30 aprile, 2011
Chiesa. Beato e Santo Wojtyla, attore istrione e populista, tra tv, politici, bancarottieri e pedofili.
SANTO PER MIRACOLO. Non sappiamo chi sia stato il regista teatrale nella Curia romana, forse lo stesso papa, ma certo l’immagine dolente, davvero ben interpretata, di Karol Wojtyla anziano, curvo, aggrappato all’alta Croce, i suoi silenzi drammatici degli ultimi mesi (con un monsignore che parlava per lui, senza essere visto), poi la sua lunga agonia ostentata senza pudore in tv “mondo-visione”, i funerali più virtuali che reali con un milione di turisti, i fanatici “papa boys”, le immagini rubate dal “popolo dei telefonini” venuto dalla provincia (“Santo subito!”), e ora la sua beatificazione, affrettata e mediatica, collocata furbescamente al 1 maggio – anche questo puro marketing a reti tv unificate – restano tra gli esempi più imbarazzanti del cinismo mediatico della Chiesa di Roma, che ormai per far dimenticare l’arretratezza delle sue scelte e l’impopolarità dei suoi “no” a tutto (matrimonio dei preti, donne-sacerdote, pillola, libera scelta in fine vita, aborto, divorzio, separazione vera tra Stato e religione ecc.), e il grave scandalo della pedofilia dilagante tra i preti, punta tutto sullo spettacolo. E non è certo la prima volta nella sua storia. Penis et circenses, direbbe il comico da cabaret Pippo Franco. Ma questa volta – ha dichiarato alla Voce Repubblicana il segretario dei Radicali Italiani, Mario Staderini – il Vaticano ha fatto di più: “ha utilizzato la popolarità di Karol Wojtyla per 'ripulire' la Chiesa dagli scandali sessuali e finanziari” che l’hanno macchiata.
Non sappiamo se papa Wojtyla sia andato in Paradiso, beato tra gli angeli, secondo la favola cattolica. Ne dubitiamo. E neanche ci impressiona più di tanto che il suo principale collaboratore, ora successore (che gaffe!), lo faccia subito beato e poi santo, per decisione “politica”, facendo sospettare i maligni d’un do ut des per passati privilegi.
L’aldilà non ci compete, ma se l’aldiquà, cioè il comportamento in questo mondo, è un indizio di quello che le “anime” secondo la stessa raffigurazione cattolica dovrebbero aspettarsi nell’altro, non possiamo tacere che il pontificato di Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla, è stato legato ai peggiori personaggi, scandali ed eventi che sia possibile immaginare per un papa in tempi moderni.
E’ vero, come ripetono i preti quando sono coinvolti in grane giudiziarie, che il Cattolicesimo non è religione consolatoria per anime eleganti e schizzinose, e che un vero religioso preferisce Maria Maddalena a Santa Teresa, il ladrone all’asceta, perché il suo compito è redimere, mischiarsi, sporcarsi con la peggiore gentaglia, quasi fosse una sorta di polizia dello spirito, un’infermeria da lazzaretto delle anime. Però anche nel ricercare dal male il bene c’è un limite. E non ci risulta che i tanti discussi personaggi a contatto diretto o indiretto con Wojtyla, da mons. Marcinkus, nominato a capo dello IOR, al bancarottiere Sindona, dal vescovo pedofilo Laws ai legionari di Cristo di padre Maciel Degollado, macchiatisi di gravissime violenze sessuali sui minori, dal capo della P2 Licio Gelli al capo della banda della Magliana “Renatino” De Pedis (quello a cui il card. vicario Poletti rimediò una tomba nella basilica di S.Apollinare), prima di morire o di andare in galera si siano pentiti e siano diventati stinchi di santo. Tutt’altro. Anzi, molti di loro sono stati compresi, scusati, difesi, aiutati, perfino nascosti alla giustizia “laica” fino all’ultimo. Per Wojtyla – diranno gli avvocati della difesa – solo culpa in eligendo o in vigilando? Concediamolo pure, strumentalmente, anche se l’omertà della Chiesa di Wojtyla, la volontà di mettere a tacere le accuse, e di non punire i preti pedofili, nonostante le prove schiaccianti raccolte da polizie e magistrati, non possono essere perdonate. Ma certo non vale la scusa della “sindrome Maria Maddalena”.
Davvero, comprendiamo le ironie e le critiche dei protestanti. Insomma, quella che si celebra, con un volgare battage pubblicitario poco celeste e molto terreno, è una beatificazione mercificata e finta (contravvenendo perfino alle regole della Chiesa il processo iniziò ben prima dei 5 anni dopo la morte) davvero contestabile, per non dire inopportuna o scandalosa. Ora nella Chiesa cattolica ci sono anche i beati per grazia ricevuta, i santi a orologeria. Ma è un discredito che tocca tutti. Tanto che non solo vari teologi cattolici, ma perfino alcuni esponenti protestanti, ebrei e atei hanno preso le distanze da questa affrettata e immotivata ostensione massmediatica. In tempi di assenza di “valori” e di tirannia della “televisione globale” premiare coram populo e nel modo sbagliato una biografia politica discussa è anche diseducativo per gli spettatori, a qualunque credo o non-credo appartengano.
L’evento spettacolare, a soli sei anni dalla sua morte, dell’affrettata beatificazione di papa Wojtyla, sapientemente gestito anche dal punto di vista pubblicitario e affaristico, a cura del suo fedelissimo collaboratore card. Ratzinger divenuto suo successore, con l’esile prova d’un miracolo risicato (figuriamoci, una persona “guarita” dal Parkinson, e per di più suora), una santità richiesta a furor di popolo dopo funerali televisivi a reti unificate in cui migliaia di turisti, “il popolo dei telefonini", lo aveva fotografato alla stregua d’un qualsiasi divo del rock urlando come allo stadio “Santo subito!”, e per di più alla fine d’un lunghissimo pontificato tutto recitato con maestria da grande attore sui mass media mondiali, è tale da gettare discredito sulla Chiesa e imbarazzare perfino gli atei. Insomma, vista l’opposizione di parecchi prelati alla sua causa di beatificazione, il vero “miracolato” è Wojtyla, “santo per miracolo” come ha scritto l’agenzia cattolica Adista.
