31 maggio, 2006

 

Nathan non ha fatto scuola. Quando i laici erano idealisti, amministratori efficienti e riformatori.


Un mio articolo giovanile sull'Astrolabio (v. sotto) circa un Convegno sul grande Ernesto Nathan, il miglior amministratore che Roma abbia avuto, torna di attualità ora che sul Comune della Capitale si addensano le nubi del malaffare e della corruzione tra funzionari, enti e cooperative. Non è questione naturalmente di Sindaci in sé, visto che di Sindaci personalmente onesti a Roma ne abbiamo avuti almeno quattro (sia pure diversamente efficienti), ma di ceto politico-amministrativo nel suo insieme.
      E' bello, però, ricordare che c'è stato un tempo, dopo l'Unità d'Italia, in cui Roma ha avuto non solo un Sindaco ma anche amministratori e funzionari attorno a lui che intendevano il loro ufficio come dovere civico, impegno pubblico, non come occasione di spoliazione e arricchimento personale, di tangenti e truffe. 
      Si dividevano, non per caso, tra liberali storici, per lo più progressisti, o repubblicani mazziniani. Pratici e idealisti, insieme: una combinazione che non si verificherà mai più nella storia d'Italia, se non per pochi anni durante e dopo la Liberazione, nel primissimo Dopoguerra. Basta dire che Ernesto Nathan fondò nel 1919 la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (Lidu), la prima organizzazione italiana per i diritti umani e una fra le più antiche del mondo.
      Nessuno, di quella bella classe politica, era clericale o legato al Vaticano o ai costruttori; nessuno era di Destra o anti-sistema.  Erano intrisi di "fede" in un ideale, che come teorizzava Benedetto Croce, è una bella "religione" laica. «Muoio come ho vissuto, nella fede di Giuseppe Mazzini, serenamente soddisfatto se attraverso la vita, sino agli ultimi giorni, ho potuto darne testimonianza», si legge sulla lapide della tomba di Nathan al Verano.
      A quel tempo, nessun corrotto diceva “tutti sono uguali, tutti sono corrotti”. Nessun Vigile urbano scioperava se un collega nullafacente o disonesto era punito. E chi in Comune sbagliava, chi non lavorava bene, chi rubava, era subito licenziato, e se ricorreva al Giudice aveva pure il sovrappiù di pena. E i Sindacati non erano così ottusi e corporativi (cioè eversivi) da anteporre gli interessi della propria categoria protetta alla collettività. 
      E anche i Magistrati collaboravano al Bene Comune, non erano così stupidamente formalistici e neutrali come accade oggi, quasi che l’avvenire dello Stato non li riguardi, accampando come scusa l’idiozia che “le leggi sono quelle che sono”. Insomma, sapevano interpretare con buonsenso, erano più anglosassoni. E Sindaci, assessori, consiglieri e dirigenti amministrativi avevano, certo, delle idee politiche-sociali-economiche forti. Altra fondamentale differenza con l'oggi, quando i potenziali mascalzoni dicono tutti – fateci caso – che "le ideologie sono superate" (comodo per mettere tutti sullo stesso piano, anche i più squallidi, visto che idee e cultura sono un discriminante di personalità e perfino di onestà, e perfino un antidoto psicologico alle ruberie. 
      E i Sindaci non si piegavano ai corrotti interessi "di ventre" della gente, ma anzi avevano la pretesa laica di indirizzarla ed "educarla". Perciò proponevano strutture utili al progresso della collettività, magari non richieste dalla gente, come scuole (tante scuole: quasi tutte quelle che oggi vediamo a Roma furono costruite in quegli anni) e farmacie comunali, giardini, quartieri accoglienti e dalla bella architettura, vie ampie e alberate, palazzi di esposizione e mercati coperti. Non muovi stadi di calcio per comperare il voto del popolino dei tifosi, o nuovi inutili centri commerciali per favorire le “mazzette” di aziende commerciali e imprese costruttrici.
      Si veda, sempre qui su Salon Voltaire, un altro mio articolo su Nathan che introduce una monografia di M. Mantello.
      Infine, qui di seguito, sull'Astrolabioun mio articolo giovanile sul miglior Sindaco romano e forse italiano di sempre, l'esempio migliore di quella stupenda classe politica e amministrativa liberale e illuminata che purtroppo solo per pochi decenni poté governare in Italia -NICO VALERIO


La politica a Roma 80 anni fa
NATHAN NON HA FATTO SCUOLA?
In periodo di mutamento e di alternative possibili, la cultura laica e di sinistra riscopre la piccola “età di Pericle » portata a Roma 77 anni fa da un coraggioso sindaco, ebreo e mezzo inglese, alla testa di un «blocco popolare».

