20 maggio, 2006
Relativismo liberale? Tra libertà, diritto, etica pubblica e morale privata
Come afferma la nostra Costituzione, all’articolo 3, primo comma, tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge "senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Quindi, dal punto di vista dello Stato, vale la regola dell’irrilevanza delle fedi religiose, o delle opinioni politiche; nel senso che, ad esempio, il professare una determinata religione, invece di altre, o il dichiarare l’appartenenza ad un determinato partito politico, non devono mai comportare un trattamento differenziato (in positivo ed in negativo) dinanzi alla legge.
Tuttavia, la stessa Costituzione, all’articolo 19, nell’affermare il diritto fondamentale che ciascun soggetto ha di professare liberamente la propria fede religiosa, tanto in forma individuale quanto in forma associata, pone un limite: "purché non si tratti di riti contrari al buon costume".
Ciò significa che se le fedi religiose in astratto sono tutte ammissibili al cospetto dello Stato, rileva invece il modo concreto con cui si pratica il culto e la legge può proibire alcuni riti. Ipotizziamo dei seguaci di una setta satanica i quali compiano strani riti che contemplino atti di violenza, magari soltanto simbolici. Fermo restando che comportamenti che integrano specifiche fattispecie di reato vanno repressi in quanto tali (ad esempio, un sacrificio umano integra un omicidio, con possibilità di aumentare la pena quando ricorrano circostanze aggravanti), a mio avviso le leggi dello Stato ben potrebbero proibire in linea generale ed astratta riti inerenti a sette sataniche conosciute, e prevedere la sanzione di manifestazioni concrete in tal senso. Non ritengo che per questo lo Stato perderebbe le sue caratteristiche di Stato liberale e laico. Per quanto mi riguarda, il mio liberalismo non include la difesa della libertà altrui di praticare culti satanici.
Valerio Zanone, nell’articolo citato da Nico Valerio, ha ricondotto il relativismo allo storicismo. In effetti, dal punto di vista storico, è evidente che tutto è relativo: le istituzioni, i costumi, le leggi positive, mutano con il passare del tempo.
Eppure Benedetto Croce, che di storicismo un pò si intendeva, ha insegnato a distinguere tra ciò che attiene all’etica (volizione dell’universale), e ciò che attiene all’utilità che il soggetto ricerca ed al suo desiderio di soddisfare i propri appetiti vitali (volizione dell’individuale). Secondo Croce i due momenti sono distinti, coesistono in ogni persona, e sono in rapporto dialettico fra loro.
Un filosofo che seriamente studi il problema etico, mai e poi mai arriverà alla conclusione che la morale è un fatto individuale e ci sono tante morali quanti sono gli individui pensanti. Non potrebbe mai arrivare a questa conclusione, perché se ci sono infinite morali possibili – e tutte giustificate per il semplice fatto di essere concepite – il risultato ultimo è che non c’è alcuna morale.
Per comprendere cosa sia l’etica, a mio avviso bisogna partire da Immanuel Kant, filosofo al quale pure la concezione liberale deve qualcosa. Il problema di Kant è quello di conciliare una morale autonoma (che il soggetto stesso si dà facendo uso della propria ragione) con dei criteri formali i quali consentano di individuare leggi morali universali, cioè tendenzialmente valide per tutti gli esseri umani, così come sono universali le leggi di natura.
Per quanto riguarda l’insistenza sull’esigenza che la morale sia autonoma, ognuno comprende quanto sia più forte e sicura una regola che il soggetto spontaneamente accetta in quanto razionalmente la condivide, rispetto ad un comandamento imposto da un’autorità esterna. Quest’ultimo sarà violato tutte le volte in cui l’autorità esterna non è nelle condizioni di accorgersi dell’inosservanza.
Per quanto riguarda l’insistenza sul necessario carattere universale delle leggi morali, pensiamo alle tante cose che accomunano gli esseri umani: tutti nati da donna, tutti destinati a morire. Non è forse vero che, nel divenire della Storia, l’unico elemento di sicuro progresso va individuato nel fatto che sono stati affermati, e faticosamente si cerca di fare rispettare, diritti fondamentali di ogni essere umano in quanto tale? Non è forse vero che chiunque avverte immediatamente la differenza fra società in cui i detentori del potere possono commettere qualsiasi arbitrio e qualsiasi violenza in danno delle persone soggette alla loro autorità, e società regolate dalla concezione dello Stato di Diritto, secondo cui tutti i governanti e tutti i pubblici amministratori sono soggetti alla Costituzione ed alle leggi, ed i diritti di ogni cittadino sono garantiti e "giustiziabili" (suscettibili, cioè, di essere affermati da magistrati, terzi ed imparziali)?
