25 febbraio, 2016
Benedetto Croce. Il 150.o del filosofo della storia e della libertà, che ci educò alla passione civile.
LA PRENDERÀ CON FILOSOFIA. Quasi sotto silenzio l'importante ricorrenza dei 150 anni dalla nascita di Benedetto Croce, storico, critico, filosofo, ministro, costituente, politico, intellettuale di grandissima erudizione e forte personalità che ha insegnato agli Italiani ad avere dignità di popolo, ad amare e rispettare le Libertà, la Storia, i concetti, a maturare una grande passione civile, e così ha formato l’intera classe dirigente democratica prima e dopo il Fascismo. Tanto da essere onorato e ricordato – fino a quando le idee avevano ancora importanza – da tutti, dai liberali ai comunisti.
Perfino chi polemizzava con lui riconosceva il suo alto magistero
morale e intellettuale. Nelle carte dell’azionista e repubblicano Ugo La Malfa –
che si riteneva più “progressista” di Croce, non calcolando di essere solo un
politico mentre Croce era soprattutto un pensatore – è stato trovato un appunto
del 1943 per un articolo sul giornale “Italia Libera” che svela questo curioso
rapporto dialettico, anzi, questo riconosciuto carisma: « A Benedetto Croce le
giovani generazioni antifasciste devono moltissimo: la serietà della loro vita
morale, le tenacia dei propositi, l’interesse profondo per le vicende storiche,
l’idea della libertà come liberazione... Benedetto Croce è considerato spirito
conservatore. Noi non sappiamo dirlo, sebbene abbiamo conosciuto e conosceremo
ancora i suoi anatemi e le sue scomuniche. Sappiamo solo che molte coscienze
rivoluzionarie, compresi gli uomini del Partito d’Azione e forse i reprobi
dell’estrema sinistra, devono alla meditazione delle sue opere la forza di
molti loro convincimenti. Sommersa in tante sventure, l’Italia non ha che
questo suo grande figlio da offrire all’ammirazione del mondo ».
Ai tempi di Croce non c’era la televisione, grande livellatrice di valori ed elevatrice di tanti “mediocri brillanti”, né internet, e i giornali con la loro “terza pagina” (invenzione italiana: il massimo, allora, della divulgazione per chi non poteva permettersi libri difficili o riviste culturali) erano più colti e seri; perciò è facile confrontare gli effimeri successi di notorietà di oggi presso una massa indifferenziata, disinformata e volubile di utenti passivi di notizie (fama che non durerà certo 150 anni...), con quelli di ieri presso una minoranza colta e consapevole, fondati sui problemi, sui concetti, sulle idee, sulla lettura meditata, sul dibattito intellettuale. Così, per avere qualche notizia sulle misere iniziative per il 150.o crociano dobbiamo andare alle cerimonie a
Napoli e a Pescasseroli, dove nacque il 25 febbraio 1866, e a due piccoli convegni a Torino e Firenze.
In più, figuriamoci, il solito bruttissimo francobollo che offende più che la memoria del teorico di filosofia estetica, soprattutto i soliti incompetenti tecnici del Ministero, da sempre morbosamente affascinati dal Brutto (e perciò da noi definiti "cacofili"), che hanno scelto un bozzetto che qualunque grafico con studi serali e diplomato per corrispondenza avrebbe fatto più bello.
Anti-crociani all’osso? Ma no, peggio, trasandati e senza nessun ideale del Bello, autore del bozzetto e giuria sono andati a prendere l’unica fotografia esistente in cui Croce ha la faccia da ebete, poi l’hanno stravolta graficamente e alla fine virata in giallino. E le sfumature verdastre e la bava rossa alla bocca? Per fortuna le hanno dimenticate?...Per il mercato numismatico la Zecca ha coniato una moneta celebrativa in argento (peso 18 grammi, diametro 32 mm), artisticamente mediocre e dalla grafica confusa.
Insomma, si fa di più per gente di modesto calibro, se non illustri sconosciuti. Troppo poco, per il 150.o genetliaco d’un intellettuale che ha cambiato la storia del pensiero in Italia e che ha costituito la forma e la sostanza stessa della cultura italiana del Novecento, e non solo.
AGGIORNATO IL 27 FEBBRAIO 2016
15 febbraio, 2016
Gobetti. L’utopia adolescenziale del critico più acuto e severo degli eterni mali degli Italiani.
Novant’anni fa moriva il più giovane, originale, misconosciuto, discusso, sconcertante intellettuale e
animatore culturale italiano. Il torinese Piero Gobetti era nato nel 1901, e calcolando gli anni dall’adolescenza alla sua morte (1926),
deve aver avuto non più di otto-nove anni di vita intellettualmente utile per
un pensiero critico maturo e attivo. Eppure, in quel breve spazio di tempo
conobbe tutti, da tutti fu stimato, fece di tutto e tutto capì. Una figura
sicuramente geniale che ricorda un poco un altro giovane di genio, forse ancor
più strabiliante per doti intellettuali: Leone Ginzburg.