La Rai-tv ha dedicato tutti i suoi programmi, perfino quelli di rock, all’evento. Roma è stata bloccata per due giorni dall’arrivo di centinaia di pullman e treni speciali, centinaia di migliaia di turisti che hanno ostacolato la vita dei cittadini. La grande rappresentazione teatrale dal titolo “Beatificazione di papa Karol Wojtyla” ha costi altissimi per la cittadinanza, per il Comune e lo Stato italiano. Perché è noto che la Chiesa, come al solito, spende pochissimo e piange miseria, tentando di far dimenticare i milioni di euro dell’otto per mille sottratti anche a quei cittadini italiani che non hanno manifestato alcuna volontà, grazie ad una classe politica clericale.
Ma, come accade in ogni estrema decadenza, come se non avesse memoria della sua Storia e dei gravi errori compiuti, la Chiesa cattolica romana ormai cade in ogni tranello del Caso, non si accorge nemmeno più del discredito irreversibile che l’accompagna e delle conseguenze disastrose dei suoi spettacoli, e si avvia con l’ingenua furbizia che la contraddistingue all’ennesima brutta figura in mondo-visione tv tra le persone intelligenti e sensibili di ogni credo (o non-credo). Non capirà mai che, alla lunga, attirare e selezionare i propri strani “fedeli” non-praticanti in base all’emotività, alla seduzione del carisma del personaggio, alla superstizione delle icone, al mito, alle luci dello spettacolo, anziché al messaggio di bene operare, alla coerenza, alla ragione e allo spirito critico – quel Logos sempre citato a sproposito dai teologi – insomma la scelta dei “poveri di spirito” al posto degli intelligenti, rischia di dar ragione ai malevoli come il matematico Odifreddi che ricordano sghignazzando l’etimologia francese del nome cretino (crétin da chrétien, cristiano), e di portare alla fine questa religione.
AVVERSARIO DEL LIBERALISMO. Giovanni Paolo II è stato un grande, tenace, sanguigno avversario della ragione, della tolleranza e del relativismo, cioè del Liberalismo (ammesso che sapesse davvero che cos’è, e non lo confondesse - come spesso ci è sembrato - col capitalismo o il mercato). Ma non lo critichiamo qui per questo, sarebbe stupido: un Papa deve essere anti-liberale, altrimenti tutto il castello su cui sono fondati il dogmatismo, l’autoritarismo, la violenza psicologica, il missionarismo e il fanatismo della Chiesa crollerebbe, e con quello la religione cattolica e forse lo stesso Cristianesimo. Aveva ragione a ripetere: “La Chiesa non è democratica”. Lo critichiamo qui, invece, per le contraddizioni interne in cui è caduto, interne alla Chiesa, rispetto al dettato del Vangelo o all’etica cristiana, insomma per ragioni inerenti alla sua stessa religione. In altre parole, lo critichiamo “come se fossimo cristiani”. Che è il modo più intelligente di trattare un Papa.
CRITICHE DALL’ESTERO E TRA GLI INTELLETTUALI. IL BILANCIO D’UN PONTIFICATO. LA FIGURA D’UN UOMO. LA CORPOREITA’ E L’AMORE PER LA NATURA. Tra le molte voci critiche sulla beatificazione di papa Wojtyla un editoriale di Maureen Dowd, del New York Times, ripreso da un commento del quotidiano La Stampa, un dibattito colto e non prevenuto su MicroMega, una raccolta sistematica di critiche al suo pontificato su Wikipedia, un nostro articolo sull’acquiescenza di fronte ai preti e vescovi pedofili, e infine, come bilancio generale, con i pro e i contra, del pontificato di papa Giovanni Paolo II, e anche qualche tratto della figura dell’uomo Wojtyla, consiglio la breve monografia apparsa dopo i suoi funerali (11 aprile 2005) nel n.23 della Newsletter del Salon Voltaire (Wojtyla, la Chiesa e i Nuovi Cattolici: “Guardatemi in papa-mobile”), in cui sottolineo anche un lato poco noto di Wojtyla, raro nella Chiesa e quindi molto apprezzabile: la sua filosofia “naturista”, l’amore per la Natura e la corporeità.
CRITICHE ANCHE DA AMBIENTI CATTOLICI. Un libro critico nei confronti di papa Giovanni Paolo II sul quale mi sono documentato è "Wojtyla segreto" (ed. Chiarelettere) di Giacomo Galeazzi, vaticanista de "La Stampa", e del giornalista d'inchiesta Ferruccio Pinotti (pag.352), con una prefazione del vescovo Domenico Mogavero, presidente Cei per l'immigrazione. Tra i tanti documenti e testimonianze riportate dall’inchiesta la deposizione giurata al processo di beatificazione del celebre teologo Giovanni Franzoni, ex rettore della basilica di S.Paolo: “E’ mio dovere elencare i gravi dubbi che non si possono tacere... L'ansia con cui molti ambienti lavorano alla beatificazione ha poco di evangelico. Chiedo che Wojtyla sia lasciato al giudizio della storia”. Il libro è contrario alla beatificazione di Wojtyla, e testimonia che non pochi in Vaticano si erano espressi allo stesso modo. Ma non sono stati ascoltati: la volontà “politica”, cioè quella di Ratzinger, ha prevalso.
