26 dicembre, 2006
Stazione Termini. Veltroni regala al Papa il patrimonio culturale di tutti
"E poi che volete che sia un nome?", avrà detto il sindaco di Roma, Veltroni, all’unico perplesso dei suoi collaboratori. "Chissà, potrebbe valere da solo 200mila voti in più". Della Destra. Ormai in politica si vince con questi gesti fuori schema.
Così la Stazione Termini ha cessato di esistere: d’ora in poi è dedicata a papa Giovanni Paolo II, a Carol Wojtyla, come due targhe testimoniano. Un’occasione unica: la distrazione della gente (l'anti-vigilia di Natale) e il silenzio stampa (il più lungo sciopero dei giornalisti). Si vede che attorno a Veltroni c’è gente che pensa a tempo pieno a queste cosette.
Chapeau! Non si diventa papabili leader della Sinistra dopo Prodi, senza piccoli colpi di mano del genere. Dittatori del passato? Piuttosto, i parroci prepotenti di provincia, ai tempi di Gino Cervi e Fernandel.
Fatto sta che una fetta del patrimonio italiano di memorie e toponimi, ricavato dalla lenta sedimentazione popolare, strato dopo strato, è cancellata di colpo. Con un atto d’imperio, approfittando delle circostanze favorevoli.
Inutile dire che i forum di discussione del Comune di Roma sono intasati, ma ormai il danno è fatto. Ed è anche un danno d’immagine, una imposizione linguistica che entra nella nostra vita quotidiana, non solo di italiani, ma anche di cittadini di tutto il mondo. I luoghi comuni delle barzellette degli amici inglesi o americani sull’Italia "Stato del Papa" avvalorati da un pulpito autorevole. Con che faccia potremo ancora negare?
Mai pacchianate del genere si erano verificate con la Dc al potere, ai tempi di Pio XII o Paolo VI.
E i "laici" italiani? Non so se l’espressione voglia dire ormai, "gente senza idee", cioè "moderata d’intelligenza", anziché di ideologia. Oppure "docenti con la testa in aria" o "professionisti che non hanno mai tempo", e che quindi non leggono neanche il giornale. Non vorrei essere troppo severo. Ma certo le centinaia di persone - bei nomi - che protestarono duramente l’anno scorso, quando il proposito di Veltroni fu manifestato, non hanno avuto la costanza di seguire l’iter al Comune. Nessuno ha fatto da capopopolo, tanto meno hanno funzionato le "Consulte laiche" demagogicamente ed elettoralmente ospitate nel Comune.
La realtà politica è che - come dimostrano tanti sondaggi, dalla ricerca scientifica al caso Welby - i laici sono ormai (o ancora) la maggioranza degli Italiani. Eppure, non danno importanza politica alla loro laicità, quasi che il laicismo fosse un fatto segreto, non rilevante pubblicamente.
I tanti laici italiani sono costretti a scegliere tra una Destra apertamente clericale e una sinistra nascostamente clericale. Quale delle due è più pericolosa? Non si sa.
La prima almeno genera da sé gli anticorpi: la riconosci e la eviti. E per la propria imperizia dilettantesca si lascia scappare ogni proposito. Ma della seconda ti accorgi quando il pasticcio è stato fatto.
Veltroni è il classico politico puro, senza scrupoli: ricerca solo la notorietà. Ha finto di sentire tutti. Non ha considerato le proteste dei vari manifesti laici (per essere così determinato, chissà che accordi e do-ut-des ci sono dietro le quinte...). Ha aspettato che le polemiche cessassero, e poi dopo aver dato ai professionisti "liberali", impegnati a tempo pieno a far soldi, l'impressione di averci ripensato, zac, la decisione a tradimento. E' il Potere, bellezza.
D'altra parte, come competere - obiettano gli intellettuali - lui sta lì 24 ore su 24, da professionista della politica e dell'amministrazione, a pensare a queste cose, a "organizzare", e per giunta ben pagato. Noi, invece, dovremmo assentarci dal lavoro, tentare di organizzarci (non siamo abituati, siamo dei dilettanti) e prendere posizione nei ritagli di tempo. Non c'è partita: vincerà sempre il sindaco. A meno che noi intellettuali o pofessionisti laici non eleggiamo una "nostra seria classe politica". Ma finora non ci siamo riusciti.
Ma poi, Wojtyla "pendolare" ferroviario? Poco credibile. Oltretutto, anche come viaggiatore celebre Giovanni Paolo II non rappresenta Termini, perché fu semmai un maniacale super-viaggiatore in aereo, auto, elicottero, non in treno.
Che fare? Votare un laico al posto di Veltroni? A Roma, ormai città "del Papa"? Campa cavallo. L'ultimo fu il grande Nathan. Ma erano altri tempi. Oggi, in pieno populismo, Roma è una grande borgata, ignorante e puttana. A che servirebbe colmare le buche delle strade e potenziare i bus? Non è quello del cittadino comune il target che interessa al Comune. Gli dai "gratis" (cioè con le nostre tasse) un po' di musicaccia rock e pop nella Notte Bianca, e la Roma che interessa a lui non capisce più niente: mostra il deretano, come gli animali che si arrendono e diventano servizievoli. D'altra parte, anche la Destra vota Veltroni "il piacione", bravissimo nel promuovere eventi, nel propagandare il logo "Roma" nel mondo, a vantaggio esclusivo di negozi, alberghi, ristoranti e agenzie turistiche.