Amico di Einaudi, Croce, perfino Prezzolini, molto vicino a
Salvemini e alla sua “Unità”, Gobetti scrisse però, sia pure come critico, anche
sull' “Ordine Nuovo” di Gramsci, e anzi gli sembrò d'intravvedere – per quel poco
che poteva capire dalle notizie dei giornali d'allora – tracce di
liberalismo perfino nella rivoluzione dei Soviet in Russia. Il che non gli è stato perdonato da qualcuno. Fu precoce e sicuro - spesso troppo sicuro di sé - critico
della politica, della storia contemporanea, del costume, perfino del teatro
(Einaudi, che ha pubblicato tutte le sue opere, ha riunito in un grosso volume
anche le sue recensioni teatrali), a riprova del nostro modesto aforisma secondo il quale «critici si nasce, e poiché l’intelligenza tutto pervade, se
si è veri critici si è critici di tutto». Durissimo oppositore del nascente Fascismo,
correttamente individuato non come colpa del solo Mussolini, ma come malattia quasi endemica degli Italiani, morì a Parigi dove si era rifugiato in seguito all'aggressione
dei fascisti. Le sue spoglie sono al cimitero Père Lachaise.
La figura e la biografia di Piero Gobetti non è di quelle
che si possono dire a cuor leggero: ogni passo nasconde insidie e
contraddizioni, paradossi e incertezze, ingenuità e facili, repentini
entusiasmi. Ultra-risorgimentale, fu però il maggior diffusore del mito del Risorgimento come "occasione mancata", se non addirittura "rivoluzione tradita", convinto che una vera Rivoluzione Liberale fosse tutta ancora da fare. Con Cavour e Croce, fu paradossalmente uno dei tre liberali italiani più ammirati
dai comunisti colti, a partire da Gramsci e Togliatti (forse perché
non lo avevano letto tutto e bene). Fatto sta che fino a tutti gli anni 50 piacque
molto meno ai liberali di casa nostra (che diventati conservatori non potevano
perdonargli di aver attaccato duramente Giolitti e il giolittismo, anch’esso definito
un ricorrente “vizio nazionale”) che ai comunisti italici. Era ricordato,
perciò, solo dall’Unità (l’altra, quella del PCI). Del resto metà degli
intellettuali comunisti fino al 1950 fu crociana (senza alcuna colpa di Croce,
ben inteso). Vero è anche che, sia in vita che dopo, il modo di pensare e porre
i problemi di questo giovanissimo idealista carismatico sprigionava una tale
attrazione da sedurre anche gli avversari. Perciò gli amici potevano a poco a
poco prenderne le distanze, i nemici tendevano a diventarne amici.
Che cosa resta di lui? Il saggio La Rivoluzione Liberale, le
annate delle sue riviste (Energie Nove, La Rivoluzione Liberale, Il Baretti) a
cui collaboravano affermati intellettuali adulti, che trattavano questo ragazzo
come un loro pari, alcuni addirittura come un giovanissimo maestro. Ma
soprattutto il giudizio aspro sulla classe dirigente italiana, che neanche il
grande Risorgimento (fatta salva la figura, unica, di Cavour) era riuscito a
cambiare (anzi, formare) davvero. E poi il coraggio. La politica come pedagogia sociale, educazione. E soprattutto l'intuizione
che la libertà non esiste senza lotta, senza dialettica, senza contraddizione,
che cioè non si acquisisce e non si mette in salvo una volta per tutte. In
questo era come Einaudi, Croce e Cavour.
E per il resto? A essere severi con
lui, come lui era severo con gli altri, almeno l'esempio di un forte senso
critico, di una enorme passione, di una grande maniacale intransigenza
morale, di un grande giovanile entusiasmo, di un grande insegnamento. Ad ogni modo, questa sua fortuna
trasversale e contraddittoria, oltre che della sua intelligentissima ed
entusiastica ingenuità adolescenziale, è una conferma ulteriore del carattere
utopico e visionario del suo pensiero. Per questo i migliori di noi, liberali o no, sono stati tutti "gobettiani" a vent'anni.
IMMAGINE. Piero Gobetti in un celebre disegno di Felice Casorati (part.)
AGGIORNATO IL 15 APRILE 2016
12 febbraio, 2016
Basta col ricordo del Concordato, la sconfitta più grave (e senza la minima speranza di riscossa).
Ora che è passata la giornata dell'11 febbraio, possiamo dirlo: abbiamo volutamente evitato di ricordare la ricorrenza nefasta del 1929. Speravamo che passasse sotto silenzio, per non fare ancora una volta una deprimente pubblicità alla nostra maggiore e più irreparabile sconfitta civile e morale di cittadini italiani, e soprattutto cittadini liberali. Ma vedo che alcuni amici sono caduti nel tranello della data e l'hanno celebrata. Perché? Che cosa intendono fare di questa stucchevole e masochistica rievocazione?
Siamo convinti ormai che il male fatto con i Patti Lateranensi e il Trattato con la Santa Sede da Mussolini e dal Fascismo (non fu certo colpa della Chiesa: un'occasione del genere – un dittatore, figura ad essa familiare, che le offre dei privilegi – poteva forse rifiutarla?) sia così grave che non abbia rimedi né a breve né a medio termine. E a lungo termine siamo tutti morti. Anche il rinnovo nel 1984, per responsabilità del governo Craxi (un altro socialista), è stato vergognoso, tanto più che nel Paese, ormai democratico, serpeggiava un notevole risentimento laicista.