I cardinali Sodano e Sandri, stretti collaboratori di Wojtyla, non volevano testimoniare al processo di beatificazione: troppo presto, dicevano, è inusuale. E il card. Danneels, primate del Belgio, intervistato dal cattolico “30 Giorni”, disse nel 2009: "Questo processo sta procedendo troppo in fretta. La santità non ha bisogno di corsie preferenziali. E' inaccettabile che si possa diventare santi o beati per acclamazione. Il Papa è un battezzato come tutti gli altri. Dunque la procedura di beatificazione dovrebbe essere la stessa prevista per tutti i battezzati". E poi “non mi è piaciuto il grido 'santo subito!', che si è sentito ai funerali di Giovanni Paolo II in piazza San Pietro. Non si fa così. Qualche tempo fa hanno anche detto che si trattava di una iniziativa organizzata, e questo è inaccettabile. Creare una beatificazione per acclamazione, ripeto, è una cosa inaccettabile" (v. articolo).
Consiglio anche il documentato, “Santo, dubito” (ed. Adista, agenzia cattolica, e Terre Libere), in cui è detto che “non è convinzione unanime che la vita di Wojtyla costituisca un esempio da seguire per un cristiano che voglia vivere il Vangelo”. Basti pensare all`Appello firmato nel 2005 da teologi di diverse nazionalità critici col processo di beatificazione, che tra le colpe di Wojtyla elencavano tra l’altro «la repressione e l`emarginazione esercitate su teologi, teologhe, religiose e religiosi»; «la tenace opposizione a riconsiderare alla luce del Vangelo, delle scienze e della storia alcune norme di etica sessuale»; «la dura riconferma del celibato ecclesiastico obbligatorio», «ignorando il concubinato fra il clero di molte regioni e celando, fino a che non è esplosa pubblicamente, la devastante piaga dell`abuso di minori da parte di ecclesiastici». E ancora «il mancato controllo su manovre torbide in campo finanziario» dell`Istituto Opere di Religione (IOR, la banca vaticana); «la riaffermata indisponibilità» ad aprire un «serio e reale dibattito sulla condizione della donna nella Chiesa»; «il rinvio continuo dell`attuazione dei principi di collegialità nel governo della Chiesa romana», malgrado le delibere del Concilio Vaticano II». Infine, «l`isolamento ecclesiale e fattuale in cui la diplomazia pontificia e la Santa Sede hanno tenuto mons. Oscar Arnulfo Romero» e «l`improvvida politica di debolezza verso governi – dal Salvador all`Argentina, dal Guatemala al Cile – che in America Latina hanno perseguitato, emarginato e fatto morire laici, uomini e donne, religiosi e religione, sacerdoti e vescovi che coraggiosamente denunciavano le “strutture di peccato` dei regimi politici dominanti». Un capitolo molto interessante di “Santo, dubito” è stato anticipato in un articolo online di MicroMega.
E infine, Wojtyla, pur avendo inflazionato il calendario di nuovi santi fino a deprezzare il concetto stesso della santità, come ha notato Ghersi, si è ben guardato colpevolmente dal fare santo Don Milani – ricorda in un commento il lettore Metrò Ultimo (vedi) – mentre non ha avuto problemi nel santificare quel monsignor Stepinac che era stato amico e consigliere del dittatore croato filo-nazista Pavelic, autore di un vero e proprio genocidio, e ha santificato pure Escrivà, a suo tempo (anni 40) amico del dittatore fascista Franco. Un Papa del genere farlo santo?
AGGIORNATO IL 30 APRILE 2014
20 aprile, 2011
“Santo subito!” Dal nostro inviato ai funerali di papa Giovanni Paolo II, futuro San Karol
Se non ora, quando? Le malelingue dicono che la Curia ha affrettato i tempi, perché la memoria della gente, dagli anziani ai “Papa boys”, si sa, svanisce presto. Ma anche per reagire alla caduta verticale di popolarità del Papato (con tutte le inevitabili conseguenze negative sul business del turismo religioso, Romana Pellegrinaggi in primis) che viene imputata all’understatement del timido Ratzinger. La Chiesa avrebbe deciso, così, di attingere a man bassa, per rifarsi, a quel che resta del carisma da Grande Attore che Wojtyla si porta dietro anche da morto. I dietrologi, poi, insinuano che si tratti addirittura di una promessa, d’un gesto dovuto per riconoscenza, da parte di chi fu onorato del ruolo di consigliere numero uno di Giovanni Paolo II. Fatto sta che ora che papa Karol, contro una tradizione secolare della Chiesa, sta davvero per essere beatificato (1 maggio), incredibile a dirsi, appena sei anni dopo la sua morte e senza aver fatto praticamente nulla delle cose che dovrebbe fare un vero "beato" per bene, va assolutamente riproposta la cronaca dei suoi funerali, quelli del famigerato e cinico popolo dei telefonini venuto dalla provincia profonda, che scherzando e ridendo urlava “Santo subito” in un modo ritmato che dava fastidio perfino agli atei, come se si trattasse d’un cantante rock o del protagonista del Grande Fratello. Se non ora, quando? La pubblicammo sulla graffiante e satirica Newsletter quindicinale del Salon Voltaire: era il n.24 dell’11 aprile 2005. La trovate anche nell’indice sul colonnino, con l’originaria impaginazione, a firma di quel mangiapreti del barone Peppino d'Holbach:
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San Karol: 10, 100, 1000 Padre Pio
MA SUL CRUSCOTTO NON C’È POSTO
Quando si dice "dare il cuore". "A questo punto potrebbero farlo anche martire…", ha detto, in conflitto d’interessi, il proprietario d’un negozio di ricordi religiosi di via della Conciliazione. Un dito, un piede? Qualcosa di più: di Lui volevano il cuore. E la formalina per conservarlo? No, quella l’avrebbero comprata a Cracovia, ché là costa pure di meno. Con una richiesta d’altri tempi, la Polonia, forte d’un esercito di 38 milioni di pallidi, magri e invasati devoti, pretendeva, se non il corpo intero, almeno una "reliquia importante" del suo emigrato di maggior successo dopo Chopin. Da adorare nei secoli a venire con calma e in silenzio in Patria. Basta con le urla, gli striscioni, il teatro, gli slogans, le chitarre, gli applausi di quei meridionali esibizionisti senza pudore, laggiù a Roma.
