo, del radicalismo e delle baruffe della nostra sinistra?
Eppure, mai formazione politica, come quella, era stata più citata ed evocata che realmente studiata dagli storici e dai partiti, ai quali aveva fornito per vent'anni – se si calcola anche il lavoro agitatorio di « Giustizia e Libertà » – in una diàspora che non ha l'eguale nella storia politica italiana, non solo il meglio della classe dirigente, ma anche le idee, le scelte di metodo e strategia, perfino le proposte di riforme costituzionali, sociali ed economiche più lungimiranti. Hanno pagato quel debito i laici e i progressisti che oggi vantano ascendenze azioniste?
Ora qualcosa è cambiato. Un po' perché molti protagonisti di quell'effimera ed esaltante stagione civile sono ancora tra noi; un po' per la rinascita della cultura laica e dei progetti di « terza forza »; ma soprattutto perché si ripropone il problema « morale » nei partiti e nel governo e, in tempi di nuove proposte di riforme istituzionali, ci si accorge della straordinaria modernità di quel progetto politico-sociale.
Dopo il convegno, in tre giorni, sul « Partito d'azione dalle origini all'inizio della resistenza armata », tenuto a Bologna dalla Federazione delle associazioni partigiane e dall'Istituto Ugo La Malfa, il fall-out d'interesse sulla stampa e la ricaduta di polemiche tra le due eterne anime del Partito d'azione (quella idealista liberal-democratica dei Parri, La Malfa, Bauer, Rossi, con la « coda » eretica del liberal-socialismo di Calogero-Capitini, e quella giacobina socialista-riformatrice dei Lussu, Garosci, Codignola, Trentin), hanno portato a verificare « che cosa è vivo e che cosa è morto » di quello che è stato il più vasto laboratorio politico della democrazia italiana.
I famosi « sette punti » della rivoluzione democratica, stesi da Ragghianti nel '40, sono validi ancor oggi. Il primo, la « Repubblica democratica », prevede che « il Potere Esecutivo dovrà godere di autorità e stabilità tali da consentire continuità, efficacia e speditezza di azione, per evitare ogni ritorno a sistemi di crisi permanente, risultati fatali ai regimi parlamentari ». Una politica di scelte e di efficienza, oggi attualissima, se guardiamo ai lavori della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali.
Ancora imperfetto e in parte inattuato, al punto 2, il sistema delle autonomie locali, economiche e regionali, per scarsa volontà dei governi e incapacità o corruzione negli enti locali. Attuale, dopo lo sfortunato tentativo di Ruffolo, il punto 3 sul « coordinamento economico nazionale e internazionale » (o programmazione), che prevedeva anche delle nazionalizzazioni, pur nella garanzia – oggi impossibile – che « l'intero organismo produttivo sia libero dai vincoli soffocanti della polizia economica e tutelato contro i pericoli della burocrazia ». Del punto 5, sulla « libertà dei sindacati », è attuato solo lo Statuto, ma non la coraggiosa « parte essenziale di collaborazione e di responsabilità nel processo produttivo» affidata ai lavoratori (cogestione e partecipazione agli utili). Mal attuato, col Concordato bis, il punto 6 sulla « separazione del potere civile da quello religioso». Ancora di là da venire il punto 7 sulla « federazione europea di Stati liberi democratici ».
Già nel '42 – si è ricordato al convegno – primo tra i rinati partiti democratici, il Partito d'azione anticipa la storia, forte della più alta concentrazione d'intellettuali e politici d'ingegno che mai si sia radunata sotto le insegne d'un partito italiano.
La lucidità dell'analisi sociale e politica ne fa il primo partito moderno: europeismo, anticolonialismo, meridionalismo, scuola, sviluppo tecnologico, vicinanza alle democrazie industriali, nesso inscindibile tra morale e politica. Il suo unico « errore » politico è quello di precorrere i tempi. Il nuovo « ceto medio » del lavoro, laico e progressista, né servo né padrone, quell'homo novus, borghese illuminato o salariato specializzato, (il White collar di Veblen, Friedmann e Mills) a cui si rivolgeva il Partito d'azione, 40 anni fa non esisteva in Italia, e comincia solo oggi ad avere un suo spazio economico (il « terziario ») e politico. Forse è anche per questo che oggi si riparla degli « azionisti ».
