19 maggio, 2016
Pannella, signor no: guru dei diritti civili, uomo di disobbedienza e di eccessi, Narciso anti-partiti.
Già “personaggio” fin da giovane, già mito vivente per i suoi amici e militanti radicali, Marco Pannella è morto il 19 maggio 2016 a 86 anni di età, ma vivrà a lungo nel ricordo degli Italiani. Con lui l'Italia contemporanea ha perduto il più grande e singolare combattente per i diritti delle minoranze, non solo per i più generali “diritti civili”, e a maggior ragione per i "diritti naturali", dove non ancora riconosciuti (1). Per lui i diritti dei carcerati, dei tossicodipendenti, degli omosessuali, delle donne costrette ad abortire, o delle coppie che volevano divorziare ma non potevano farlo, erano quasi più importanti dei diritti delle larghe maggioranze.
Per questo ha sempre privilegiato il rapporto diretto tra sé e le folle come un santone, un profeta Servendosi di un'oratoria debordante, torrenziale, suggestiva come una predica, ma sempre più ossessiva, avvitata su se stessa, autoreferenziale e incomprensibile col passare degli anni. Famosi i suoi discorsi in punta di regolamento e di diritto alla Camera dei Deputati, ma anche quelli appassionati in piazza Navona per il divorzio, e quelli logorroici a Radio Radicale, quando già la decadenza era iniziata.
Ma se i discorsi erano il mezzo affabulatorio e ipnotico, gli strumenti concreti preferenziali della sua pratica politica "popolare" o di cosiddetta "democrazia diretta", erano soprattutto le denunce penali e amministrative, gli appelli (perfino all'estero: fu tra i primi a citare in giudizio lo Stato italiano alla Corte di Strasburgo), le petizioni, le raccolte di firme di cittadini (i famosi "tavolini" radicali, primi in Italia, utili anche a costituire un indirizzario), le proposte di legge d'iniziativa popolare e i referendum abrogativi. Istituto quest’ultimo che usava come arma impropria contro governi e partiti, di cui ha abusato determinandone in pratica l’attuale scarsa efficacia.
Da super-esperto della politica italiana, memoria di ferro e conoscitore di tutti i cavilli, curioso di tutto e amico di tutti, nonostante la sua posizione radicale era stimato anche dagli avversari, ai quali era capace di dare consigli. Il che gli ha permesso di essere per oltre quarant'anni al centro della scena politica; ma anche di passar sopra disinvoltamente sui suoi tanti errori politici, senza ammettere mai di essersi sbagliato. L'unica scusa pubblica fu quella alla famiglia del presidente della Repubblica Giovanni Leone, ingiustamente sospettato e indotto alle dimissioni per una campagna di stampa fatta propria dall'Espresso. In compenso, fu lui a far eleggere il presidente Oscar Luigi Scalfaro che non fu certo un modello di laicismo.
La sua vera e unica "ideologia" – hanno sostenuto ex radicali pentiti – più che il radicalismo (corrente di sinistra del liberalismo rappresentata nel Parlamento italiano già a fine Ottocento) è stata il "pannellismo", una forma personalizzata d'inguaribile narcisismo, che ha fatto le veci di un'inesistente vera e coerente politica laica, che avrebbe preteso – ecco lo scoglio insormontabile per il suo carattere – accordi con altri partiti, col rischio di dover condividere il potere con altri.
Grande politico? La politica non è (soltanto) enunciare la propria tesi come verità, la propria verità, ma è confronto con gli avversari, e anche costruzione di maggioranze, dialogo, mediazione, compromesso. E allora lui non fu affatto un buon politico, anzi fu negato per la Politica. Del resto, chiunque può inventarsi con poche parole un obiettivo o un programma, anche il più liberale, umanitario e affascinante del Mondo. Ma se non tiene conto degli altri, cioè degli avversari, delle forze in campo, e soprattutto dei mezzi per realizzarlo, se insomma non predispone le alleanze, non è né un grande politico né un idealista, è solo un visionario mitomane, quello che gli avversari definiscono un prepotente isolato. Solo lui, a sentirlo parlare, aveva in tasca la Verità. Solo lui era progressista, laico, liberale, liberista, socialista, anarchico ecc. Gli altri, tutti gli altri, erano sempre o corrotti o ignoranti, o ingenui o inadeguati, o conservatori o reazionari. Fu dunque un utopista dotato di una visione assolutistica di stampo quasi religioso.
