Nel bel mezzo delle drammatiche fasi finali della II Guerra Mondiale,
nel giugno del 1944, lo scienziato Alberto Einstein – che era vissuto a lungo
in Italia, e la lingua italiana doveva ancora ricordarla – scrive al filosofo
Benedetto Croce, sulla cui intelligenza e amore per la libertà gli americani e
inglesi allora molto contavano in vista del nuovo assetto politico italiano. I
due intellettuali già si conoscevano, come infatti ricorda Croce rispondendo
alla lettera di Einstein, e questo rende più facile il nuovo imprevisto
contatto epistolare.
Ma la risposta di Croce non è formale: trova il modo amabilmente di
smentire l’utopia platonica di una Repubblica ideale retta dalla Ragione e dai
filosofi, a cui aveva un po’ ingenuamente accennato Einstein.
E, come a scursarsi dei crimini e delle velleità imperialistiche del
Fascismo, ricorda che mai nella Storia italiana prima di questa dittatura,
neanche durante l’impero di Roma, il “delirio” del nazionalismo e dell’imperialismo
è stato una ideologia.
Il brano della lettera più importante sul piano politico e morale è,
secondo noi, quello in cui Croce afferma il dovere etico che ha l’intellettuale
di operare nel concreto a favore della libertà e del progresso del proprio
Paese. Perfino il filosofo, insomma, non può estraniarsi e rifugiarsi nei suoi
studi, ma deve dare il suo contributo d’azione quando la Patria è in pericolo,
come «Socrate, che filosofò, ma combatté da oplita a Potidea, e Dante, che
poetò, ma combatté a Campaldino».
Ma «non tutti possono compiere questa forma straordinaria di azione»
che è la guerra, e perciò il filosofo può, coi suoi limiti, aiutare a
combattere la «più aspra e più complessa guerra, che è la politica» con
l’impegno, con i suoi scritti, con le parole di incoraggiamento.
Certo la filosofia «non si arroga di sostituirsi all’azione pratica e
morale, che essa può soltanto sollecitare». Di qui l’«impegno»
dell’intellettuale liberale, teorizzato un po’ prima che lo facessero nel
Dopoguerra gli intellettuali comunisti. «Perciò – scrive Croce ad Einstein – mi
sento oggi, conforme ai miei convincimenti ed ai miei ideali, impegnato nella
politica del mio paese, e vorrei, ahimè, possedere a dovizia le forze che le
sono più direttamente necessarie...».
NICO VALERIO
DUE LETTERE:
EINSTEIN A CROCE - CROCE A EINSTEIN (1)
1. Pubblicate nella Libertà di Napoli e in altri
giornali, e in opuscolo (Bari, Laterza, 1944).
[Ripubblicate in
B.Croce, Scritti e discorsi politici, Bari, Laterza, 1973]
EINSTEIN
A CROCE.
Princeton, 7 giugno 1944.
Apprendo che una persona di qui, che ebbe la fortuna
di visitarla, ricusò di lasciarle la lettera da me indirizzata a lui, ma
scritta a Lei. Pure, di ciò mi consolo nel pensiero che Ella è ora presa da
occupazioni e sentimenti incomparabilmente piú importanti, e particolarmente
dalla speranza che la sua bella patria sia presto liberata dai malvagi
oppressori di fuori e di dentro. In questo tempo di generale sconvolgimento
possa a Lei essere concesso di rendere al suo paese un servigio oltremodo
prezioso, perché Ella è dei pochi che, stando di sopra dei partiti, hanno la
fiducia di tutti.
Se l'antico Platone potesse in qualche guisa vedere
quello che ora accade, si sentirebbe come in casa sua, perché, dopo lungo
corso di secoli, vedrebbe ciò che di rado aveva visto, che si viene adempiendo
in certo modo il suo sogno di un governo retto da filosofi; ma vedrebbe
altresí, e ciò con maggiore orgoglio che soddisfazione, che la sua idea del
circolo delle forme di governo è sempre in atto.
La filosofia e la ragione medesima sono ben lungi,
per un tempo prevedibile, dal diventare guide degli uomini, ed esse resteranno
il piú bel rifugio degli spiriti eletti l'unica vera aristocrazia; che non
opprime nessuno e in nessuno muove invidia, e di cui anzi quelli che non vi
appartengono non riescono neppure a riconoscere l'esistenza. In nessuna altra
società i vincoli tra viventi e morti sono cosí vivi, e i nostri simili dei
secoli precedenti stanno con noi come amici i cui detti non perdono mai la loro
attrattiva, la loro fecondità e la personale loro magia. E, infine, chi
realmente appartiene a quella aristocrazia, potrà bensí dagli altri uomini
essere messo a morte, ma non offeso.
Con rispettosi saluti e auguri
A. EINSTEIN.
CROCE
A EINSTEIN.
Sorrento, 28 luglio 1944.
La sua lettera mi è stata carissima, perché ho avuto
sempre nel ricordo la lunga conversazione che facemmo in Berlino nel 1931,
quando ci accomunammo nello stesso sentimento ansioso sul pericolo in cui
versava la libertà in Europa: comunanza di sentimento e di propositi che vidi
confermata allorché mi trovai a collaborare con Lei – fatta esule dalla sua
patria per l'inferocita lotta contro la libertà – , nel volume di saggi sulla
libertà (Freedom), preparato, or son
quattro anni, in New York.
