20 dicembre, 2008

 

E se abolissimo le Regioni, anziché le Province? È lì che si nasconde il marcio.

L’Italia è densa di Storia, d’arte e di bellezze naturali, certo, ma come estensione è un piccolo Stato. Con i suoi 301 mila chilometri quadrati è simile, anzi un poco più piccola, allo staterello del New Mexico (capitale Santa Fe’), uno degli Stati Uniti.

E l’Italia ha una capitale che è situata al centro esatto del suo territorio, oltretutto molto stretto, perciò ogni città o provincia è facilmente raggiungibile da Roma o da altri punti  della Penisola in poche ore con qualunque mezzo, dall’aereo alla carrozza a cavalli. E oggi siamo in tempi di messaggi rapidi in email…

Che bisogno c’era di spezzettarla in tanti sotto-Stati, le cosiddette "Regioni", inventate dalla Costituzione del 1946, che mai sono stati davvero nel cuore e nella Storia degli Italiani, semmai più municipalisti e campanilisti che regionalisti? Senza contare che le nostre Regioni non corrispondono neanche a precise realtà geografiche o storiche. Infatti non coincidono mai con i vecchi Stati preunitari spazzati via dal Risorgimento.

E allora, perché? A che servono? Questo è stato uno dei pochi errori di quei galantuomini intelligenti ed efficientissimi che sono stati i nostri Padri Costituenti. Bisogna capirli, dopo l’accentramento paranoico voluto dal Fascismo, non volevano rischiare l’unicità del comando e hanno fatto di tutto per estendere la partecipazione dei cittadini alle decisioni della Repubblica. Ma non avevano fatto i conti con la voglia di sprechi e ruberie degli Italiani, che prendono ogni posto pubblico come un’occasione per spendere soldi non propri senza limiti, quando addirittura non una comoda mangiatoia.

I liberali, ricordo benissimo da Giovane Liberale a 16-18 anni, erano contrarissimi all’attuazione degli articoli della Costituzione sulle Regioni. L’Italia è piccolissima, dicevano, che bisogno c’è? Sarebbe assurdo spezzettarla ancora di più in tanti quasi-Stati (parole sante oggi, quando l’Italia non è troppo grande ma troppo piccola rispetto al mercato europeo e mondiale…). Non possiamo – continuavano – fare la scimmiottatura degli "States" in un territorio che equivale ad un loro piccolo Stato. “Daranno luogo sicuramente a una pletorica burocrazia dispendiosa e parassitaria”, incalzavano nel PLI. E ai tanti che giustificavano almeno con la possibilità di risparmi: “Saranno una occasione di spreco, non di risparmio”. E conoscendo il carattere e la storia degli Italiani, fin dal Medio Evo settari e l’uno contro l’altro perfino nella stessa città (il Palio di Siena ne è un esempio), dando tutti i poteri alle Regioni – dicevamo – si  rischierebbe l’anarchia: ognuna spenderebbe senza limiti come se fosse uno Stato sovrano. Le tendenze naturali di un popolo anarchico vanno temperate, non favorite. Macché, parole al vento: la Carta Costituzionale aveva previsto le Regioni e le loro enormi competenze? Ebbene, bisognava attuarla. [Ma come mai molti altri articoli, ben più importanti, non sono mai stati davvero attuati?].

E avevamo ragione da vendere. Poi, con l’avvento della Lega Nord, con l’emergere sulla ribalta politica di molti cialtroni provinciali e sottoculturali che blateravano di ritornare al pre-Risorgimento, di dare tutto il potere ai municipi senza alcuna selezione di merito e capacità, infischiandosene dell’unità di un piccolo Stato come l’Italia, troppo recentemente riunito dopo secoli, si è cominciato a straparlare di “secessione” e poi di “federalismo”. Ma il federalismo, nel suo significato migliore, fu una opzione dignitosissima, valutata e discussa nel Risorgimento, quando si temeva che i vari Stati preunitari non avrebbero mai potuto unirsi. Fu scartata, si preferì unificare gli Italiani pensando giustamente che staterelli così diversi (alcuni arretrati, altri avanzati) avrebbero potuto prosperare solo se uniti, mentre il federalismo avrebbe potuto cristallizzare le differenze secolari, impedendo o ritardando lo scambio reciproco e la maturazione delle idee.