N.V.
28 aprile, 2006
L'Italia non è spaccata in due. E' un bipolarismo fasullo che ci divide
26 aprile, 2006
Vacca: "Né laico, né ateo, ma normale. Gli altri si chiamino come vogliono"
I nomi non sono conseguenza delle cose, ma talora offuscano la comprensione di cose, situazioni, processi a cui si applicano. Accade con l'appellativo di "laico". Suggerisco di non usarlo. Derivò nel Medioevo dal greco "laikòs" - del popolo (laòs) contrapposto ai chierici che hanno da Dio eredità (greco "kleròs", sorte), quindi, privilegi e autorità e sfoggiano con la tonsura il loro stato. Io non voglio esser chiamato laico nel senso di non chierico. Non riconosco privilegi, nè superiorità ai chierici. Le loro classificazioni non mi riguardano: La religione è cosa loro. e la considero con B Russell "falsa e dannosa" dunque incompatibile con la ragione e con il pensiero di chi vuol capire la realtà.
Chiamiamoci, dunque, "normali". Io non mi chiamo ateo: l'alfa privativo indicherebbe che mi manca qualcosa, mentre chi crede in un Dio creatore si carica di una sovrastruttura inutile. Non mi chiamo agnostico - uno che non sa. So parecchie cose e continuo a impararne, ma non pretendo di conoscere oggetti inesistenti. Posso chiamarmi "gentile": appartengo a un'altra gens, a un'altra tribù, non a quelle dei monoteisti.
La questione centrale è culturale. I dibattiti attuali trattano di: fede in Dio o ricerca di Dio, di spiritualismo, sua definizione e status. Questa è l'arena in cui combatto.
Le religioni, del resto, sono inconciliabili con la ragione: è insensato farne graduatorie. Nella Seconda Guerra Mondiale gli Alleati combatterono anche per la libertà di religione (oltre che di parola, dalla paura e dal bisogno). In Italia sono apparentemente libere tutte le religioni (anche se si tenta di rendere più libera - da certe imposte - quella cattolica). Non appare libera quella ellenico-romana che fu codificata da Numa Pompilio legando insieme le credenze popolari meno assurde e classificando come superstitio le assurdità che avanzavano. Oggi la superstizione è rappresentata da sensitivi, astrologi, oroscopari: certe persone sedicenti colte non la trovano nemmeno ridicola. Sarebbe considerato ridicolo riesumare la religione di Jupiter e Juno, di Mars e Venus. Certo contiene elementi assurdi come quella di Mitra che si diceva fosse nato in una grotta dalla vergine Anahita (ingravidata dal dio Ariman), che dava comunione di pane e vino, fu crocifisso a un albero, morì e risorse Queste tradizioni sono state incorporate nella fede cristiana insieme ad altre credenze, assunte come dogmi negli ultimi secoli. La pretesa convergenza di fede cristiana e ragione appare assurda se i credenti continuino a dire con Agostino da Tagasta e con Anselmo d'Aosta: "Credo ut intelligam, non intelligo ut credam". Questa posizione nega l'approccio logico-sperimentale (di Galileo, Newton, dei fisici e logici moderni) e sfocia nel proverbiale "Credo quia absurdum" - negazione di ogni razionalità.
Noi riserviamo la nostra credenza in relazioni apparentemente assurde alla elettromeccanica quantistica. Non è irragionevole credere che un effetto si verifichi prima della sua causa, se questa ipotesi permette di prevedere i risultati di esperimenti con la precisione di una parte su 100 miliardi
Abbiamo fatto molti passi indietro rispetto all'editto di Flavio Claudio Giuliano del 4 febbraio 362 (1115 ab U.c.) che stabiliva libertà religiosa per tutti. La religione cristiana non era più quella forzosa dello Stato, né era esentata dal pagare le tasse. E Giuliano si impegnò a non perseguitare nessuno a causa della sua fede.
Noi che apparteniamo alla grande moltitudine dei non credenti (come diceva Luigi Luzzatti) non siamo interessati a conciliare fede e ragione. Richiamiamo i ragionamenti di grandi pensatori. Basterebbe citare Kant: le sue dimostrazioni dell'insussistenza delle prove fisico-teologica, ontologica e cosmologica dell'esistenza di Dio sono rigorose, ma ardue da seguire. Riporto in termini scolastici la più lineare e cogente prova dell'inesistenza di un essere immutabile, causa di sè stesso e dell'universo.