Delle due teorie di Platone, che Ella richiama, non
è stata, in verità, ricevuta, anzi è stata respinta, dal pensiero moderno,
quella della Repubblica perfetta, costruita e governata dalla ragione e dai filosofi,
ma l'altra è stata serbata, che a lui non era particolare, del circolo delle
forme, ossia delle forme necessarie in cui perpetuamente si muove la storia:
con questo di piú, che quel circolo è stato rischiarato dall'idea
complementare del perpetuo avanzamento ed elevamento dell'umanità attraverso
quel percorso necessario, o, secondo l'immagine che piacque al vostro Goethe,
del suo corso a spirale. Questa idea è il fondamento della nostra fede nella
ragione, nella vita e nella realtà.
Quanto alla filosofia, essa non è severa filosofia
se non conosce, con l'ufficio suo, il suo limite, che è nell'apportare
all'elevamento dell'umanità la chiarezza dei concetti, la luce del vero. È
un'azione mentale, che apre la via, ma non si arroga di sostituirsi all'azione
pratica e morale, che essa può soltanto sollecitare. In questa seconda sfera a
noi, modesti filosofi, spetta d'imitare un altro filosofo antico: Socrate, che
filosofò ma combatté da oplita a Potidea, e Dante, che poetò, ma combatté a
Campaldino; e, poiché non tutti e non sempre possono compiere questa forma
straordinaria di azione, partecipare alla quotidiana, e piú aspra e piú
complessa guerra, che è la politica. Anche io pratico la compagnia, della quale
Ella parla con cosí nobili parole, di coloro che già vissero sulla terra e ci
lasciarono le opere loro di pensiero e di poesia, e mi rassereno e ritempero
in essa: di volta in volta m'immergo in questo bagno spirituale, che è quasi la
mia pratica religiosa. Ma in quel bagno non è dato restare, e da esso bisogna
uscire per sottoporsi agli umili e spesso ingrati doveri che ci aspettano
sull'uscio.
Perciò mi sento oggi, conforme ai miei convincimenti
ed ai miei ideali, impegnato nella politica del mio paese; e vorrei, ahimè,
possedere per essa a dovizia le forze che le sono piú direttamente necessarie,
ma tuttavia le do quelle, quali che siano, che mi riesce di raccogliere in me,
sia pure con qualche stento. E ringrazio Lei dell'augurio generoso che fa
all'Italia, la quale ha sofferto una triste e dolorosa vicenda, dovuta al
collasso prodotto in essa come in altri paesi dalla guerra precedente, onde fu
possibile ai dissennati e violenti d'impadronirsi dei poteri dello Stato non
senza il gran plauso e la larga ammirazione del mondo intero, e volgere e
sforzare l'Italia in una via che non era la sua, che tutta la sua storia
smentiva. Perché non mai l'Italia, dalla caduta dell'Impero Romano, ha delirato
di domini nel mondo, ed essa ha attuato o ha cercato libertà e nella libertà
si è unificata, e il suo nazionalismo e fascismo è venuto da concetti
forestieri, che solo quei dissennati e violenti potevano adottare a pretesto
del loro mal fare. Neppure Roma antica ebbe quel delirio, e perché l'opera sua
fu di proseguire l'opera luminosamente iniziata dall'Ellade e creare un'Europa,
dando leggi civili ai barbari che non ne avevano o le avevano barbariche.
La guerra è la guerra e non ubbidisce ad altro
principio che al suo proprio, e anche le piú nobili ideologie sono per essa
mezzi di guerra, come ogni conoscitore di storia sa e ogni uomo sagace intende.
La lotta interna per la civiltà e la libertà si svolgerà poi, a guerra finita,
nei paesi vincitori non meno che nei vinti, tutti sconvolti dalla guerra sostenuta,
tutti dal piú al meno disabituati alla libertà; e durerà anni e sarà assai
travagliosa e assai perigliosa. Ma poiché le guerre mirano, come a naturale
effetto, a un assetto di pace, è da augurare e da raccomandare che gli uomini
di Stato, che oggi le dirigono, pensino sin da ora a non preparare nei vari
paesi condizioni tali che renderebbero impossibile una solida pace e,
danneggiando cosí la causa stessa della libertà, preparerebbero una nuova
guerra, la quale non potrà mai essere impedita dalla semplice coercizione, ma
richiede la disposizione degli animi alla pace, alla concordia e alla dignità,
del lavoro: « Le lingue legano le spade », come diceva un vecchio filosofo
italiano.
Ma non voglio tediarla con entrare a discorrere di
quel che io osservo e giudico nelle cose della politica internazionale in
riferimento particolare all'Italia; ché anzi dovrei altresí chiederle venia di
aver tolto occasione dalle sue parole gentili e cordiali per esporle i miei
pensieri sulle alte questioni da Lei toccate. Ma naturam expelles furca, tamen
usque recurret (*) : la natura cioè del filosofo, che distingue e teorizza. E,
ringraziandola della sua buona lettera, Le stringo la mano.
Suo B. CROCE.
(*). La frase in latino di Croce - ha completato un commentatore - si può tradurre con “caccia quanto vuoi la natura con la forca, questa tuttavia tornerà indietro” (Orazio Epistola I, 10, v. 24).IMMAGINI. Il disegno di Einstein è di un autore a me sconosciuto, che per quanti sforzi abbia fatto non mi è riuscito di identificare. Quello di Croce è del disegnatore iraniano Dariush Radpour, illustratore editoriale attivo in Italia.
AGGIORNATO IL 25 FEBBRAIO 2021