Oggi proprio attraverso la "statizzazione" delle Regioni il neo-federalismo potrebbe fare gravi danni separando ancora di più gli Italiani tra loro e distruggendo l'Italia, già piccolissima di per sé, come Stato, e ancora troppo differenziata per reddito, cultura, idee.

Senza contare che le scelte della piccola e poco rilevante Italia in politica o commercio internazionale potrebbero essere ancor più ridotte, o addirittura contraddette o vanificate dalle scelte particolari delle singole Regioni. Tutte cose che puntualmente si sono verificate, ha commentato Paolo D’Arpini nel suo blog.

E non parliamo degli sprechi enormi (pensiamo solo ai deficit regionali nella sanità e nell’ambiente, o alle assurde rappresentanze a Roma o addirittura all’estero). Insomma, spese pazze, clientele, inefficienza per tutte le regioni italiane, e ancor più per quelle privilegiate come "Regioni a statuto speciale" (Sicilia, Val d’Aosta, Trentino-Alto Adige). E ormai il virus parassitario della Lega si è diffuso: le sciocchezze di quegli ignorantoni e paesani vengono ripetute e prese sul serio.

Ma così prosegue D’Arpini: "Dal punto di vista della comunità i cittadini si riconoscono più facilmente nella identità provinciale e raramente nell'ambito regionale. Il motivo è ovvio, la storia e la cultura in Italia hanno sempre privilegiato le comunità ristrette a partire dai Comuni sino all'ambito in cui un Comune solitamente si irradia ovvero la Provincia. Al contrario le Regioni sono state create a tavolino subito appresso l'unità d'Italia e molto spesso non rispecchiano gli ambiti di appartenenza culturale e geografica che questi territori ebbero in passato, ed il passato è presente... non è qualcosa che sparisce.
"Prendiamo l'esempio della Regione Lazio, riaggiustata durante il fascismo, togliendo all'Umbria (Rieti), togliendo alla Tuscia (alta Tuscia passata all'Umbria, Orvieto), togliendo al Regno delle Due Sicilie (Formia, etc.), riaggiustando il Frusinate ed altro ancora... Inoltre la Regione Lazio, come ogni altra Regione, nel suo governo è partigiana, ovvero cura gli interessi "democratici" degli abitanti della sola Roma, le scelte sono sempre a favore degli interessi della città. Ad esempio Roma raggruppa in sé i 4/5 degli abitanti del Lazio, il che significa che tutte le scelte amministrative regionali tendono a soddisfare gli interessi di Roma. In conseguenza di ciò il territorio delle Province storiche del Lazio è negletto ed utilizzato esclusivamente per ubicarvi gli scomodi servizi della città, il territorio delle Province è come una colonia rispetto alla madrepatria. In tal modo la grande Roma non riuscirà mai ad adattarsi al territorio osmoticamente ma continuerà a gettarvi i suoi rifiuti, a creare strutture inquinanti, a mantenere sottosviluppate e mal collegate le componenti territoriali circostanti. Quanto detto per il Lazio vale, ovviamente anche per tutte le altre Regioni: Lombardia, Campania, etc. ove risiedono grandi agglomerati urbani.

"Visto che l'Europa sta diventando sempre più una realtà politica oltre che amministrativa è sicuramente più logico studiare degli ambiti territoriali che rispecchino un'identità "bioregionale" e questi ambiti possono essere rappresentati esclusivamente dalle Province (al massimo da agglomerati uniformi come ad esempio la Tuscia con Viterbo, Civitavecchia ed Orvieto). Quindi andrebbero ristrutturate in termini bioregionali le Province, come base aggregativa ed amministrativa del territorio ed eliminate invece le Regioni, carrozzoni inutili e fuorvianti dal punto di vista dell'integrità ecologica, geografica e storica".