"L'ipotesi che qualche cosa sia sempre esistita, ci sembra non solo probabile, ma necessaria ed evidente. Quindi bisogna dire che delle due proposizioni seguenti una deve essere vera e l'altra deve essere falsa. La prima proposizione è che è sempre esistito un essere immutabile e causa di sè stesso, la seconda che è sempre esistita solo una sequenza di esseri mutevoli e dipendenti. Questa sequenza di esseri mutevoli e dipendenti coincide con l'universo. Quindi possiamo affermare: o questa sequenza ha avuto una causa esterna, oppure ha avuto una causa interna. Una terza ipotesi non esiste. Ma la sequenza di esseri mutevoli non può avere avuto una causa esterna, perché l'universo comprende, cioè include, la totalità delle cose che esistono e, quindi, anche tutte le possibili cause. Perciò la sequenza di esseri mutevoli deve avere una causa interna. Da questa proposizione non si conclude che una certa parte dell'universo sia la causa necessaria di tutte le altre parti. Il principio che necessariamente a una causa consegue un effetto è universale, nel senso che ci appare come un principio che funziona in tutto l'universo. Concludiamo, dunque, che l'essenza e l'esistenza dell'universo coincidono. Sbaglia, quindi, Tommaso d'Aquino quando dice che solo in Dio l'essenza e l'esistenza coincidono. La conclusione ultima è che non esiste nessun essere immutabile e causa di sè stesso, che venga chiamato Dio".
20 aprile, 2006
Cabaret della politica. Chi ha perso davvero? Lo sanno i magistrati
Oddio il golpe rosso. Anzi, no, bianco (Prodi è "bianco" o no?). E se fosse nero? Ma che dici, pirla. Ma come, non vedi che neanche sono finite le elezioni, manco inizia il governicchio Prodi, che i magistrati arrestano tutti? Provenzano, Ricucci, i pedofili (l’ordine è casuale). Allora aveva ragione Capezzone. A un tentato regime di destra si sostituisce un potenziale regime di sinistra. Che mal di testa. Altro che Pannella ministro della giustizia. Coi tempi che ricorrono nell’Unione, è già tanto se la sfanga a non finire in galera pure lui. In qualche retata purificatrice, salvifica. Perché dal male per te viene il bene, dice il catechismo. La cambiale in mano al Vaticano passa alla cassa. La Binetti si paga il biglietto a sinistra. E Pannella a Radio Carcere, sì, ma dall’altra parte dell’inferriata. E Bordin di Radio Radicale stia attento, di questi tempi union-reazionari: che non debba curarsi la bronchite cronica (a proposito gli consigliamo aerosol con essenza di origano: una mano santa) in una astanteria a scelta tra Poggioreale, Secondigliano, Rebibbia o San Vittore. E Nico Valerio non faccia tanto lo spiritoso scimmiottando i liberali "ottocenteschi" col suo fogliaccio illuminista. La famosa "pillola RUE 2006" (acronimo di Reazione unitaria ecclesiastica" colpisce i reprobi, con i tempi lunghi della consolidata tradizione curiale.
Ma, eliminati i capataz, la retata in corso avrà anche risvolti mondani. Se no, come ci vanno su Novella 3000 gli inquirenti? Attendiamo quindi gli arresti domiciliari di Marzullo, Pippo Baudo, la madre di Berlusconi (la vera mandante, se ci pensate bene) e Cecchi Gori. Sembra che non solo la Anna Falchi in Ricucci, ma anche per non esser da meno le bellone sue concorrenti di tutt’e tre le categorie, senoalto, coscialunga e sederone, dalla Bellucci alla Marini, per evitare sorprese di CC, PS, Finanza o Digos alle sei di mattina - con tutti i tranquillanti che prendono per dormire, povertette - [era un refuso, ma lo lascio], dormano ogni notte in letti diversi. Come, ci sono abituate? C’è poco da ridere. Anche perché la Marini ormai ci ha il QI (quoziente d’intelligenza) da quasi-genio e magari ti querela. Davanti al giudice potrà dimostrare di aver interpretato bene il test di Rorschach: le macchie d’inchiostro sugli assegni le vede sempre piene, anziché vuote.