Si può dire che una legge morale universale vieta lo sfruttamento dei bambini e dei minori? Sì, si può dire. Si può dire che una legge morale universale vieta la tratta degli schiavi? Sì, si può dire. Si può dire che una legge morale universale vieta di farsi giustizia da sé? Sì, si può dire. Queste leggi morali universali sono cosa diversa dalle leggi positive dei singoli stati. E sono più importanti di queste ultime, perché costituiscono il parametro per giudicarle.
C’è un minimo comune denominatore etico fra gli esseri umani e tutti abbiamo interesse a riconoscere questo dato, mentre abbiamo tutto da perdere se lo mettiamo in discussione facendo professione di relativismo.
Come Nico Valerio ha opportunamente messo in evidenza, il liberale non è uno scettico, né è indifferente. Un liberale può benissimo avere la tempra del combattente, che nulla concede ad idee ed opinioni che ritiene sbagliate per la civile convivenza. Il problema è che ogni possibile controversia teorica, o conflitto pratico, devono arrestarsi ad un certo limite. Il limite è quello del rispetto dell’altro, in quanto persona umana. In termini religiosi, si direbbe: tutti siamo figli di uno stesso Dio e quindi dobbiamo sempre riconoscere nell’altro nostra sorella, o nostro fratello.
Il liberale può avere convinzioni altrettanto salde di quelle di chi è credente in una fede religiosa, o in una qualsiasi ideologia politica. La differenza è che il liberale, se è veramente tale, non deve arrivare al fanatismo. Ad un certo punto deve lasciar perdere il consequenziarismo logico. L’avversario di oggi può essere l’alleato, o l’amico, di domani.
Altro requisito costitutivo di un punto di vista liberale è l’amore della verità, che non si arresta mai, ma sempre spinge ad andare oltre, per superare ulteriori prove, per avere altre verifiche. La verità si ricerca nel dialogo con gli altri: con i vivi e con i morti (che ci hanno lasciato un’eredità di pensiero ed un patrimonio di cose materiali). Da questo punto di vista, ogni altro essere umano è, potenzialmente, l’anello mancante della catena che stiamo costruendo nella nostra ricerca della verità: da tutti possiamo imparare qualcosa, esattamente come lo scambio (il commercio) è il fondamento dell’economia.
Anche questa attitudine al dubbio metodico, all’auto-critica, a mettersi continuamente in discussione nel confronto con gli altri, è cosa ben diversa dal relativismo. Questo, se male inteso, potrebbe portare a teorizzare la "libertà di fare i propri comodi", tanto non ci sono certezze ed ognuno fa un po’ come gli pare. Chi cerca sempre la verità, e non si stanca di cercarla, lo fa proprio perché non si appaga di una concezione volgarmente relativista.
Quanto detto non ha nulla a che vedere con la "politica – politicante". Per una volta, voliamo alto. Ci sono cose ben più importanti della politica, e dell’avere, o non avere, successo mondano. La cosa più importante è dare un senso alla propria esistenza e potere così affrontare serenamente la morte, quando verrà. Tanto, una volta varcata la soglia fatale, tutte le ricchezze, tutto il successo, tutto il potere, di questo mondo non valgono più nulla. Si può sperare invece, che qualcosa resti nella catena degli affetti e del pensiero.
Giova magari ricordare a coloro che non si trovassero d'accordo con quanto esaurientemente illustrato, che già Voltaire aveva sottolineato il fatto che esiste una sola morale, così come esiste una sola geometria. E offendere in qualunque senso la morale significa ostentare un atteggiamento illiberale a scapito degli altri.
Non si dimentichi che la vera libertà non consiste nel fare tutto ciò che si vuole, ma tutto ciò che è lecito fare. C'è una bella differenza!
Questo è il motivo per cui mi sono sempre dichiarato fortemente contrario a certe pratiche barbare come l'infibulazione (che per alcune sottoculture sarebbero una forma d'iniziazione), o anche a certi rituali nostrani, sia pur incruenti, come il battesimo coatto dei neonati, che comunque rappresenta una subdola forma di coercizione.
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