Nel frattempo? Gli appelli generalisti contano zero, perché ormai se ne fanno troppi (anche via internet) e troppo limitati. Forse funzionerebbe l'appello d'un numero iperbolico di persone (un milione?), difficile da realizzare. Altrimenti a noi laici, nella città con ben due stazioni dedicate ai papi, non resta che il mini-appello specializzato, ai giornalisti, ai cronisti (specialmente di Corriere della Sera, Repubblica e Epolis), alle agenzie, alla Rai, agli intellettuali, per una sorta di resistenza passiva, per ignorare il neologismo veltroniano, e continuare a chiamare Stazione Termini la stazione che sorgeva presso i ruderi delle Terme di Diocleziano. Un lungo sciopero della parola. Anche se le ben note ramificazioni del Comune nella cronaca locale dei giornali dimostrano (v. precedente della bella Galleria Colonna chiamata "Alberto Sordi") che la battaglia è difficile. E basterebbe la correzione d'un oscuro capo-cronaca per vanificarla.
Ma se anche i toponimi fanno parte delle nostre tradizioni e del nostro patrimonio storico inalienabile, allora pretendiamo anche la difesa di Italia Nostra.
10 dicembre, 2006
Roma come Teheran: la religione di Stato imposta all'Italia come all’Iran.
Ahi giorno sovra gli altri infame e tristo,
Quando vessil di servitù la Croce
E campion di tiranni apparve Cristo!
(Giosuè Carducci, “Voci di preti” in Juvenilia)
Un' offensiva senza precedenti è stata lanciata dal Vaticano per sottomettere totalmente la Repubblica Italiana al potere pontificio. Si compie così la lunga marcia che dopo la Breccia di Porta Pia ottenne una prima vittoria nel 1929, quando con i Patti Lateranensi Mussolini sottomise l' Italia al potere religioso con due articoli che imponevano la religione cattolica come "unica religione dello Stato" e l' insegnamento della stessa come "coronamento" dei corsi di studio.
La ri-presa del potere continuò con la Costituzione Repubblicana in cui, all' art. 7, quei Patti di sottomissione furono confermati. E non si fermò nemmeno quando con il Concordato craxiano del 1984 vennero solo apparentemente cancellati i due articoli più odiosi del precedente accordo.
In realtà non cambiò nulla. Anzi assistiamo oggi alla pretesa di ripristino della "religione di Stato" con le dichiarazioni di Ratzinger che ordina di contrassegnare tutti i pubblici edifici con il crocifisso, simbolo del suo potere, mentre l'insegnamento della religione è solo apparentemente facoltativo, come ben sanno tutti i genitori che per i propri figli non trovano nella scuola alcun insegnamento alternativo.
L'irresistibile presa di potere del Vaticano sull' intero Paese arrivò alla penultima tappa nell' anno 2000, allorché Wojtyla assestò un pugno in faccia all' Italia inventando un miracolo pur di beatificare Pio IX, il papa che fece uccidere tanti liberali italiani (*) e fu il più feroce nemico della nostra unità.
E infine il 14 novembre 2002 l' intero Parlamento (con pochissime eccezioni a cui rendiamo onore), applaudì l'insediamento dello stesso papa sul più alto seggio simbolico del potere italiano. E per celebrare quella presa di potere fu addirittura umiliata la Costituzione che proibisce la riunione congiunta delle Camere in casi diversi da quelli espressamente previsti. La resa formale e senza condizioni della Repubblica Italiana al Vaticano era compiuta.
Quello che succede oggi, l'ordine perentorio di non riconoscere parità di diritti ai cittadini omosessuali in materia di rapporti di coppia, è solo l' ennesima dimostrazione del potere effettivo, totalitario e totalizzante che le gerarchie religiose hanno sull' Italia. Né più né meno di quello che succede in Iran. Cambia solo il nome del dio obbligatorio per tutti.
Roma come Teheran, appunto.
GIULIO C. VALLOCCHIA
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(*) Il papa Mastai, incredibilmente fatto "beato" da papa Giovanni Paolo II, fu il responsabile non solo delle esecuzioni capitali di tanti oppositori liberali (p. es., Monti e Tognetti, sui quali il Carducci scrisse una celebre Ode), ma - quel che è più grave - di veri e propri saccheggi e stragi, perfino di donne e bambini, e di rapine ai danni di turisti stranieri, come quelli compiuti dopo la rivoluzione a Perugia (1859) dalle truppe svizzere del colonnello Schmidt, su autorizzazione del segretario di Stato pontificio, il cardinale Antonelli.