La Chiesa, grazie al Concordato, ha rialzato la cresta, è tornata alla sua secolare arroganza, e fingendo di essere una “associazione privata” qualunque, anziché un Potere parallelo e antagonista allo Stato, approfittando del prestigio pseudo-spirituale presso una larga parte del popolo (nel frattempo regredito e istupidito da Fascismo e clericalismo politico) dice la sua e risponde su tutto, e non solo su comunione, confessione o estrema unzione, influenzando e dirigendo i parlamentari incolti e senza personalità, o i furbi atei opportunisti. Con la differenza rispetto ai tempi del Papa Re che oggi ha acquistato – grazie alle tecnologie moderne e alla società di massa che se ne nutre passivamente – un nuovo privilegio che moltiplica i vantaggi del poter parlare su tutto: l’essere sicura che le sue parole saranno diffuse e amplificate ogni giorno da giornali e televisioni di Destra, Centro e Sinistra. Un circuito perverso e potentissimo che spesso rende la parola della Chiesa il primo e più comprensibile messaggio su ogni argomento.
Ma, poiché – come ripeteva Ernesto Rossi – la proprietà e i soldi sono tutto per la Chiesa Cattolica, nonostante il suo ipocrita “pauperismo”, è soprattutto ai suoi beni ritrovati ed estesi che dobbiamo guardare. Col Concordato di Mussolini e Craxi la Chiesa ha prima riavuto e poi conservato tutte le proprietà che le erano state confiscate dai Liberali (a Roma perfino il bellissimo palazzo rinascimentale della Cancelleria: ogni volta che lo guardiamo ci piange il cuore). Perché confiscate? Per un inutile e crudele odio verso la Chiesa? No, anzi, tanti famosissimi capi liberali erano cattolici. Ma perché – solo in Italia – il Risorgimento è stato combattuto, e duramente, anche contro la Chiesa, che contravvenendo alla sua stessa storia e dottrina si era voluta fare Stato – qui, in Italia – e come Stato della Chiesa aizzava perfino vescovi e preti a disobbedire alle leggi; e perciò ha visto il suo momento culminante, altamente simbolico, nella battaglia di Porta Pia, a Roma, col cattolicissimo generale Cadorna a capo delle truppe italiane che bombardarono le mura Aureliane del Papa! Una partecipazione, quella dei liberali cattolici, allora per niente moderati, due volte moralmente eroica, se consideriamo che moltissimi liberali duri erano cattolici osservanti. Ecco perché nessun’altra rivoluzione liberale al Mondo ha avuto questo vistoso e drammatico epilogo anti-Chiesa.
Così, grazie a Mussolini, la Chiesa non solo accettò i milioni (di allora) delle Guarentigie troppo generosamente concessi dai Governi liberali (un errore) e sdegnosamente non accettati fino al 1929, ma imparò subito a moltiplicare questi insperati capitali, fino al capolavoro della “tassa” quasi obbligatoria dell’8 per mille a favore della Chiesa (che frutta circa un miliardo di euro all'anno!), altro capolavoro del governo Craxi (1985). Così la Chiesa ora spadroneggia più di prima tra ospedali, case di cura per lunga degenza, conventi che sono finti alberghi e appartamenti ad uso civile, banche e speculazioni finanziarie varie.
Sul piano della comunicazione, fondamentale per una religione fondata sulla parola e la seduzione attraverso di essa (la “predica”, il Catechismo, il libro del Vangelo ecc), la Chiesa si è assicurata varie e potenti casse di risonanza, avendo l’abitudine di infiltrare, fin dai primi anni Cinquanta, i suoi uomini in radio, televisione, agenzie giornalistiche e giornali. Si noti che senza questa comunicazione quotidiana, la sua influenza quasi sparirebbe, perché contrariamente a un luogo comune è fondata sulla sensibilità della gente, non sui segreti accordi coi politici.
Ecco perché la colonizzata televisione, clericale anche quando ha uomini di Sinistra, trasmette ogni giorno con grande rilievo, spesso in prima posizione, notizie sul Papa e il Vaticano. Un caso unico al Mondo. E nessuno protesta. Anzi, alle nostre recriminazioni i clericali, anche progressisti, rispondono: ma in Italia, solo in Italia, abbiamo il Vaticano in casa. Certo, ma in Italia, solo in Italia, abbiamo anche avuto un Risorgimento “contro” il Papa! E quindi l’argomentazione della territorialità non dovrebbe valere nulla, ormai, come infatti nessuno parla mai dello Stato di San Marino, molto più grande dello Stato della Città del Vaticano. Allora è solo questione di religione “prevalente” degli Italiani? Gravissimo.
Fatto sta che c'è la corsa a chi appare più clericale a Destra, al Centro e a Sinistra. Perfino i rari pseudo Liberali-Radicali non intendono sollevare il problema in modo drastico come sarebbe ormai necessario. Sono finiti e sarebbero controproducenti i i tempi del moderatismo estremo in materia Stato-Chiesa: lo abbiamo già e troppo a lungo provato, e non ha funzionato.