di NICO VALERIO, L’Astrolabio, 22 aprile 1984


Quanti capi di Governo vale un buon sindaco? Un amministra­tore pragmatico ed efficiente - ha detto qualcuno che certo doveva es­sere anglosassone - è più utile alla città di due o tre Presidenti del Con­siglio che promettono e non man­tengono. E se poi il sindaco, come Ernesto Nathan, oltre all'onestà e all'indipendenza ha una coraggiosa visione politica e sociale dei biso­gni della città, allora basta da so­lo a caratterizzare uno stile di amministrazione, anzi un'epoca. Tanto sono rari, in ogni tempo, uomini del genere.
      Ecco perché, in periodo di crisi e di mutamento, quando si speri­mentano le alternative possibili al mimetico « gattopardismo » dc e la nazione - come si diceva ai tem­pi di Nathan - è scossa da un fre­mito di rinnovamento morale, il pensiero di intellettuali e politici lai­ci e progressisti va alla breve e in­tensa stagione del sindaco illumina­to e severo che governò in modo e­semplare la capitale dal 1907 al 1913, lottando a viso aperto, senza oblique mediazioni né calcoli dema­gogici, contro la rendita parassita­ria, i privilegi delle corporazioni, l'oscurantismo e l'ignoranza.
      Di Nathan si parlò - e lo men­zionò anche il neo-sindaco Argan nel suo primo discorso alla giunta - nel 1976, quando la sinistra ri­conquistò, 69 anni dopo Nathan, il Campidoglio. Se ne riparla ora in seguito ad un convegno tenuto al Centro culturale Mondoperaio (pre­senti Pio Marconi, Antonello Trom­badori, Oscar Mammì, Alberto Benzoni) e alla contemporanea presen­tazione della prima biografia politi­ca di Nathan amministratore («Er­nesto Nathan: un sindaco che non ha fatto scuola », ed. Ianua) a cura di Maria I. Macioti, della scuola di Fer­rarotti.
      Eppure, anche l'avvento della si­nistra al governo di molte città non ha portato ad illuminare degnamente la figura di questo singolare proto­tipo di sindaco laico. Ancora oggi Nathan è un « celebre sconosciuto ». Come mai? Non è solo perché, come ricorda la Macioti, il suo prezioso archivio fu fatto sparire durante il fascismo, per deprecabile eccesso di prudenza; o perché ancor oggi i do­cumenti dell'Archivio Capitolino sono inaccessibili, per colpa del Co­mune, come ha lamentato il prof. Giuseppe Talamo. C'è ben altro.
      E' proprio il sobrio realismo, l' atteggiamento antiretorico e « po­sitivista » del riformatore autentico, più attento - come dice Ferrarot­ti - alle tecniche operative delle riforme che alla loro astratta predi­cazione, a fare di Nathan un anima­le raro nello zoo politico italiano. Isolato culturalmente, cosmopolita, anglofono, più conosciuto a Londra e a Los Angeles che a Torino o a Milano, incapace di promettere al collegio elettorale la ferrovia o l'officina pur di essere eletto, Nathan non rientra nelle abituali categorie del pensiero politico di casa nostra. Nella penisola delle parole al vento, anche a sinistra, il sindaco ebreo e mezzo inglese in un solo quinquen­nio costruisce scuole, organizza cor­si per adulti, bonifica l'Agro roma­no, crea il primo piano regolatore. urbanistico (firmato da Sanjust di Teulada), istituisce il referendum popolare cittadino, si batte per il divorzio, colpisce con tasse ed espropri gli speculatori delle aree, crea una rete moderna di illuminazione e di trasporti, spezza l'in­termediazione annonaria e il lavoro « nero ».
      Il « blocco del popolo » che lo sostiene è quanto mai variegato: ra­dicali, repubblicani, socialisti, la Ca­mera del lavoro, le unioni dei mae­stri e degli impiegati. Quasi priva di una classe operaia, Roma produ­ce inaspettatamente una piccola e media borghesia del lavoro che è individualista e progressista, crede nei bilanci in pareggio ma soprat­tutto nella giustizia sociale. Artigia­ni, professionisti, operai celebra­no nell'Esposizione universale del 1911, cui Nathan dà un determi­nante contributo, il giubileo laico dell'operosità illuminista, contrap­posto alle medioevali paure e agli anatemi antimodernisti del papato e dei clericali. Ma poi Giolitti si metterà d'accordo con i neocattoli­ci, col patto Gentiloni, abolendo in pratica il non expedit. Assediato dai proprietari terrieri e dagli spe­culatori edilizi facenti capo al bloc­co nazional-clericale, privo ormai dell'appoggio di Giolitti, Nathan ca­de alle elezioni del 1914 per soli 1500 voti. Gli succede il principe Prospero Colonna, il maggior espo­nente della «nobiltà nera» vicina al Vaticano, che - guarda caso - aveva in corso una causa per espro­prio con l'amministrazione Nathan.
      Tutto inutile, allora? Non lo cre­diamo, anche se Franco Ferrarotti e la Macioti, col pessimismo della ra­gione, negano che Nathan, odiato dalle destre, abbia fatto proseliti nella sinistra e tra i laici di oggi, ci rifiutiamo di credere al paradosso che il « sindaco saggio » - che aveva l'idea fissa dell'educazione po­polare e aveva costruito quasi tutte le scuole di Roma - non abbia «fatto scuola» tra gli amministra­tori locali dei giorni nostri. Ma dobbiamo ammettere che i severi fer­menti nathaniani, così vivi in Giu­stizia e Libertà e nel Partito d'Azio­ne sul piano della politica naziona­le, non hanno avuto quasi riscon­tro nei municipi. E questo deve far riflettere. - NICO VALERIO


IMMAGINE. Giacomo Balla, Ritratto di Ernesto Nathan (1910). Balla fu un grande esponente della corrente futurista e della pittura del primo Novecento.

AGGIORNATO IL 2 NOVEMBRE 2016

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