AGGIORNATO IL 24 NOVEMBRE 2014

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20 settembre, 2006

 

Porta Pia, 20 settembre. Il cap. Segre, valoroso e schivo, fu l’ebreo che salvò il cattolico Cadorna.

Carica bersaglieri a Porta Pia (Michele Cammarano 1871 part)
Con la sconfitta da parte degli Austro-germanici a Sedan di Napoleone III, che si atteggiava a difensore del Papa e impediva l’annessione di Roma al Regno d’Italia, cadeva il 4 settembre 1870 l’Impero di Francia. Le truppe francesi a difesa di Roma furono ritirate. Il giorno dopo, 5 settembre 1870, con geniale prontezza il ministro delle Finanze, Quintino Sella, convince l’intero governo Lanza che è il momento di entrare nello Stato Pontificio e conquistare Roma, come auspicato da Cavour e da tutti i Liberali italiani, compresi quelli cattolici. Insomma, il vero "autore" politico della Breccia di Porta Pia fu Quintino Sella.
      La presa di Roma, destinata in tre appassionati discorsi di Cavour alla Camera (il primo nella seduta del 25 marzo 1861) a diventare la capitale, la sola possibile, di un’Italia finalmente unita e libera, nonostante il grande spiegamento delle truppe italiane attorno all'intera cerchia delle mura, si risolse alla fine in un combattimento breve e circoscritto, quasi simbolico, quello davanti alla michelangiolesca Porta Pia, al mattino del 20 settembre 1870. Ma l'evento, per quanto militarmente banale, fu non solo fondativo per lo Stato italiano, anzi la vera data da celebrare per uno Stato finalmente divenuto compiutamente unito e laico; ma fu anche carico di diversi significati e perfino di circostanze e protagonisti sconosciuti e curiosi.
      Il varco, la breccia aperta dalle cannonate degli artiglieri dell'esercito comandato dal generale Raffaele Cadorna (1815-1897) nelle mura Aureliane, vicino alla Porta, ha rappresentato per i liberali italiani insieme la fine del Risorgimento, il completamento dell’unità nazionale e la conquista della capitale storica come aveva voluto Cavour. Per i cattolici papisti voleva dire, però, l’introduzione forzosa dei principi del Liberalismo e la fine del potere temporale del Papato, cioè dell’abnorme figura del "Papa Re".
      Ma, visto oggi col senno di poi, per tutti i cattolici, sia i cattolici liberali, sia i papisti reazionari, il 20 settembre era ed è in realtà il giorno della rinascita, l'inizio della riscoperta della sfera puramente spirituale e religiosa del cattolicesimo, come era già avvenuto nell'Europa del nord protestante. A Roma e nel Centro Italia (Stato della Chiesa) le incrostazioni da eliminare erano tante, anche rispetto ad altri Paesi cattolici, e proprio per i guasti e la corruzione che il potere temporale aveva generato sul territorio e tra le coscienze. Da allora, insomma, anche i cristiani italiani come i cristiani francesi, tedeschi, spagnoli o americani, smisero di adorare un parroco, un monsignore, un Prefetto della Fede, un Cardinale, un Nunzio, un Ministro, un Delegato di Sua Santità. E riscoprirono, se non Dio, almeno la propria coscienza di Dio.
breccia_porta_pia foto ravvicinata 1870Tutto merito d’un ebreo. Ma sì, il patriota e valoroso ufficiale israelita piemontese a cui il cattolicissimo Cadorna affidò, guarda caso, il compito del primo bombardamento delle mura, per evitare – oh, delicatezza (anzi, viltade) de "li cavalieri antiqui" – che la scomunica decretata dal Papa a chi per primo avesse comandato di sparare toccasse proprio a lui o a un capitano d'artiglieria cattolico. Squisitezze di coscienza d'epoca, machiavellismi morali del buon tempo antico che oggi fanno sorridere, ma che dimostrano che non furono i perfidi atei, i mangiapreti, i radicali, i rivoluzionari – che erano una minoranza – a combattere contro il Papa-Re per l’unità d’Italia e i principi liberali, ma i tantissimi liberali cattolici. Che, non erano neanche tutti moderati, anzi.
