27 giugno, 2006

 

Dopo la vittoria del "no". Ora più spazio ai conservatori o ai riformatori?

Secondo Luca Ricolfi, il referendum costituzionale aveva ad oggetto il dilemma se dire sì ad una riforma che non funzionerà (quella del Centro-destra), o tenerci una riforma che ha già dimostrato di non funzionare (quella del Centro-sinistra).
Avendo vinto i “no” i cittadini avrebbero deciso di tenersi una riforma, quella confermata dal referendum del 2001, che ha già dimostrato di non funzionare. Effettivamente il dilemma sembrava uno di quelli a cui, qualsiasi risposta si fosse data, non poteva che essere sbagliata.
Allora ci si è chiesto, al di là dell’ingegneria costituzionale, quali avrebbero potuto essere i possibili effetti politici? Nel caso della vittoria dei “no”, la piccola associazione Veneto liberale, ha sostenuto che il regime partitocratrico si sarebbe destabilizzato, perché avrebbe innescato una crisi dello schieramento di Centro-destra con un necessario riverbero nei confronti dello schieramento di Centro-sinistra. Inoltre la vittoria del “no” avrebbe scongiurato l’ingessatura del presente immobilismo ed avrebbe potuto innescare un processo costituente.
La sconfitta dei “si” ha già prodotto dichiarazioni dei massimalisti di ambedue gli schieramenti il che potrebbe essere un segnale che indica l’accentuazione del radicalismo nei due poli. Il che non è un buon viatico per la componente riformista-riformatrice presente nelle due aggregazioni. Forse quella componente potrebbe trovare il coraggio di liberarsi dalla presunta scelta imposta dal “realismo politico” di confondersi con gli uni o con gli altri. Potrebbe decidere di camminare sulle proprie gambe. Innescando, così, una crisi irreversibile dei poli.
Non è senza significato, inoltre, che da ambedue gli schieramenti si sono sentite delle voci in sostegno di una riforma per attualizzare la Costituzione del 1947. La componente riformista-riformatrice potrebbe trovare interessante innescare un processo costituente proprio per modernizzare la Carta Costituzionale.
Il processo costituente non può trovare, come protagonisti, i partiti di regime, altrimenti è solo un’operazione per “normalizzare” la situazione politica e non per “abbattere il regime”.
Allora diventa indispensabile agire sulla modifica della legge elettorale al fine di scompaginare le burocrazie partitiche esistenti. La componente riformista-riformatrice, ora prigioniera dei due poli, per camminare sulle proprie gambe avrà la necessità di una legge elettorale per avere uno spazio adeguato, di qui l’attenzione anche nei confronti di una possibile campagna di raccolta firme per un referendum abrogativo di parte dell’attuale “proporzionellum”.
Chi è fuori dei poli deve aspettare che la componente riformista-riformatrice si liberi soprattutto dalle proprie logiche da realpolitik? No di certo. Chi è fuori deve anticipare i tempi e realizzare se non proprio un contenitore per i riformisti ed i riformatori, almeno un Coordinamento tra coloro che sono convinti che in Italia non c’è una democrazia liberale o compiuta. L’importante è quello di aver ben chiari gli avversari: clericali e conservatori. Nulla da spartire con loro.
La vittoria del “no”, perciò, non è una banale vittoria dei conservatori, ma potrebbe (e da non determinista sottolineo il “potrebbe”) essere il primo segnale per la riscossa dei riformisti e dei riformatori.
BEPPI LAMEDICA, Veneto Liberale, Coordinamento Liberali Italiani

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