06 dicembre, 2006
Ha sfilato la "gente", non la società. Perciò la CdL ha vinto e ha perso
Il "popolo"? Ma, scusate, in quale Paese e in quale secolo siamo? Forse in Francia, e alla presa della Bastiglia? No. E neanche agli Stati Generali, che semmai erano un luogo ristretto di rappresentanza, e che rappresentanza: addirittura un organo di consulenza del re! O la populace della Vandea, o i briganti combattenti accanto ai nobili lazzaroni nelle bande della Santa Fede del cardinale Ruffo di Calabria? Men che meno quello bolscevico di San Pietroburgo, già egemonizzato, come no, dalle prime avanguardie rivoluzionarie, ovviamente borghesi.
Quel "popolo", dunque, che non venne in luce neanche nella Rivoluzione francese – che infatti fu rivoluzione borghese, liberale, e perciò mediata dai ceti e dagli strati intermedi e produttivi della società – e che non fu all’origine neanche della rivoluzione comunista sovietica, dovrebbe essere oggi alla base della rinascista del Centro-destra in Italia? Ma per favore…
E’ un concetto vago, plastico, pericoloso, questo "popolo" indistinto a cui sembrano riferirsi politici e giornali. Forse, piacque soltanto a Peron. Perché già Mussolini, da buon ex socialista, ne diffidava e ne aveva paura. Fatto sta che è ancor oggi un’entità ambigua, un elemento sociologico e pre-politico, se non anti-politico, insomma un qualcosa di oggettivamente reazionario. Utile? Solo per fare titoli sui giornali. Buono per fare cronaca ma non storia, protesta ma non politica.
Col "popolo", con la "gente", non si governa, né si fa opposizione, ma tutt’al più si fa audience televisiva. Perciò il Centro-destra a piazza San Giovanni, a Roma, ha vinto, sì, ma ha anche perso. Perché ha dimostrato i suoi limiti strutturali, politici e sociologici. Anzi, paradossalmente, più alto è il numero dei componenti della nuova, santificata categoria "gente comune" che sfilano con Berlusconi, Fini e Bossi, più bassa è la rappresentanza della "società civile" che il Centro-destra può vantare nell’Italia di oggi.
I 700 mila cittadini (la CdL ha ormai imparato la furbizia del Centro-sinistra di raddoppiare o triplicare le cifre dei partecipanti) che hanno marciato a Roma per il Centro-destra, a differenza di quelli che di solito sfilano per il Centro-sinistra, rappresentavano solo se stessi, non le articolazioni e le elites in cui – che lo si voglia o no - si sostanzia in realtà la società italiana.
Che è, almeno in questo, una società europea, non americana, e cioè si porta appresso storicamente tutto il peso, ma anche tutta la ricchezza, di gruppi, categorie, snodi intermedi, rappresentanze, settori creativi e produttivi della società. Gli Stati Uniti sono davvero una "società di eguali", di cittadini che sono veri soggetti politici, mentre l’Europa è una società di cittadini indistinti, soggetti politici solo virtuali, al di sopra dei quali si erge tutta una ragnatela di strati intermedi, di rappresentanze e minoranze elettive (anche se non sempre "elette", in tutti i sensi), questi sì, davvero titolari di diritti e poteri. E’ la caratteristica precipua della stratificazione politica europea, e italiana in particolare.
E il palco di San Giovanni dimostrava in modo scenograficamente impietoso questa grave lacuna. Accanto all'orchestra del Maurizio Costanzo Show, unica grottesca citazione della "società", sia pure come audience tv, c’erano i "politici di professione". Ma mancavano sia l’elite intellettuale o dirigente (intellettuali veri e propri, professori universitari, scrittori, attori, cantanti, musicisti, sindacalisti, giornalisti ecc), sia le diverse articolazioni della società (ministeriali, insegnanti, casalinghe, pensionati, studenti ecc). Lo hanno detto chiaro e tondo ai giornalisti i pochi intellettuali presenti: "nessuno ci ha invitato sul palco", "nessuno ci ha messo in mostra".
Individualismo o egualitarismo? Nè l'uno né l'altro. Solo autodifesa miope del ceto politicante. Le "categorie" e i gradi intermedi non piacciono ai partiti di Destra? Peccato, perché esistono, eccome, e possono fare molto per convincere i votanti e dare prestigio a uno schieramento che non brilla per qualità personali. Certo, sono difficili da gestire, e vogliono un personale politico apposito e specializzato che li "accudisca" e li "aiuti" ad esprimersi in politica. Cosa che il Centro-destra di "dilettanti che hanno scelto di diventare professionisti della politica" non ha il tempo né la pazienza di fare.
Il "popolo", quindi, perché è molto più facilmente gestibile, e dà meno grane. Ma anche qui il ceto politico della CdL ha mostrato tutta la propria insufficienza: non ha considerato che sono stati proprio i politologi e teorici della Destra storica a teorizzare le élites. E in particolare sono stati proprio i teorici della Destra liberale a sostenere che "la politica non è tutto", e a tuonare contro la "partitocrazia".
E così quella del Centro-destra si è rivelata una vittoria, sì; ma per chi sa guardare con sottile spirito critico, una mezza vittoria di Pirro.