27 gennaio, 2010
“Ebrei italiani salvi in Palestina? Meglio di no” disse il futuro papa Giovanni, il “buono”
Sarà bene, perciò, proprio oggi, ricordare le opere o le omissioni di coloro che a qualunque titolo, soli davanti alla propria coscienza, contribuirono alla tragedia. Sono noti i silenzi, malgrado i messaggi allarmati di nunzi e vescovi, di papa Pio XII Pacelli, non giustificabili da nessuna "prudenza". Ve lo immaginate Gesù il Nazareo, ammesso che sia mai esistito, che non parla per non inimicarsi i giudici del Sinedrio o i mercanti del Tempio?
Meno note, invece, sono le reazioni di altri prelati cattolici. Anche di quelli più insospettati.
Per esempio, il futuro "Papa buono" Angelo Roncalli – non ricordiamo se fatto già "beato" o "santo", visto che la Chiesa di Roma, in piena crisi, elargisce gratificazioni post mortem a quasi tutti i papi recenti – era nunzio apostolico di papa Pio XII a Istanbul. Ebbene, il 4 settembre 1943, in piena occupazione nazista, rispose con una lettera a dir poco imbarazzante, se non terribile, alle richieste insistenti che giungevano da tutte le parti al Vaticano perché si adoperasse per favorire l’esodo degli ebrei dall’Italia, allo scopo di salvarli facendoli rifugiare nella Terra dei loro avi, dov’era l’antico Israele.
La sconvolgente lettera al cardinal Maglione, Segretario di Stato vaticano, da parte di colui che in vecchiaia sarebbe diventato papa Giovanni XXIII, "il papa buono" tanto caro alle vecchiette e ai bambini, giudicata a posteriori rappresenta obiettivamente un contributo non volontario ma certo non secondario alla fine ingiusta di molti ebrei italiani. Fatto sta – ricorda crudamente il sito di Gherush92 che ha l’ha diffusa – che un mese dopo la lettera di Roncalli furono deportati per finire nei forni crematori nazisti molti ebrei del Ghetto di Roma. Per tacere degli altri ebrei italiani e di tutta Europa.
Ecco il testo (tratto, riporta il sito, da "Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde Guerre Mondiale", vol. 9, n.324).
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Le délégué apostolique à Istanbul Roncalli au cardinal Maglione
Rap. Nr. 4344 (A.E.S. 6077/43. orig.)
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Instanbul, 4 septembre 1943
Demande d’une démarche en faveur des Juifs Italiens; doutes du Délégué sur l’utilité d’une immigration en Palestine.
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Faccio seguito al mio devoto rapporto n. 4332 in data 20 agosto u.s. trasmettendo altre domande che mi vengono sottoposte a favore di israeliti.
La seconda di queste tende ad ottenere l'intervento della Santa Sede perché sia facilitata l'uscita di numerosi ebrei dal territorio italiano: e modifica le altre già fatte nelle mie note precedenti ai numeri 1, 3, 4, 5.
Confesso che questo convogliare, proprio la Santa Sede, gli ebrei verso la Palestina, quasi alla ricostruzione del regno ebraico, incominciando al farli uscire d'Italia, mi suscita qualche incertezza nello spirito.
Che ciò facciano i loro connazionali ed i loro amici politici lo si comprende. Ma non mi pare di buon gusto che proprio l'esercizio semplice ed elevato della carità della Santa Sede possa offrire l'occasione o la parvenza a che si riconosca in esso una tal quale cooperazione almeno iniziale e indiretta, alla realizzazione del sogno messianico.
Tutto questo però non è forse che uno scrupolo mio personale che basta aver confessato perché sia disperso. Tanto e tanto è ben certo che la ricostruzione del regno di Giuda e di Israele non è che un'utopia.
Angelo Rocalli"
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E in quanto alla "utopia" della "ricostruzione del regno di Giuda e di Israele", neanche papa Giovanni, magari "santo" ma certo antigiudaico, è stato buon profeta.
21 gennaio, 2010
Addio (è il caso di dirlo) Stato laico e liberale. La Croce privilegiata, ma fuori legge
Che è accaduto? In pratica, il CSM, organo di autotutela dei giudici, condannando il giudice Luigi Tosti alla massima pena, la radiazione dalla magistratura, ha stabilito in pratica che la religione cattolica è l'unica religione che può esporre il proprio simbolo, anche coattivamente, nei luoghi pubblici, come sono le aule dei Tribunali in udienza.