Imponeva i temi di forza, a sorpresa, a freddo, dalla sera alla mattina, mettendo improvvisamente grandi partiti e opinione pubblica di fronte al fatto compiuto, senza che già esistesse il minimo interesse o dibattito nel Paese. O si faceva esattamente come aveva deciso lui, spesso senza neanche mettere a parte i compagni radicali, o avrebbe fatto da solo, con i suoi cento militanti. Quello che oggi fanno o minacciano di fare i Cinque Stelle. E regolarmente perdeva. Pensiamo alle raffiche di decine di referendum degli anni Ottanta, chiaramente proposti non per essere indetti veramente ma per mettere in difficoltà i partiti. Pensiamo alll'annoso e multidisciplinare problema delle carceri tirato fuori dal cappello a cilindro in piena crisi economica, quando la gente pensava a ben altri problemi. Le rare volte, invece, che costruiva con pazienza e mediazioni (divorzio, aborto, obiezione di coscienza militare), coinvolgendo l'intero Paese e aspettando che il tema maturasse nel pubblico, vinse.
Perciò, gli si addice più della banale definizione di uomo “politico” (eppure politico fu, anzi il più astuto, il più machiavellico di tutti, quando sedeva in Parlamento), la figura insolita del missionario che s'è messo in testa di convertire tutti, il profeta, il maestro di vita, il guru indiano che dà l'esempio ai discepoli della propria setta religiosa e testimonia il Verbo con la propria personalità, il proprio carattere, il proprio corpo, la propria stessa vita. Una doppiezza sempre incombente e mai risolta, che ha dato al suo carisma una valenza in qualche modo "religiosa". Religiosità che si è acuita negli anni con una drastica caduta delle campagne anti-clericali e una curiosa attenzione alla Chiesa (dalla campagna per la "fame nel Mondo" proposta al Papa alla rubrica sulla Chiesa e il Vaticano condotta su Radio Radicale da un vaticanista). Attenzione ricambiata.
Gli ultimi decenni, però, lo hanno visto accentuare sempre più i propri vizi caratteriali all'origine del suo populismo carismatico e ripiegare ancor più su se stesso, al di là dell'apparente vitalismo verbale (ma con la parola sempre meno sicura), in una sorta di strano cupio dissolvi, una curiosa volontà autodistruttiva. Basandosi ormai solo sul carisma personale e l'emotività suscitata, trascinandosi di contraddizione in contraddizione, da un errore politico all'altro (dalla presentazione delle liste col Partito Comunista all'alleanza con Craxi e poi con Berlusconi), non si rendeva conto di essere in pesante contraddizione col suo definirsi liberale e cultore di Benedetto Croce.
Al contrario di un luogo comune molto radicato, lui che ha sempre parlato con disprezzo dei liberali contemporanei pensando ai signorotti fainéants del Sud («Si alzano tardi al mattino», insomma sono indolenti e senza iniziativa, diceva), ha cominciato a essere dipinto male anche da una parte dei liberali, oltre che da comunisti e democristiani. «Da anni Pannella non è nemmeno radicale, tanto meno liberale», ha scritto un noto esponente liberale di Firenze che in genere pesa le parole. «Da anni si è ridotto alla reclamizzazione di se stesso, in un ossessivo egocentrismo ed egoismo politico. Anzi, impolitico» (v. commento all’articolo su Liberali Italiani, link in alto).
Umano, insomma, troppo umano, nel bene e nel male. La sua ricchissima personalità, era così piena di luci e ombre, pregi e difetti, che ricordare entrambi credo sia il servizio migliore alla sua, questo sì, indiscutibile, intelligenza.
AGGIORNATO IL 14 AGOSTO 2016