      Prima che apparisse questo articolo, i rarissimi testi che accennavano alla faccenda dicevano che questo ufficiale ebreo era "un tenente che sparò le prime cannonate". Doppio errore. Un ufficiale non può essere addetto a un cannone. Un "tenente" al massimo avrà ordinato di sparare. Ma il “tenente” era in realtà un capitano comandante, che ordinò il primo fatidico colpo di cannone. Del resto, non era credibile che fosse affidato a un tenente, un ufficiale inferiore, un compito così importante destinato a cambiare la storia d’Italia, dal generale Cadorna che doveva aver programmato bene l’azione, anche per scaricarsi la coscienza – lui fervente cattolico, e scelto proprio per questo dal Governo “per garantire la persona del Pontefice” – perché sapeva che su “chi avesse dato l’ordine di sparare” pendeva la scomunica del Papa. No, lì ci voleva almeno un capitano. E non certo un ufficiale cattolico.
porta_pia e Breccia viste da villa PatriziCosì, a iniziare l'attacco decisivo ordinando il fuoco ai cannoni fu il giovane capitano di artiglieria Giacomo Segre, ebreo piemontese di 31 anni (era nato nel 1839, quando a Chieri c’era ancora il Ghetto, chiuso poi nel 1848). Era presente alla mitica battaglia insieme ad altri ebrei piemontesi, che erano per lo più Bersaglieri (i patrioti ebrei, tra i più coraggiosi del Risorgimento, amavano il corpo dei Bersaglieri, e del resto ai “Bersaglieri ebrei” estende la commemorazione la lapide apposta dal Comune di Chieri in onore di Segre, v. in basso). Sotto le mura di Porta Pia morì anche il comandante d'un battaglione di bersaglieri, il magg.Giacomo Paglieri, il più alto in grado dei caduti e primo della lista incisa nel marmo. Ma torniamo a Segre.
      Il giovane capitano è al comando della 5.a batteria del IX reggimento di artiglieria. Alle 5.20 del 20 settembre 1870, come da ordine ricevuto, ordina d’aprire il fuoco contro non certo la Porta Pia, opera monumentale del Michelangelo, ma le basse mura a destra della Porta, ritenute - a torto - molto deboli. Subito dopo sparano anche la 2.a e l’8.a batteria del VII reggimento, comandate dai capitani Buttafuochi e Malpassuti. Ma le mura Aureliane erano molto ben costruite, e oltretutto i soldati mercenari pontifici non solo non si arrendevano ma reagivano, contravvenendo a un ordine del Papa. Infatti i pontifici fecero più morti degli italiani. Così, contò qualcuno, ci vollero ben 888 colpi per avere la meglio sulle difese e aprire una grossa breccia da cui i bersaglieri poterono passare.
Tomba del capitano (colonnello Giacomo Segre), Cimitero di ChieriMa da dove sparavano i cannoni di Segre e degli altri comandanti di artiglieria? Da lontano, troppo lontano, secondo noi moderni:: da una piccola altura posta a ben 500 m dalle mura, allora nota come "il Pincetto” della vigna Capizucchi, tra Porta Pia e Porta Salaria, luogo che a tutt’oggi, ovviamente spianato, si è conservato intatto, cioè non costruito - per evidente rispetto della memoria - anche se nessun romano e tantomeno turista lo sa. E’ oggi un piccolo boschetto secolare racchiuso nell’ampio cortile tra i palazzi del quadrilatero che ha per lati via Nomentana, via Cagliari, via Alessandria e via Reggio Emilia (*).  Quando nel 1926 fu costruito il palazzo, il luogo fu salvato e rispettato dalle ruspe, perché testimone di una memoria storica ancora viva tra i romani d’allora. Una ricostruzione cartografica effettuata da ricercatori ha dato risultati perfettamente coerenti con documenti e cronache dell’epoca – come ha confermato Lorenzo Grassi – compresa la traiettoria della fucileria pontificia.