L'ostensione forzata del crocifisso nei locali pubblici, recente costume italiano e solo italiano, è un privilegio inaccettabile per qualunque liberale: di destra, di centro o di sinistra che sia. Perché tocca la base stessa del Liberalismo: la libertà religiosa, la libertà delle idee, la libertà di propaganda delle idee. Tanto più, poi, se la contestazione di questo assurdo monopolio è accompagnata da sanzioni, e gravissime, come questa.
Ma deve essere problematica anche per un vero cattolico, il quale sa che il Dio in cui crede non ha certo bisogno di imporsi con la violenza, né di ostentare simboli, croci, immagini e abiti talari che a lui più o meno abusivamente si collegano. E, anzi, se davvero esistesse, se la riderebbe del "paganesimo" dei suoi adepti, che come i selvaggi della Patagonia adorano feticci materiali fatti di legno, carta, marmo e bronzo, anziché sentire la religione nella propria coscienza. Un vizietto antico: l'accusa alla Chiesa di Roma di idolatria e feticismo fu una delle cause della separazione dei Protestanti. Dice infatti la Bibbia: "Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo... Non ti prostrare davanti a loro e non li adorare" (Esodo 20,1-17).
In quanto al giudice Tosti, da quattro anni senza funzioni e senza stipendio, deve essere uno di quei pignoli moralisti e ostinati "provocatori" che fanno di tutto per cercarsele. Qualcosa deve essersi rotto in lui se ha deciso di immolarsi per dare scandalo. Non erano i primi cristiani a sostenere che è opportuno che gli scandali avvengano?
Per niente accomodante, questo piccolo grande uomo ha condotto la sua difesa all'antica, solo sui princìpi. Con la conseguenzialità logica e ingenua d'un Candide che però sa tutto di diritto e ha letto il Platone che parla di Socrate. Sembra uno di quegli eroici protestanti che fecero la Riforma. Sono queste le persone che portando le cose alle estreme conseguenze rendono le ingiustizie insopportabili anche all'ottuso uomo della strada e scatenano i cambiamenti.
Luigi Tosti si era più volte rifiutato di tenere udienza sotto il simbolo del crocifisso. E non certo in odio o spregio di questo simbolo, ma perché consapevole della violazione patente dell'uguaglianza tra le religioni che l'esposizione di quel simbolo rappresenta. Il crocifisso nei locali pubblici, che non c'era nell'Italia liberale, oltretutto è fuori legge, in senso letterale. Infatti, non è previsto da nessuna legge, ma da un vecchio regolamento ministeriale che parla nientemeno di "arredi".
Che fare? Se non si vuole eliminre il tipico crocifisso cattolico - ha argomentato Tosti col lucido buonsenso che ricorda Voltaire - allora lo si affianchi in modo liberale con i simboli delle altre religioni, per esempio la menorah ebraica, la mezzaluna islamica, la croce dei protestanti, e così via fino a comprendere buddismo, induismo, confucianesimo e anche l'ateismo.
Macché, deve essere monopolio, posizione dominante (con relativi abusi, da decenni, da secoli), violenza psicologica, convincimento e suggestione forzata verso i bambini delle scuole. Una persuasione occulta, subliminale che davvero ricorda i secoli bui del fanatismo medievale.
Per capire a quale analogia deve riferirsi la ratio liberale, invece, si ricordi che nel mercato libero i monopoli e le posizioni dominanti sono lo spauracchio numero uno, il nemico vero del liberalismo (cfr Einaudi, Ernesto Rossi ecc). E infatti vengono perseguite molto severamente dal Garante e dalle norme di legge. La concorrenza, quindi, deve esserci anche nell'ostensione dei simboli nei locali pubblici: è un principio fondamentale del liberalismo.
Il liberalismo stesso nacque e si rafforzò proprio come libertà religiosa.
Quindi il coraggioso giudice Tosti, al quale va l'ammirazione e la solidarietà del Salon Voltaire, ha fatto benissimo a incaponirsi su una questione di principio di tale portata. E ci meravigliamo che i giudici del CSM siano ingenuamente caduti nel tranello costituzionale. Adesso il giudice Tosti adirà la Corte di Cassazione, e poi la Costituzionale, dove ha buone probabilità di vincere. Ma se non bastasse c'è sempre il Tribunale europeo per i Diritti dell'Uomo che ha già condannato lo Stato italiano per una questione analoga.