Perciò, oggi dovremmo ritornare in tutto e per tutto alla situazione Stato-Chiesa del primo Novecento, cioè prima del Concordato. Sarebbe l’unica soluzione, drastica ed efficace, anche se traumatica. Ma non esiste nessuna possibilità politica di farlo. Ci vorrebbe una denuncia unilaterale, seguita da una modifica costituzionale, di per sé lunga. Vorremmo proprio vedere se le Grandi Potenze, a cui certamente si appellerebbe il Vaticano come fece papa Pio IX, non capirebbero che per noi Italiani questo accordo umiliante fatto dal Fascismo è insopportabile, è una palla al piede perfino economica, e condiziona il nostro sviluppo etico, politico, civile ed economico. Le Nazioni Unite deciderebbero sanzioni economiche? Francia e Austria, di nuovo, invierebbero eserciti? Intanto la Gran Bretagna approverebbe.
Quel che è certo, è che dovremmo fare qualcosa di grande, di deciso e di estremo. Senza alcuna mediazione diplomatica. Misure leggere e accomodanti – lo abbiamo visto – sono inutili, oltreché impossibili.
Non parliamo poi del popolaccio che abbiamo oggi: non c’è la possibilità di alcun affidamento. È vero che vuol sapere tutto (tv, web ecc), ma è una fame vuota di particolari e segreti che sa di ricerca del pettegolezzo, non di partecipazione e condivisione di responsabilità e decisioni. L’ignoranza è macroscopica e generale. I cittadini, perfino molto laureati, non hanno idee, non leggono, non sono minimamente versati nelle cose storiche-politiche-giuridiche-psicologiche-economiche di cui si nutre la Cosa Pubblica, e quindi non capisce niente di Governi e Società. Però vuol dire comunque la sua, intromettendosi dappertutto in modo inutile. Pessima idea è stata far sapere a queste persone incolte che cosa effettivamente si dice in Parlamento (le “dirette” inventate dalla radio dei Radicali, che non si pongono mai il problema delle conseguenze dei propri atti). E una delle più gravi conseguenze dell’invenzione radicale è di avere degradato il messaggio politico: ora tutti i parlamentari non discutono alla Camera e al Senato in modo costruttivo, ma per fare propaganda esterna, per distinguersi con slogan e parole d’ordine, estremismo e frasi a effetto, tutti mezzucci ridicoli se pensiamo che sono diretti ai loro colleghi – così sperano di convincere i loro avversari? – ma comprensibili se pensiamo che in realtà sono diretti al largo pubblico fuori dell’aula. Siamo al comizio permanente e al populismo più becero (v. talk show).
Perciò cittadini e movimenti politici hanno ormai “idee ricevute” e pregiudizi così madornali che sono irrecuperabili. Lega Nord, Destra, Cinque Stelle, perfino una parte del PD, Sinistra estrema: non c'è un gruppo politico che si salvi. Neanche Liberali, Radicali e Repubblicani esistono più. E quando esistono come sigle sbagliano per debolezza di idee e mediocrità di uomini. I Cittadini elettori, poi, sono paradossalmente peggiori di quelli del 1929, quando c’era la dittatura, in quanto a cultura e spirito critico individuale. E se non si ribellarono nel '29 al clerico-fascismo, figuriamoci se prenderebbero parte oggi a una specie di rivoluzione laicista. impensabile.
Il Risorgimento, unico nostro evento glorioso e vincente in vari secoli, fu per gran parte architettato e ordito in segreto da una minoranza che sapeva leggere e scrivere e poteva votare. Altrimenti, in mano alle masse di oggi non avrebbe mai vinto. Oggi purtroppo si sa subito tutto e ovunque, e già via web si formerebbero comitati a favore del Vaticano. Senza contare che l’intera classe dirigente è stabilmente filo-cattolica da generazioni. E abbiamo un capo di Stato e un capo di Governo entrambi ex-DC. E i cattolici sono già infiltrati abilmente in tutti i gangli vitali del Potere. Insomma, diciamolo, non c’è più niente da fare. E sarà così per decenni. Anzi, siamo in contro-tendenza, perché la contemporanea pressione dell'Islam terroristico che prende di mira obiettivi cristiani ci obbliga a difendere la Chiesa, addirittura, e quindi gioca a nostro sfavore. A meno di un rivolgimento insperato, una sorta di miracolo laico, del tutto improbabile.
Insomma non parliamo più del Concordato, non celebriamolo ogni 11 febbraio come se fosse una vittoria (mentre il 20 settembre 1870 passa quasi sotto silenzio). Dimentichiamolo, per favore. Continuare a parlarne serve solo a deprimerci ancor più. E l'Italia è oggi un Paese depresso, all'opposto dei tempi del Risorgimento. Oltretutto, continuare a lamentarsi in tono querulo per le parole che dice un cardinale o un vescovo offende il buonsenso e la ragione, se poi non cerchiamo più utilmente di costringere televisione e giornali a fargli da amplificatore. Preti e vescovi sono presenti in molte trasmissioni di intrattenimento per anziani e casalinghe: è lì che si forma il consenso popolare.