Ma allora, se repulisti deve essere per una superiore Questione Morale, sai quanta gente dovrebbe finire in manette... Quasi tutta la Casa delle Libertà per "contraffazione di liberalismo", "spaccio di speranze vane", "affaracci propri" e "insipienza molesta". Quasi tutta la disunita Unione per "nome abusivo", "veteromarxismo virale", "acefalia post-partum" e "masochismo tremens".
E i – diciamo così – "giornalisti"? A parte quelli del web che scrivono "innoquo", almeno i due terzi dei giornalisti italiani dovrebbero dormire sul tavolaccio nella ideale Repubblica di Platone. O sono raccomandati, o non sanno scrivere, o entrambe le cose. Ad un livello sottocorticale, poi, quelli televisivi, soprattutto Rai, che per difficoltà di linguaggio dicono tutti: "i attentati", "i straordinari", "i eserciti". Politica, disinformazione, poca professionalità? Altro che mobilità del lavoro. Mediocri abbarbicati alla poltrona: ma che puzzo! Se la sono fatta sotto? Roba che anche la signora Enza, la veneta che mi vende le uova al mercato, non me le incarta più con i giornali. Per non sporcarle.
Ma per favore, non facciamo i qualunquisti, mica siamo al cabaret del Bagaglino. A proposito, quello che al Bagaglino faceva ridere di più, Pippo Franco, da quando si è messo a fare il candidato buon cristiano, a parlare sottovoce come i preti, e a piacere ad Andreotti, è stato trombato (mentre una mia amica, poco candida candidata di Forza Italia, non se la tromba mai nessuno, lamenta lei). Pippo non ha avuto più successo: capirai, ora vende un prodotto che non tira più. Come la Mussolini. Meglio quando era una scosciata starlette, come testimonia impietosa Internet. E poi c’è troppa concorrenza: Calderoli, Mastella, Benetti, Ruini, Pera, Ferrara. Loro sì che, a parità di prodotto col cabaret di Pippo Franco, fanno ridere di più. E gratis, per giunta. Be’ proprio gratis no, qualcosa il popolo italiano paga sempre. L’unico serio sembra Luxuria, e senza ironia.
Dice che appena conteggiate le schede elettorali per il controllo, prima ancora di annunciare i veri vincitori, i magistrati di Cassazione hanno preferito fare direttamente una bella retata. E sì, prima che i soliti maneggioni si mettessero d’accordo col governo di turno. Capito? Li hanno bruciati sul tempo, prima che i furbetti del quartierino sapessero a quale nuovo santo votarsi. Be’, più che quartierino, la stamberga di Provenzano somigliava all’antro della strega allestito per le prove di ammissione dell’Isola dei famosi. Più famoso di lui. Lui del resto è come Rutelli: senza pane e cicoria non può vivere.
Che vitaccia. Chi, i politici? Ma no, i magistrati di Cassazione. A loro i famosi casseurs francesi je fanno un baffo. I casseurs per cassare pagano, loro per cassare sono pagati, anzi strapagati. Dovevano cassà, cassà, avevano promesso. Ma non hanno cassato un casso. Cambiato il vento? Ma no. Opportunismo? Ma scherzi? Anzi. Non avevamo detto che tutti quegli arresti prima delle elezioni non stavano bene? Così loro, per non "influenzare" la campagna elettorale hanno aspettato, e ora – è naturale – si sono accumulate un po’ di pratiche inevase. Inevase? Almeno loro, perché poi i criminali veri, quelli grossi, evadono sempre. Che tempi. Per fortuna ci sono Loro, ma sì, i magistrati della Cassazione: mettiamone uno alla Presidenza del Consiglio e uno alla Presidenza della repubblica. Almeno loro, i voti, a differenza dei cialtroni di Destra e di Sinistra, li sanno contare.(La badante russa di Cossiga)
14 aprile, 2006
I danni dei teo-con. La mancanza d'una lista laica ha fatto perdere la CdL
Da "Porco Giuda" a "povero Giuda". Rivincita d'un ebreo discriminato
Le elezioni e il paradosso delle motivazioni: il voto "contro"
13 aprile, 2006
Non l'Unione, ma la nèmesi liberale ha colpito la Casa delle libertà
Una Nèmesi meritata, che è il sale dell’alternanza liberale: chi ha sbagliato paga, e si vota l’altro. E non dovrebbe esserci nessuna identità di clan, nessuna faziosità preconcetta. Per questo esistono le opposizioni nel sistema liberale. Che fanno parte integrante del sistema. E gli avversari - bisogna ricordarlo ai politici e al popolo di Destra e di Sinistra - non sono nemici da uccidere, come nelle barbare guerre etniche orientali, ma quelli che voteremo la prossima volta se gli altri si saranno comportati male. Questo nel liberalismo.