      E altro che in "difesa": i papalini erano all'attacco. Furono, infatti, i mercenari del Vaticano, asserragliati a sorpresa in un avamposto fuori le mura Aureliane (villa Patrizi, oggi non più esistente; quasi al suo posto ora c'è il Ministero del Lavori Pubblici), a iniziare le ostilità contro gli italiani prevenendo il loro bombardamento. Un particolare che pochi conoscono e non viene mai ricordato. Infatti, alle ore 5,10 del 20 settembre i papalini colpirono a morte un artigliere di Segre, il caporale Michele Piazzoli, che dalla collina stava ancora aggiustando il cannone assegnatogli verso le mura. Ne parla lo stesso capitano nella lettera alla fidanzata (v. oltre). E fu la prima vittima della giornata, un italiano. Strano comportamento quello delle truppe mercenarie papaline. Il Papa in persona, infatti, aveva ordinato al Segretario di Stato cardinale Antonelli (e questi doveva aver dato disposizioni al proprio comandante in capo gen. Kanzler), di ritirare le truppe entro le mura e di limitarsi a un puro atto di resistenza formale. E invece no, i mercenari fecero resistenza e causarono diversi morti e feriti tra gli italiani, come testimoniala lapide apposta sulla sinistra del Monumento della Breccia (v. foto in basso).
Targa Giacomo Segre capitano ebreo di Porta Pia      Gli artiglieri dei capitani Segre, Buttafuochi e Malpassuti, volendo salvare la bella Porta Pia erano alla ricerca dei punti deboli delle Mura e colpirono con molti colpi di assaggio anche in altri punti lontani molte centinaia di metri dalla Porta. Davanti a via Po e a via S.Teresa è rimasta incastonata nel torrione che sovrasta le mura una palla di cannone degli italiani, perfettamente visibile (v. immagine 2 e articolo di L. Larcan, Porta Pia, scoperta la collina da dove partì il "fuoco" che aprì la breccia, Il Messaggero, 20 aprile 2014).
GiacomoSegreFu il capitano Giacomo Segre, insomma, il vero piccolo eroe dimenticato di Porta Pia. Ecco quello che egli stesso scrisse il giorno dopo, 21 settembre 1870, alla fidanzata Anna, che l’anno dopo sarebbe diventata sua moglie: “Mia amatissima Annetta, ieri fu giornata abbastanza calda. Contro la mia aspettazione, le truppe pontificie fecero resistenza e si dovette coi cannoni aprire la breccia che poi fu presa d' assalto dalla fanteria e bersaglieri. La mia batteria prese parte all' azione e se ne levò con onore. Rimase morto un caporale, ferito gravemente il mio tenente che morì stamane. Povero bel giovinottino di ventiquattro anni! Feriti ugualmente altro caporale che forse non camperà fino a stasera, e più leggermente altri quattro cannonieri. Basta, Roma è nostra e domani andrò a visitarla. Io continuo a star bene e non ti so dire con quanta soddisfazione abbia ricevuto la tua ultima lettera. Dopo tanto tempo! L' ho letta e riletta, e la portavo addosso quando andai al combattimento, a cui si marcia allegramente ma colla recondita apprensione che si sa che vi si va, ma non si sa se si avrà la fortuna di ritornarne. Fu un talismano che mi preguardò da quel nuvolo di palle che mi fischiavano d' attorno”.
      Sulla medesima memorabile battaglia un’altra testimonianza, nella lettera al padre del sottotenente dei Bersaglieri Alberto Crispo Cappai, che poi diventerà generale.