Niente meraviglia: siamo al 1630° anniversario dell’invasione della Polonia da parte degli Unni. Nel cuore, per loro, c’era l’anima, il coraggio e perfino il pensiero dell’Eroe. E anche per i Cristiani ("Sacro Cuore"). Questo è, allo stato dell’arte, il feticismo idolatrico del cattolicesimo dei wojtiliani orfani di papa Wojtyla.
E in Italia? Tranquilli, non c’è pericolo: in confronto, Formigoni e la Bindi, Buttiglione e la Pivetti sono atei e razionalisti. Certo, però, come per le terribili fans dei Beatles, la devozione popolare può diventare violenta. Divora letteralmente i suoi beniamini. E gli è andata pure bene al Woytila da morto: in certe tribù africane i parenti defunti di grado elevato li si mangia subito dopo i funerali. Mica tanto, solo un pezzetto, una cosina simbolica. Antropofagia rituale, della variante religiosa.
In mancanza della "Omas di Dio", il febbricitante Socci, quello dagli occhi lucidi, lo sguardo stralunato da monaco medievale, la barba di sei settimane da condannato ("Tanto, che se la taglia a fa’? Sta pe’ mori’…", ripete ogni volta mia nonna toscana), per sapere qualcosa su "Sua Santità", una volta tanto preso alla lettera, dobbiamo contentarci del mistico agiografo Messori. Meno male, sul sito ha una rassicurante faccia da commesso di alimentari. Ma, attenti, è uno scrittore divino, e non nel senso che indulge al buon Chianti, ma che è ispirato direttamente dal Cielo. Quindi l’Ordine dei giornalisti gli fa un baffo, se lui "non controlla le fonti". Sono le "fonti" a controllare lui. E di ordini ne conosce solo una categoria: quelli dall’alto, anzi dall’Altissimo.
Ecco spiegato il suo scoop: l’immediato futuro ci riserva la beatificazione e la santificazione "a furor di popolo" di Karol Wojtyla. Ora lo dicono tutti, ma Messori è stato il primo a dirlo. Già bastava vedere il papa assorto sull’inginocchiatoio – osserva lo scrittore – per capire l’intensità speciale della sua fede. E anche i più distratti si sono accorti che la fiumana biblica accorsa a S.Pietro per eternarlo con i video-telefonini a futura memoria non "pregava per lui, ma lui stesso". Insomma, fate conto, dieci, cento, mille Padre Pio.
C’è stata una nobile gara, una lotta contro il tempo là "dove si puote ciò che si vuole", e alla fine l’algida Polonia è stata beffata dalla caliente America latina. Messori, che è addentro queste segrete cose, riferisce che a poche ora dalla sua morte sono giunte notizie dei primi "miracoli" del neo-taumaturgo Giovanni Paolo il Grande. Come il prodigio del bambino guarito a Zacatecas (Messico), ed altri verificatisi durante il pontificato di Wojtyla.
"Santo subito" esigevano gli striscioni. Il popolo buono delle tende e dei sacchi a pelo, che la sa lunga, ben più di quei corrotti cardinali di Curia, ha deciso: Karol sarà santo.
"Ma come, si fanno così i Santi?" obietterà qualche miscredente. E pensare che avevamo avuto da ridire perfino sull’acclamazione a Imperatori dei generali romani – che pure avevano superato regolari concorsi – da parte delle truppe. Sembra che per questo fosse crollato l’Impero Romano. Che sia agli sgoccioli anche la Chiesa Romana? O siamo noi laicisti ad essere più cattolici dei cattolici, troppo condizionati da civiltà giuridica, garanzie, ruoli, elites, procedure, divisione dei poteri?
Il carisma lo si conquista in strada, dice oggi la Chiesa. Lo Spirito Santo va in testa al popolo, non ai soliti potenti, ricchi e privilegiati della Curia. Ma sì, ecco perché il neo-cattolicesimo piace ai cinesi (tanto che hanno doppi vescovi: di Stato e privati): ha qualcosa di marxista. Non deve essere più la Chiesa sfruttatrice e di casta a cooptare i Santi, dopo lunghi e cavillosi processi con giudici corrotti e di destra, ma la gente qualunque, le casalinghe, gli anziani, i disoccupati, i giovani, insomma i consumatori.
A pensarci bene, un ragionamento che non fa una grinza, visto che sono loro in fin dei conti a doverli usare, i Santi. Perché il popolo ha "sensus fidei", istinto religioso, ricorda Messori. "Sensus fidei"? Buono a sapersi. Allora quando i fedeli osannavano Sant’Alessandro (Del Piero) e San Francesco (Totti) allo Stadio delle Alpi o all’Olimpico avevano ragione.
Solo, da gente pratica, ci chiediamo: dove metterlo? Sì, il nuovo santino di San Karol. Facciamo mente locale. Già tutti i parabrezza tra Terni e Lecce sono occupati da Padre Pio, tutti i cruscotti da Cuneo a Treviso ospitano papa Giovanni. In Campania "vanno" solo le decalcomanie di San Gennaro a Napoli città, e della Madonna di Pompei in provincia. Clonate al computer e vendute sottobanco a Forcelle. Sui cruscotti di Bari c’è già San Nicola che distribuisce orecchiette al povero: altre bocche da sfamare non sono ammesse. E c’è anche una diversificazione di status per neo-ricchi: nella Padania operosa sui cruscotti di finta radica delle Mercedes si adora l’esclusivo e griffato santo Escrivà, dell’Opus Dei. Lo devi pregare in "cravatta scura e dinner jacket". E attento al triplice inchino: ci tiene tanto. Nelle zone agricole, invece, contadini, paesani e vecchie zie ornano le Panda sgangherate con le cartoline color seppia anni ’40 della Madonna di Lourdes. Ma nelle Marche si espone quella di Loreto. Mentre nelle periferie urbane le vecchie Uno ostentano la contraddizione anatomica del Volto del Sacro Cuore. Santi elitari, "di nicchia", ornano i parabrezza panoramici dei pullman turistici, abbinati a cartoline di classe ("Souvenir de Monte Carlo", "Bibione by night", "La spiaggia di Santa Margherita nel 1890". A bordo di Tir, camion, furgoni e betoniere si adorano solo icone "sacre" (da "sacer", vietato) di Alessia Merz e Monica Bellucci senza perizoma.
