"La cultura occidentale deve trovare un limite alla sua pretesa di fare della libertà un assoluto", nientemeno, ha detto il cardinale Silvestrini, ex capo della diplomazia vaticana. E questo non ci meraviglia. Anche il presidente teocon Bush, che ha tanti elettori islamici, il vice-presidente dell’Unione Europea, Frattini, e il ministro dell’Interno, Pisanu, hanno biasimato la pubblicazione delle vignette (solo leggermente umoristiche, va detto) di Maometto. Il filosofo francese André Glucksmann ha difeso invece disegnatori e direttori di giornali: "Inaccettabile la censura preventiva, così si introdurrebbe la sharia [la legge coranica] in Europa".
Siamo con Glucksmann, ovviamente. La libertà vera, quella liberale, ha il viziaccio di essere indivisibile: o c’è per tutto e tutti, o non c’è. E non esiste solo per le cose che piacciono a una persona, a una classe, a un partito, a una religione. Questa sarebbe la libertà dei dittatori. Ma esiste per le cose inopportune, politicamente scorrette, d'opposizione, di critica, di satira, sgradevoli, perfino ributtanti. Quelle che fanno dire al conservatore o al reazionario: "Ma dove andremo a finire?". Del resto, se tutti fossero d'accordo, la libertà non verrebbe praticata.
Con la storia delle vignette è lo stesso. Qualunque dittatore, papa o ayatollah potrebbe decidere "che cosa non può essere toccato dalla satira" – per esempio le proprie idee (in genere si chiamano "valori"), la propria squadra di football, la propria religione - e che cosa invece può essere preso in giro: ovviamente le idee, le squadre e le religioni altrui. Troppo comodo. Perciò la satira è un condensato da Bignami delle libertà tipiche del liberalismo: perché proprio come le famose "libertà liberali" si applica paradossalmente agli "altri", ai "diversi", agli "eccentrici", agli "irregolari", ai "radicali", ai "contro-corrente", perché no, ai "matti". In questo caso anche agli "inopportuni", "maleducati" e "politicamente scorretti" disegnatori di Maometto. E l’Islam non c’entra niente: qui è questione solo del nostro liberalismo effettivo, in questa Eurasia, non ancora "Eurabia".
E infine una notazione fuori schema, da discreti disegnatori. Visto che volevano beccarsi ‘sta fatwa "a vita" – mi scuso per il tragico bisticcio di parole – almeno i disegnatori danesi potevano intingere di più il pennino nell’inchiostro, e fare satira vera. "Taglia, ch'è rosso", diceva nei suoi sonetti - quelli sì, satirici e anticlericali - il poeta G.G.Belli. Invece in queste vignette si coglie solo un’ironia leggera e bonacciona, da terza elementare. Altro che i ceffi ributtanti del razzismo, come insinua sbagliando (e gli capita spesso) P.L.Battista, che di grafica, di satira e di psicologia del disegno evidentemente non capisce niente. Se quella, graficamente, è satira vera, allora il Salon Voltaire è diretto dalle suore Orsoline.
# Nico Valerio 19:52