Usiamo la tattica del silenzio, per noi e per loro. Se alla Chiesa togli l’audio, la uccidi come Potere temporale dotato di enorme influenza psicologica sui semplici e ignoranti. Ipocrita sparlare ogni giorno del Concordato e del Potere ecclesiastico e non contrastarlo dove la sua sensibilità è più viva, come diceva Ernesto Rossi, cioè sui soldi. Per esempio non dovremmo spendere più un euro per i Giubilei e gli eventi del Papa, dovremmo vietare i pullman turistici nel Centro di Roma, vietare anche che centinaia di conventi e case generalizie si trasformino in alberghi esentasse e pure con prezzi relativamente alti. E se questi conventi sono vuoti, requisirli per ragioni di pubblica utilità sociale: lo facevano anche i super-liberisti liberali del Piemonte, ben superiori ai finti liberali nostrani. Dovremmo anche eliminare le immagini religiose nei luoghi pubblici, che possono influenzare l’educazione dei giovani in senso confessionale e fanatico, eliminare i cappellani militari, far pagare le tasse integralmente alle chiese anche quando sono solo luoghi di culto: perché vanno privilegiate le religioni?
In quanto al Concordato, basta col ricordare sempre le sconfitte. Anche perché per quel poco che ha di laicista, cioè di separazione e rispetto tra Stato e Chiesa, non viene rispettato. L'ultimo caso: il card. Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, proprio l'11 febbraio si permette di dire "come" si dovrebbe votare in Parlamento italiano! Strafottenza, arroganza senza pari: con un Cavour capo di Governo ci sarebbe stato il ritiro dell'ambasciatore italiano presso la Santa Sede e le dimissioni del capo della CEI come conditio sine qua per riaprire i rapporti diplomatici. Ma oggi, con lo Stato in mano ai chierichetti cattolici di Destra, Centro e Sinistra, e con un popolino male educato da quasi un secolo, le reazioni sono deboli e inefficaci. I non-liberali hanno preso la Democrazia come "il Regime senza spina dorsale", l'ideologia della debolezza, della furbizia, del sotterfugio e dell'inganno. E allora, a che serve, questo Concordato tutto scritto o interpretato a vantaggio della Chiesa? Eliminiamolo. O almeno, dimentichiamolo, visto che non riusciamo a fare neanche la più banale riforma laicista.
AGGIORNATO IL 13 FEBBRAIO 2016
10 febbraio, 2016
“Matrimonio” (o “unione civile”) o no: il curioso paradosso dei Conservatori e dei Liberali.
Da liberale, e perciò riformatore e progressista, mi sono battuto sempre per rafforzare gli anelli più deboli della catena anche se non mi riguardavano, non i più forti. Quindi, p.es., per la libertà di divorzio
e di aborto. Mentre non ho speso una parola in favore del matrimonio, che vive
di una forza sua e che è stranamento difeso, e pure troppo, da chi non lo può
usare e neanche lo trova nei suoi Libri Sacri, come la Chiesa Cattolica (il che
fa trapelare inconfessabili morbosi complessi). Matrimonio che ho sempre visto
come una struttura recitativa, oppressiva e formalistica all’interno della
quale da sempre si nascondono le peggiori ipocrisie e violenze, e che per le
sue dinamiche (altro che “fondamento etico della società”, ma che ne sa la
Chiesa? A meno che non ammetta che il suo Dio eponimo, il pretesi Joshua il
Nazareo, cioè il ribelle, non fosse sposato) ha assomigliato in passato e talvolta
ancor oggi a un prosaico contratto di compravendita, quando non a una forma di
prostituzione istituzionalizzata.
Mi meraviglia e incuriosisce da sempre, perciò, che
categorie che si ritengono moderne come gli omosessuali impegnati nella società
si siano incaponiti a utilizzare un istituto così conservatore. Ma, contenti
loro, a un liberale spetta solo un dovere, questo sì, morale: assecondare i
desideri di qualsiasi minoranza che fornendo
prove e documenti si ritiene discriminata o che vuole nuovi diritti compatibili
col Diritto e la Costituzione. Per un liberale è obbligatorio. Altro
comportamento un liberale non può avere.
Ora nell’
articolo su "LibereLaiche" della coraggiosa Tiziana
Ficacci, anche lei laicista e anticonformista in tutto, viene ripreso un intero
articolo del blog di Francesco Costa
(che non conosco), di cui mi ha colpito in particolare un capoverso che è sulla
linea del mio ragionamento e contiene una paradossale presa di posizione del
Capo di Governo inglese, Cameron, conservatore:
“I conservatori – al netto dell’omofobia – dovrebbero
preferire i matrimoni gay alle unioni civili. Nel campo dei diritti civili e
sociali, la difesa della famiglia fondata sul matrimonio e del matrimonio come
pilastro fondante della società è stata per decenni una battaglia dei
conservatori. Forse la battaglia centrale dei conservatori sui temi sociali. Al
contrario, i progressisti si sono sempre battuti per un’organizzazione sociale
più fluida, più libera e soprattutto meno imperniata sul matrimonio e sulla sua
indissolubilità, vista come reazionaria, costrittiva, ipocritamente riparatrice
di sottomissioni e violenze, che invece giustificava: lo hanno fatto prima
lottando per il divorzio, poi lottando per accorciare il più possibile i tempi
per il divorzio, poi battendosi per l’allargamento dei diritti alle coppie di
fatto, tra le molte altre cose. Per dirla come l’ha detta David Cameron: «Io
non sono a favore del matrimonio gay nonostante sia un conservatore; io sono a
favore del matrimonio gay perché sono un conservatore”.