Per San Karol non restano, perciò, che i motorini. Se il nuovo santo polacco vorrà accontentarsi. Ma il suo ufficio stampa potrebbe non considerarli "media di adeguata visibilità".
03 aprile, 2011
Perché un vice-presidente del CNR dimostra meglio di chiunque altro l'inesistenza di Dio
Ma chi è questo... luminare, e che curriculum scientifico ha? Si tratta di tale Roberto De Mattei, cattolico ultra-tradizionalista, professore associato di Storia del Cristianesimo e della Chiesa presso la privata "Università Europea" di Roma, ateneo che confessiamo di non aver mai sentito nominare fino ad ora, presidente della Fondazione Lepanto, club molto combattivo che sembra ispirarsi alle Sante Crociate, direttore del mensile Radici cristiane, e dirigente di Alleanza Cattolica. Tutte specializzazioni altamente scientifiche, come si vede. Che una persona del genere sia stata nominata dal Governo Berlusconi alla vicepresidenza del CNR è davvero uno scandalo senza pari. Però, per dirla tutta, la grossolanità di una simile nomina, talmente fuori luogo da gettare discredito sull'intera politica culturale (si fa per dire...) di un Governo, è tale da generare anche nel conservatore di Destra più clericale che sia possibile immaginare una sana reazione immunitaria di rigetto e vergogna. Sensazioni che, appunto, siamo sicuri albeghino ora, dopo la sparata ottusamente medievale di Mattei, nell'animo di molti esponenti del cosiddetto Popolo delle Libertà. E che abbiano a che fare in qualche modo con la parola "libertà" proprio quelli che la negano attribuendo all'Uomo solo il ruolo di vittima succube d'un Dio tenebroso e sadico, è una delle barzellette più riuscite degli ultimi decenni. Per fortuna Dio non c'è, e loro possono farla franca. Anzi, la loro stessa presenza sulla scena politica e pseudoculturale è l'ennesima prova della inesistenza di Dio. Perché se Dio ci fosse, un tipo come Mattei, così controproducente per la causa, l'avrebbe già fulminato da tempo.
Ma vediamo che cosa ne pensa Odifreddi nel suo blog su Repubblica, "Il non-senso della vita". NICO VALERIO
"Fino a quando, De Mattei? Secondo il Decreto Legislativo del 4 giugno 2003 sul Riordino del Consiglio Nazionale delle Ricerche, il C.N.R. è “Ente pubblico nazionale con il compito di svolgere, promuovere, diffondere, trasferire e valorizzare attività di ricerca nei principali settori di sviluppo delle conoscenze e delle loro applicazioni per lo sviluppo scientifico, tecnologico, economico e sociale del Paese, perseguendo l’integrazione di discipline e tecnologie diffusive ed innovative anche attraverso accordi dicollaborazione e programmi integrati”. Dal 2004 il ruolo di vicepresidente dell’Ente è ricoperto, per decisione dell’allora (e ora) Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, e su proposta dell’allora Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Letizia Moratti, di un candidato sorprendentemente fuori luogo: Roberto De Mattei, professore associato di Storia del Cristianesimo e della Chiesa alla privata Università Europea di Roma, presidente della Fondazione Lepanto, direttore del mensile Radici cristiane, dirigente di Alleanza Cattolica e consigliere del Vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini per le questioni internazionali. De Mattei ha agito discretamente fino agli inizi del 2009, quand’è uscito allo scoperto con “un workshop promosso a Roma il 23 febbraio dalla Vice-Presidenza del Consiglio Nazionale delle Ricerche, per offrire un contributo scientifico al dibattito in corso nell’anno darwiniano”, di cui sono poi usciti gli atti intitolati Evoluzionismo: il tramonto di una ipotesi, a cura dello stesso De Mattei (Cantagalli, 2009). In tal modo il nostro massimo ente pubblico di ricerca scientifica si è trovato schierato, suo malgrado, a fianco dei creazionisti più retrivi, nel più ufficiale atto antievoluzionista dopo il Decreto Legislativo del 18 febbraio 2004, con cui la Moratti aboliva l’insegnamento dell’evoluzionismo nelle scuole medie. Decreto poi parzialmente rientrato, a causa della protesta popolare guidata dai due premi Nobel per la medicina Rita Levi Montalcini e Renato Dulbecco. Leggere gli atti del suo convegno o discutere col professor De Mattei, come ho avuto il dubbio onore di poter fare il 20 novembre 2009 a Chiasso, è un’esperienza sconcertante: in contrapposizione ai suoi modi raffinati e gentili, le sue affermazioni sono infatti una vera e propria summa della disinformazione più grossolana e presuntuosa a proposito di Darwin e del darwinismo in particolare, e della scienza in generale. Niente di male, ovviamente, se non fosse che queste affermazioni vengono dal vicepresidente del C.N.R., che per l’articolo 3 del Regolamento “sostituisce il presidente in caso di assenza o impedimento” e fa parte del ristretto Consiglio di Amministrazione, che per l’articolo 4 “ha compiti di indirizzo e programmazione generale dell’attività dell’Ente”. Ci si può domandare che indirizzo o programmazione possano mai venire da chi scrive e dice che i dinosauri sono scomparsi non sessanta milioni, ma poche migliaia di anni fa, o che le specie sono state create immutabili dal Creatore. E ci si può chiedere fino a quando non avranno niente da dire gli elettori in generale e gli scienziati in particolare, costretti a sopportare con vergogna un tale vicepresidente al C.N.R. In questi giorni, la domanda è tornata d’attualità per l’intervento che De Mattei ha fatto il 23 marzo a Radio Maria, nel quale ha sostenuto che il terremoto e lo tsunami del Giappone, e più in generale le catastrofi naturali, sono “una voce terribile ma paterna della bontà di Dio”, una “esigenza della giustizia di dio, della quale sono giusti castighi”. L’intervento completo di De Mattei si può trovare nel sito http://dimissionidemattei.wordpress.com/ , insieme a una petizione per le sue dimissioni. Ciascuna firma è una goccia, e serve a dimostrare che il vaso è colmo. Anche se c’è da dubitare che Berlusconi si dimostrerà sensibile a una domanda di civiltà, e disposto a rimediare a un guaio che lui stesso ha creato". PIERGIORGIO ODIFREDDI