Altrimenti si è al fanatismo, alla guerra per bande, alle lotte all’ultimo sangue per odio razziale, ai palestinesi contro gli israeliani. In questa luce, anzi, la diminuzione delle astensioni è paradossalmente un elemento negativo. Il bipartitismo fazioso all’italiana chiamando tutti alle armi sembra aver prodotto solo una rozza semplificazione, reso parossistica una contrapposizione manichea, rafforzato i partiti estremisti, svuotato le liste meno illiberali. Ma soprattutto ha reso impossibile una lista di veri liberali, oltretutto vista come troppo poco competitiva in una competizione solo per estremisti.
L’alternativa? In prospettiva lontana un tripolarismo all’inglese, con i liberali (molto più numerosi di quanto a Destra si voglia dare ad intendere per interesse…) a fare da ago della bilancia, un Centro-destra conservatore e cattolico, un Centro-sinistra socialista e progressista. Il che dovrebbe servire anche a svuotare le estreme, inconcepibili in un sistema liberale avanzato: Lega e An, Rifondazione, Comunisti e Verdi. Ma è chiaro che in questo scenario futuro non ci sarebbe posto neanche per un partito spurio e populista come FI, né carne né pesce: sarebbe smembrato nelle sue componenti: destra, cattolici, liberali e socialisti.
Fatto sta che i milioni di liberali in Italia (ben oltre i 12 mila nostalgici del glorioso PLI) hanno scoperto che in un Paese in cui tutti i politici furbi si definiscono "liberali" era stata impedita qualsiasi lista liberale. Perché sia la Destra sia la Sinistra temono come la morte una lista liberale come pietra di paragone, che dimostri alla gente con la sua stessa presenza che loro, invece, liberali non sono, ma solo ciarlatani. E quando hanno avuto la controprova, con la riduzione a mero simbolo perfino dei Riformatori liberali di Della Vedova, che poveretti si erano fatti ancor più moderati di quanto già non fossero, si sono rivolti ai Radicali, ai radicali veri.
I Radicali, proprio come tutti i liberali, avevano subìto la medesima delegittimazione ed esclusione dalla Destra, fin dai tempi del referendum sulla fecondazione medica. Ma al contrario dei soliti liberalini timidi e imbelli di casa nostra, sono un gruppo forte e determinato che ha imparato a coniugare al programma (i temi puramente liberali), modi percepiti come tipicamente di sinistra (tenacia, denuncia, protesta, fantasia comunicativa). E dunque sono stati visti come vincenti, un po’ come viene visto dal piccolo di casa, di fronte alla prepotenza d’un coetaneo, il fratello maggiore che sa dirgli il fatto suo. E dunque, i liberali frustrati hanno votato in massa i fratelli maggiori radicali, sicuri di essere vendicati.
In "massa"? Sì, il successo, sia pur limitato, della Rosa nel pugno (un milione di voti e un gruppo parlamentare alla Camera, come ai bei tempi) non contrasta con questa supposizione. L’effetto scaricabarile, con i voti che si scavalcano a ripetizione, è stato favorito non solo dalle asprezze della campagna elettorale, ma anche dal cambiamento di fronte troppo repentino, dopo dieci anni di "quasi Centro-destra", che ha disorientato tutta una generazione di neo-radicali di base un po’ all’acqua di rose, ha indotto i socialisti nostalgici a votare più a sinistra, e ha convinto molti neo-radicali "degli anni ‘90", impauriti dal "mamma li Turchi", a rifugiarsi sotto la sicura sottana di FI. Ma in compenso ha spinto praticamente tutto il nocciolo duro liberale di FI a tradire la CdL e a votare Rosa nel pugno.