Ambulanza esercito italiano a Villa Torlonia il 20 settembre 1870      E il Cadorna? Come giudicare la sua trovata? Una furbizia levantina da parte del cattolicissimo e forse un po’ superstizioso Cadorna (sapete come sono certi cattolici: “alle scomuniche non ci credo, ma è meglio evitarle, magari portano male”)? Fatto sta che sapendo benissimo che Dio sarebbe stato dalla parte del papa, l'andreottiano ante litteram Cadorna si era “premunito” prima dell’attacco raccomandandosi l’anima a quelle che per lui, cattolico sì, ma liberale, erano pur sempre le Superne Autorità, sì, ma “in seconda” (perché perfino prima di Dio venivano lo Stato, il Dovere, il Risorgimento e l’anelito alla Libertà), con un’opportuna messa al campo sul far dell’alba, grazie al suo cappellano. Ma la definiremmo piuttosto una mossa di sottile “diplomazia dell’anima”, in cui il bravo generale, a cui va la gratitudine di tutti noi liberali, cattolici compresi (quelli intelligenti), deve essersi consultato in pochi secondi con le ombre di Guicciardini, Machiavelli e Ignazio di Loyola, il fondatore della compagnia dei Gesuiti. Insomma, quante piccole furbizie - da una parte e dall'altra - per un così piccolo combattimento!
Ufficiale bersaglieri 1866 (modellino U.Giberti)Ma di Cadorna si è parlato e straparlato, mentre di Segre nessuno sapeva nulla fino al 2006. Ne avevano accennato solo due storici ebrei, Fubini e Alatri.. "C’è una tomba nel cimitero ebraico di Chieri sulla quale è scolpito un simbolo: due cannoni incrociati. È la tomba di un ufficiale di artiglieria, l’allora capitano Giacomo Segre (poi morto colonnello e ancor giovane), che quella fatidica mattina del 20 settembre 1870 diede l’ordine di "Fuoco!" che aprì la breccia di Porta Pia", ricorda Guido Fubini in una pagina dell’Unione delle Comunità ebraiche. Ma prima di lui lo aveva ricordato lo storico ebreo Paolo Alatri, che per parte di madre era nipote dell’eroe Segre. Leggiamo nelle sue memorie: "Il mio nonno materno, Giacomo Segre, militare di carriera, era capitano d'artiglieria quando il 20 settembre 1870 comandava la batteria che aprì la breccia di Porta Pia... Poi Giacomo Segre raggiunse alti gradi nella carriera militare, fino a quello di colonnello; ma non oltre, perché morì giovane..."
Artiglieria piemontese assedio Gaeta (stampa francese, part)      E che ne fu del capitano ebreo Giacomo Segre, costretto a dare l’ordine di cannoneggiare le mura del Papa, perché i capi militari cattolici se la facevano sotto? Ebbe una vita dignitosa e schiva, e restò un protagonista ingiustamente sconosciuto, “modesto e integerrimo” dice giustamente la lapide nel cimitero di Chieri (settore ebraico), come si vede qui in alto. A differenza di tanti suoi colleghi militari, non brigò per ottenere onori e prebende, e restò uno dei tanti eroi minori del Risorgimento liberale, a cui purtroppo non è dedicata nessuna strada o piazza d’Italia (vogliamo provvedere, signori Sindaci?). Nel 1871 il capitano sposò la fidanzata Annetta, quella della lettera da Porta Pia (anche lei una Segre), da cui ebbe nove figli. Uno dei quali, Ippolito, morì sul Carso durante la Prima Guerra Mondiale. E per un curioso contrappasso della Storia, i figli dei due protagonisti di Porta Pia si ritrovano entrambi, sia pure con un grado diverso, nella Grande Guerra. Infatti, anche il figlio del generale Raffaele Cadorna, il generale Luigi, che come giovane tenente aveva partecipato alla battaglia della Breccia insieme col Segre, partecipò, eccome, alla I Guerra Mondiale, anzi, era addirittura il capo di Stato Maggiore, cioè il capo supremo. Ma non vi si coprì affatto d’onore, al contrario per le sue decisioni sbagliate è ritenuto dagli storici il maggior responsabile della disfatta di Caporetto, che portò alla sua sostituzione con Armando Diaz, il generale della vittoria.