Dispiace, però, che ancora una volta, la cosiddetta "patria del diritto" collezioni brutte figure giuridiche a livello internazionale, neanche fosse diventata il Nicaragua o il Burkina Faso.
Ma come, con tutti i mali prodotti dal fondamentalismo islamico, ora la religione cattolica si mette ad imitarlo, tornando ai suoi, mai dimenticati, nefasti, tempi passati?
NICO VALERIO
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"Il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) ha rimosso il giudice Tosti dall'ordine giudiziario. Di fronte all'alternativa postagli dal coraggioso giudice di rimuovere i crocifissi dalle aule giudiziarie o di rimuovere lui, ha scelto di cacciarlo fuori dall'ordine del magistrati. Questo gravissimo avvenimento che segna di lutto per la laicità dello Stato la giornata di oggi è contemporaneo al ricorso del governo italiano, a suo tempo annunziato dal Ministro Gelmini, alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che dava ragione ai genitori di Padova che avevano contestato la presenza del Crocifisso in una aula scolastica.
Non ho dubbi che il giudice continuerà la sua battaglia, e spero moltissimo in un grande sostegno popolare, dal momento che difende la nostra stessa libertà.
Il Paese in cui avviene questo è lo stesso in cui medici cattolici dei pubblici ospedali del servizio sanitario nazionale possono rifiutarsi di praticare l'aborto perchè obiettori di coscienza, senza dover rinunziare al loro posto di lavoro ed al loro stipendio. La pretesa di imporre i crocifissi nei pubblici uffici è stata sempre talmente priva di ragione da essere giustificata come parte dello "arredo" dei locali, oppure come espressione della "cultura" nazionale. Questa seconda giustificazione è ufficialmente sostenuta dal Vaticano il quale si rende conto che non esistono ragioni per imporre erga omnes il simbolo della religione cattolica.
La religione è essenzialmente un fatto privato e non può essere imposta a tutti. Gli uffici pubblici sono aperti a persone di ogni fede religiosa e convincimento filosofico. Tutti non possono subire la presenza di un simbolo che appartiene soltanto ai credenti cristiani.
In Italia, dal 1870 al 1929 [il crocifisso] non è mai esistito nei pubblici uffici, ed in Europa non esiste quasi dappertutto. La pretesa tutta italiana di imporne la presenza arrivando financo a punire coloro che non lo espongono è coerente con la ossessione identitaria della destra, con la voglia di fare del crocifisso un simbolo del conflitto di civiltà, uno strumento per affermare la primazia dell'Occidente sull'Islam e su ogni altra cultura.
La decisione del CSM contribuisce oggettivamente a dare manforte agli attacchi contro la laicità dello Stato ed i diritti delle persone che si sono manifestati ed hanno provocato momenti di grande tensione nella questione del testamento biologico, dei diritti delle coppie omosessuali al loro riconoscimento giuridico, del diritto ad una procreazione sana e libera da oscurantismi religiosi.
Il fronte della laicità è indebolito ed in preda al marasma. Il Partito Radicale che è stato tra i più coerenti sostenitori di Tosti probabilmente non interverrà con la dovuta forza dal momento che la signora Bonino, candidata al governatorato del Lazio, dovrà blandire l'elettorato cattolico, ed il PD non è più in grado di connettere e di stare dietro una razionale linea di condotta, essendo in preda a pulsioni diverse e contrapposte. L'operazione Crocifisso diventa pienamente una operazione della destra ed un momento dell'affermazione della sua "cultura" oscurantista e lesiva dei diritti.
Meraviglia non poco il comportamento del CSM, che difende a spada tratta l'indipendenza del potere giudiziario dal Governo e dallo stesso Parlamento ed allontana dai suoi ranghi un suo coraggioso esponente che la vorrebbe indipendente anche dal dominio clericale. Rifiutandosi di rimuovere i crocefissi dalle aule giudiziarie compie una prevaricazione sul senso di giustizia e sulla indipendenza del servizio giudiziario dello Stato.