Sul tema il Corriere, per la firma di Pierluigi Battista, si dichiara contro ogni estromissione, ma poi impartisce una lezione ancora più severa a De Mattei:
"Intanto, nessuna estromissione. Ed è sbagliata la richiesta di dimissioni dal Cnr di Roberto de Mattei, come pure suggerisce Massimo Gramellini, il giornalista che ha meritoriamente sollevato sulla Stampa il caso di un pensatore cattolico secondo il quale lo tsunami in Giappone sarebbe stata «un' esigenza della giustizia di Dio» e un «battesimo di sofferenza» per i «bimbi innocenti morti nella catastrofe». Niente dimissioni. Del resto, un po' di Dottrina l' abbiamo studiata anche noi. E sappiamo che il mistero del male ha impegnato migliaia d' anni di filosofia. E Giobbe messo alla prova da indicibili sofferenze. E la teodicea. E il perché un Dio onnipotente abbia voluto per l' umanità la sofferenza, il dolore, lo strazio, le stragi degli innocenti. Niente provvedimenti disciplinari: siamo laici ma non ci piace l' inquisizione laicista contro chi, nella sua posa malmostosa, sa soltanto ripetere le formule rigide di un catechismo tonitruante e terribilista. Però, che spettacolo disgustoso questo fatuo cianciare ammantato di severità all' indomani di un cataclisma così. E chiediamoci perché da un po' di tempo a questa parte c' è sempre qualche cristiano che ha tanta voglia di provare l' ebbrezza di un cristianesimo senza pietas, privo di compassione, arcigno, feroce, crudele, vendicativo. Che non sa piangere sulla sorte di bambini annegati nello tsunami ma si impanca a giudice implacabile dei peccati (altrui). Che si atteggia a piccolo De Maistre rancoroso e astioso. E pure repulsivo. Che irride le parole di un cristianesimo misericordioso e mite («buonista»: si dice sempre così nei circoli di questi misoneisti dediti al culto lugubre della Tradizione). Che non sa commuoversi, confortare, comprendere chi soffre. Che offre il volto di un sadismo affettato e dogmatico. Impastato di un risentimento infinito verso il mondo e le sue debolezze. Che non fa che predicare punizioni e castighi da pulpiti improbabili. Volete riflettere sulla disperazione degli uomini che si ribellano a un Dio capace di infliggere atroci sofferenze a bambini «innocenti»? Leggete un capolavoro come Nemesi di Philip Roth. E lasciate senza spettatori e uditorio l' esibizionismo macchiettisticamente cattivista del professor De Mattei. E riflettete sul male che un imperscrutabile disegno divino ha offerto come destino all' umanità sofferente e macchiata dal peccato originale, certo. Ma anche sul Dio buono e misericordioso che ha regalato all' umanità l' intelligenza: l' ingegno che ha costruito argini per combattere la sofferenza e lo strazio, dighe, ponti, cure chirurgiche e farmaceutiche, persino tecniche di costruzione antisismica. Sul Dio che nei secoli ha donato la sollecitudine a quei cristiani buoni, non alle maschere del cattivismo da operetta, che hanno messo su ospedali, ricoveri, ospizi, orfanotrofi. A quei cristiani capaci di sgomento di fronte ai bambini strappati alla vita. Gli altri, che anneghino loro, nel brodo del rancore". PIERLUIGI BATTISTA
01 aprile, 2011
Superstizione e crudeltà. 10 mila orsi torturati in Cina per estrarne l’inutile bile
Pubblichiamo sull’argomento un'impressionante lettera di Carmen Aiello (Animal Asia Foundation, Italia), che si batte da anni contro lo scandalo irrazionale delle assurde "fattorie della bile", e un circostanziato articolo dell'animalista Giovanna Di Stefano (Oipa). Un breve video offre la drammatica sintesi visiva del problema, mentre un secondo video racconta la visita ad una delle fattorie-lager da parte della fondatrice dell'AAF. Una delle tante situazioni di ingiustizia, si dirà, ma che proprio per l’area circoscritta e la sua assoluta inutilità scientifica (gli esperti, perfino in Cina, si sono più volte pronunciati contro questa pratica barbara) è capace di scandalizzare, di rivoltare le coscienze, di incitare anche l’uomo più pacifico del mondo a ribellarsi contro uno strumento così ignobile della superstizione. NICO VALERIO