museo_bersaglieri_1      Al capitano Giacomo Segre, vogliamo rivolgere almeno un “grazie!” Grazie di tutto, capitano Segre, e scusi se non la chiamiamo colonnello: per noi lei resta il “capitano di artiglieria di Porta Pia”. Il suo ordine sotto le mura Aureliane, immaginiamo stentoreo e con forte accento torinese, è stato essenziale per la Libertà degli Italiani, come il ruolo dei suoi commilitoni ebrei piemontesi, sempre grati a Carlo Alberto che li aveva affrancati da secoli di schiavitù. Ma i liberali d’allora (quanto diversi da quelli di adesso!) ringraziarono lei e la sua laboriosa e pacifica Comunità ben prima di me: una sinagoga volutamente imponente e altissima (credo, la più alta al mondo), come per rivaleggiare con la cupola di S.Pietro dall’altra parte del Tevere, fu il primo grande monumento costruito dai liberali nella nuova Roma liberata dal potere del Papa. Perciò, grazie ai tanti liberali e patrioti ebrei che animarono il Risorgimento e poi nell’Italia liberale unita salirono con la loro intelligenza ai posti di prestigio in tutti i campi, dall’esercito alla scienza, dall’industria all'amministrazione, alla politica. A lei, capitano Segre, dedichiamo la più bella, la più vera delle feste nazionali, quella ricorrenza del 20 settembre che era considerata intoccabile dal nuovo Stato liberale, e che il Fascismo, cinicamente, per puro calcolo politico (Mussolini personalmente era ateo), in cambio d’un piatto di lenticchie, eliminò dopo il Concordato del 1929, festività che ora deve essere assolutamente ripristinata.
      E grazie, capitano, non solo da un liberale, ma anche da parte del generale Cadorna, a cui, lo ammetta, Lei tolse con  eleganza e senso del dovere, le castagne dal fuoco della “coscienza”. Ma anche grazie da parte e a nome della Chiesa, se un non credente si può permettere, che con la provvidenziale perdita del Potere Temporale riacquistò una direzione un poco più spirituale, come ha ammesso con parole esplicite, papa Paolo VI, Montini.
      Il XX Settembre deve essere la nostra grande Ricorrenza Nazionale, la vera festa degli Italiani. E non solo per giusto anticlericalismo, ma perché obiettivamente, dal punto di vista storico, in quanto ricorrenza del momento fondativo dello Stato Italiano, questa data è ancora più importante del 2 Giugno, Festa della Repubblica.
Ed è una vergogna che il “XX Settembre festa nazionale” non lo chiedano i politici di Destra, Centro e Sinistra uniti, come dovrebbe essere visto che è la nostra "data di fondazione", e neanche i sedicenti e parolai "liberali" super partes quando sono inseriti con grande opportunismo - ricordate? - in qualche governo di Centro-Destra che si definisce "liberale" per prendere voti, ma che i grandi e piccoli valori liberali disprezza o contraddice. Del Risorgimento, di Porta Pia, hanno perso il ricordo, anzi ne sono imbarazzati.
      Il ritorno alla festività del XX Settembre lo ha dovuto proporre, tempo fa, l’insospettabile onorevole Franco Grillini (della Sinistra democratica ed ex Arci-gay), che sempre più spesso nelle interviste a Radio Radicale si mostrava "liberale" e laicista.
      Perciò, viva il "XX Settembre", la nostra vera, unica, festa nazionale, a ricordo dell'evento finale e cruciale del Risorgimento italiano, che riunificò l'Italia portando la capitale a Roma come aveva vaticinato il grande Cavour nel famoso discorso alla Camera.
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Il testo della proposta di legge è riportato nel primo commento (vedi).