PIETRO ANCONA
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Fonti: Corriere della Sera, TgCom Mediaset, BlogAncona
Via Craxi? Non solo, ma via anche il craxismo, e per sempre, dalla politica italiana
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Il mondo della politica italiana ha celebrato l'ex leader del Partito socialista, Bettino Craxi, a dieci anni dalla morte in esilio. Si tratta di una svolta notevole, perché Craxi è stato condannato ed è considerato il principale responsabile della corruzione della politica italiana di quegli anni. Ma ora, per la gioia di alcuni - tra cui Silvio Berlusconi - e per lo sconforto di altri, il processo di riabilitazione di Craxi sembra andare avanti spedito. THE INDEPENDENT, Gran Bretagna.
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Craxi? Non era il Capo di un Governo italiano, alleato degli Stati Uniti, amico di Israele e nemico del terrorismo, che fece schierare i Carabinieri contro i soldati americani a Sigonella, per non far catturare un terrorista palestinese? No, non mi sembra possibile: mi sbaglierò.
Ricordo male o si tratta di quel Craxi Bettino amico e protettore di Arafat, il furbo arraffone con l’amante cristiana e le valige piene di dollari dei Paesi Europei "per i poveri bambini palestinesi", che lui invece si metteva in tasca, quello che di giorno cianciava di pace - ebbe perfino il premio Nobel - e di notte armava la guerra contro gli odiati ebrei? Eh, scusate, il tempo mi offusca la memoria, si sa.
Non era quello – ma no, non può essere – che nonostante la tradizione laicista e perfino ateista del socialismo, proprio come il socialista Mussolini, per cinico calcolo di potere politico, rinnovò con la Chiesa il Concordato, proprio quando gli stessi cattolici ormai non ci speravano più e lo piangevano per morto?
E’ questo il Craxi di cui oggi tutti riparlano? Ma non era quello che divise con Andreotti il primato del maggior debito pubblico del dopoguerra, con la lira costretta a continue svalutazioni sui mercati internazionali per favorire le nostre esportazioni, e con un’inflazione che arrivò al 20 per cento? Non fu lui a imporre in Rai, nei cento Enti di Stato e ovunque, nel potere e nel sottopotere, i suoi uomini, perfezionando in modo sistematico, brutalmente predatorio e parassitario lo spoil system inventato dalla DC?
E allora, come mai, questo Craxi a 25 anni dalla morte è diventato improvvisamente "un grande uomo di Stato", mentre invece non riuscì neanche ad essere un dignitoso uomo di Governo?
Mi confondo con qualche altro, oppure era proprio questo secondo Ben a fare il duro, il gradasso, ad esprimere compiaciuto un’arroganza che mai si era vista prima negli uomini politici italiani dopo Mussolini? Bastava ascoltare il suo modo di parlare e interpretarlo semanticamente: trasudava autoritarismo da tutte le frasi. E’ la sindrome dei cattivi socialisti: gratta il socialista e scopri sotto sotto l’autoritario. E questa mancanza grave in uno che si spacciava per democratico o addirittura "liberale" (in contrapposizione con i cattivi comunisti, che non si vede come potessero essere ancora più cattivi) qualcuno oggi ha la faccia tosta di chiamarla "personalità", "caratura di grande Statista"?
E infine sto prendendo un granchio oppure fu questo Craxi a generare, sia pure senza colpa diretta ma come modello, il berlusconismo, che altro non è se non un craxismo meno deciso, meno efficiente, ma ben più pervasivo e totalitario?
Se stiamo parlando dello stesso Craxi, allora credo di ricordare che le sue colpe furono soprattutto politiche e di costume politico, più che giudiziarie. Aver impostato in modo sfrontato la politica come dominio, come occupazione, come dilapidazione del patrimonio dello Stato, e quindi dei cittadini, ad uso non tanto e non solo personale, ma del Partito, dei suoi compagni politici, della sua élite di Potere. Su questo punto, fondamentale per noi liberali, l’arroganza di Craxi fu unica e irripetibile, nonostante recenti tentativi di imitazione.
Ma, ripetiamo, sarebbe bastato sentirlo parlare: un politico liberale non parla mai così. Ci sono preoccupanti toni e frasi in comune tra il Discorso del Bivacco dell’altro Ben socialista e il Discorso del "Così fan tutti" con cui Craxi chiama come correi tutti i politici in pieno Parlamento: se sono colpevole lo siete anche voi, io mi assumo le mie responsabilità ma anche voi dovete assumerle. Che discorso è? E’ forse eroico? E’ da grande Uomo? Non direi proprio. E’ un’argomentazione difensiva che da quando esiste il diritto e il processo ha sempre provato la colpa di chi la pronuncia senza concedergli la minima attenuante.