LE FATTORIE DELLA BILE. "Avete mai sentito parlare di luoghi chiamati “fattorie della bile” situati in Cina, Corea e Vietnam e dell’atroce destino degli Orsi della Luna? Questi meravigliosi animali, dopo essere stati catturati con trappole che spesso causano terribili mutilazioni, sono imprigionati e torturati per una pratica di tale crudeltà da tollerare pochi confronti. Prigionieri in gabbie piccolissime, non più grandi del loro corpo, gabbie che impediscono qualsiasi movimento, che deformano le ossa ed atrofizzano gli arti, circa 10.000 orsi vengono “munti” due volte al giorno per la dolorosissima estrazione della loro bile attraverso rudimentali cateteri di metallo conficcati nella loro cistifellea. Anticamente l’orso veniva ucciso e la sua bile usata nella medicina tradizionale cinese. Negli anni ’70 l’orso, considerato specie protetta perché in via di estinzione, viene imprigionato a vita ottenendo una produzione di bile infinitamente superiore. Oggi la sua bile può essere completamente sostituita da alternative erboristiche e di sintesi più economiche ed efficaci. Il mercato ne dispone in eccesso e, per esaurire le scorte, i produttori la utilizzano anche nella preparazione di bibite e shampoo! Queste creature subiscono sofferenze inenarrabili, le loro membra si atrofizzano un po’ alla volta per l’immobilità assoluta e con un'agonia che può durare anche vent’anni, subiscono tali torture ogni giorno, dopo anno fino a morire per tumori o infezioni croniche prodotte dai cateteri conficcati nella carne. Altri non ce la fanno: le infezioni, la sofferenza psichica, le malformazioni ossee date dalla pressione delle sbarre, le piaghe da decubito, la denutrizione li uccidono più rapidamente. Ma la maggioranza di questi animali, molto resistenti, sopravvive per decenni a questa inaudita tortura. Molti orsi vorrebbero porre fine alle atroci sofferenze suicidandosi, ma ciò gli viene impedito, segandogli i denti, strappandogli gli artigli, lasciando loro solo la possibilità d’impazzire a vita. Il salvataggio degli orsi inizia nel 1993 quando una coraggiosa donna inglese di nome Jill Robinson si recò a visitare uno di quei luoghi. Nel 1998 nasce AAF (Animal Asia Foundation) per porre fine a questa pratica crudele e nel 1999 viene aperto il Centro di recupero per gli orsi salvati, dove lo staff di AAF ridà la gioia di vivere a questi animali martoriati. Oggi gli orsi liberati sono più di 350. La conoscenza delle torture a cui sono sottoposti gli Orsi della Luna commuove, suscita sdegno e smuove le coscienze. Con la sua associazione Jill sta tutt’oggi trattando con il governo cinese per ottenere il risultato massimo: la chiusura definitiva di ogni singola fattoria della bile. Jill e AAF possono combattere la loro battaglia unicamente grazie alle donazioni che provengono da tutte le parti del mondo”. CARMEN AIELLO
LE COLPE DI CINA, COREA, VIETNAM E GIAPPONE. "In Cina, Corea e Vietnam esistono dei luoghi di tortura chiamati ‘fattorie della bile’ in cui circa 10.000 orsi sono in questo momento imprigionati a vita per l’estrazione della loro cistifellea, sostanza utilizzata per la preparazione di medicinali e profumi secondo la tradizione asiatica. In queste fattorie il possente corpo di questi animali è costretto tra le sbarre di una gabbia grande come loro stessi, nella quale sono condannati a rimanere per tutta la loro tragica esistenza, nella medesima posizione, ogni giorno, ogni minuto, senza poter mai uscire né muoversi, fino alla morte. Gli orsi cosiddetti ‘della luna’ (moon bears) sono animali splendidi, maestosi e, come tutti gli orsi, estremamente giocosi e dinamici. Vivono nelle grandi foreste del continente asiatico, dal Pakistan fino al Giappone. La caratteristica che li rende inconfondibili è una grande ‘V’, una sorta di mezza luna, che spicca sul manto scuro ornandogli il petto come un collare. Le loro orecchie rotonde li fanno assomigliare vagamente ai panda, i loro cugini più fortunati. Questi ultimi, noti per il loro manto bicolore, sono un simbolo della Cina: di loro parlano molti documentari che li mostrano mentre ‘sgranocchiano’ felicemente il loro bambù. Agli orsi della luna invece non viene dato mai spazio da parte dei mezzi di comunicazione internazionali, sebbene la realtà delle fattorie della bile sia nota ormai da anni e sebbene si facciano sempre più insistenti e disperati gli appelli di Animals Asia Foundation – la fondazione nata nel 1998 per liberarli dalla prigionia - affinché le fattorie della bile vengano seriamente portate all’attenzione del grande pubblico e degli organi istituzionali internazionali per essere definitivamente chiuse. Il prima possibile. Cosa sono esattamente queste fattorie della bile? Sono delle camere di tortura. Non basta parlare di ‘lager’ o di prigione, si tratta di una realtà ben peggiore, che va al di là di ogni umana immaginazione… Infatti chi ha inventato questi luoghi di tortura, umano certo non è. Questa è l’unica certezza che si delinea dopo i primi terribili istanti nella mente di chi si accinge a guardare con i propri occhi un filmato che ritrae ciò che quotidianamente accade in questi capannoni; questo è l’unico concetto che a stento si riesce a formulare di fronte ad una visione che ha dell’incredibile e manda in tilt il nostro cervello, probabilmente perché davamo per scontato che certe cose forse esistevano nel medioevo, ma mai più potevano trovare spazio nel XXI secolo. Invece le fattorie della bile sono state inventate proprio nel XX secolo, negli anni ’80, prima non esistevano. Ideate e realizzate dai commercianti cinesi, solo ed esclusivamente per lucro. La bile d’orso per millenni è stata ritenuta una sostanza terapeutica con proprietà antinfiammatorie ed utilizzata quindi ampiamente dalla medicina tradizionale, non solo in Cina, ma anche in Giappone, Corea, Vietnam e in generale in tutti i paesi del mondo con un numero significativo di popolazioni asiatiche. Questi orsi sono stati da sempre cacciati e uccisi per estrarne il prezioso liquido che poi serviva per la preparazione di medicinali, saponi e profumi. Al giorno d’oggi tuttavia tutti i medici (anche cinesi) sono concordi