Ma se Cameron fosse stato un ultra-conservatore cattolico, del genere di quelli ipocriti che oggi si oppongono in Italia a ogni modifica del concetto di matrimonio collegando abusivamente l'etica civile con una presunta integerrima ed esclusiva "morale cattolica", avrebbe parlato diversamente. Dopo le parole chiare e severe del filosofo Galimberti che aveva fatto notare la "prepotenza dei cattolici", il giornalista Augias rispondendo in un programma televisivo alla domanda del conduttore Floris ha fatto notare che, anzi, se è per questo, la tradizione cristiana dovrebbe essere apertissima, visto come il Vangelo fa nascere Gesù: da una donna incinta fuori dal matrimonio (Maria), con un padre adottivo (Giuseppe), essendo quello vero sconosciuto e comunque esterno (il cosiddetto Spirito Santo). Insomma, al confronto del matrimonio allargato, libero e problematico del fondatore del Cristianesimo, ogni attuale proposta di legge su un matrimonio diverso è "acqua fresca"!
Se si cerca in questo blog (e nella Newsletter che esisteva
fino al 2006) nel motore interno di ricerca alle parole “matrimonio gay” o
simili, si trovano almeno quattro articoli interessanti (di cui tre brillanti:
scorrere la Newsletter) di tanto tempo fa, come questo e questo ancora, poi la protesta di una lesbica liberale con la relativa risposta (la data è errata: ma
importa poco) e un articolo precedente sul blog.
AGGIORNATO L'11 FEBBRAIO 2016
09 febbraio, 2016
Macabro Medioevo. Riesumata per risollevare le sorti della Chiesa la salma del discusso padre Pio.
Ma che cos'è quest’improvviso cambio di scena attraverso il Tempo e lo
Spazio in quell’esagerato teatro barocco che è la Chiesa Cattolica Apostolica
Romana? Del resto, era nata come finta-rivoluzionaria, ma fu subito reazionaria e populista. E tornare indietro e battere le piazze e le città è sempre stata la sua
specialità. Ma oggi, che vuol dire questo ritorno - se mai se ne è allontanata - al feticismo fanatico delle reliquie (che neanche è vera religione, come ha detto in televisione il filosofo Umberto Galimberti), alla esibizionistica traslazione-ostensione – senza nessun
motivo plausibile, neanche una ricorrenza di date – di una salma, quest’assurdo
portare in giro e mostrare al pubblico impudicamente il cadavere d'un frate,
oltretutto discusso già in vita, biasimato e indagato da tre Papi, tanto da
rischiare di essere spretato, considerato esibizionista, imbroglione, perfino
lussurioso; ma poi stranamente – ecco il suo vero e unico miracolo – fatto "santo",
a sorpresa, da un altro Papa, anch’egli grande gigione, ben oltre il parere di
teologi e curiali, a furor di popolo?
Ora Padre Pio è costretto dal gesuita papa Francesco (quanto diverso da
Roncalli e quanto simile a Wojtila in questo!) a recitare anche da morto. Quale
parte deve recitare? Lo vedremo: sarà chiaro alla fine di questo articolo.
Intanto, lo portano in giro come mummia per l'Italia plebea, con tanto di
gendarmi: ben 800 giannizzeri pagati da noi Italiani, anche stavolta, non dal
Vaticano.
Una vergogna? Di più, molto di più, e peggio. Perché è una vergogna
complicata.
Torniamo ai secoli bui? È il segno tangibile della Restaurazione, si
dice. Questo appare ora ai superficiali, ma vedremo che è una finta, una
messinscena, come quelle che allestiva lo stesso Padre Pio. Anzi, è uno
sviamento di problemi, una distrazione orchestrata di massa. Altro che
laicizzare la società come pretenderebbe l’etica “edonistica” liberale; altro
che atteggiamento passivo di fronte alla crisi di vocazioni sacerdotali e di
fedeli nelle chiese; altro che fine della religione e trionfo dell’ateismo;
altro che debolezza imbarazzante di fronte all’Islam; altro che sostituzione
dell’antico fervore popolare col carisma del solito Papa istrione, altro che confronto
tra Family Day e Family Gay.
Quali altri significati potrebbe avere questa ridicola e inquietante
messinscena? Già da tempo urgeva riavvolgere all’indietro il film della storia
della Chiesa. Occorreva dire basta con questa Chiesa che rischia di apparire
laica, scettica, relativistica, razionale, perdente, di volta in volta
liberale, socialista, ecologista (be’, dopo quell’Enciclica...) o comunista.
Torniamo alla Chiesa vera – devono essersi detti gli “gnomi del
Vaticano”, gli oscuri uomini in nero bordato di rosso porpora – la Chiesa delle
narrazioni favolistiche, delle emozioni popolari, delle invocazioni e delle
urla isteriche (ricordate il “Santo subito!” ai funerali di Wojtila?). Una
Chiesa del cuore, non del cervello e, se proprio questio organo va usato, non
della corteccia cerebrale ma dell’ipotalamo. La religione non dei vivi ma dei
morti, non dello spirito critico ma dei miracoli, non dell’incenso dei
chierichetti ma delle ascelle del popolo grezzo che dal profondo Sud accorre in
treno o pullman a piazza S.Pietro, olezzante sali di acido valerianico, formico
e caprilico, per dirla con quel genio pazzo di Gadda.