Dal Pincetto alla Breccia di Porta Pia (Google Map)(*) LA POSTAZIONE DEL CAPITANO SEGRE VISTA OGGI. La postazione dei cannoni degli Italiani era su una collinetta oggi sopravvissuta come “boschetto” secolare al centro di quattro grandi palazzi costruiti nel 1926 (nell’immagine Google Map è l’evidentissimo gruppo di alberi di color verde scuro in alto a destra). La Breccia la s’indovina in corrispondenza del bordo più basso e più chiaro delle Mura Aureliane (in basso a sinistra appena sopra gli alberi di un parco). La porta Pia vera e propria, per fortuna non coinvolta nei combattimenti grazie alla sensibilità degli Italiani (è un capolavoro artistico), è quel complesso architettonico simile a una cattedrale scoperchiata che è visibile in basso, poco a destra della Breccia, proprio di fronte al monumento al centro della piazza. Villa Patrizi, avamposto dei mercenari papalini che sparavano con la fucileria contro i cannonieri di Segre e pure contro gli ordini del Papa, era in basso al centro della foto, dove oggi è visibile un grande Ministero (cliccare sulla foto per ingrandirla).

IMMAGINI. 1. La carica dei Bersaglieri a Porta Pia (dipinto di M. Cammarano, 1871). 2. La palla di cannone incastomata in un torrione delle Mura Aureliane. 3. Breccia e i primi curiosi (foto). 4. Porta Pia e la Breccia visti da villa Patrizi (foto settembre 1870). 5. Tomba nel cimitero di Chieri (Torino) del colonnello Giacomo Segre. Era capitano il 20 settembre 1870 a Porta Pia, e toccò a lui per delega del generale Cadorna di ordinare il bombardamento dell’artiglieria. Nell’articolo si spiega perché.  6. Una rarissima fotografia di Giacomo Segre. 7. Lapide commemorativa apposta dal Comune di Chieri nel 2008. Chissà, forse anche con il nostro piccolo concorso: questo articolo, infatti, scritto nel 2006 e ora aggiornato con foto e particolari, era stato uno dei primi a riscoprire e divulgare la figura del capitano ebreo. 8. Ambulanza dell’esercito italiano a villa Torlonia il 20 settembre 1870. 9. Ufficiale dei bersaglieri nel 1866 (modellino di U. Giberti). 10. Non ci sono fotografie o stampe dei cannoni italiani impiegati a Porta Pia. Per averne un’idea si veda questa stampa francese dell’artiglieria piemontese con cannone al traino all’assedio di Gaeta del 1860. Come si vede, il calibro dei cannoni dell’epoca era già notevole. 11. Bersagliere (stampa del Museo di Porta Pia). 12. La targa del monumento della Breccia di Porta Pia con i nomi dei caduti italiani. 13. Nella targa al maggiore Pagliari, il caduto italiano più alto in grado, il combattimento di Porta Pia è giustamente considerato quello definitivo, capace di "atterrare una dominazione sacerdotale non voluta da Cristo, condannata dalla ragione e dalla storia". 14. La mappa dei luoghi oggi (da Google Map). 15. La "Colonna della Vittoria" eretta in memoria della Breccia nel venticinquennale (1895) era in origine molto più distanziata dalle mura. Oggi risulterebbe al centro di Corso d'Italia. Il monumento, disegnato dall'arch.Carlo Aureli, utilizza una colonna romana di granito rosa orientale, probabilmente delle Terme di Nerone, trovata nel 1875 in scavi presso il Pantheon. La Vittoria alata è opera dello scultore Giuseppe Gustalla.

AGGIORNATO IL 20 SETTEMBRE 2020

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