Ma se, invece, questo Craxi fu "grande stratega politico" solo per aver messo nell’angolo gli ex alleati-padroni del Pci, che tiranneggiavano i socialisti fin dal Congresso di Livorno, magari per aver strumentalmente difeso e spesso rappresentato i partiti laici intermedi, così rompendo l’area del compromesso Dc-Pci e indirettamente ridando spazio perfino al Msi (ecco perché, a parte la somiglianza con l’altro Ben, i post-fascisti ne parlano bene), è indiscutibile che accanto allo "stratega" ci fosse l'affarista, corrotto non tanto dall’interesse privato, che sarebbe al limite scusabile, ma dalla parossistica smania di potere politico, che è per noi liberali un fatto molto più grave perché supera i comprensibili difetti umani per diventare sistema.
D’accordo, avrà avuto la magistratura e alcuni poteri contro, sarà stato preso di mira, ma resta il fatto che aveva fatto delle tangenti la principale fonte di finanziamento del Psi e della politica italiana. La corruzione che i democristiani facevano sottobanco, vergognandosene e confessandosi in chiesa, lui la fece di prepotenza e lasciando infinite tracce. Per questo fu condannato in via definitiva a 5 anni e 6 mesi per corruzione (tangenti Eni Sai), a 4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito (tangenti Metropolitana Milanese). E si noti che altri processi furono estinti "per morte del reo", tra i quali tre con condanne in appello a 3 anni per la maxi-tangente Enimont (finanziamento illecito), 5 anni e 5 mesi per le tangenti Enel (corruzione), 5 anni e 9 mesi per il conto Protezione (bancarotta fraudolenta B. Ambrosiano), come ricordano giustamente i giornali.
In tempi di liberalismo nascente, nella cara Italietta, sarebbe bastato uno solo di questi fatti a determinare le dimissioni e la damnatio memoriae del politico. Lui, no, aveva anche la pervicacia, l’alterigia di considerarsi nel giusto, proprio mentre rappresentava al massimo livello l’Italia della corruzione politica e del malgoverno.
Altro che statista; fu il sinbolo di un’Italia sbagliata che vorremmo dimenticare, fondata sulla prepotenza e arroganza del Potere, sulle raccomandazioni dei mediocri, sulle tangenti, sullo spreco delle ricchezze di tutti, sui partiti visti come Chiese onnipotenti. Tutte cose illiberali.
Gli dedichino pure una strada, che ormai non si nega a nessuno, compresi i dittatori più efferati come Stalin e Lenin, ma chi fu davvero questo Craxi noi liberali non possiamo dimenticarlo.
Via Craxi? Non solo, ma via anche il craxismo, e per sempre, dalla politica italiana.
06 gennaio, 2010
Islam, mai integrato negli Stati liberali. Perché in Italia dovrebbe essere diverso?
Tutte le etnie hanno pari dignità, ovviamente. E tutti gli immigrati, purché rispettino e facciano proprie le regole costituzionali, giuridiche e di civile convivenza delle liberal-democrazie, hanno diritto nel tempo debito ad essere riconosciuti come cittadini italiani, francesi, inglesi o tedeschi. Così ritiene questo blog.
Però non siamo ciechi, e osserviamo da decenni la realtà antropologica e la cronaca. E' un dato di fatto incontrovertibile che in nessuna democrazia liberale, ad eccezione forse degli Stati Uniti, gli immigrati islamici si sono realmente inseriti culturalmente e socialmente, accettando per esempio la totale separazione pubblica tra Stato e Chiesa (celebre il discorso di investitura di J.F.Kennedy, che prometteva di non essere un presidente cattolico, ma il presidente di tutti), riservando all'intimitù della propria coscienza o della propria casa le regole religiose dell'Islam, senza volerle imporre a tutti come si fa nei Paesi islamici, nessuno dei quali infatti è una democrazia, tantomeno liberale. Fuori degli Stati Uniti, invece, quasi mai questo inserimento si è verificato. Perché mai dovrebbe accadere in Italia, quello che non è accaduto nei Paesi liberali con più lunga esperienza di immigrazione?
