05 febbraio, 2006

 

Vignette umoristiche (non satiriche) di Maometto: un test grafico sul liberalismo

"La cultura occidentale deve trovare un limite alla sua pretesa di fare della libertà un assoluto", nientemeno, ha detto il cardinale Silvestrini, ex capo della diplomazia vaticana. E questo non ci meraviglia. Anche il presidente teocon Bush, che ha tanti elettori islamici, il vice-presidente dell’Unione Europea, Frattini, e il ministro dell’Interno, Pisanu, hanno biasimato la pubblicazione delle vignette (solo leggermente umoristiche, va detto) di Maometto. Il filosofo francese André Glucksmann ha difeso invece disegnatori e direttori di giornali: "Inaccettabile la censura preventiva, così si introdurrebbe la sharia [la legge coranica] in Europa".
Siamo con Glucksmann, ovviamente. La libertà vera, quella liberale, ha il viziaccio di essere indivisibile: o c’è per tutto e tutti, o non c’è. E non esiste solo per le cose che piacciono a una persona, a una classe, a un partito, a una religione. Questa sarebbe la libertà dei dittatori. Ma esiste per le cose inopportune, politicamente scorrette, d'opposizione, di critica, di satira, sgradevoli, perfino ributtanti. Quelle che fanno dire al conservatore o al reazionario: "Ma dove andremo a finire?". Del resto, se tutti fossero d'accordo, la libertà non verrebbe praticata.
Con la storia delle vignette è lo stesso. Qualunque dittatore, papa o ayatollah potrebbe decidere "che cosa non può essere toccato dalla satira" – per esempio le proprie idee (in genere si chiamano "valori"), la propria squadra di football, la propria religione - e che cosa invece può essere preso in giro: ovviamente le idee, le squadre e le religioni altrui. Troppo comodo. Perciò la satira è un condensato da Bignami delle libertà tipiche del liberalismo: perché proprio come le famose "libertà liberali" si applica paradossalmente agli "altri", ai "diversi", agli "eccentrici", agli "irregolari", ai "radicali", ai "contro-corrente", perché no, ai "matti". In questo caso anche agli "inopportuni", "maleducati" e "politicamente scorretti" disegnatori di Maometto. E l’Islam non c’entra niente: qui è questione solo del nostro liberalismo effettivo, in questa Eurasia, non ancora "Eurabia".
E infine una notazione fuori schema, da discreti disegnatori. Visto che volevano beccarsi ‘sta fatwa "a vita" – mi scuso per il tragico bisticcio di parole – almeno i disegnatori danesi potevano intingere di più il pennino nell’inchiostro, e fare satira vera. "Taglia, ch'è rosso", diceva nei suoi sonetti - quelli sì, satirici e anticlericali - il poeta G.G.Belli. Invece in queste vignette si coglie solo un’ironia leggera e bonacciona, da terza elementare. Altro che i ceffi ributtanti del razzismo, come insinua sbagliando (e gli capita spesso) P.L.Battista, che di grafica, di satira e di psicologia del disegno evidentemente non capisce niente. Se quella, graficamente, è satira vera, allora il Salon Voltaire è diretto dalle suore Orsoline.

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