Ma sì, devono essersi detti cardinali di Curia e lo stesso Francesco, visto
che la Chiesa dei ricchi intellettuali sarebbe povera, torniamo furbo paradosso
della redditizia “Chiesa dei poveri”, laddove i poveri ovviamente sono gli
spettatori passivi, la platea abbagliata dalla grandiosità e terribilità dello
spettacolo, il consueto, coloratissimo, teatro Cattolico che tanti frutti,
vocazioni e soldi aveva dato con Wojtila.
Nessun tour operator avrebbe potuto fare di meglio nell’organizzare per
mesi in silenzio e nel segreto (gli Italiani non dovevano saperne nulla; se no,
sai che ironie, proteste, problemi...) una simile full-immersion nei valori
antiquati e regressivi del Cattolicesimo: l’infantilismo, l’ignoranza, la
superstizione, la seduzione delle folle dei semplici. Il pensiero va ai tempi
delle masse sudate degli idiots du village, agli ottusi delle campagne del
Medioevo, insomma ai "chretiens" per dirla con Odifredi, e quindi
sotto sotto – del resto se la solo voluta – alla mercificazione, al santino, al
rosario portentoso, alle litanie che assicurano la salvezza, insomma all’imbroglio;
ma soprattutto al cospicuo biglietto del pullman della parrocchia o del
Vescovado, e ai modesti 50 euro di pernottamento negli alberghi clan destini
delle suore (quelli che spacciati per luoghi “religiosi” non pagato l’IMU), che
è quello che conta di più per mandare avanti la barca.
Soldi e commerci moderni, ma effetti antichi. Il cadavere del santo, ormai
quasi solo ossa, ricostruito e coperto di cera colorata, insomma è finto,una
vera e propria statua kitsch idealizzata che starebbe bene al Museo delle Cere
di piazza SS.Apostoli. Eppure ha sempre il suo fascino perverso sulle folle superstiziose.
Il morboso connubio ieros-thanatos, il sacro e la morte, attira sempre. Il
trionfo dei corpi che negano se stessi. O putrefatti o fatti polvere o
mummificati, sempre morti sono. Purché colpiscano l’infantile immaginazione
popolare con un invitante ribrezzo.
Eccoci riportati a un Medioevo barbaro e macabro che a differenza dei
civilissimi Etruschi-Romani, intinge il pane nei liquami della materia
organica, inala golosamente il fetore dei morti, e attribuisce ai “santi” che
non si lavano mai per disprezzo e vergogna del proprio corpo il massimo
dell’apprezzamento etico-olfattivo. “E’ morto in odor di santità”, dicevano i
cinici monsignori, maestri nell’arte dell’eufemismo e dell’ipocrisia, per non
dire: viveva ormai come un barbone.
Resta il monstrum, la stranezza della fiera al mercato del giovedi nei
villaggi dell’Ottocento, col ciarlatano che arringa gli ebeti del villaggio: "Venghino,
siori, venghino! Ché qui gli mostriamo una vera mummia parlante e benedicente,
in carne e ossa! Non c'è trucco, non c'è inganno! Fatti avanti, ragazzo. Senza
timore: tocca, tocca le piaghe purulente... Col nostro facile metodo di cinque
Ave, quattro Gloria e un Paternoster, rimettiamo a contadini e cavalieri,
vergini e maritate, tutti i peccati passati, presenti e futuri! Basta versare
il modesto obolo di euro 80 più Iva, pullman compreso, andata e ritorno! E' un
affare! Venghino, siori, venghino".
Vengono i brividi. La vista si appanna, il sole sparisce, il cielo si
oscura di nubi fosche, innaturalmente nere. Un film di Dreyer? No, ma una
saetta a questo punto ci sta benissimo (grazie, tecnico delle luci!). Chissà,
il popolo bruto crede alla messinscena, e attende il miracolo. Dio, o meglio il
presunto servo di Dio, “deve” farlo ‘sto miracule, se ha le palle, se è un
uomo. Aggio pagato ‘u biglietto d’u trenu, e lu miracule debbo vedé. Sinnò, nun
torno a lu paese!”
Ma chi non crede al miracolo e alla santità è proprio la Chiesa. La
Chiesa vera, quella che sta in alto, la più cinica, contrapposta alla Chiesa
che sta in basso, al popolino ignorante. Cinismo politicante e massmediatico,
perfino “scientista”, della Curia Romana, dei Cardinali, dei Papi, a partire da
papa Roncalli con la sua razionalizzazione e modernizzazione del Concilio
Vaticano II, contro l’insopportabile, sottoculturale e reazionaria
superstizione popolare? Così è, se vi pare. Ma allora, se i monsignori non ci
credono (non ci hanno mai creduto, perché Padre Pio è stato sempre combattuto,
e dai più alti esponenti della Chiesa), come mai ora cavalcano il mito popolare
d’un santo a furor di popolo e ne espongono in un tour mediatico le spoglie
mortali?
Per interesse, solo per convenienza, insieme economica, politica e di
immagine. Ecco una prima spiegazione dell’ambiguità della Chiesa sul fenomeno
Padre Pio e su altri problemi ed eventi di oggi. Ecco il crudele e spudorato
cinismo, la contraddizione stridente di chi dopo aver per 2000 anni predicato
spiritualità, estasi maniacali, visioni ed emozioni popolari, ora vorrebbe
trovare nella scienza prove sicure di questa religiosità maniacale. E non
trovandole, ovviamente, prende le distanze dal suo stesso volgo, che essa
stessa ha fatto nei secoli così ignorante. E allora, che cosa scegliere?