nell’affermare che i prodotti a base di bile d’orso possono essere facilmente sostituiti da alternative erboristiche o di sintesi, meno costose, più facilmente disponibili ed altrettanto efficaci. La storia del calvario di questi sfortunati animali inizia per l’esattezza alla fine degli anni ’70, quando l’introduzione del divieto di caccia degli orsi della luna, divenuti specie protetta, ne ha decretato la condanna, non alla morte, come fino a quel momento si era verificato, ma ad una ‘vita’ di sofferenze indicibili. Questi animali vennero infatti catturati – illegalmente – dai loro primi aguzzini i quali non potendoli uccidere pensarono di rinchiuderli in gabbie talmente piccole da non permettergli di fare il minimo movimento, per estrarne così comodamente la bile, tutti i giorni... Un sistema molto redditizio. Per loro sfortuna gli orsi della luna vivono moltissimo e la condizione terribile in cui sono detenuti li rende pazzi. Le gabbie che li seviziano sono così strette da essere praticamente delle bare con la differenza che gli animali al loro interno sono vivi e tentano di suicidarsi per il dolore e la disperazione. Le loro ossa si deformano e molti, rinchiusi quando ancora cuccioli, rimangono nani perché non hanno lo spazio fisico per crescere. A questo già allucinante quadro si aggiunge la pratica dell’estrazione della bile, che viene fatta ben due volte al giorno e che è estremamente dolorosa perché naturalmente praticata senza alcun tipo di anestesia. Agli orsi viene conficcato nell’addome un catetere - che vi rimane permanentemente per tutti i 15 - 20 anni della loro prigionia – che provoca una ferita profonda e sempre aperta. Gli orsi non sopportano questa condizione, impazziscono letteralmente di dolore durante l’estrazione della bile e sbattono ripetutamente la testa contro le sbarre della gabbia con una violenza inaudita nel vano tentativo di suicidarsi; addentano le sbarre fino a farsi saltare i denti. I loro musi sono sfigurati dalle ferite che si infliggono, che purtroppo per loro però non sono letali e non li portano alla morte. Ogni giorno questi animali sperano di morire ma nessuno li aiuta, nessuno sente le loro grida. Se però chi scrive conosce questa realtà, come molti altri, è perché qualcuno c’è stato che, nel lontano 1993, una volta scoperto ciò che succedeva ha deciso di non voltarsi dall’altra parte ma di mantenere fede ad una promessa, fatta proprio ad uno di loro. Il suo nome è Jill Robinson, una coraggiosa donna inglese che recatasi in Cina a visitare uno di questi luoghi allora ancora sconosciuti, mentre il proprietario mostrava orgoglioso ai visitatori la preziosa sostanza terapeutica, si allontanò dal gruppo per scendere nel seminterrato, dove immaginava si potessero trovare gli orsi. Una volta abituata alla oscurità lo spettacolo che apparve ai suoi occhi fu agghiacciante: una ventina di orsi imprigionati in strettissime gabbie simili a bare. "Avevano il corpo pieno di piaghe e un catetere infilzato nell'addome: alcuni, resi pazzi dal dolore, sbattevano il cranio contro le gabbie fino a procurarsi orribili ferite; altri si erano spaccati i denti mordendo il ferro. Dalle sbarre vidi spuntare una zampa gigantesca e, inconsapevole dei rischi che correvo, volli toccarla. Allungai la mano, l'orso me la strinse dolcemente. Allora gli promisi che sarei tornata e che l'avrei salvato." Da quel giorno, Jill Robinson ha dedicato tutta la sua esistenza al salvataggio degli orsi delle fattorie. Nel 1998 fondò l’associazione Animals Asia Foundation ed ebbe inizio la sua sfida: un lungo e febbrile lavoro di trattative con il governo cinese per documentare la terribile realtà e per far approvare il progetto per il salvataggio e il riscatto di questi orsi attraverso la chiusura definitiva di tutte le fattorie della bile e la riabilitazione degli animali così tremendamente martoriati. La prima vittoria arriva nel luglio del 2000, dopo sette anni di faticosi negoziati: AAF perviene ad uno storico accordo che prevede di liberare 500 orsi della provincia di Sichuan e di non concedere ulteriori licenze per l’apertura di nuove fattorie. Dall’ottobre del 2000 sino ad oggi sono 247 gli orsi che sono stati affidati alle cure di AAF, tutti ospitati e riabilitati nel centro di recupero di Chengdou, in Cina, e in quello, di recente inaugurazione, in Vietnam. Questi due centri di recupero sono dotati di aree per la riabilitazione, di bellissime foreste di bambù che riproducono l’habitat naturale, di spazi attrezzati con amache, tronchi per arrampicarsi, percorsi con frutta e miele, tunnel, piscine e tutto ciò che fa sì che gli orsi siano stimolati, progrediscano e soprattutto dimentichino gli orrori subiti. Il centro di Chengdou è aperto al pubblico ed ai visitatori, tra cui molte scolaresche, a cui vengono trasmessi messaggi educativi sul diritto di tutti gli animali ad una vita naturale, libera e priva di crudeltà Nulla giustifica ciò che l’uomo sta commettendo nei confronti di questi animali, le torture indicibili alle quali li sottopone, in nome di tradizioni, credenze, ma soprattutto pura avidità. Il lavoro da fare è ancora moltissimo e la strada da percorrere lunga e in salita: l’obiettivo di AAF è salvare tutti i 10.000 orsi ancora imprigionati, fino a che l’ultimo di loro non verrà liberato dalle sbarre e dalla sua atroce agonia. Finché esisteranno fattorie della bile esisterà quindi anche Animals Asia Foundation. GIOVANNA DI STEFANO