Ci deve essere qualcosa, quindi, sia nelle modalità di emigrazione e nel tipo di società degli Stati Uniti, sia nella religione islamica, che potrebbe spiegare il fenomeno. Limitandosi al secondo fattore, certo l'Islam non è solo una religione, e comunque trascende il mero elemento spirituale. Fatto sta che ha determinato nei secoli, e soprattutto negli ultimi anni, una tendenza aggressiva, di "conquista", quando non addirittura violenta contro le altre religioni e contro le istituzioni civili. Fortunatamente in pochissimi casi questa violenza è stata di grado elevato, ma questo non attenua il pericolo, perché basta anche un solo episodio per avere una strage.
Sulla spinosa questione della concessione della cittadinanza agli islamici, Sartori aveva scritto un editoriale sul Corriere della Sera il 20 dicembre scorso:
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"In tempi brevi la Camera dovrà pronunciarsi sulla cittadinanza e quindi, anche, sull' "italianizzazione" di chi, bene o male, si è accasato in casa nostra", iniziava lo scritto di Sartori. "Il problema viene combattuto, di regola, a colpi di ingiurie, in chiave di "razzismo". Io dirò, più pacatamente, che chi non gradisce lo straniero che sente estraneo è uno "xenofobo", mentre chi lo gradisce è uno "xenofilo". E che non c' è intrinsecamente niente di male in nessuna delle due reazioni. Chi più avversa l' immigrazione è da sempre la Lega; ma a suo tempo, nel 2002, anche Fini firmò, con Bossi, una legge molto restrittiva. Ora, invece, Fini si è trasformato in un acceso sostenitore dell' italianizzazione rapida. Chissà perché. Fini è un tattico e il suo dire è "asciutto": troppo asciutto per chi vorrebbe capire. Ma a parte questa giravolta, il fronte è da tempo lo stesso. Berlusconi appoggia Bossi (per esserne appoggiato in contraccambio nelle cose che lo interessano). Invece il fronte "accogliente" è costituito dalla Chiesa e dalla sinistra. La Chiesa deve essere, si sa, misericordiosa, mentre la xenofilia della sinistra è soltanto un "politicamente corretto" che finora è restato male approfondito e spiegato. Due premesse. Primo, che la questione non è tra bianchi, neri e gialli, non è sul colore della pelle, ma invece sulla "integrabilità" dell' islamico. Secondo, che a fini pratici (il da fare ora e qui) non serve leggere il Corano ma imparare dall' esperienza. La domanda è allora se la storia ci racconti di casi, dal 630 d.C. in poi, di integrazione degli islamici, o comunque di una loro riuscita incorporazione etico-politica (nei valori del sistema politico), in società non islamiche. La risposta è sconfortante: no. Il caso esemplare è l' India, dove le armate di Allah si affacciarono agli inizi del 1500, insediarono l' impero dei Moghul, e per due secoli dominarono l' intero Paese. Si avverta: gli indiani "indigeni" sono buddisti e quindi paciosi, pacifici; e la maggioranza è indù, e cioè politeista capace di accogliere nel suo pantheon di divinità persino un Maometto. Eppure quando gli inglesi abbandonarono l' India dovettero inventare il Pakistan, per evitare che cinque secoli di coesistenza in cagnesco finissero in un mare di sangue. Conosco, s' intende, anche altri casi e varianti: dalla Indonesia alla Turchia. Tutti casi che rivelano un ritorno a una maggiore islamizzazione, e non (come si sperava almeno per la Turchia) l' avvento di una popolazione musulmana che accetta lo Stato laico. Veniamo all' Europa. Inghilterra e Francia si sono impegnate a fondo nel problema, eppure si ritrovano con una terza generazione di giovani islamici più infervorati e incattiviti che mai. Il fatto sorprende perché cinesi, giapponesi, indiani, si accasano senza problemi nell' Occidente pur mantenendo le loro rispettive identità culturali e religiose. Ma - ecco la differenza - l' Islam non è una religione domestica; è invece un invasivo monoteismo teocratico che dopo un lungo ristagno si è risvegliato e si sta vieppiù infiammando. Illudersi di integrarlo "italianizzandolo" - concludeva Sartori - è un rischio da giganteschi sprovveduti, un rischio da non rischiare".