Nessuna, cioè entrambe le cose.
Così, a basarsi sulla pubblicità che deriva da questo ennesimo coup de
theatre è il Vaticano, o SCV, che però non è la Chiesa, è solo un Governo
amministrativo che si occupa di fogne e francobolli (e infatti sbagliano i
Radicali ad accusarlo di tutto, per non dover sparlare della Chiesa). I cinici
registi occulti, monsignori e cardinali, alcuni dei quali sicuramente scettici
e perfino atei, stanno altrove, nelle segrete stanze: sono quegli omuncoli
tutti uguali vestiti di nero o di rosso che stipulano contratti e legalmente rappresentano
– Papa o non Papa – la Chiesa Cattolica. Così poco credenti nella spiritualità
da far venerare agli incolti i corpi e le cose terrene. Ma sanno che ora la
Chiesa ha bisogno vitale di obiettivi e vittorie facilmente raggiungibili, di visibilità
mondiale e quindi di maggiore influenza, soprattutto di maggiori entrate, visto
che l’8 per mille sta calando. E i Giubilei ormai da soli non bastano più:
servono gli “eventi” mass-mediatici, i colpi di scena. Come le processioni per
l’Italia delle spoglie del frate più popolare, appunto. Anche a costo di
contraddire i pretesi poteri spirituali d’un Santo, che a rigore di teologia non
avrebbe bisogno di essere trasportato per diffondere grazia ed effetti
taumaturgici. E invece, no, è costretto alla stregua d’un laico baule qualunque
a valicare fisicamente città, montagne e valli, come se quel frate morto fosse
un buono a nulla, un insieme di ossa e pelle incartapecorita che anziché
librarsi invisibile nei Cieli e volare dappertutto, ubiquo e sempiterno come la
sua Santità vorrebbe, deve essere trasportato manualmente qua e là come un
volgare “collo” postale. E chissà se arriva, e se arriva intatto, dipende dal
camion e dalle buche.
Intanto, nel feticismo necessario, superstizione nella superstizione, si
crea spontaneamente un piccolo “indotto” economico, a metà tra golosità e
satira. Su internet sono apparse, diffuse dalla blogger Selvaggia Lucarelli, le
foto inquietanti di biscottini macabri e orripilanti a forma di “mani con le
stimmate”, come ha riportato
La Stampa attribuendoli a una giovane cattolica
inglese. Nessuno scandalo. Del resto, non esiste già una pasticceria devozionale
cattolica che riprendendo un’atavica tradizione pagana ci ha deliziato con le
“minne [mammelle] di Sant’Agata” e gli “occhi di Santa Lucia”.
Ma allora che cosa resta di quel monaco assai poco monaco – riferirono gli
ecclesiastici suoi contemporanei – accusato dai più noti e prestigiosi
religiosi (tra cui padre Gemelli, papa Giovanni XXIII, dom Franzoni ecc.),
medici e scienziati dell’epoca che più volte, non collegati tra loro, lo
avevano visitato, di essere un furbissimo mistificatore, un abile istrione, un
esibizionista patologico, un isterico, uno psicopatico, un autolesionista, un
malato mentale, un imbroglione, un profittatore che pare “studiasse da santo”
fin da giovane? Già nel 1919 due farmacisti della zona – riporta lo storico
Sergio Luzzatto – avevano testimoniato di avergli fornito sostanze chimiche
irritanti in grado di procurare e conservare le piaghe, come acido fenico e
veratrina. Poi venne a galla anche la tintura di iodio. Per papa Giovanni
XXIII, che da buon cattolico indagò anche sui rapporti ambigui e imbarazzanti di
“P.P.” (come lo chiamava nelle sue lettere) con le “sue” donne più fedeli, insomma
una specie di Rasputin di provincia con tanto di contessa plagiata, l’intera
vicenda di Padre Pio era “un immenso inganno”, il frate stesso non era che “un
idolo di stoppa”. Santo solo perché lo ha voluto il suo popolo, popolo
ignorante e pagante, profumatamente pagante, soggiogato dal suo carisma. E
ancor più perché troppi e scandalosi interessi speculativi si sono accentrati
su di lui, per poter distruggere il suo impero dalle uova d’oro. (v. la
spudorata industria della credulità sorta attorno a lui a S.Giovanni Rotondo,
perfino un ospedale, che il popolino ha sempre interpretato – ahimè a torto –
come il più indicato “per i mali incurabili”). Una vicenda inquietante ma anche
grottesca e ridicola, come una notte di tregenda rozzamente riprodotta con le
primordiali finzioni tecniche dell’epoca dei film muti degli anni Venti.
Per saperne di più, si veda: il saggio dello storico Sergio Luzzatto (“Padre Pio. Miracoli e politica nell’Italia del Novecento”, Einaudi), la voce “Padre Pio da Pietralcina” su Wikipedia e l’articolo di A. Cazzullo sul Corriere della Sera (25 ottobre 2007).
AGGIORNATO L'11 FEBBRAIO 2016