24 novembre, 2007
Giustizia e clericalismo. Se un giudice tifoso del Milan condanna un interista
Perciò, insegna la psicologia che quando un problema stenta a farsi largo nell’opinione pubblica, basta trasportarlo per analogia su un altro piano, più familiare, più terra-terra, e la gente capisce. E così facciamo noi.
Che pensereste, dunque, d’un giudice milanista, cioè pubblicamente socio d’un Milan Club, che condannasse o rigettasse il ricorso d’un tifoso dell’Inter? O viceversa? A parte la futilità del tema, tutto il male possibile, perché un altissimo principio etico e deontologico sarebbe violato. Per casi come questi, in cui il giudice avverte di non essere sereno o equanime, è stata inventata la astensione. Altrimenti l’imputato potrebbe chiedere la ricusazione del giudice sospetto di parzialità o influenze dovute al proprio credo ideologico, espresso pubblicamente.
Se tollerassimo questa commistione di pregiudizi personali e giudizio, avremmo - ammesso che già non li abbiamo avuti - un giudice fascista che condanna un imputato comunista, e viceversa. Sarebbe la fine della Giustizia.
Ora, come denuncia un comunicato dell’Uaar, siamo ai giudici propagandisti religiosi che condannano gli atei? Se è vera è davvero grave. Potrebbe essere interpretato come un conflitto d’interesse ideologico. Uno scandalo. Eppure, sembra che l’Uaar di Roma, su questo punto abbia scoperto gli "altarini", tanto per essere in tema.
Ma chiariamoci un attimo le idee. Può un giudice essere ateo o credente, vegetariano o nudista, comunista o fascista, e nello stesso tempo emettere sentenze giuste? Certo che può. Anche un giudice è un cittadino, un uomo, ed ha tutto il diritto di avere idee proprie sulla cultura, la religione, la politica. Ed ha anche tutto il dovere di emettere sentenze giuste. Anche se la sua responsabilità personale, nonostante un referendum ad hoc, è di fatto un principio non sancito.
Solo che, a differenza dei cittadini comuni, la Giustizia deve essere o almeno sembrare neutrale e "uguale per tutti". Ogni giudice, quindi, deve non solo essere il più obiettivo possibile, ma anche sembrarlo, cioè apparire tale in pubblico.
Altrimenti? Come minimo, i cittadini da lui giudicati, se di diverso parere ideologico, potrebbero sospettare che il giudice sia arrivato a quella sentenza non per una valutazione equanime e scientifica del Diritto e della Giurisprudenza, ma per proprie convinzioni ideologiche, per simpatie e antipatie personali. Un sospetto terribile, il peggiore, per un giudice, che finirebbe per togliergli credibilità. E il potere della Magistratura, fin dai tempi dei tempi, è tutto fondato sulla irreprensibilità, sulla credibilità di chi accusa o giudica. Un giudice queste cose le sa benissimo, e fa di tutto per non apparire preconcetto rispetto al giudizio e per estensione, potenzialmente, alla comunità dei cittadini. Per questo il giudice ideale sta sempre attento ad "apparire terzo" rispetto alle parti in conflitto, e dovrebbe guardarsi dal prendere posizioni in pubblico, perfino dall’iscriversi a partiti o a club. Una condizione eroica, disumana? Eh, ma la posizione del giudice è molto delicata, non è un impiego come un altro. Del resto, nulla e nessuno obbligano a fare il giudice. Per farlo, e per farlo in modo corretto, occorrono svariate difficili condizioni.
E invece, che accade nella realtà giudiziaria italiana?
Gli esempi di giudici che dai loro comportamenti o dalle loro prese di posizione "culturali" non appaiono "terzi", cioè neutrali, sono centinaia. Prendiamone due recenti, che riguardano le sentenze del Tar del Veneto e del Consiglio di Stato.
A quanto si legge in un comunicato dell’Uaar di Roma che ci è pervenuto ieri, due giudici amministrativi che si sono distinti per sentenze negative nei confronti di ricorrenti contro l’esposizione del crocifisso nei locali pubblici e le visite d’un vescovo nelle scuole (v. articolo), si è scoperto che uno ha fatto parte d’un collegio dell’Opus Dei, un altro ha tenuto una conferenza sulla sentenza stessa presso un club di cultura cattolica.
Il giudice amministrativo Zuballi - scrive il comunicato - presidente e relatore delle due sentenze del TAR del Veneto (ricorso Albertin per i crocifissi, diritto delle associazion cattoliche - ma negato diritto di quelle non cattoliche - a rappresentare interessi collettivi), dopo aver scritto che "il crocifisso è un simbolo laico", è andato a tenere una conferenza proprio sulla sentenza a un'assemblea dei giuristi cattolici, come si vede in questo sito.
Secondo caso. Il giudice amministrativo Romeo, consigliere della sezione sesta del Consiglio di Stato, autore della stesura della sentenza che bocciò il ricorso Albertin, si scopre in un sito che è un ex residente del centro Studi Torrescalla, a sua volta emanazione dell’associazione di propaganda religiosa Opus Dei.
Non abbiamo più parole: tutte quelle adatte al caso le abbiamo già usate.
E poi c’è chi sostiene che non c’è clericalismo in Italia. Secondo noi liberali, quando la religione si avvale del Potere politico o comunque pubblico (Magistratura, Governo, Parlamento, esercito, scuola, televisione di Stato ecc), anziché di quello puramente spirituale, c’è clericalismo. Che genera privilegi, cioè profonde diseguaglianze tra i diritti di libertà dei cittadini. E i veri liberali, credenti o non credenti, devono denunciarlo.
Il Sovrannaturale da me rifiutato e combattuto tenta di sostituirsi al Caso insinuandosi sotto le mentite spoglie dell'intuizione magica... Il "nostro" Giordano Bruno insegna :-))
Complimenti e Grazie !
Francesco Paoletti
CIRCOLO UAAR DI ROMA
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Fammi sapere! Grazie! ciao!!!
Caramon
Difficile rinunciare a certe idee vosto che iniziavamo le nostre lezioni alle elementari con la preghiera e la canzone alla Madonna.
Nico
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