07 aprile, 2006
Appello al Governo che verrà: tuteli il Paesaggio, la vera identità dell'Italia, con l'Arte e la Cultura.
Ma oggi, una classe politica molto più rozza e ignorante di quella d'allora, vorrebbe rimangiarsi quel principio, per consentire ogni sorta di speculazioni e devastazioni della Natura e dell’Arte, che costituiscono entrambe il nostro unico e vero patrimonio nazionale.
Alla vigilia delle consultazioni elettorali, perciò, la benemerita associazione Italia Nostra, fondata da grandi liberali e filantropi come Umberto Zanotti Bianco ed Elena Croce, rivolge un appello al futuro Governo, qualunque esso sia. Innanzitutto "tuteli l’articolo 9 della Costituzione - raccomanda al primo punto il comunicato dell’Associazione di tutela, firmato dal suo presidente Ripa di Meana - e dica no a ogni iniziativa di revisione. "Non è negoziabile il primato dei valori culturali che è alla base della tutela sia del patrimonio storico e artistico, che del paesaggio, e caratterizza il modo stesso di essere della Repubblica".
Si parla, spesso a vanvera, di "identità", di "valori"? Ecco la prima vera identità: la natura e le bellezze artistiche dell’Italia, quelle che la fanno unica, diversa da ogni altro Paese. E tra le bellezze che la caratterizzano c'è il Paesaggio, sia naturale che urbano. Conservare questa identità, questi valori unici, non significa essere "conservatori", ma, al contrario, perseguire con intelligenza l’unico vero progresso, quello della cultura e dell'intelligenza.
L’Italia è, poi, storicamente il Paese dei più antichi Centri storici. Vanno difesi come entità a sé, come "ambienti" coerenti e testimonianze di un patrimonio culturale, indipendentemente dallo stile o dal valore intrinseco della singola costruzione. Antonio Cederna li definì beni culturali unitari, "monumenti da conservare integralmente". "E’ un vanto e un primato italiano - ha detto il presidente Ripa - la moderna cultura dei centri storici". Eppure è proprio contro di essi che si scatena la prima linea della speculazione, sotto forma di grossolane deroghe delle "leggi obiettivo", usi impropri e degradanti. E le periferie squallide e invivibili che assediano i centri storici? Concentriamo lì - esorta Italia Nostra - le risorse e la creatività della migliore architettura contemporanea. Ma salviamo e lasciamo integri, a testimonianza futura, i Centri storici.
Il "Paesaggio", che per la sua forza storica e identitaria è un valore autonomo e prioritario, perfino rispetto all’ambiente - è la tesi di Ripa, che sembra rimandare alle motivazioni della benemerita legge sulla tutela del Paesaggio voluta e presentata da Benedetto Croce nel 1920 - dovrà essere in cima ai programmi del futuro Governo, qualunque esso sia.
Che fare subito? Intanto rendere i Piani paesistici davvero obbligatori, prescrittivi e vigilati, come vuole una legge troppo disapplicata. Anzi, si dovrebbe aprire un’inchiesta parlamentare sul deterioramento del paesaggio, ormai una calamità di vaste proporzioni.
La montagna e la campagna vanno, poi, tutelate dalla urbanizzazione selvaggia e inutile, dalla disseminazione edilizia, dalla distruzione del patrimonio culturale sparso, dalle cave (come quelle che stanno letteralmente decapitando le Alpi Apuane) e dalle devastanti e non produttive torri eoliche. Rivolgiamoci ad altre energie alternative, non distruttive del profilo del nostro Paese, come il solare fotovoltaico, per esempio.
D’altra parte, cittadini e classe politica si devono rendere conto che il territorio è un bene limitato. Attenzione, quindi, all’andazzo della "urbanistica contrattata", in cui gli speculatori siedono addirittura al tavolo con gli urbanisti e gli amministratori comunali e regionali. Come liberali, siamo d’accordo con Italia Nostra anche su questo punto: che i sindaci facciano i sindaci, e i ministri i ministri. Bisogna restituire alle amministrazioni pubbliche, che esistono proprio per questo e ci costano un occhio della testa, la responsabilità delle scelte di loro competenza, in modo che trasformazioni e destinazioni nell’interesse generale garantiscano le libertà di utilizzazione del territorio da parte di tutti i cittadini, e non solo di alcuni.
E le "grandi opere"? Il sospetto che talvolta siano elettorali o servano a far guadagnare grandi gruppi amici, è forte. Certo, alcune, secondo una sensata posizione liberale, sono utili e ci mettono al passo con i Paesi più progrediti, ma la maggior parte no, e quando non sono soltanto un annuncio elettorale, sono solo uno spreco, un'occasione di corruzione e un'offesa alla Natura.
Ci ricordiamo del vecchio slogan alternativa "piccolo è bello". Italia Nostra sostiene che la "mistica delle grandi opere" fa parte ormai d’un modello di sviluppo industriale sorpassato, che provoca guasti ambientali. Spesso sono opere inutili e antieconomiche, dividono le popolazioni, o travolgono le cautele delle valutazioni di impatto ambientale.
La tendenza oggi è quella di "valorizzare", cioè di attribuire un valore economico a beni così fondamentali che sono senza prezzo. Come il commerciante, abituato a vendere di tutto, non si venderà certo la madre o i figli, che per lui sono un "bene sommo", non economico, e quindi non farà certo torto alla sua fede nel mercato, così il prossimo Governo che uscirà dalle urne deve reimparare a tutelare, altro che a "valorizzare", cioè a commercializzare o a svendere, e pure sottocosto, i preziosi beni ambientali e artistici dell’Italia. Potenziare gli organismi preposti alla tutela, quindi, come il personale tecnico-scientifico (soprintendenze) del Ministero per i beni e le attività culturali.
Secondo Ripa di Meana, inoltre, il Ministero per i beni e le attività culturali, dovrebbe essere reso capace di gestire in proprio i musei statali e gli altri luoghi di cultura, mentre le gestioni indirette dovrebbero essere solo casi limite, comunque sotto la sua stretta vigilanza. Applichiamo queste stesse regole agli enti locali.
E infine, quello che tutti noi avevamo sempre pensato, ma che non avevamo mai avuto il coraggio di chiedere: ma che c’entrano lo spettacolo e addirittura lo sport con la natura e i monumenti? Togliamo queste competenze dal Ministero più bistrattato d’Italia, perché distraggono mezzi ed energie dall’esercizio della tutela.
05 aprile, 2006
Perché Emma deve vincere per il bene dei liberali. Anche della CdL
Al contrario, per il bene di noi liberali, ovunque ci troviamo, è essenziale che i Radicali vincano le elezioni. Perché - può non piacere, per invidia - ma la loro lista Rosa nel pugno è la sola liberale presente a livello nazionale. Perché queste consultazioni sono proporzionali, bellum omnium contra omnes, e dunque dobbiamo premiare i singoli gruppi, più che le coalizioni, che sono un coacervo di tutto e del contrario di tutto. Ma soprattutto perché ai nostri occhi liberali Emma, Pannella, Capezzone & C. appaiono come un contravveleno provvidenziale in questa fase profondamente illiberale, populista e clericale della politica italiana, sia a Destra sia a Sinistra. Sono, infatti, gli unici sul "mercato" politico ed elettorale a sollevare temi, ad avanzare soluzioni, ad usare il senso critico, in modo tipicamente liberale. Su ogni argomento. Senza la minima traccia di estremismo. Chi altro c’è, se no, oltre a loro?
Noi liberali, come ripete l'amico Raffaello Morelli, che ne è una dimostrazione vivente, siamo pignoli. E infatti, anche i radicali non scherzano, su questo punto. Confessiamo che è da quando hanno dato luogo alla lista "Rosa nel pugno" con i socialdemocratici di Boselli che li osserviamo con attenzione minuziosa. Da criticoni liberali, li aspettavamo al varco per prenderli in castagna: "Ecco, vedete? – eravamo pronti a far notare acidamente – da quando state con i socialisti e, ancor peggio nell’Unione, non siete più voi, avete dimenticato le vostre origini liberali e libertarie, fate errori, concessioni e omissioni. Stavate meglio a Destra".
Macché, questo in coscienza non possiamo dirglielo. Nulla di tutto questo si è verificato. Neanche il più piccolo errore hanno fatto. Continuano con la loro ben nota caparbietà a dire le stesse cose di prima. Non hanno edulcorato un bel niente. Anzi, di nuovo c'è che il virus liberale, grazie a Capezzone, Bonino, Cappato e agli altri radicali, dopo aver dato l'impronta alla rinata Rosa nel pugno e aver reso più vivaci e più liberali i boselliani, ora sta seminando dubbi, crisi e razionalità nell'intera Unione. Basta vedere le reazioni di autodifesa nei Ds, l'imbarazzo dei clericali nella Margherita, ma anche l'emarginazione, grazie ai radicali, delle posizioni antimoderniste, antagoniste o vetero-marxiste di comunisti, no-global e verdi. E sì, perché come da noi previsto, la Rosa punge chi la riceve, non chi la impugna.
Perciò è davvero incomprensibile e immotivato quel "Goodby, Emma" dell'amico Luca sull'Opinione. Che il collega si sia addormentato davanti allo schermo, dopo aver sgranocchiato troppi pop-corn, e non si sia accorto che proiettavano un altro film? Ma forse, è più probabile, che abbia semplicemente deciso di aderire meglio alla linea politica del giornale, cosa perfettamente logica e legittima. Perché la linea d'una testata - e quante volte noi liberali ci siamo scontrati su questo con amici e colleghi di sinistra? - la fa il direttore, non il giornalista. Resta, però, il fatto che non uno dei giudizi su Emma e sui radicali della Rosa nel pugno è motivato. Compreso il "dopo elezioni" e il ruolo "ambiguo" del Corriere. Anzi, scusa Luca, è proprio il contrario: Mieli ha già fatto la scelta riformista, il che andrebbe a vantaggio di Emma e Capezzone.
E così, in mezzo a tante convergenti spinte stataliste, protezioniste, conservatrici, proibizioniste, populiste, clericali, sia a Destra che a Sinistra, da Mantovano a Mastella, da Calderoli a Rutelli, da Alemanno alla Binetti, da Giovanardi alla Bindi, da Diliberto a Caruso, tutta gente che ignora le distinzioni e il rigore di Cavour, di Sella e di Einaudi (e del suo allievo prediletto Ernesto Rossi), nel teatrino pseudo-politico da Tv ecco che il gesto severo del logico Capezzone, più cavourriano ed einaudiano che gobettiano, con relativo aplomb da giovane liberale classico (che ci ricorda tanto la Gioventù liberale d'un tempo), e quello d’una Emma che sa parlare al cuore delle donne col suo ben noto "buon zenzo", sono le cose non solo più nuove e originali di questa campagna elettorale, ma le uniche davvero liberali.
03 aprile, 2006
Centro-destra. La favola del leone e dei capretti compagni di merenda
Una nuova favola di Fedro? No, un apologo sulla politica insieme sfacciata, arrogante e dissennata della Casa delle libertà proprio sulle libertà. Dopo tanti inviti e dichiarazioni di intenti "liberali", Forza Italia si è pappata i liberali. I radicali, invece, sono riusciti a scappare e a mettersi in salvo. Ma ora quei furbi fanno finta di piagnucolare: "Se perdiamo sarà colpa vostra: come avete potuto farci questo?"
Morale della favola: neanche Esopo, Fedro e La Fontaine sentirebbero il bisogno di aggiungerla.
01 aprile, 2006
Nèmesi farmacologica. Effetti secondari sui farmacisti. Era ora
L'Istituto Bruno Leoni dedica al tema un Focus di Andrea Gilli, "Come si difendono le rendite. Il caso dei farmacisti" che dimostra come invece quello dei farmacisti sia il tipico comportamento di chi difende una rendita di posizione, a scapito dell'interesse dei consumatori e dell'efficienza economica in generale. Per Alberto Mingardi, direttore generale dell'IBL, "questo paper dimostra come la questione della sicurezza sia del tutto secondaria. La realtà è che non c'è nessuna ragione per impedire a una persona, laureata in farmacia e dotata di tutti i requisiti necessari, di esercitare la professione dietro il banco di un supermercato".
Il Focus è liberamente scaricabile dal sito http://www.brunoleoni.it/